Atto amministrativo nullo (Cons. Stato, n. 4588/2013)

Redazione 17/09/13
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FATTO e DIRITTO

Con il presente gravame la Cooperativa Edilizia Riscossa Postelegrafonica in liquidazione impugna la sentenza del Tar del Lazio con cui è stata annullata la deliberazione della Commissione centrale di vigilanza sull’edilizia economica e popolare del 9/4/2002 che, a sua volta, aveva confermato la delibera della Commissione regionale di vigilanza.
Quest’ultima, con l’atto del 13/4/00, aveva dichiarato inammissibile — per essere inutilmente decorso il termine decadenziale di trenta giorni previsto dalla legge — il ricorso gerarchico improprio del D.S. diretto all’annullamento della delibera del C.d.A. della Cooperativa appellante in data 16/7/90, con cui era stata deliberata l’espulsione dalla compagine sociale del predetto appellato e la sua decadenza dall’assegnazione dell’alloggio di edilizia convenzionata.
L’appello è affidato alla denuncia di due rubriche di gravame, in cui si lamenta la violazione dell’articolo 98, terzo comma del r.d. n. 1165/1938 in relazione all’art. 360 n. 1 c.p.c., dell’articolo 21 del d.p.r. 655/1964.
Si è costituito in giudizio il controinteressato **********, che, con memoria di costituzione e controricorso, ha contestato le affermazioni della cooperativa appellante ed ha concluso per il rigetto dell’appello.
Con memoria per la discussione la cooperativa ha replicato alle tesi dell’appellato, insistendo per l’accoglimento del suo ricorso.
Chiamata all’udienza pubblica di discussione, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata introitata in decisione dal collegio.
L’appello è infondato
_ 1. Con il primo motivo la cooperativa appellante lamenta l’erroneità della sentenza, che non avrebbe tenuto conto dell’evoluzione del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, a partire dall’orientamento della Cassazione a Sezioni Unite (cfr. n. 1215 del 24 maggio 2006; e n. 13.687 del 14 giugno 2006), che avrebbe chiaramente affermato la giurisdizione del giudice ordinario a decidere il tema delle vicende sul rapporto privatistico tra il ricorrente e la cooperativa risolte con una deliberazione a norma del 2527 c.c. .
Erroneamente il Tar avrebbe concluso per l’ammissibilità del gravame solo in ragione del fatto che l’oggetto dell’impugnativa del Sig. D.S. dinanzi al Tar sarebbe stata la delibera della Commissione centrale di vigilanza dell’edilizia economica e popolare. In realtà, la questione sottoposta all’esame del Tar avrebbe riguardato una posizione di diritto soggettivo e non di interesse legittimo, per cui il Tar avrebbe dovuto rilevare la propria carenza di giurisdizione.
Il motivo è infondato.
Nel caso in esame l’indirizzo giurisprudenziale ricordato dall’appellante appare inconferente nel caso di specie in quanto la controversia non concerne direttamente un atto della Cooperativa edilizia fruente di contributo erariale rispetto ad un socio.
In tema di controversie tra cooperative edilizie anche usufruenti di contributo erariale e i loro soci, il riparto della giurisdizione deve ritenersi fondato sulle comuni regole correlate alla posizione soggettiva prospettata nel giudizio (cfr. Cassazione civile sez. un. 7 ottobre 2010 n. 20772).
Restano, così, assegnate al g.a. le controversie inerenti alla fase pubblicistica, caratterizzata dall’esercizio di poteri finalizzati al perseguimento di interessi pubblici, cui corrispondono posizioni di interesse legittimo del privato, mentre ricadono nella giurisdizione ordinaria quelle di natura privatistica, nelle quali la posizione del privato assume natura di diritto soggettivo.
Ciò premesso si deve ricordare nello specifico che l’art. 53 lett. b) d.lgs. 31 marzo 1998 n. 112, soppressivo delle funzioni giurisdizionali delle Commissioni centrale e regionali di vigilanza per l’edilizia economica e popolare, non ha eliminato le Commissioni stesse, le quali continuano ad essere titolari di una serie di funzioni e di competenze di natura amministrativa.
In caso, il provvedimento che, in sede gerarchica, definisce l’impugnazione del provvedimento di esclusione dalla società cooperativa proveniente da un soggetto privato, quale è la società cooperativa a r.l., determina la lesione di un interesse legittimo azionabile davanti al giudice amministrativo.
La decisione sui ricorsi gerarchici attinenti alla prenotazione e all’assegnazione degli alloggi, alla posizione e qualità di aspirante socio e a quelle tra socio e socio, ovvero tra socio e cooperativa, ecc. ecc. adottati dalla competente Commissione di vigilanza per l’edilizia economica e popolare, nella sua qualità di soggetto pubblico, riveste la natura di atto amministrativo, e dunque può essere impugnata con ricorso ai Giudici amministrativi, incluso il Consiglio di Stato, investiti di giurisdizione esclusiva di sola legittimità (cfr. Consiglio Stato sez. IV 22 febbraio 2006 n. 806; Cons. Stato, Sez. V, 2/8/2007, n. 4290).
Del resto l’appellato, inizialmente, aveva adito il Tribunale di Roma, che aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione.
Di qui in definitiva l’esattezza delle conclusioni del TAR.
_ 2. Con il secondo motivo si lamenta l’erroneità dalla decisione che ha ritenuto di fare proprie le tesi del ricorrente, per cui il Consiglio di amministrazione della Cooperativa non avrebbe avuto il potere di adottare l’impugnato provvedimento di esclusione motivato in relazione alla mancata occupazione dell’alloggio ed al fatto che l’appellato avrebbe fatto una speculazione affittando l’alloggio ad altri.
Il Tar, facendo riferimento all’articolo 105 del R.D. n. 1165/1138, avrebbe affermato erroneamente che il provvedimento sarebbe afflitto da incompetenza assoluta e dunque sarebbe stata nulla la determinazione del Consiglio di amministrazione motivante l’esclusione per entrambi i motivi tra di loro assolutamente autonomi.
La mancata occupazione dell’alloggio ai sensi dell’articolo 98 terzo comma del R.D. n. 1165/1938 è una violazione che comporta la decadenza dall’assegnazione. Essendo una sanzione che non ammette alcuna valutazione discrezionale va impugnata davanti a giudice ordinario.
Inoltre erroneamente il Tar ha ritenuto che la contestazione per cui l’appellato avrebbe fatto una speculazioni illecita per aver affittato l’alloggio di un’altra persona costituisse un provvedimento di cui all’articolo 105 del d.p.r. 1165 cit., rispetto al quale la cooperativa sarebbe stata incompetente ad adottare.
Al contrario di quanto affermato dal Tar, il Ministero dei lavori pubblici non avrebbe alcun potere di adottare tali provvedimenti, in quanto l’art. 103 del suddetto R.D. assegnerebbe al Consiglio di amministrazione della Cooperativa, non al Ministero, la competenza a deliberare la radiazione dei soci.
Parimenti erronea sarebbe pure l’affermata “nullità della delibera”: a tutto voler concedere si sarebbe, in ogni caso, trattato di un vizio di incompetenza, per cui la relativa delibera andava impugnata entro 30 giorni.
In conseguenza il ricorso di primo grado sarebbe stato comunque inammissibile perché proposto oltre il predetto termine.
Tutti i profili vanno respinti.
Deve infatti pienamente concordarsi con il Primo Giudice: il procedimento di decadenza conseguente al compimento di speculazione sull’alloggio sociale certamente radica la competenza dell’ex Ministero dei LL.PP, specificamente competente, ai sensi dell’art. 105 del T.U. n.1165 sull’edilizia popolare ed economica, a decretare la decadenza dall’assegnazione previa contestazione dell’addebito.
Tale circostanza assorbe la fattispecie della mancata occupazione, per cui il provvedimento adottato dal C.d’a. è senz’altro viziato da incompetenza assoluta (o difetto assoluto di attribuzione); e risulta dunque nullo ai sensi dell’art. 21 septies della legge 7/8/1990, n. 241 e smi.
L’art. 21 septies l. n. 241 del 1990, nell’individuare come causa di nullità il “difetto assoluto di attribuzione”, evoca, come fattispecie paradigmatica, proprio il caso della carenza di potere in astratto, vale a dire l’ipotesi in cui una P.A. assume di esercitare un potere che in realtà nessuna norma attribuisce (cfr. Consiglio di Stato sez. VI 27 gennaio 2012 n. 372).
Nel caso in esame il provvedimento è annullabile quando si è in presenza di un esercizio viziato di un potere, che cioè è esercitato in assenza dei presupposti previsti alla legge (ma per cui non si pone in questione l’esistenza stessa del potere), mentre è nullo se si è in presenza di un difetto assoluto di attribuzione.
Ciò posto, l’art. 21-septies cit., che ha codificato come forma più grave di invalidità il provvedimento amministrativo nullo, non ha tuttavia disciplinato l’azione di nullità, con particolare riguardo ai termini di decadenza o di prescrizione, per cui non può che farsi riferimento ai principi generali in materia di nullità del contratto: essendo, di regola, l’azione di nullità imprescrittibile, l’interessato può fare accertarne la nullità, senza particolari limitazioni temporali, fatta salva l’eventuale prescrizione delle connesse azioni di condanna (cfr. Consiglio Stato sez. V 9 giugno 2008 n. 2872).
A fronte di ciò, del tutto inconferente appare il tentativo dell’appellante di frazionare una fattispecie sostanzialmente unitaria.
In definitiva esattamente il TAR, relativamente al provvedimento del Consiglio di amministrazione, ha osservato che non sussisteva in capo al ricorrente alcun onere di impugnativa di un atto nullo nel termine decadenziale prescritto dall’art. 21 del d.P.R. n. 655 ed ha coerentemente concluso per l’illegittimità della decisione della Commissione di vigilanza che ha dichiarato inammissibile il ricorso amministrativo.
_ 3. In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto e per l’effetto la sentenza impugnata va integralmente confermata. .
Le spese possono tuttavia essere integralmente confermate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando:
_ 1. respinge l’appello, come in epigrafe proposto;
_ 2. spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2013

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