Arbitrato: indefettibile la notifica della domanda di arbitrato (Cass. n. 15445/2012)

Redazione 14/09/12
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Svolgimento del processo

1 – D.A. impugnava il lodo emesso in data 22 ottobre 2004 dall’avv. G.C., quale arbitro nominato all’atto della stipulazione della clausola compromissoria, con il quale veniva condannata, in relazione a un rapporto di locazione, intervenuto con la proprietaria associazione C. M., di un appartamento sito in (omissis), al pagamento della somma di Euro 2.550,00 per canoni non scaduti, oltre ad Euro 1.500,00 a titolo di risarcimento dei danni liquidati in via equitativa.
Veniva dedotta la nullità del lodo per violazione del contraddittorio, essendo la D. venuta a conoscenza dell’esistenza del procedimento arbitrale solo all’esito della notificazione della pronuncia stessa, con il pedissequo atto di precetto.
1.1 – L’Associazione C. M., ritualmente costituitasi, eccepiva l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza dell’impugnazione, deducendo il rigoroso rispetto, da parte dell’arbitro, del principio del contraddittorio.
1.2 – La Corte di appello di Milano, con la decisione indicata in epigrafe, dichiarava l’inesistenza del lodo, senza procedere, quindi, alla fase rescissoria.
Premesso che il giudizio arbitrale deve instaurarsi con la notificazione dell’atto introduttivo, si constatava che nella specie la lettera che l’Associazione C. M. indicava come atto con il quale si era instaurato il giudizio arbitrale (da essa inviata all’arbitro già designato e da costui trasmessa, con lettera raccomandata, alla D.) era priva dei requisiti minimi che si richiedono ai fini della validità formale della richiesta di avvio della procedura arbitrale. Si affermava quindi che, in assenza della rituale notificazione di altri atti contenenti la manifestazione della volontà dell’associazione di avvalersi della clausola compromissoria, si era determinata una situazione abnorme, tale da configurare l’inesistenza giuridica del lodo.
1.3 – Per la cassazione di tale decisione l’Associazione C.M.ha proposto ricorso, affidato a sei motivi, illustrati da memoria, cui la D. resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

2 – Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 816 bis e 808 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, potendo, per tali norme, stabilirsi convenzionalmente che tutte le controversie che sorgano in un rapporto siano decise da arbitri che fisseranno anche le regole del procedimento, in mancanza di un’espressa previsione nel compromesso delle norme da osservare obbligatoriamente nello svolgimento del giudizio.
Nella specie, pur avendo le parti concordato la risoluzione arbitrale di tutte le controversie relative al contratto di locazione da loro concluso, nessun requisito formale si è previsto per l’atto di avvio del procedimento arbitrale e in specie per un preavviso della parte che intende avvalersi della clausola della sua volontà di agire in sede arbitrale. Il quesito di diritto formulato dalla ricorrente ai sensi dell’art. 366 bis chiede di accertare che erroneamente si è dichiarato “inesistente” il lodo, non essendosi la D. messa in condizione di esercitare il proprio diritto di difesa, non essendo peraltro prescritti dei requisiti formali dell’atto introduttivo del giudizio; in particolare, l’Associazione non doveva comunicare alla controparte la volontà di avvalersi della clausola compromissoria, non essendo né dalla legge né dalla convenzione di arbitrato previsto un tale obbligo”.
2.1 – Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 816 bis c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché, pur essendo vero che l’avviso di ricevimento della raccomandata costituisce prova certa dell’esecuzione della notificazione, della data in cui avviene e della persona cui il plico s’è consegnato, nella specie, non avendo la D. curato il ritiro della raccomandata, deve a lei addebitarsi il rifiuto del contraddittorio. Nessun avviso di ricevimento della raccomandata assume rilievo, dovendo ritenersi che la presunzione di arrivo a destinazione del plico raccomandato, anche in mancanza di avviso di ricevimento, comporti la presunta cognizione del contenuto dell’atto e dell’arrivo a destinazione di esso; il mittente deve solo provare la spedizione dell’atto da cui va desunta la ricezione dello stesso dal suo destinatario. Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “la spedizione di una lettera raccomandata, anche in mancanza di un avviso di ricevimento, invera una presunzione legale di conoscenza del contenuto dell’atto da parte del destinatario, senza che il mittente debba provare tale conoscenza, essendo sufficiente che il dimostri l’invio all’indirizzo del destinatario. Debbono ritenersi regolarmente avvenute e producono i relativi effetti le notificazioni eseguite a mezzo del servizio postale mediante raccomandata, di cui il destinatario non abbia curato il ritiro, e siano quindi state rese al mittente per non curato ritiro da parte del destinatario”.
2.2 – Con il terzo motivo si prospetta vizio di omessa pronuncia, nonché falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., n. 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4: la corte di appello non avrebbe valutato la documentazione relativa all’invio alla D., da parte dell’Arbitro, di tutti gli atti del procedimento, con invito a presentare eventuali deduzioni, così garantendo il contraddittorio nell’intero procedimento.
Viene, in proposito, formulato il seguente quesito di diritto: “L’impugnata sentenza è incorsa nel vizio di omessa pronuncia relativamente al rigetto della domanda relativa all’inosservanza del principio del contraddittorio nel procedimento. Sulla base del potere-dovere di codesta Corte di diretto esame degli atti dichiarare che non sussiste violazione del detto principio in quanto tutti gli atti del procedimento sono stati spediti alla D. con invito a presentare eventuali deduzioni e sono stati assegnati alle parti i termini per gli adempimenti per le esporre le loro ragioni”.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 342 e 829 c.p.c., fondandosi la sentenza della Corte d’appello sul presupposto della omessa comunicazione alla D. della volontà dell’Associazione di avvalersi della clausola compromissoria, sebbene la relativa questione sia stata sollevata dalla D. – con memoria in data 17 maggio 2005 – successiva all’atto di impugnazione. Viene indicato il seguente quesito di diritto: “Si chiede la cassazione della sentenza per aver il giudice errato nel non aver rilevato anche d’ufficio l’inammissibilità della censura che l’Associazione dovesse comunicare alla D. la volontà di avvalesi della clausola compromissoria, addirittura fondando la decisione anche su tale censura. Ciò nonostante che l’inammissibilità fosse stata anche formalmente eccepita dall’appellata, specificandosi che l’errore è stato triplice: 1) principalmente perché dedotta dall’appellante successivamente all’atto di impugnazione; 2) altresì per essere indeducibile nel giudizio di impugnazione di un lodo arbitrale ex art. 829 c.p.c, per non essere stata dedotta nel precedente procedimento; 3) infine perché neppure riguarda la causa petendi dell’impugnazione, cioè la non osservanza del principio del contraddittorio nel procedimento, ovvero durante lo stesso, specificamente dedotta dall’appellante”.
2.5 – Nel quinto motivo di ricorso, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la Corte deciso come era ad essa domandato dall’impugnante D. la nullità del lodo, ma la sua inesistenza, così pronunciando su una ragione di invalidità non proposta dalla parte, dichiarando una inesistenza non richiesta dalla parte, in luogo della nullità dedotta nell’impugnazione.
2.6. Si denuncia infine, in subordine all’omesso accoglimento dei pregressi motivi di ricorso, la violazione degli artt. 161 e 354 c.p.c. per avere omesso, dopo la pronuncia dell’inesistenza del giudizio e del lodo arbitrale, la rimessione degli atti al giudice- arbitro, che avrebbe dovuto pronunciarsi sul merito della controversia.
3 – Il primo motivo di ricorso investe l’aspetto essenziale sul quale la decisione impugnata si fonda, ponendo la questione della necessità o meno, nell’arbitrato rituale, dell’instaurazione del procedimento mediante un atto formale, che potremo sin d’ora definire con l’espressione, per il vero ricca di significati, “domanda di arbitrato”.
Il tema, per altro, implica la soluzione di una serie di problemi, attinenti all’individuazione dei soggetti legittimati ad avanzare e a ricevere detta domanda, al contenuto e alla forma dell’atto di avvio della procedura arbitrale, alle modalità della notificazione, con specifiche interferenze fra gli effetti di natura sostanziale e quelli meramente procedurali.
3.1 – Si impone, in primo luogo, la puntualizzazione del quadro normativo di riferimento: trattandosi di clausola compromissoria stipulata in data 26 settembre 2004, deve trovare applicazione la disciplina anteriore alle modifiche introdotte, in materia di arbitrato, con il d.lgs. n. 40 del 2006. Mette conto di precisare, tuttavia, che codesta riforma non ha in alcun modo modificato gli artt. 1, 25 e 26 della legge n. 25 del 1994, ai quali, pertanto, ancora oggi l’interprete deve rivolgersi per individuare quei principi fondamentali che, in maniera innovativa, hanno inciso sulla tematica della domanda di arbitrato. Ed invero, prescindendosi da risalenti orientamenti dottrinali secondo i quali la convenzione arbitrale e la domanda venivano a coincidere, deve rilevarsi che nel tempo si è sempre maggiormente avvertita l’esigenza di affermare l’autonomia fra la clausola compromissoria o il compromesso (con delle differenze fra dette ipotesi, in quanto, secondo una tesi, in quest’ultimo potevano già essere precisate le richieste delle parti) e la domanda di arbitrato. Si riteneva, quindi, che il momento genetico del rapporto processuale coincidesse con la costituzione del collegio arbitrale (Cass., 23 luglio 1964, n. 1989; Cass., 29 luglio 1963, n. 2127), in quanto, a differenza della giurisdizione statuale, nella quale il giudice è precostituito, gli arbitri dovevano essere designati nelle singole procedure, ragion per cui non era concepibile un giudizio, e quindi il relativo atto introduttivo, fin quando mancava il giudice.
Come evidenziato anche da autorevole dottrina, prima della riforma del 1994 non era previsto alcun atto finalizzato a contenere la domanda e, quindi, ad avviare il procedimento arbitrale: con la l. 25 gennaio 1994, n. 25, venivano per la prima volta introdotte norme intese a disciplinare indirettamente, ma inequivocabilmente, il contenuto e gli effetti della domanda di arbitrato (art. 1: “Nel caso in cui la controversia sia oggetto di compromesso o di clausola compromissoria, la parte, nei termini di cui ai commi precedenti, deve notificare all’altra un atto nel quale dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri”; analogamente dispongono gli artt. 25 e 25, in materia, rispettivamente, di interruzione della prescrizione e di trascrizione). In relazione a tale mutato quadro normativo questa Corte ha affermato che “a seguito dell’entrata in vigore della legge 5 gennaio 1994, n. 25, si è definitivamente chiarito che l’inizio del procedimento arbitrale si ha con la notifica, da parte dell’attore, di un atto che enunci l’intenzione di adire gli arbitri, proponga la domanda e indichi l’arbitro di sua nomina” (Cass., 25 luglio 2002, n. 10922; Cass. 8 aprile 2003, 5457; Cass., 21 luglio 2004, n. 13516, in motivazione). Di recente, pur rimarcandosi la diversità della disciplina in tema di arbitrato societario, il principio della necessità che la domanda di arbitrato sia portata a conoscenza della controparte è stato espressamente ribadito, per altro sottolineandosi la plausibilità della tesi fondata sull’indispensabilità di un formale procedimento di notificazione (Cass., 20 febbraio 2012, n. 2400).
Sotto tale profilo deve peraltro evidenziarsi che questa Corte, pronunciando su analoga fattispecie in una controversia pendente fra le stesse parti, ha escluso che il procedimento arbitrale potesse iniziare e legalmente proseguire in assenza di avviso di ricevimento della raccomandata postale, che costituisce “non solo il mezzo di prova tipico della ricezione dell’atto introduttivo del giudizio per il suo destinatario, ma integra esso stesso l’elemento costitutivo o perfezionativo della notificazione” (Cass., 14 maggio 2012, n. 7451, che richiama Cass., Sez. un. 14 gennaio 2008, n. 627).
3.2 – Il Collegio condivide l’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato circa la natura indefettibile della notifica della domanda di arbitrato, come atto distinto dalla nomina dell’arbitro, la quale, del resto, può anche mancare quando, come nel caso in esame, la relativa designazione sia già contenuta nella clausola compromissoria. Decisivo rilievo assume il valore delle richiamate norme di cui alla l. n. 25 del 1994, nel senso che la loro operatività sul piano sostanziale – a fini, come rilevato, cautelari, nonché in materia di interruzione della prescrizione e di trascrizione – implica il verificarsi della litispendenza.
La necessità di una domanda arbitrale – intesa quale atto con il quale una delle parti comunica formalmente all’altra la volontà di avvalersi della clausola compromissoria o del compromesso, propone la domanda e solo eventualmente procede alla nomina degli arbitri – prescinde dalla natura – giudiziale o negoziale – attribuita all’arbitrato rituale. Le sezioni unite di questa Corte, nel ribadire la natura privatistica dell’arbitrato (Cass., 5 maggio 2011, n. 9839), rispondendo negativamente, in ossequio al principio di libertà delle forme, al quesito circa la necessità della procura al difensore che, come previsto nella clausola compromissoria, aveva dato inizio al procedimento mediante lettera raccomandata, hanno affermato che “l’atto introduttivo del giudizio arbitrale può essere effettuato con le forme previste dalle parti nell’apposita clausola compromissoria”, non senza rilevare – così confermando il giudizio sulla imprescindibilità della domanda di arbitrato nel sistema delineato dalla riforma del 1994 – che “la domanda di arbitrato (unico atto con un preciso nomen iuris in una procedura in cui non esistono atti tipici nominati) è un atto complesso, costituito da tre distinti nuclei: la manifestazione della pretesa, la dichiarazione di voler promuovere il procedimento arbitrale, la nomina degli arbitri, se spetta”. 4 – Esaminata la questione sottoposta all’esame di questa Corte con il primo motivo alla stregua delle considerazioni che precedono, osserva la Corte che lo stesso è in parte inammissibile, ed in parte infondato.
4.1 – Sotto il secondo profilo, non può non rilevarsi che l’affermazione secondo cui per l’instaurazione del procedimento arbitrale non sarebbe necessaria la domanda di arbitrato contrasta con i principi sopra richiamati, ragion per cui al quesito di diritto, per come formulato, deve rispondersi negativamente.
4.2 – Non può omettersi di considerare, per altro verso, che nella sentenza impugnata, con riferimento al documento indicato dall’Associazione come “atto di avvio del procedimento”, si afferma che tale lettera “non ha i requisiti di formale richiesta della procedura arbitrale prevista dal contratto di locazione”, aggiungendosi che “né con altro diverso atto l’Associazione C. M. ha ritualmente comunicato alla D. la volontà di avvalersi della clausola compromissoria”.
Tali osservazioni non risultano contraddette – a prescindere dal generico riferimento alla necessità o meno dell’estrinsecazione della volontà di avvalersi della procedura arbitrale – da una specifica allegazione, da effettuarsi nel rigoroso rispetto del principio dell’autosufficienza del ricorso, ragion per cui è ineludibile – in parte qua – il rilievo di inammissibilità. D’altra parte, la comunicazione di atti inerenti alla procedura arbitrale (il cui contenuto, come testé evidenziato, non è possibile apprezzare in questa sede) da parte dell’arbitro, senza che il giudizio sia stato validamente instaurato nei termini in precedenza esposti, non può determinare il dovere della parte “convenuta” di esercitare la propria attività difensiva, analogamente a quanto può ipotizzarsi in relazione a un soggetto che, pur non avendo ricevuto alcuna notifica di un atto di citazione, sia destinatario di determinati provvedimenti, di natura interlocutoria, emessi nell’ambito di un giudizio ordinario.
Né può seriamente sostenersi che le comunicazioni effettuate dall’arbitro – il quale, per altro, non può considerarsi nuncius della parte attrice, così perdendo ogni carisma di terzietà (anche se, per il vero, la controricorrente sostiene, così proiettando un’imbarazzante ombra sull’intera vicenda, che nel caso di specie l’arbitro designato sarebbe l’effettivo dominus dell’Associazione) – avrebbero comunque consentito l’instaurazione del contraddittorio. Invero l’attività dell’arbitro, come quella consistente nell’invito alla D. a svolgere le proprie difese, non può che riferirsi al procedimento arbitrale: presupponendone, quindi, sia dal punto di vista logico che giuridico, la valida instaurazione, che nella specie, come correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, non ha mai avuto luogo.
5 – Le questioni poste con il secondo motivo in merito alla validità del ricorso al servizio postale, senza l’invio di raccomandata con avviso di ritorno, rimangono assorbite dal rilievo circa il compimento di tale attività ad opera dell’arbitro e non della parte che abbia inteso avvalersi della clausola compromissoria: valgano, assumendo in ogni caso decisiva rilevanza, le argomentazioni svolte al riguardo nella richiamata decisione n. 7541 del 2012. È stato, invero, rilevato che, anche a seguito delle sentenze della Corte Costituzionale del 30 settembre 1998 n. 346 e del 20 gennaio 2010 n. 3, relative alla notifica a mezzo posta dell’atto introduttivo del giudizio, deve negarsi che possa instaurarsi qualsiasi procedimento e quindi anche quello arbitrale, con una notificazione a mezzo posta priva di avviso di ricevimento, elemento costitutivo dell’evocazione in giudizio del destinatario, non rilevando solo come prova della cognizione dell’atto introduttivo per quest’ultimo. In difetto dell’avviso di cui sopra, nessun rilievo può assumere il mancato ritiro del plico raccomandato nei termini di legge (su questi cfr. la recente S.U. 1 febbraio 2012 n. 1418 e sul ritiro del plico raccomandato non consegnato cfr. Cass. 10 agosto 2001 n. 11015). La libertà delle forme del procedimento arbitrale, non può rendere legittima la mancata notificazione a mezzo posta con avviso di ricevimento dell’atto introduttivo del giudizio che impedisce la stessa instaurazione del contraddittorio. Questa mancanza, che ai sensi dell’art. 829 c.p.c., n. 9, comporta nullità del lodo, comunque esclude l’inizio del procedimento arbitrale al quale, come correttamente rileva la Corte di merito, la D. non ha in alcun modo partecipato.
6 – La questione proposta con la terza censura è, conseguentemente, infondata, in quanto la Corte di appello ha correttamente escluso, per la ragioni esposte, che alla D. sia stata validamente notificata la domanda di arbitrato, e che, quindi, si sia in qualche modo instaurato il contraddittorio.
7 – Il quarto e il quinto motivo, che possono essere congiuntamente esaminati, sono in parte inammissibili, ed in parte infondati.
Deve in primo luogo osservarsi che la ricorrente, nel denunciare la violazione del principio contenuto nell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte affermato l’inesistenza del lodo, a fronte dell’iniziale impugnazione per nullità dello stesso, non ha svolto alcun rilievo in merito alle ragioni di ordine giuridico (sostanziale abnormità procedimentale) poste nella sentenza impugnata a fondamento della declaratoria di inesistenza: sulla base di tale osservazione è agevole constatare che non può ravvisarsi violazione del principio della domanda qualora si sia accertata l’inesistenza giuridica dell’atto, come tale rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, potendo, del resto, essere fatta valere in ogni tempo (Cass. 13 gennaio 2005, n. 586; Cass., 29 agosto 1997, n. 8245).
7.1 – Prescindendo da tale aspetto di natura formale, va altresì osservato che la questione sottoposta all’attenzione della Corte d’appello – la cui decisione, sostanzialmente conforme a diritto, deve essere emendata, sotto il profilo motivazionale, ai sensi dell’art. 384, c. 2, c.p.c., nei termini che seguono – riguardava la mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti della D. , la quale, con l’impugnazione del lodo, sì è lamentata sin dall’inizio di essere venuta a conoscenza del procedimento arbitrale solo all’esito della notifica dell’atto di precetto.
È stata, quindi, posta alla base della decisione – a prescindere dall’individuazione del contenuto sostanziale della domanda e dalla sua qualificazione giuridica (inesistenza e non già nullità del lodo stesso), non rilevante ai fini dell’osservanza del precetto di cui all’art. 112 c.p.c. (Cass., 30 marzo 2012, n. 5144; Cass., 14 novembre 2011, n. 23794; Cass., 25 settembre 2009, n. 20652) – una circostanza ritualmente dedotta con l’atto di impugnazione della pronuncia arbitrale.
La sentenza impugnata, quindi, avendo sostanzialmente rilevato, sulla base di elementi ritualmente dedotti l’invalidità del lodo, deve essere emendata in questa sede, nel senso che esso deve considerarsi nullo e non già inesistente. Benvero la fattispecie considerata non può ricondursi nelle (rare) ipotesi di inesistenza del lodo pacificamente ammesse in dottrina e in giurisprudenza (per tutte, l’indisponibilità oggettiva della questione sottoposta agli arbitri), venendo al contrario in considerazione l’ipotesi tipica di nullità costituita dall’inosservanza del principio del contraddittorio. D’altra parte, uno degli effetti principali della distinzione fra inesistenza e nullità del lodo, vale a dire la mancata conversione della prima in motivo d’ impugnazione, nella specie non rileva, in quanto, come si è osservato, la censura riconducibile nella violazione del principio del contraddittorio, sostanzialmente posta alla base della decisione (”A..D. non è stata posta in condizione di esercitare il proprio diritto di difesa”, pag. 4), risulta validamente dedotta nel giudizio di impugnazione del lodo.
8 – Anche il sesto motivo di ricorso deve essere rigettato, essendo inapplicabile al giudizio arbitrale la rimessione della causa ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 1, in quanto di regola il giudice dell’impugnazione che abbia dichiarato nullo il lodo, deve proseguire il giudizio in rescissorio (negli stessi termini, cfr. la citata Cass. n. 7451 del 2012).
Escluso il potere di rimettere la causa in sede arbitrale, quando, come nel caso, sia mancata la instaurazione del procedimento arbitrale e non vi sia stata quindi investitura del potere di decidere per l’arbitro unico (Cass. 25 luglio 2006 n. 16977 e 6 dicembre 2004 n. 22794), i motivi di nullità del lodo non si convertono in motivi di impugnazione. Pertanto la Corte d’appello dopo la decisione non può procedere in rescissorio in una causa che non risulta mai iniziata e che non poteva essere proseguita (Cass. 21 maggio 2007 n. 11788 e 7 febbraio 2006 n. 2698). Correttamente pertanto il giudice dell’impugnazione non ha proceduto all’esame nel merito della controversia, come avviene quando lo stesso lodo sia inesistente (Cass. 16 ottobre 2009 n. 22083). Invero la inesistenza del procedimento arbitrale, anche quando il lodo sia nullo per violazione del contraddittorio, comporta la mancanza di una o più domande nei limiti delle quali il giudice dell’impugnazione possa decidere il giudizio in rescissorio (sui limiti del processo rescissorio, di recente, Cass. 8 ottobre 2010 n. 20880). Correttamente quindi la sentenza della Corte d’appello ha accolto l’impugnazione senza decidere nel merito la controversia.
9 – Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.300,00, di cui Euro 1.100,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Redazione