Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: assegno invariato in caso di rettifica della rendita per malattia professionale (Cass. n. 17745/2012)

Redazione 16/10/12
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Svolgimento del processo

1. La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 19 gennaio 2007, ha accolto il gravame svolto dall’INAIL e, per l’effetto, ha rigettato la domanda proposta da M.G. per il riconoscimento come professionale della malattia di asbestosi con placche pleuriche che l’INAIL non aveva riconosciuto in quanto non rientrante nella previsione delle malattie professionali allegate al D.P.R. n. 336 del 1994.
2. La Corte territoriale, aderendo alle conclusioni del consulente officiato in giudizio, riteneva la percentuale di invalidità del 5% riconoscibile per l’asbestosi inferiore ai minimi richiesti per la concessione della rendita, alla stregua del discrimen del 10% applicabile ratione temporis, ed antecedente la riforma del 2000; riteneva, inoltre, che le due patologie delle quali soffriva il M., la pneumopatia da silicosi – per la quale era titolare di rendita dal 1977, ridotta nel 1998 e, dopo il ricorso giudiziale, rettificata per errore in applicazione del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 9, – e l’asbestosi non potevano essere considerate complessivamente ai sensi dell’art. 80, del T.U. n. 1124 del 1965, giacchè non venivano in considerazione due rendite derivanti da percentuali di invalidità sibbene una prestazione economica ai sensi del D.Lgs. n. 38, art. 9, cit. ed una percentuale di invalidità effettiva; che, comunque, le due patologie non superavano la percentuale del 30% già riconosciuta come prestazione economica per la compromissione funzionale accertata per la silicosi.
3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, M.G. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi. L’INAIL ha resistito con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

4. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione in ordine all’individuazione delle effettive malattie professionali patite e del grado di invalidità derivante, per aver la Corte di merito aderito alle conclusioni del consulente officiato in giudizio, il cui operato viene contestato per non aver l’ausiliare mai posto in essere accertamenti sull’effettivo grado di invalidità patito per la patologia silicotica; contesta, inoltre, l’apoditticità delle conclusioni concernenti il grado di invalidità del 5% riconosciuto per l’asbestosi e la relativa insufficienza della motivazione.
5. Il motivo è inammissibile giacchè non risulta conforme alla prescrizione dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, trattandosi di impugnazione avverso una sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2.006, data dalla quale si applicano le modifiche al processo di cassazione introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, e in vigore fino al 4 luglio 2009 (L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d, e art. 58, comma 5; ex multis, Cass. 7119/2010; Cass. 20323/2010).
6. Come ripetutamente affermato da questa Corte di legittimità, anche per le censure previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’onere di indicare chiaramente il fatto controverso ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, a termine di esso, un’indicazione riassuntiva e sintetica che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in argomento, ex multis, Cass. 24255/2011, 27680/2009, 11094/2009, 8897/2008; SU 20603/2007).
7. Il motivo è del tutto privo di tale indicazione riassuntiva e sintetica ti (c.d. momento di sintesi) e deve, pertanto, dichiararsi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c.
8. Con il secondo motivo di ricorso viene denunciata violazione del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 9, come emendato da Corte cost. n. 191/2005, della L. n. 115 del 2005, art. 14 viciesquater, e dell’art. 80, **** n. 1124 del 1965. In sostanza il ricorrente censura l’erronea individuazione, da parte della Corte di merito, dei presupposti normativi su cui si basa la rendita già goduta per silicosi, contestando l’interpretazione data delle previsioni contenuti nel D.Lgs. n. 38 cit., art. 9, ed asserisce che il legislatore non ha inteso introdurre una nuova prestazione economica immodificabile a seguito del rilevamento ultradecennale di un errore nell’originaria costituzione della rendita, ma ha inteso riferirsi esclusivamente alle prestazioni INAIL già esistenti ed erogate agli assicurati prima dell’intervenuta illegittima rettifica. Pertanto, ad avviso del ricorrente, l’accertata invalidità del 5% per asbestosi avrebbe dovuto formare oggetto di valutazione complessiva unitamente all’invalidità del 30% al quale era ragguagliata la rendita per silicosi oggetto di rettifica per errore, con conseguente costituzione di rendita unica, ai sensi dell’art. 80, del T.U. n. 1124 del 1965, e condanna dell’INAIL alla costituzione della rendita unica pari al 34% ovvero, pur volendo ritenere la prestazione in godimento diversa dalla vera e propria rendita, anche tale prestazione dovrebbe assoggettarsi alle disposizioni generali del T.U. n. 1124 del 1965, per l’assoluta analogia di presupposti soggettivi ed oggettivi tra le due prestazioni. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.
9. Osserva il Collegio che la censura, con la quale viene dedotta l’erronea individuazione, da parte della Corte di merito, dei presupposti normativi su cui si basa la rendita già goduta per silicosi e con la quale viene introdotta la questione del cumulo e della valutazione complessiva, si appalesa non pertinente nel caso di specie giacchè non sono state svolte specifiche argomentazioni critiche rispetto alle ragioni che la sentenza impugnata ha posto, in definitiva, a fondamento della decisiva affermazione relativa al riconoscimento di una patologia inferiore ai minimi richiesti per la concessione della rendita, tale cioè da non raggiungere il 10% e ad una complessiva percentuale di invalidità comunque non superiore alla percentuale (del 30%) già riconosciuta come prestazione economica.
10. Lo svolgimento degli argomenti di censura è, invero, interamente fondato sulla questione della valorizzazione della prestazione già in godimento ai fini della valutazione complessiva delle percentuali di invalidità, ma trattasi di doglianza comunque non meritevole di condivisione alla stregua del costante orientamento di questa Corte maturato in riferimento al D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 9, comma 3, che deve essere pienamente riaffermato in questa sede non essendo state prospettate ragioni convincenti per sottoporlo a revisione (v., ex multis, Cass. nn. 8660/2012; 8812/2008; 25849/2006).
11. Nel disciplinare la rettifica per errore, il D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 9, comma 3, così dispone: “L’errore non rettificabile comporta il mantenimento delle prestazioni economiche in godimento al momento in cui l’errore è stato rilevato”.
12. Ad avviso del ricorrente, in base a tale disposizione, l’esercizio del potere di rettifica, da parte dell’INAIL, non può comportare l’attribuzione di una prestazione diversa rispetto a quella erogata prima della rettifica, trasformando le rendite in mere prestazioni economiche cristallizzate.
13. Alla stregua di un’interpretazione letterale, sistematica, storica e costituzionalmente orientata della citata disposizione, il mantenimento delle prestazioni indebite erogate dall’INAIL a seguito di errore non rettificabile comporta la cristallizzazione della prestazione al momento in cui l’errore è stato rilevato, e non consente le rivalutazioni periodiche delle rendite INAIL, trattandosi di disposizione più favorevole all’assicurato rispetto alla regola civilistica che impone la restituzione dell’indebito e alla regola precedente, in subjecta materia, della L. n. 88 del 1989, art. 55, che ne escludeva la ripetizione e non garantiva, a differenza del D.Lgs. n. 38 cit., art. 9, comma 3, la conservazione, per il futuro, delle prestazioni indebite.
14. Tale orientamento si fonda non solo sul tenore letterale della disposizione – sul quale il ricorrente si è diffusamente soffermato, sostenendo che nella locuzione prestazioni economiche rientrino anche le rendite – ma anche su convergenti ragioni di ordine logico e sistematico, ispirate dalla ratio di tutelare, in presenza di una percentuale di inabilità ridotta rispetto a quella accertata in precedenza, l’assicurato in buona fede rispetto al potere di accertamento e di rettifica dell’errore commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione delle prestazioni, assicurando, dopo un certo lasso tempo di tempo dall’accertamento dell’invalidità, certezza e stabilità alle prestazioni economiche erogate dall’INAIL, anche in ragione della difficoltà, per l’interessato, di far valere adeguatamente i propri interessi nella procedura amministrativa di rettifica (cfr., nei termini, Corte cost. n. 191 del 2005).
15. Diversamente da quanto assunto dal ricorrente, non viene riconosciuta all’assicurato una prestazione economica nuova, bensì l’importo in godimento al momento di rilevazione dell’errore, importo che, peraltro, a decorrere dal 1 luglio 2006 è soggetto a rivalutazione se erogato a soggetto percettore di reddito non superiore ad Euro 3.000,00 (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 778).
16. Infine, è da escludere che l’erogazione della prestazione economica in godimento a seguito di rettifica, possa ledere i diritti acquisiti dagli assicurati.
17. Invero, da un lato l’assicurato, pur in presenza di una percentuale di inabilità ridotta rispetto a quella accertata per errore, viene a mantenere lo stesso importo di cui usufruiva al momento in cui l’errore è stato rilevato; dall’altro, come già rimarcato, la disposizione di cui al D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 9, comma 3, è più favorevole all’assicurato rispetto alla regola civilistica che impone la restituzione dell’indebito e alla regola precedente, in materia, della L. n. 88 del 1989, art. 55, che ne escludeva la ripetizione e non garantiva, a differenza del D.Lgs. n. 38 cit., il mantenimento delle prestazioni indebite.
18. Alla luce delle esposte considerazione il ricorso va rigettato.
19. Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore all’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326, nella specie inapplicabile ratione temporis; infatti le limitazioni di reddito per la gratuità del giudizio introdotte da tale ultima norma non sono applicabili ai processi il cui ricorso introduttivo del giudizio sia stato depositato, come nella specie, anteriormente al 2 ottobre 2003 (ex multis, Cass. 4165/2004; S.U. 3814/2005).

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2012.

Redazione