Aumento Istat nelle locazioni: non è richiesta alcuna formalità (Cass. n. 16068/2012)

Redazione 21/09/12
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Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c. Reale Immobili Spa, premesso di aver acquistato da ******* 90 srl un immobile in (omissis), che era stato locato a far data dall’1.2.93 al Ministero dell’Economia e delle Finanze e destinato a sede della Direzione Provinciale, al canone iniziale di L. 2.900.000.000 oltre aggiornamento Istat dal secondo anno, chiedeva che, previa determinazione del canone aggiornato a partire dall’1.2.2002, il Ministero fosse condannato a corrispondere per arretrati sino al 31.5.2006 la somma di Euro 1.857.408,48 oltre interessi e rivalutazione monetaria. Si costituiva il Ministero deducendo di non aver ricevuto nessuna richiesta specifica di aggiornamento, se non nel 2003 e nel 2004, e chiedendo la reiezione della domanda ed in via di ulteriore subordine la reiezione della richiesta di rivalutazione ed interessi. In esito al giudizio il Tribunale di Milano accertava che l’eventuale residuo debito del Ministero nei confronti di “Beni Immobili Italia Spa” doveva determinarsi con riferimento ad un canone di Euro 1.621.108 oltre *** per il bimestre 1.12.2003/31.1.2004 e con riferimento a un canone di Euro 1.645.425,62 oltre *** per il periodo 1.2.2004/31.5.2006. Avverso tale decisione proponeva appello la Reale Immobili Spa ed in esito al giudizio, in cui si costituiva il Ministero la Corte di Appello di Milano con sentenza depositata in data 4 giugno 2008, dato atto dell’eseguito pagamento da parte del conduttore dell’importo per canoni, condannava il Ministero a corrispondere gli interessi di mora con decorrenza dalle scadenze contrattuali relative ai ratei di canone tardivamente pagati, confermando nel resto l’impugnata sentenza e dichiarando compensate le spese del grado. Avverso la detta sentenza la Reale Immobili Spa ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo, illustrato da memoria. Resiste con controricorso il Ministero.

Motivi della decisione

In via preliminare va rilevata la fondatezza dell’eccezione formulata dalla ricorrente, la quale ha dedotto l’omessa notifica del controricorso presentato proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. A riguardo, è utile evidenziare che, in base al dettato dell’art. 370 c.p.c., la parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddire, deve farlo mediante controricorso da notificarsi al ricorrente nel domicilio eletto entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso.

Nella specie, come risulta dalla relata apposta in calce all’atto in data 10 dicembre 2008, il controricorso non è stato affatto notificato perchè da informazioni assunte sul posto il procuratore domiciliatario era sconosciuto. Ne deriva che, in mancanza della prescritta notificazione, il controricorso de quo non può essere preso in considerazione. Esaurita tale questione preliminare, passando all’esame della doglianza, svolta dalla ricorrente, va osservato che la stessa, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 32, si fonda sulla premessa che la norma citata non pone alcun vincolo di forma ai fini della richiesta di aggiornamento del canone su base Istat, con la conseguenza che deve escludersi la necessità della forma scritta e deve ritenersi sufficiente un comportamento concludente. Pertanto la Corte di Appello avrebbe sbagliato quando ha ritenuto che la richiesta debba formularsi in modo chiaro ed univoco, specialmente se rivolta ad una P.A., e che non sia sufficiente a tal fine l’invio di una fattura nella quale sia indicato un canone superiore all’ultimo pagato. La censura merita attenzione. A riguardo, giova premettere che i primi due commi della L. n. 392 del 1978, art. 32, nel testo risultante dopo la sostituzione ad opera della D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9 sexies, conv. in L. 5 aprile 1985, n. 118, dispongono testualmente: “Le parti possono convenire che il canone di locazione sia aggiornato annualmente su richiesta del locatore per eventuali variazioni del potere di acquisto della lira.

Le variazioni in aumento del canone non possono essere superiori al 75% di quelle, accertate dall’Istat, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati”.

Ora, se è vero che la richiesta si configura come un onere del locatore, al cui adempimento è legato il suo diritto ad ottenere l’aggiornamento del canone, ponendosi come condizione per il sorgere del relativo diritto, è altrettanto vero che la legge non prevede però che tale richiesta debba essere rivestita di una forma particolare.

Pertanto, questa Corte con indirizzo ormai consolidato ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, in assenza di qualsiasi prescrizione normativa che richieda una forma particolare, le parti, nell’esplicazione della loro autonomia contrattuale, sono libere di stabilire, a loro scelta, le modalità attuative della richiesta, prescritta dalla L. n. 392 del 1978, art. 32 – nel testo modificato dalla L. n. 118 del 1985, art. 1, comma 9 sexies – per ottenere l’aumento del canone in dipendenza delle variazioni dell’indice ISTAT. Pertanto tale richiesta può essere validamente formulata non solo verbalmente, ma anche implicitamente o per facta concludentia (cfr Cass. n. 9351/92, Cass. 7982/1994, Cass. n. 14655/02, Cass. n. 15034/2004, Cass. n. 25645/2010). Ciò premesso, giova ora richiamare l’attenzione sulla circostanza che, assai recentemente, con sentenza n. 10720 dell’11 giugno 2012, questa stessa terza sezione della Corte, in diversa composizione, in una controversia di contenuto analogo tra le stesse parti, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla Reale Immobili sia per inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6 sia perchè, in buona sostanza, la ricorrente aveva sollecitato una revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, non consentita in sede di legittimità. E ciò, malgrado che i giudici di secondo grado avessero escluso che gli atti trasmessi dalla locatrice al Ministero presentassero “i requisiti minimi di certezza per fare almeno presumere una richiesta di adeguamento e far comprendere il suo contenuto” (cfr pag. 5).

Ciò posto, risulta di ovvia evidenza come nella decisione in commento la Corte di legittimità non ha affatto esaminato la fondatezza o meno delle doglianze formulate dalla Reale Immobili in punto di diritto. Ciò, in quanto le censure non potevano essere esaminate essendo volte in realtà a sollecitare un inammissibile intervento in sovrapposizione del giudice di legittimità rispetto ad una decisione del giudice di secondo grado essenzialmente fondata su una valutazione di stretto merito.

I termini della controversia sottoposti all’esame di questo Collegio sono invece ben diversi ove si consideri che la Corte di merito ha fondato la sua decisione sull’affermazione di principio, secondo cui la mancata indicazione del titolo della maggiorazione nonchè della percentuale di aggiornamento applicato, nelle fatture inviate dalla locatrice, indicanti un importo dei ratei di canone variato in aumento, non consentirebbero di integrare una valida richiesta ai fini dell’ottenimento dell’aggiornamento del canone.

Ed invero, non vi è chi non veda come in tal modo, i giudici di secondo grado hanno finito con il postulare uno specifico requisito formale non previsto dalla legge, formulando un principio di diritto che non merita di essere condiviso. A riguardo, mette conto di sottolineare che la richiesta di aggiornamento contemplata dall’art. 32 più volte citato mira ad assolvere una duplice funzione, quella di rendere manifesta la volontà del locatore di conseguire l’aggiornamento annuale del canone e quella dì indicare l’ammontare della prestazione richiesta dal locatore e dovuta dal conduttore.

Ora, poichè tale richiesta può essere validamente formulata non solo verbalmente, ma anche implicitamente o per facta concludentia, l’invio di una fattura, in cui sia indicato un canone maggiore rispetto all’ultimo pagato, inglobante un aumento corrispondente al 75% delle variazioni, accertate dall’Istat, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati o comunque corrispondente a quello minore, eventualmente convenuto, non solo consente al conduttore di comprendere in maniera chiara ed univoca la volontà del locatore di ricevere il maggior canone comprensivo dell’aggiornamento Istat, nel frattempo maturato, ma gli permette, altresì, di desumere previa comparazione con il minor canone precedentemente pagato la misura della percentuale di aggiornamento applicato, così da compiere la necessaria verifica in merito alla legittimità della richiesta medesima. Con la conseguenza che, ferma restando la facoltà del conduttore di richiedere al locatore i necessari chiarimenti, formulando ove del caso le opportune contestazioni, la richiesta, diretta a conseguire l’aggiornamento Istat, contenuta nella fattura inviata al conduttore, può ritenersi idonea e funzionale al raggiungimento dello scopo propostosi.

Considerato che la sentenza impugnata non si è uniformata al suddetto principio,il ricorso per cassazione in esame deve essere pertanto accolto e la sentenza impugnata, che ha fatto riferimento, in modo non corretto, ad una regula iuris diversa, deve essere cassata.

Con l’ulteriore conseguenza che, occorrendo un rinnovato esame della controversia, la causa va rinviata alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, che provvedere anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità, al fine di verificare in concreto la sussistenza o meno, nelle fatture inviate dalla locatrice, dei requisiti minimi necessari idonei al fine di assolvere alla funzione sopra illustrata.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, che provvedere anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.

Redazione