Assolto il datore di lavoro se l’infortunio del dipendente non è stato determinato da un rischio specifico dell’attività svolta (Cass. pen. n. 39491/2013)

Redazione 24/09/13
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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 24/12/2009 il Tribunale di Taranto, sez. dist. di Manduria, condannava alla pena di legge L.A. per il delitto di lesioni colpose aggravate in danno di S.V. (acc. in (omissis)).

All’imputato era stato addebitato che, in qualità di titolare della s.r.l. IGECO, che aveva in appalto i lavori di nettezza urbana e, quindi, di pulizia dell’area mercatale del comune di (omissis), nonchè di datore di lavoro della vittima, consentiva che lo S. lavorasse in prossimità di un cancello in ferro del piazzale del mercato, cancello privo del perno di fermo di fine corsa e, quindi, non in una situazione di sicurezza; sicchè il lavoratore, mentre spostava una delle ante scorrevoli per effettuare le pulizie, determinava la fuoriuscita di detta anta dal binario che lo travolgeva riportando gravi lesioni con compromissione della colonna vertebrale. Con sentenza del 17/2/2011 la Corte dei Appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, confermava la pronuncia di condanna. Osservava la corte di merito che la responsabilità dell’imputato emergeva dalle seguenti circostanze:

– quale datore di lavoro dello S., ai sensi del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 374, il L. doveva assicurarsi della sicurezza del luogo ove l’operaio svolgeva le sue mansioni lavorative, rendendolo edotto dei rischi specifici della sua attività;

– tale obbligo gravava non solo sul committente, titolare delle aree ove si svolgeva l’attività lavorativa, ma anche sull’appaltatore in adempimento del suo obbligo di sicurezza;

– tale obbligo poteva essere adempiuto dall’imputato, in considerazione del fatto che la manomissione del cancello era percepibile “de visu”;

– non sussisteva alcuna violazione del principio di correlazione in relazione al fatto che nel capo di imputazione fosse contestata una condotta attiva sull’erroneo assunto che la IGECO avesse anche il compito della manutenzione dei cancelli; infatti la contestazione dell’omessa garanzia della sicurezza della attività lavorativa era presente nel capo di imputazione ed in ogni caso il diverso profilo di colpa emergente non aveva compromesso la correttezza della imputazione.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato lamentando:

2.1. la erronea applicazione della legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta percepibilità dell’imperfezione del cancello, in quanto suo difetto “originario”.

In realtà dall’istruttoria svolta era emersa una situazione diversa e cioè che la mancanza del fermo centrale ai piedi del cancello era stata il frutto di una sopravvenuta manomissione del cancello ed, in articolare, dello schiacciamento di detto fermo di cui l’imputato non poteva avere conoscenza.

2.2. La erronea applicazione della legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta conoscibilità del difetto del cancello.

Invero il vizio non era originario, come attestato dalla assoluzione del costruttore; inoltre il L. ben poteva fare affidamento sulla diligenza dei responsabili del mercato e delle ditte incaricate della manutenzione della struttura. Inoltre, un eventuale controllo di occasionali difetti strutturali, non poteva incombere sul titolare di un’azienda di medie grandi dimensioni, bensì onerare i preposti sul luogo di lavoro.

2.3. Con motivi nuovi depositati il 1/10/2012 il difensore dell’imputato ha ribadito le censure alla sentenza, in particolare evidenziando che:

– l’imputato era stato condannato sulla base della presenza in suo capo di una posizione di garanzia omnicomprensiva e senza alcuna valutazione della organizzazione aziendale e della presenza di un capo cantiere sul posto;

– la valutazione del rischio specifico indicato in sentenza gravava sul committente, in quanto il difetto di funzionamento di un cancello, non poteva considerarsi rischio specifico dell’attività dell’appaltatore del servizio di pulizia;

– il difetto di motivazione sulla presenza del nesso causale e dell’elemento soggettivo del reato, non essendo certo, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la manomissione fermo avesse determinato l’incidente; inoltre non era provato con certezza che tale circostanza fosse percepibile dall’imputato e, quindi, fosse a lui “nota”.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è fondato.

3.1. Va premesso che il delitto per cui si procede è prescritto.

Invero, tenuto conto del di del commesso reato (il (omissis)), la prescrizione ordinaria, comprensiva di interruzione (anni 7 e mesi 6), si è maturata alla data del 5/7/2011. Vanno però aggiunti mesi 6 e giorni 10 di sospensione della prescrizione (per rinvii di udienza), che estendono il termine definitivo alla data del 15/1/2012.

Nonostante ciò, il proscioglimento deve essere pronunciato con formula piena, emergendo dagli atti elementi di valutazione che consentono l’assoluzione del L. perchè il fatto non sussiste.

3.2. Passando alle censure relative alla affermata responsabilità del L., va osservato che ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, vigente all’epoca dei fatti (recepito peraltro nel T.U. 81 del 2008), il datore di lavoro deve garantire il suo dipendente dai rischi di infortuni connessi alla attività da svolgere e, quindi, garantire la sicurezza del luogo di lavoro.

All’imputato è stato esplicitamente addebitata la violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 374, laddove è previsto che “gli edifici, le opere destinate ad ambienti o posti di lavoro, compresi i servizi accessori, devono essere costruiti e mantenuti in buono stato di stabilità, di conservazione e di efficienza in relazione alle condizioni di uso e alle necessità della sicurezza del lavoro. Gli impianti le macchine, gli apparecchi, le attrezzature, gli utensili, gli strumenti, compresi gli appartenenti di difesa, devono possedere, in relazione alle necessità della sicurezza del lavoro, i necessari requisiti di resistenza e di idoneità ed essere mantenuti in buono stato di conservazione e di efficienza”.

E’ di tutta evidenza che, nel caso oggetto di giudizio, trattandosi di un cancello sito a protezione di un’area comunale, il rispetto di tale disposizione onerava in primo luogo i pubblici amministratori.

E’ stata però addebitata la violazione anche al L., in quanto questi avrebbe dovuto controllare l’efficienza degli impianti con cui i suoi lavoratori venivano a contatto. In particolare il vizio del cancello esisteva ed era percepibile il rischio di ribaltamento (per la mancanza di un fermo inferiore di scorrimento), quindi la omissione del controllo non aveva consentito di evitare l’evento.

3.3. Le considerazioni svolte dal giudice di merito non sono condivisibili.

Va premesso che il cancello in origine non presentava alcun vizio costruttivo, tanto vero che il suo installatore è stato prosciolto.

Pertanto la sua anomalia è stata frutto di una manomissione che, dalle sentenze di merito, non risulta poter essere datata.

Deriva da ciò che, l’asserita rilevabilità ictu oculi dell’anomalia, non trova alcun riscontro nelle argomentazioni svolte nelle sentenze di merito, a fronte della impossibilità di stabilire l’epoca in cui la manomissione si è verificata. Inoltre, il rischio connesso al mal funzionamento del cancello, non può essere definito quale “rischio specifico” della attività del L., tenuto conto che sono “rischi specifici” solo quelli riguardo ai quali sono dettate precauzioni e regole richiedenti una specifica competenza tecnica settoriale, generalmente mancante in chi opera in settori diversi.

Pertanto tale rischio era proprio degli addetti alla manutenzione ed alla custodia del mercato, ma non certo dell’appaltatore dei servizi di nettezza urbana.

Consegue da ciò che il L. non poteva ritenersi onerato di un quotidiano controllo della funzionalità della barriera, controllo che peraltro, in un’impresa di medie dimensioni, grava sul preposto operante “sul campo” e non sull’imprenditore a cui carico non possono esser posti oneri di prevenzione di rischi non specifici della sua attività, occulti e solo occasionalmente manifestatisi.

Pertanto, considerato che non sussiste alcuna negligente condotta omissiva del L. eziologicamente legata all’evento, si impone la sua assoluzione perchè il fatto non sussiste, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2013.

Redazione