Associazione in partecipazione, in mancanza dell’alea sussiste il vincolo della subordinazione (Cass. n. 26522/2013)

Redazione 27/11/13
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Svolgimento del processo

La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 20 settembre 2007, riformando la decisione del Tribunale di Forlì, rigettava l’opposizione proposta dalla Pizzeria La Cuccagna di ************** e C. s.n.c. avverso la cartella esattoriale n. (omissis) emessa dal Concessionario Tributi Rimini e Forlì – Cesena per un importo di Euro 19.336.09 relativo a contributi non versati e somme aggiuntive afferenti al periodo maggio 2001 – maggio 2002 richiesti dall’INPS sull’assunto che i rapporti di lavoro intercorsi tra l’opponente e due suoi ex dipendenti – qualificati di associazione in partecipazione nei contratti sottoscritti dalle parti – dovessero essere considerati di lavoro subordinato.

Ad avviso della Corte le risultanze della espletata istruttoria avevano dimostrato la fondatezza della pretesa dell’Istituto in quanto: la compartecipazione prevista dai contratti stipulati dalla società appellata era calcolata solo sui ricavi lordi, al netto degli sconti praticati, e non sugli utili; non vi era stata alcuna forma di partecipazione dei due lavoratori alla gestione dell’impresa non potendo questa ridursi solo al controllo dei ricavi senza alcuna informazione circa le spese e, più in generale, sulla gestione dell’impresa; l’attività dagli stessi svolta si inseriva nell’ambito della organizzazione aziendale ed essi ripetevano dal titolare dell’impresa i poteri di controllo e direzione del lavoro esercitati sugli altri addetti alla sala ristorante-pizzeria.

Per la cassazione di tale pronuncia propone ricorso la società – affidato a tre motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resistono con unico controricorso l’INPS e la S.C.C.I. s.p.a..

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2549, 2554 e 2094 c.c. per avere la Corte di appello qualificato il contratto di associazione in partecipazione come contratto di lavoro subordinato sull’errato rilievo che la partecipazione solo ai ricavi e non anche alle perdite era indice di assenza di rischio economico.

Il motivo è infondato.

La Corte di merito ha correttamente applicato un principio più volte affermato da questa Suprema Corte e ribadito di recente – che il Collegio ritiene preferibile al diverso orientamento sostenuto in altre decisioni di legittimità e richiamato nel motivo – secondo cui in tema di contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato, l’elemento differenziale rispetto al contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili d’impresa risiede nel contesto regolamentare pattizio in cui si inserisce l’apporto della prestazione da parte dell’associato, dovendosi verificare l’autenticità del rapporto di associazione, che ha come elemento essenziale, connotante la causa, la partecipazione dell’associato al rischio di impresa e alla distribuzione non solo degli utili, ma anche delle perdite. Pertanto, laddove è resa una prestazione lavorativa inserita stabilmente nel contesto dell’organizzazione aziendale, senza partecipazione al rischio d’impresa e senza ingerenza ovvero controllo dell’associato nella gestione dell’impresa stessa, si ricade nel rapporto di lavoro subordinato in ragione di un generale “favor” accordato dall’art. 35 Cost., che tutela il lavoro “in tutte le sue forme ed applicazioni”. (Cass. n. 1817 del 28/01/2013; Cass. 22 novembre 2006, n. 24781; Cass. 19 dicembre 2003 n. 19475).

Correttamente, quindi, nella impugnata sentenza viene anche evidenziato come gli associati oltre a non partecipare alle perdite, non fossero minimamente informati circa le spese dell’impresa e della gestione della stessa.

Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. per non aver la Corte di appello tenuto in adeguato conto del nomen iuris attribuito dalle parti in sede di conclusione del contratto. Il motivo è infondato in quanto nella impugnata sentenza sono evidenziati gli elementi in base ai quali la autoqualificazione del rapporto operata dai contraenti era in contrasto con le concrete modalità di svolgimento dello stesso così come emerse dalla espletata istruttoria (la pattuizione della partecipazione solo ai ricavi, l’esclusione di qualsiasi effettivo coinvolgimento nella gestione aziendale con un controllo limitato solo ai ricavi, l’inserimento nella organizzazione aziendale).

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. non essendo stata fatta corretta applicazione della regola dell’onere secondo era l’INPS a dover dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Con il quarto mezzo viene dedotta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio in quanto, con motivazione apparente, il giudice del gravame avrebbe considerato di tipo subordinato il rapporto di lavoro tra la ricorrente ed i due lavoratori senza tenere in alcun conto di quanto da questi ultimi dichiarato.

Entrambi i motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, finiscono con il censurare la valutazione delle risultanze istruttorie operata dalla Corte di appello proponendo una diversa lettura delle stesse finalizzata a sollecitare una inammissibile rivisitazione del merito della controversia (Cass. n. 6288 del 18/03/2011; Cass. n. 10657/2010, Cass. n. 9908/2010, Cass. n. 27162/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n. 18885/2008, Cass. n. 6064/2008).

Come già sopra esposto, infatti, l’impugnata sentenza da conto, con una motivazione immune dai lamentati vizi, degli elementi che avevano portato a ritenere presenti i tratti maggiormente tipici del rapporto di lavoro subordinato piuttosto che dell’associazione in partecipazione.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, vengono poste a carico del ricorrente e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed in Euro 3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2013.

Redazione