Associazione in partecipazione: risponde dei danni da inadempimento l’associato che non realizza prodotti idonei alla commercializzazione sul mercato (Cass. n. 7426/2012)

Redazione 14/05/12
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Svolgimento del processo

P.G., conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Saluzzo G.A. per ottenere la dichiarazione di risoluzione del contratto di associazione in partecipazione per grave inadempimento del G. e il risarcimento dei danni. Il P. imputava al G. la mancanza di iniziative idonee a rendere vendibile sul mercato la produzione di caschi e seggiolini per ciclisti che costituiva l’oggetto della associazione in partecipazione. In particolare lamentava che, a fronte dell’attività diretta alla commercializzazione e alla ricerca della gran parte dei finanziamenti provenienti da lui svolta, vi erano i gravi difetti di progettazione ascrivibili al G. che avrebbe dovuto provvedere a una riprogettazione del prodotto al fine di renderne possibile la vendita. Il P. quantificava in 433.563.696 il danno subito per l’inadempienza dell’associante.

Il Tribunale respingeva le domande ritenendo adempiuta l’obbligazione a carico del G. consistente nella progettazione degli accessori sopra indicati.

La decisione è stata confermata dalla Corte di appello di Torino.

Ricorre per cassazione P.G. con quattro motivi di impugnazione.

Si difende con controricorso G.A..

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1362 e 2549, 1467, 2549, 2226 e 1469 c.c., e degli artt. 115 e 166 c.p.c., e la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorrente ritiene violati l’art. 1362 c.c. e ss., artt. 1325, 1467, 2549, 2226 e 1459 c.c., da parte della Corte di appello che ha considerato non tenuto contrattualmente il G. a una progettazione funzionale all’immissione dei prodotti sul mercato e ritiene che le motivazioni fornite al riguardo dai giudici di merito sia contraddittoria e illogica in relazione al carattere commutativo del contratto che smentisce la ipotizzata trasformazione della associazione in partecipazione in società di fatto e ancor più la ipotizzata aleatorietà del rapporto.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1453 e 1455 c.c., e degli artt. 115 e 166, 81 e 100 c.p.c., e la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorrente ritiene che il giudice di appello ha violato i principi sanciti dalle disposizioni del codice civile e dal codice di rito non considerando gli elementi probatori e in particolare documentali da cui si evinceva chiaramente la predisposizione di un equilibrio contrattuale basato sulla piena sinallagmaticità del rapporto.

Ritiene conseguentemente che la motivazione resa dalla Corte di appello sia viziata di contraddittorietà e illogicità laddove afferma la non gravità dell’inadempimento del G..

Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1362 c.c. e segg., e art. 2549 c.c. e ss., e degli artt. 115 e 166 c.p.c., e la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorrente ritiene che la Corte di appello dovesse rilevare la continuazione della associazione in partecipazione anche dopo l’uscita del terzo soggetto contraente ( B.G.) con assunzione della qualità di associante da parte del G. e conseguente esclusione della sostituzione dell’associazione in partecipazione con una società di fatto.

Al fine di evitare preclusioni il ricorrente lamenta il mancato accoglimento della sua domanda risarcitoria che in base alla documentazione in atti ribadisce ammontare a 226.026,83 Euro e rileva che l’accoglimento del ricorso deve comportare la restituzione in suo favore della somma di 8.083,89 Euro versata in adempimento della sentenza della Corte di appello.

Vanno esaminati congiuntamente i primi due motivi di ricorso stante la loro stretta connessione logico-giuridica.

I due motivi di ricorso devono considerarsi fondati, sotto il profilo del difetto di motivazione, dato che la decisione della Corte di appello è stata adottata all’esito di un iter interpretativo del testo contrattuale irrimediabilmente viziato da una incongruità di carattere logico. La Corte torinese rileva infatti, da un lato, che, secondo quanto previsto nel contratto di associazione in partecipazione, il G. era tenuto a mettere a disposizione ogni sua energia intellettuale e fisica necessaria per realizzare determinati prodotti da immettere nel mercato. Per altro verso rende priva di significato tale ricognizione quando afferma che la prestazione prevista a carico del G. e consistente nello studio, coordinamento stilistico, disegni tecnici e ogni consulenza necessaria per la realizzazione dei prodotti e per la loro produzione non andasse al di là della sua prestazione di opera intellettuale che consisteva nell’applicazione delle proprie capacità intellettive e non nell’obbligo di inventare prodotti perfetti e funzionali e di raggiungere il successo commerciale. Tale ricostruzione interpretativa è illogica perchè la progettazione di prodotti non idonei alla immissione sul mercato e alla commercializzazione si sarebbe rilevata del tutto inutile ai fini perseguiti dalla associazione in partecipazione. La Corte di appello non ha del resto fornito elementi argomentativi per poter ritenere che la partecipazione del G. consistesse nella mera prestazione di un’opera progettuale slegata da qualsiasi riscontro della sua utilizzabilità al fine di realizzare prodotti commerciabili. Non può non rilevarsi come appare del tutto illogico un comportamento negoziale inteso all’acquisizione di una prestazione di mero contenuto intellettuale che si sarebbe potuta acquisire con la stipulazione di un contratto d’opera e non con il coinvolgimento del progettista nell’impresa. La Corte di appello avrebbe dovuto indicare le ragioni una simile e anomala stipulazione fra le parti. Ciò non solo al fine di rendere una motivazione logicamente congrua e coerente rispetto alle sue premesse. Nell’interpretazione del contratto la Corte ha infatti disatteso i canoni interpretativi prescritti dal codice civile e in particolare, oltre al precetto generale della ricerca della comune volontà delle parti, non esclusivamente sulla base della sua aderenza al testo normativo ma anche al comportamento delle parti, la Corte territoriale avrebbe dovuto, in presenza di un contratto a contenuto sinallagmatico come il contratto di associazione in partecipazione (Cass. civ. n. 13968/2011), ricondurre tale volontà alla realizzazione dell’equo contemperamento degli interessi delle parti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Torino che deciderà anche sulle spese processuali del giudizio di cassazione.

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