Approvazione bilancio societario (Cass. n. 15944/2012)

Redazione 20/09/12
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Svolgimento del processo

C. e T.A., socie della Tieffe s.r.l. in liquidazione, impugnarono la deliberazione con la quale l’assemblea della società aveva approvato il bilancio dell’esercizio 2004, deducendo la violazione dei principi di chiarezza, correttezza e veridicità in relazione alla appostazione di alcune somme versate dai soci a titolo di finanziamento per il ripianamento delle posizioni debitorie delle società verso terzi. Somme che, nella nota integrativa del bilancio in questione (al pari di quella del bilancio del precedente esercizio), erano state considerate tra le riserve (versamenti in conto capitale) anzichè tra i debiti della società, sull’assunto – che esse attrici recisamente contestavano – della intervenuta rinuncia da parte dei soci alla restituzione in loro favore. Chiesero quindi la declaratoria di nullità della delibera impugnata, precisando di avere, anche per tale motivo, già impugnato la delibera approvativa del bilancio 2003, che conteneva la medesima appostazione. La società convenuta si costituì in giudizio contestando la domanda. Il Tribunale di Alba rigettò la domanda, rilevando la carenza di interesse delle attrici ad agire in giudizio per la violazione dei principi di chiarezza, correttezza e veridicità del bilancio, stante la provata conoscenza, da parte delle medesime, delle condizioni di dissesto della società e della conseguente perdita di valore economico della loro partecipazione.

Il gravame proposto dalle T. è stato accolto dalla Corte d’appello di Torino, la quale – richiamando e trascrivendo la motivazione della precedente sentenza che ha accolto analoga domanda relativa al bilancio 2003 – ha in primo luogo osservato come non possa negarsi l’interesse delle attrici a denunciare i vizi di chiarezza, correttezza e veridicità del bilancio, dovendosi tale interesse ravvisare non solo quando i vizi del bilancio compromettano il valore economico della partecipazione sociale, sempre che sia pregiudicato il diritto del socio ad una piena ed esatta informazione sulle consistenze patrimoniali e sulle prospettive economiche della società. Nel merito, la Corte ha ritenuto fondata la tesi delle appellanti secondo la quale le erogazioni da parte dei soci in favore della società delle somme in questione sono state effettuate a titolo di mutuo, non di apporto di capitale di rischio; con la conseguente illegittimità della appostazione delle somme stesse tra le riserve, anzichè tra i debiti della società. Avverso tale sentenza, la Tieffe s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso a questa Corte sulla base di due motivi, cui resistono con controricorso le signore T.. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo,, la società ricorrente censura, sotto i profili della violazione di norme di diritto (art. 100 c.p.c. e art. 1421 c.c.) e del vizio di motivazione, la statuizione relativa alla sussistenza nelle socie istanti di un interesse giuridicamente rilevante alla denuncia dei vizi del bilancio d’esercizio. Insiste nel sostenere, al riguardo, il principio di diritto, che sarebbe stato affermato da Cass. n. 23976/04, secondo cui non sussiste in concreto un interesse del socio ad agire per l’accertamento della nullità della delibera approvativa del bilancio quando – come nella specie- egli sia di fatto consapevole che la sua partecipazione sociale ha perduto ogni valore economico, a causa della perdita del capitale sociale.

2. Con il secondo motivo la ricorrente censura, sotto i profili della violazione dell’art. 2424 c.c. e del vizio di motivazione, la natura giuridica di finanziamenti con obbligo di restituzione attribuita dalla Corte di merito alle erogazioni di danaro effettuate nella specie dai soci onde consentire la eliminazione di (parte delle) perdite pregresse della società. Sostiene che la Corte, con motivazione confusa e contraddittoria, non avrebbe rettamente considerato il significato dell’accordo raggiunto dai soci il 25 giugno 2003, del. quale l’assemblea aveva dato espressamente atto nella riunione del giorno successivo, per la effettuazione di versamenti a fondo perduto necessari al ripianamento perdite; e che comunque le socie istanti non hanno assolto all’onere, su di esse incombente, di provare che i versamenti fossero stati da loro eseguiti per un titolo che ne giustifichi la pretesa di restituzione.

3. Il primo motivo e infondato. E’ stato già evidenziato, in una recente sentenza (Cass. Sez. 1 n. 2758/12) che ha definito il giudizio di impugnazione della delibera relativa al bilancio 2003 della medesima Tieffe s.r.l., come la giurisprudenza di questa Corte abbia già da tempo (a partire da ***** n. 27/2000) disatteso la concezione che circoscriveva l’interesse ad agire del socio per l’impugnazione delle delibere approvative del bilancio alla mera aspettativa di un più favorevole risultato economico dell’esercizio cui il bilancio si riferisce, ed abbia invece chiarito che l’interesse può attenere anche soltanto alla corretta informazione – secondo le puntuali prescrizioni di legge – sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa. A tale orientamento consolidato – dal quale neppure la pronuncia n. 23976/04, più volte richiamata in ricorso, appare essersi discostata nel suo nucleo decisionale – il Collegio intende dare continuità, ritenendo quindi che nè la perdita del capitale sociale nè l’azzeramento del valore economico della singola partecipazione valgano ad escludere il diritto del socio ad una chiara, corretta e veritiera rappresentazione di bilancio ed il correlato obbligo degli amministratori – che certo non viene a cessare, ma solo a trasferirsi in capo ai liquidatori, in conseguenza della sopravvenienza di una causa di scioglimento – di redigere il bilancio rispettando le modalità prescritte inderogabilmente dalla legge. Del resto, una partecipazione sociale il cui valore risulti azzerato per la perdita del capitale sociale costituisce pur sempre un bene esistente nel patrimonio del socio, al quale dunque non può essere negato il diritto di essere posto a conoscenza dei fatti che nel corso dell’esercizio hanno inciso sul patrimonio e sull’andamento economico della società, e quindi l’interesse ad agire in giudizio ove il documento contabile violi tale diritto. Salva naturalmente l’ipotesi – neppure evocata in ricorso – nella quale al solo difetto di chiarezza del bilancio (ma qui è in discussione anche la veridicità) possano aver posto rimedio chiare ed univoche indicazioni fornite dalla nota integrativa, dalla relazione accompagnatoria o dalle spiegazioni eventualmente rese dagli amministratori in assemblea. Il rigetto del motivo si impone dunque.

4. Il secondo motivo è invece fondato, come già ha avuto modo di affermare questa Corte nella richiamata pronuncia n.2758/12 in relazione alla contestazione da parte delle T. della medesima voce contenuta anche nel bilancio 2003 della Tieffe s.r.l., sulla quale la Corte di Torino si era espressa nei medesimi termini della sentenza qui impugnata. In tale recente pronuncia di questa Corte si è ricordata l’ampia elaborazione condotta dalla giurisprudenza di legittimità sul tema della qualificazione dei finanziamenti che a vario titolo i soci fanno alle società da loro partecipate, elaborazione dalla quale possono trarsi i seguenti principi: a) ciò che caratterizza i versamenti denominati “in conto capitale” o “in conto copertura perdite di capitale” rispetto ai versamenti a titolo di mutuo è che, a differenza di questi ultimi – dei quali la società è obbligata alla restituzione ad una determinata scadenza -, non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società, perchè la loro restituzione può aversi solo a seguito dello scioglimento della stessa, e solo nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione: ciò li avvicina al capitale di rischio, piuttosto che a quello di credito, in quanto in relazione alle somme in tal modo versate alle società il socio partecipa al medesimo rischio di impresa al quale è esposto il capitale da lui versato, stante la residualità della restituzione rispetto al soddisfacimento dei creditori sociali; b) quindi, pur non costituendo veri e propri conferimenti di capitale, non implicando cioè l’acquisizione o l’incremento di quote di partecipazione nella società, tali somme sono destinate ad accrescerne il patrimonio, e quindi a confluire in apposite riserve, come quella di cui si discute; c) lo stabilire se si sia in presenza dell’una o dell’altra ipotesi è questione di interpretazione della volontà delle parti, tenendo presente che la prova – che il socio ha l’onere di fornire – della esistenza di un titolo che giustifichi la pretesa di restituzione deve essere tratta non tanto dalla denominazione con la quale il versamento è registrato nelle scritture contabili della società quanto soprattutto dal modo in cui concretamente è stato attuato il rapporto, dalle finalità pratiche cui esso appare diretto e dagli interessi che vi sono sottesi.

Nel caso in esame, la sentenza impugnata riferisce come pacifica la circostanza secondo la quale l’accordo scritto di finanziamento intervenuto tra i soci il 25 giugno 2003, in base al quale furono erogati i versamenti dei quali si discute, prevedeva che al rimborso la società avrebbe provveduto soltanto dopo il ripianamento dei debiti in relazione ai quali quei finanziamenti erano stati specificamente effettuati e dopo la conseguente messa in liquidazione della società, mediante gli eventuali attivi derivanti dalla liquidazione. Tale elemento negoziale, sulla base dei principi sopra riassunti, caratterizza l’apporto di capitale di rischio, non già l’erogazione di capitale di credito: la sentenza impugnata, considerando sul punto che le parti avrebbero concordato una “mera postergazione” del credito alla restituzione delle somme versate dai soci, non ha considerato che è proprio tale postergazione a rendere manifesto come i soci non abbiano un diritto incondizionato alla restituzione delle somme versate, ed invece, costituendo tale restituzione una mera eventualità dipendente dall’esito della liquidazione, partecipino con tali somme al rischio d’impresa.

D’altra parte, privi di rilevanza ai fini della qualificazione di tali erogazioni si mostrano gli ulteriori elementi considerati dalla Corte di merito, giacchè: a) l’uso, nel testo della delibera con la quale l’assemblea ha preso atto del suddetto accordo tra i soci, del termine “finanziamenti” non costituisce elemento decisivo, per quanto detto; b) parimenti non decisivo appare il fatto che, nell’accordo tra i soci richiamato nella delibera, fosse stata prevista una graduazione nella posizione dei diversi soci che avevano tutti eseguito analoghi versamenti, dal momento che tale graduazione, essendo prevista all’esito della liquidazione, non modifica la già evidenziata caratteristica saliente di detti versamenti, cioè la loro destinazione all’incremento del patrimonio della società sul quale i creditori possono far conto per la soddisfazione dei loro crediti.

Pertanto, in applicazione del principio di diritto già affermato da questa Corte nella richiamata sentenza n. 2758/12, si impone l’accoglimento del secondo motivo di ricorso e la cassazione sul punto della sentenza impugnata.

5. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può decidersi nel merito sulla base delle considerazioni sopra svolte, rigettando l’impugnazione proposta dalle signore ********* avverso la delibera approvativa del bilancio dell’esercizio 2004 della Tieffe s.r.l..

6. L’esito complessivo del giudizio e la peculiarità della controversia inducono alla integrale compensazione tra le parti delle spese.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’impugnazione proposta avverso la delibera che ha approvato il bilancio dell’esercizio 2004 della Tieffe s.r.l..

Compensa tra le parti le spese del processo.

Redazione