Assunzione del personale negli enti locali: diniego riconoscimento rapporto d’impiego pubblico (Cons. Stato n. 5848/2012)

Redazione 19/11/12
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FATTO e DIRITTO

Il sig. R. F. proponeva ricorso dinanzi al T.A.R. per la Campania contro il Comune di Saviano.

Il ricorrente esponeva che la detta Amministrazione con nota n. 917 dell’8.2.1991 gli aveva comunicato il conferimento dell’incarico della sostituzione, per 10 giorni consecutivi, del custode del locale cimitero, ma che tale rapporto, dopo altre cinque note simili recanti lo stesso incarico, sempre per la durata di dieci giorni, nei successivi mesi dell’anno 1991, si era protratto di fatto fino al 20.11.1996, senza la percezione da parte sua di alcuno stipendio né somme accessorie.

Da qui le domande avanzate dal F. al Tribunale adìto, intese:

– all’annullamento della nota del Comune prot. n. 300/99, di riscontro all’atto stragiudiziale da lui notificato il 12.1.1999, concernente l’invocato rapporto di servizio tra esso ricorrente e l’Ente;

– alla declaratoria del diritto del ricorrente all’accertamento del proprio rapporto di lavoro e alla costituzione del corrispondente rapporto di pubblico impiego, con il riconoscimento della IV qualifica funzionale e del relativo trattamento economico e normativo, se del caso attraverso l’applicazione alla fattispecie dell’art. 2126 c.c.;

– in via subordinata, al riconoscimento dell’avvenuto arricchimento senza causa della P.A..

Ai fini della rivendicata costituzione del rapporto di pubblico impiego il ricorrente allegava la presenza delle condizioni sostanziali della subordinazione gerarchica, della non provvisorietà della prestazione, del proprio inserimento nell’organizzazione dell’Ente in correlazione con le sue finalità istituzionali, della continuità delle prestazioni svolte e del rispetto dell’orario di servizio.

Le mansioni disimpegnate dal ricorrente quale custode del cimitero avrebbero dovuto essere correlate alla IV q.f., con conseguente spettanza del relativo trattamento economico e normativo. Tuttavia, il medesimo deduceva di non aver percepito alcuna retribuzione, in violazione del principio costituzionale della proporzionalità della retribuzione alla quantità e qualità dell’attività prestata ai sensi dell’art. 36 della Carta.

Il rapporto lavorativo dedotto, avendo i caratteri del pubblico impiego, anche ove instaurato in violazione di legge sarebbe stato soggetto, come rapporto di fatto, alla disciplina dell’art. 2126 cod. civ..

I crediti retributivi da riconoscere avrebbero dovuto includere la maggior somma rappresentata dalla rivalutazione monetaria del capitale e dagli interessi legali, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., e giustificare la conseguente condanna dell’Amministrazione al pagamento delle debite spettanze, a far data dall’8.2.1991 e fino all’effettivo soddisfo.

In via subordinata, alla fattispecie avrebbe dovuto applicarsi la disciplina dell’arricchimento senza causa nei confronti del Comune. Il riconoscimento implicito dell’utilità ottenuta dall’Amministrazione avrebbe potuto desumersi dal fatto che le prestazioni dell’interessato erano state sollecitate dal medesimo Comune ed in concreto da esso utilizzate, conseguendo così, appunto, un arricchimento ingiustificato.

Il Tribunale adìto con l’ordinanza n. 1076/99 del 9 marzo 1999 respingeva la domanda di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.

Resisteva alle domande dell’interessato il Comune di Saviano, che ne chiedeva il rigetto obiettando: che l’espletamento dell’asserita attività di servizio sarebbe avvenuto in forma privata, al di fuori di ogni ingerenza dell’Ente; che il vantato rapporto di pubblico impiego sarebbe stato inesistente, per la mancanza di un atto formale o comportamento amministrativo idoneo ad instaurarlo, essendo invece venuta in rilievo da parte dell’interessato un’attività sostanzialmente abusiva.

Il Tribunale con la sentenza in epigrafe respingeva il ricorso.

L’interessato appellava la decisione dinanzi a questa Sezione con il presente gravame, con il quale ribadiva le proprie domande, argomentazioni e conclusioni.

Le tesi di parte ricorrente venivano infine riproposte con una successiva memoria, con la quale si insisteva per l’accoglimento dell’atto introduttivo con le consequenziali statuizioni.

Alla pubblica udienza del 16 ottobre 2012 l’appello è stato trattenuto in decisione.

L’appello è infondato.

1 La domanda sostanziale proposta dal ricorrente attiene al riconoscimento dell’esistenza, tra le parti, di un rapporto di impiego pubblico, o se non altro di un rapporto di lavoro di fatto ai sensi dell’art. 2126 del cod. civ., con le invocate conseguenze di ordine retributivo che sono state sopra esposte.

2 Ora, la giurisprudenza ha da tempo chiarito (cfr. C.d.S., A.P., nn. 5 e 6 del 1992) che le norme in materia di assunzione del personale degli enti locali non sono di ostacolo all’applicabilità dell’art. 2126 c.c., e, quindi, al riconoscimento del diritto del lavoratore, pur non assunto a conclusione di una regolare procedura concorsuale, alle differenze retributive, all’indennità di fine rapporto e alle altre prestazioni contributive e previdenziali: ma tutto ciò soltanto quando risulti comprovata la sussistenza in concreto degli indici che, secondo la stessa giurisprudenza amministrativa, rivelano lo svolgimento di fatto di un rapporto di impiego, quali la subordinazione gerarchica, l’esclusività e la continuità delle prestazioni, l’osservanza di un orario di lavoro, la retribuzione in misura fissa e continuativa e l’inserimento del lavoratore nella struttura organizzativa dell’ente (C.d.S., V, 10 novembre 2008, n. 5582). In altre parole, al rapporto nullo possono essere connesse le conseguenze di cui all’art. 2126 c.c. unicamente quando lo stesso, benché costituito, come a tutto concedere si sarebbe verificato anche nella presente vicenda, senza il rispetto delle modalità di assunzione prescritte, sia assimilabile per il resto al rapporto di lavoro subordinato costituito nelle forme legali, del quale presenti tutti i caratteristici indici rilevatori (C.d.S., VI, 6 giugno 2008, n. 2718; V, 24 ottobre 2006, n. 6352, 30 agosto 2006, n. 5062 e 6 dicembre 1999, n. 2057).

3 Tanto premesso, la Sezione deve subito rilevare che nella relazione che si sarebbe sviluppata tra le parti nella fattispecie non sono ravvisabili nella loro necessaria consistenza minima gli indici rivelatori che la giurisprudenza consolidata considera caratteristici del rapporto di impiego pubblico: e questo punto è determinante per la reiezione delle rivendicazioni, anche di taglio meramente economico, avanzate dalla parte ricorrente.

4 Conviene subito ricordare le considerazioni che hanno indotto il primo Giudice alla reiezione delle domande del F.

“Dalla documentazione di causa non emerge la sussistenza dei cd. indici rivelatori di un rapporto di pubblico impiego, e cioè di quei comportamenti concludenti che – anche a prescindere dalla emanazione di un provvedimento di nomina e nonostante una diversa qualificazione formale della fattispecie data dalle parti per lo svolgimento del servizio – caratterizzano la prestazione, con vincolo di subordinazione, di un’attività lavorativa, rientrante nelle competenze istituzionali di una pubblica amministrazione (cfr. Cons. St., sez. V, 9 novembre 1998, n. 1594; idem, 18 marzo 2003, n. 1444; idem, 14 maggio 2003, n. 2562).

Nel caso di specie, osserva il Collegio che le note del Comune n. 917/91, n. 1381/91, n. 1520/91, n. 2075/91 e n. 2146/91 contengono l’affidamento “straordinario” al signor F. dell’incarico di custode del cimitero del Comune, in sostituzione di quello effettivo, per alcuni mesi dell’anno 1991. Tuttavia, dalle stesse note e dalla documentazione in atti non sono ravvisabili elementi che possano individuare l’inserimento del ricorrente nell’apparato burocratico dell’Amministrazione comunale né sussistono gli elementi caratteristici del lavoro subordinato nell’ambito del rapporto di pubblico impiego.

Detti “incarichi”, a differenza di quanto asserisce il ricorrente, si connotano quali incarichi straordinari, limitati ad un breve periodo, al fine di sostituire il custode effettivo e rientranti nel potere organizzatorio del Comune. Infatti, non risulta dimostrata la presenza degli elementi qualificativi del rapporto di lavoro subordinato, in particolare la sottoposizione del lavoratore al potere direttivo, gerarchico e disciplinare del Comune né degli altri elementi sussidiari riguardanti concrete modalità di svolgimento della attività lavorativa (orario fisso e prestabilito, ammontare predeterminato della retribuzione, continuità della prestazione, articolazione dell’attività, volontà dell’Amministrazione di inserire stabilmente il lavoratore nell’organizzazione pubblicistica dell’Ente, ecc.).

A questo proposito è utile ricordare la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione al riguardo (cfr. Cass, Sez. Lav., 2 aprile 2002, n. 4682; idem, 5 aprile 2002, n. 4889) e, in particolare, la recente pronuncia 5 maggio 2004, n. 8569 laddove è affermato che qualora non sia utilizzabile il requisito della soggezione del lavoratore al potere direttivo ai fini della qualificazione del rapporto acquistano valore determinante gli elementi distintivi sussidiari suddetti.

Orbene, nel caso di specie, non solo è carente sul piano formale l’individuazione del tipo di rapporto di lavoro e la sua configurazione quale lavoro “subordinato”, nell’ambito del rapporto di pubblico impiego, ma la circostanza della successione delle comunicazioni di incarico da parte del Comune e il rapporto di durata nel tempo non appaiono idonee a dimostrare l’inserimento stabile del sig. F. nell’ambito dell’organizzazione del Comune – che tra l’altro eccepisce il carattere abusivo della stessa attività svolta – né sembrano adeguatamente provati gli altri elementi qualificanti il rapporto di lavoro subordinato.

In conclusione, il Collegio, aderendo all’orientamento giurisprudenziale in materia, rileva che nel caso in cui l’incarico conferito ad una persona da parte della P.A non sia soggetto a precisi orari di espletamento, al principio di esclusività o alla prevalenza della prestazione e, comunque, a vincoli gerarchici, non è possibile qualificare il rapporto come di pubblico impiego di tipo subordinato; e non ha, parimenti, natura di pubblico impiego il rapporto non qualificato della esclusività delle prestazioni, in quanto in mancanza di tale condizione non è ravvisabile lo stabile ed organico inserimento del lavoratore nell’apparato burocratico dell’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 2 aprile 2002, n. 1794; idem, 24 ottobre 2002, n. 5852). ”

5 La decisione oggetto di gravame riposa, dunque, sul rilievo di fondo che la relazione vantata dall’interessato nei confronti dell’Amministrazione non avrebbe integrato gli estremi del rapporto di pubblico impiego a causa della carenza dei relativi indici rivelatori (in particolare, la sottoposizione del lavoratore al potere direttivo, gerarchico e disciplinare del Comune, e quindi la sua subordinazione gerarchica), avendo egli prestato la propria attività in maniera avulsa dall’organizzazione burocratica comunale, del tutto autonoma, e per la maggior parte del tempo, addirittura, sostanzialmente abusiva.

6 Vero è, infatti, che, secondo una pacifica acquisizione giurisprudenziale, ai fini della qualificazione di un rapporto giuridico non deve aversi riguardo tanto al nomen juris speso dalle parti per designarlo, quanto alle caratteristiche da esso effettivamente rivestite nella sua concreta attuazione (cfr. di recente C.d.S., V, 18 marzo 2010, n. 1581; più indietro nel tempo v. ad es. V, 10 aprile 2000, n. 2061; 13 giugno 1998, n. 824; 21 dicembre 1994, n. 1549; 29 ottobre 1991, n. 1281).

Questo non toglie, però, che l’esistenza della realtà sostanziale di un rapporto di impiego pubblico, se del caso anche sotto le spoglie dei diversi schemi giuridici eventualmente indicati dalle parti, costituisca pur sempre un quid che abbisogna di dimostrazione da parte di chi vi abbia interesse.

7 Tutto ciò posto, nella presente vicenda non emerge l’esistenza, in primo luogo, dell’essenziale requisito dell’esclusività del rapporto, attributo che neppure le note di incarico in atti (peraltro, limitate a brevissimi periodi dell’anno 1991) contemplano, né mostrano di avere anche solo indirettamente presupposto.

Non solo. Nelle note sindacali, emesse in riscontro delle diffide dell’interessato, n. 8407/1997 e n. 300/1999, la seconda delle quali investita dal ricorso di prime cure, il Comune, oltre a diffidare a sua volta l’interessato dallo svolgere le mansioni di addetto ai servizi cimiteriali, “essendo le stesse compito dei dipendenti comunali in servizio presso i cimiteri”, gli contestava che “Da informazioni assunte risulta che Ella veniva incaricato dai parenti del defunto per la pulizia dei resti mortali … e dagli stessi veniva pagato”.

Ebbene, benché la più recente delle due note sia stata impugnata proprio nell’ambito del corrente contenzioso, quest’ultimo punto, riflettente le prestazioni rese ai privati e da loro remunerate, non ha formato oggetto di alcuna puntuale considerazione e contestazione da parte del F .

Sicché a più forte ragione si deve escludere l’esistenza, nelle prestazioni rese dall’interessato, degli estremi dell’esclusività ed anche della subordinazione, requisiti la cui sussistenza non è stata, del resto, in alcun modo provata. E questo vale sia per i limitati periodi di formale incarico conferiti nel corso del 1991, sia per il lungo periodo successivo, per il quale viene rivendicato solo un mero servizio di fatto.

La documentazione versata in atti potrebbe, difatti, valere a dimostrare, al più, che l’interessato deteneva (peraltro, in un contesto tutt’altro che trasparente) le chiavi del cimitero ed i registri di sepoltura ed esumazione. Ma nessuna dimostrazione è stata fornita circa il tipo di impiego di tali strumenti da lui fatto, e quindi, come si è detto, circa l’effettiva sussistenza degli indici caratteristici del rapporto di pubblico impiego.

Il quadro delle risultanze disponibili è poi vieppiù sfavorevole al ricorrente se si tiene presente che la difesa comunale, a suo tempo, dinanzi al Giudice del lavoro, ebbe a dichiarare che l’attività del suddetto aveva integrato al più “solo un’attività sporadica, per qualche ora al giorno” (sentenza del pretore di Nola n. 19/1994, pag. 2), e se si tiene nel debito conto l’incontestata affermazione per cui il medesimo aveva ottenuto in pari tempo remunerazioni da privati per prestazioni da lui rese nello stesso cimitero.

L’attività di collaborazione asseritamente prestata per l’Amministrazione, d’altra parte, era per sua natura quanto mai elastica, godendo l’interessato della più ampia autonomia ed immunità da qualsivoglia controllo. Sicché si conferma sfornito di prova, oltre all’estremo dell’esclusività, anche l’aspetto della soggezione ad un compiuto orario di servizio e alle direttive imposte dall’autorità comunale, e pertanto, più ampiamente, il requisito dell’assoggettamento dell’interessato al potere gerarchico e disciplinare dell’Ente.

Né ha pregio invocare le osservazioni che sul tema delle caratteristiche del rapporto inter partes si è spinto a fare il Giudice del Lavoro con la sentenza del Pretore di Nola n. 19/1994, pronuncia la quale, risolvendosi in una declaratoria di difetto di giurisdizione in favore del Giudice amministrativo, non potrebbe vincolare quest’ultimo sotto alcun profilo.

Vale, invero, il principio per cui le sentenze dei giudici ordinari di merito, come quelle dei giudici amministrativi, “sono suscettibili di acquisire autorità di giudicato esterno anche in tema di giurisdizione e perciò di spiegare i propri effetti anche al di fuori del processo in cui siano state rese, solo se la statuizione sulla giurisdizione sia accompagnata da una conseguente pronuncia di merito” (così, da ultimo, Cass. civ., SS.UU., 13 aprile 2012, n. 5872; analogamente, v. ad es. 18 dicembre 2008, n. 29531; 5 marzo 2008, n. 5917). Quando invece, come nel caso del pronunciamento del Pretore di Nola, la pronunzia esaurisca il proprio contenuto sul terreno della questione di giurisdizione, la stessa non è suscettibile di acquisire autorità di giudicato, e di spiegare perciò alcun effetto al di fuori del processo in cui è stata resa.

8 Le considerazioni finora svolte circa le caratteristiche del rapporto intercorso tra le parti in causa, e soprattutto sulle utilità tratte nel frattempo dal F. mediante prestazioni da lui rese nello stesso ambito cimiteriale a privati, impediscono infine di ritenere provata l’esistenza degli elementi costitutivi della figura dell’arricchimento ingiustificato.

9 In conclusione, l’appello deve essere respinto.

La mancata costituzione in giudizio in questo grado dell’Amministrazione appellata esime dal dettare disposizioni sul carico delle spese processuali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2012

Redazione