Appalti pubblici – Provvedimenti emessi sulla base di atti configuranti commissione di reato – Nullità – Va esclusa – Annullabilità – Va affermata – Ragioni (TAR Puglia, Bari, n. 1612/2013)

Redazione 04/12/13
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SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 894 del 2013, proposto da **********, rappresentato e difeso dagli avv.ti **************, ***************** e **********************, con domicilio eletto in Bari, via Amendola n. 166/5;

contro

Regione Puglia, rappresentata e difesa dall’avv. *******************, con domicilio eletto in Bari, via De Rossi, 16;

Consiglio Regionale della Regione Puglia,

Commissione giudicatrice del concorso di progettazione;

nei confronti di

Studio Valle Progettazioni capogruppo del R.T.P. con Pro.Sal Progettazioni Salentine S.r.l., Studio Tecnico Sylos Labini, ****************************, rappresentato e difeso dall’avv. ***************, con domicilio eletto in Bari, via Pasquale Fiore, 14;

Debar S.p.A., mandataria A.T.I. con ******************** e *************, rappresentata e difesa dall’avv. *****************, con domicilio eletto in Bari, viale Quinto Ennio, 33;

Pro.Sal Progettazioni Salentine S.r.l., Studio Tecnico Sylos Labini, ****************************, rappresentati e difesi dall’avv. ***********************, con domicilio eletto presso l’avv. ****************** in Bari, piazza ***************, 41/A;

per la declaratoria d’illegittimità del silenzio

serbato dalla Regione Puglia sulle istanze in autotutela del 7.2.2013 e 16.3.2013, volte all’annullamento:

a) dell’esito della gara indetta dalla Regione Puglia nel dicembre 2012;

b) di tutte le procedure che assumono a presupposto l’esito della predetta gara, tra cui, in particolare:

– la deliberazione di G.R. n. 904 del giorno 11.6.2003, nella parte in cui autorizza il conferimento dell’incarico di redazione della progettazione definitiva ed esecutiva (e della direzione lavori, misurazione e contabilità, coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione dei lavori) al R.T.P. primo classificato nel concorso di progettazione preliminare;

– la conseguente convenzione in data I.8.2003;

– la delibera di .G.R. n. 2125 del 9.12.2003 di approvazione del progetto definitivo;

– la delibera di .G.R. n. 1418 del 29.7.2008, di approvazione del bando per l’aggiudicazione dei lavori;

– la delibera di .G.R. n. 1645 del 15.9.2009 di adeguamento del progetto esecutivo alla normativa antisismica e la determina dirigenziale n. 185 del 10.3.2010 di approvazione del progetto esecutivo;

– la delibera di .G.R. n. 449 del 23.2.2010 di approvazione della nuova spesa elevata a € 87.166.000,00 e di riavvio della procedura di affidamento;

– la D.D. n. 331 del giorno 8.4.2010 d’indizione della procedura aperta per l’affidamento dei lavori di realizzazione della nuova sede del Consiglio regionale di Bari e del conseguente bando di gara pubblicato nella GUCE del 20.4.2010;

– la determina dirigenziale n. 0619 del 2.8.2011 di aggiudicazione definitiva ed il conseguente contratto stipulato con l’appaltatore di data non conosciuta;

e, incidentalmente ed ove occorra, per la declaratoria di nullità:

– dei verbali del 4, 5, 11, 12, 29 aprile 2003 ed infine del 6 giugno 2003;

– della conseguente e vincolata deliberazione n. 904 del giorno 11.6.2003.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Puglia, dello Studio Valle Progettazioni, della Pro.Sal Progettazioni Salentine S.r.l., dello Studio Tecnico Sylos Labini e di ****************************, anche in proprio, della Debar S.p.A., mandataria nella A.T.I. con ******************** e *************;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2013 il cons. **************** e uditi per le parti i difensori, avv. **********************, avv. *******************, avv. ***************, avv. ***************** e avv. **********, su delega dell’avv. ***********************;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

L’ing. ********** ha partecipato al concorso di progettazione della nuova sede del Consiglio regionale e degli uffici regionali, indetto dalla Regione Puglia con determinazione n. 521 del 16 dicembre 2002.

All’esito della gara si è classificato al primo posto il R.T.P. con mandatario lo Studio Valle, al secondo posto il R.T.P. con capogruppo la Favero & Milan Ingegneria S.r.l., al terzo posto il R.T.P. con mandatario lo Studio Vitone & Associati e, infine, lo stesso ing. C. (al quarto posto).

Con deliberazione della Giunta regionale 11 giugno 2003 n. 904 e con atto rep. n. 006401 del 1° agosto 2003 si formalizzava la convenzione tra la Regione Puglia e il raggruppamento Studio Valle Progettazioni per la redazione del progetto definitivo ed esecutivo, per la direzione dei lavori e per il coordinamento della sicurezza.

Con deliberazione della Giunta regionale n. 2125 del 9 dicembre 2003 veniva approvato il progetto definitivo della nuova sede del Consiglio regionale predisposto dall’aggiudicatario.

L’ing. **********, con ricorso n. 1470/2003 R.G., integrato da successivi motivi aggiunti, impugnava gli atti del concorso.

Con sentenza n. 5411/2004, la Sezione Prima di questo TAR accoglieva il ricorso solo limitatamente alle censure riferite all’omessa esclusione dalla gara dei progetti presentati dai R.T.P. secondo e terzo classificati; veniva invece ritenuto infondato il motivo relativo alle modalità del confronto a coppie.

La sentenza di primo grado veniva confermata con decisione n. 458/2007 dal Consiglio di Stato, Sez. V, il quale respingeva altresì la richiesta di revocazione con la successiva decisione 19 aprile 2010 n. 2184.

Interessata poi l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, quest’ultima, all’esito di un procedimento ispettivo, archiviava la pratica (nota della Direzione generale vigilanza lavori 23 febbraio 2011 n. 22.367).

Nel frattempo, venivano iniziate indagini sulla procedura, nei confronti dei componenti della commissione giudicatrice, del coordinatore del gruppo tecnico regionale e di un rappresentante del raggruppamento vincitore del suddetto concorso di progettazione, i quali, alla fine del 2007, venivano rinviati a giudizio per i reati di falso e turbativa d’asta.

Con sentenza depositata il 24 novembre 2008 il G.U.P. del Tribunale di Bari assolveva i componenti della commissione giudicatrice; con sentenza depositata il 30 maggio 2011, la Corte d’appello di Bari confermava le statuizioni d’insussistenza dei reati di falso ideologico e turbativa d’asta ascritti ai componenti della commissione ed assolveva, inoltre, il rappresentante del R.T.P. aggiudicatario.

Con sentenza n. 6240/2013, depositata il 7 febbraio 2013, la Corte di cassazione, V Sezione penale, dichiarava definitivamente l’estinzione di tutti i reati in contestazione, per avvenuto decorso del termine di prescrizione, ma annullava la sentenza di appello ai soli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

A questi fini, in particolare, da un lato, riteneva che “non vi è dubbio alcuno che il risultato dell’identico punteggio per tutti gli elaborati risultati non vincitori… rappresentava la prova più eloquente che il confronto a coppie non era stato effettuato” e che quindi “l’attestazione del compimento di operazione procedurale valutativa in realtà non compiuta integrava, pacificamente, falso ideologico”; dall’altro, affermava: “il riscontro positivo di palesi anomalie procedurali avrebbe dovuto, ovviamente, condizionare il giudizio in ordine anche all’imputazione di cui al capo B), in relazione al quale i giudici di merito sono anche incorsi in macroscopico errore di giudizio nel ritenere necessario, ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 353 cod. pen., il dolo specifico, ove invece per la fattispecie delittuose in questione è sufficiente il dolo generico, consistente nella mera coscienza e volontà di turbare o impedire il regolare svolgimento della gara”.

L’ing. **********, sul presupposto della propria collocazione al secondo posto nella graduatoria (in esito al giudizio amministrativo), reputando, per tale motivo, di avere un evidente interesse strumentale alla riedizione procedimentale per l’individuazione del progetto preliminare, aveva presentato istanza alla Regione Puglia, già con nota del 7 febbraio 2013, “affinché, in autotutela, venissero assunte tutte le iniziative idonee ad evitare che la “Nuova Sede della Regione Puglia” fosse realizzata sulla base di un progetto selezionato all’esito di una procedura frutto di illecito penale”; conosciute le motivazioni della Cassazione poi (in data 16 marzo 2013) ha inoltrato una nuova richiesta di analogo tenore, seguita dalla nota del 27 maggio 2013, a cui l’Amministrazione non ha dato riscontro.

Pertanto ha notificato ricorso con cui si chiede (pagina 9)

“a) l’accertamento giudiziale dell’illegittimità del silenzio sino ad ora serbato dall’amministrazione regionale sull’adozione di un atto vincolato”;

b) occorrendo, in via incidentale, la dichiarazione di nullità ex articolo 21 septies della l. n. 241/1990 di provvedimenti e procedure” [in epigrafe elencati] “che integrano gli estremi (o costituiscono frutto) di reati ormai accertati”.

Si sono costituiti la Regione Puglia, il R.T.P. con capogruppo lo Studio Valle Progettazioni, la PRO.SAL Progettazioni salentine s.r.l. con lo Studio tecnico Sylos Labini e ****************** associati, anche in proprio, e la Debar S.p.A., mandataria A.T.I. con ******************** e *************, i quali, sotto vari profili, hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso e comunque sostenuto la sua infondatezza.

Sulle conclusioni delle parti la causa è stata riservata per la decisione alla camera di consiglio del 14 novembre 2013.

B.1. In estrema sintesi, il ricorrente mira ad ottenere una pronuncia che accerti non solo la violazione dell’obbligo di provvedere (da parte della Regione Puglia) sulla sua istanza tesa a promuovere l’esercizio dell’autotutela sugli atti del concorso di progettazione della nuova sede del Consiglio regionale, indetto dalla Regione Puglia con determinazione n. 521 del 16 dicembre 2002, ma anche la fondatezza della pretesa a vedere annullati gli esiti della medesima gara.

È noto che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il provvedimento di autoannullamento (oggi legislativamente previsto dall’articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990 n. 241) è manifestazione di un potere tipicamente discrezionale che l’amministrazione non ha alcun obbligo di attivare; in ogni caso, deve essere valutata la sussistenza o meno di un interesse pubblico che giustifichi la rimozione dell’atto, valutazione della quale solo la stessa amministrazione è titolare, mentre l’attività non può ritenersi dovuta nel caso di una situazione già definita con provvedimento inoppugnabile, con la conseguenza che, una volta che il privato, o per aver esaurito i mezzi di impugnazione che l’ordinamento gli garantisce, o per aver lasciato trascorrere senza attivarsi il termine previsto a pena di decadenza, si trovi di fronte ad un provvedimento inoppugnabile, a fronte del quale può solo sollecitare l’esercizio del potere da parte dell’autorità, che non ha alcun obbligo di rispondere all’istanza di riesame.

Non è possibile dunque fare ricorso alla procedura del silenzio-rifiuto allo scopo di provocare l’autotutela; in altri termini, la richiesta dei privati in tal senso costituisce una mera denuncia con funzione sollecitatoria, ma non fa sorgere in capo all’amministrazione destinataria alcun obbligo di provvedere (da ultimo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 355; 24 settembre 2013, n. 4714; Sez. V, 3 maggio 2012, n. 2549; Sez. VI, 9 luglio 2013, n. 3634).

Per evitare l’esito d’inammissibilità che tale giurisprudenza ineluttabilmente comporta, l’ing. C. sostiene la diversità ontologica della fattispecie in esame, nella quale, essendo alcuni atti della procedura penalmente illeciti e perciò nulli, l’esercizio dell’autotutela diverrebbe per tale ragione vincolato e dovrebbe sfociare (se si è ben intesa la tesi attorea) in una sorta di atto nella sostanza meramente declaratorio di tale radicale invalidità.

B2. Questi argomenti sono invero inseriti in un quadro processuale dal senso non del tutto inequivoco, considerato che nel ricorso viene domandata “occorrendo, in via incidentale, la dichiarazione di nullità ex art. 21 septies della l. n. 241/1990 di provvedimenti e procedure”, mentre, nella memoria di replica depositata il 2 novembre 2013 (pagina 3), si afferma che “non è stata formulata una domanda di invalidità”, avendo l’istante invece “c) (…) sollecitato, per quanto occorra, l’esercizio del potere giudiziario ex art. 31, comma 4, c.p.a., di rilevare d’ufficio la nullità degli atti che attengono alla valutazione dei progetti preliminari presentati in gara e della conseguente e vincolata approvazione della graduatoria”.

Le controparti, anche con riferimento a tale aspetto della causa, hanno sollevato una serie di eccezioni d’inammissibilità, con riguardo sia al cumulo delle domande sia alle condizioni dell’azione (e, in particolare, all’interesse a ricorrere, definito, nell’atto introduttivo del giudizio, a pagina 8, come “strumentale alla riedizione procedimentale per l’individuazione del progetto preliminare”). Esse hanno evidenziato peraltro che non solo sono stati consegnati i progetti definitivo ed esecutivo (con validazione di quest’ultimo), ma anche che, dopo l’adeguamento del progetto esecutivo al D.M. 14 gennaio 2008, i lavori sono stati appaltati nel 2011 all’associazione temporanea d’imprese ************ – ******************** – Monsud S.p.A., che la consegna definitiva del cantiere è avvenuta in data 21 marzo 2012, che è stata eseguita la bonifica dell’area dagli ordigni bellici, che sono state realizzate le fondazioni in cemento armato e che è in fase di completamento il primo impalcato a copertura del piano interrato, il tutto per una liquidazione (a seguito dei primi quattro stati di avanzamento lavori) in favore della menzionata A.T.I. di oltre 10 milioni di euro.

Tale situazione, unita alla circostanza che già la sentenza n. 6240/2013 della V Sezione penale della Corte di cassazione costituisce specifica tappa per ottenere eventualmente il soddisfacimento della pretesa risarcitoria, indurrebbe invero a dubitare della stessa sussistenza di un concreto interesse ad agire, ex articolo 100 del codice di procedura civile, ovvero della necessità di ricorrere al giudice (anche quello amministrativo), per evitare una lesione attuale della propria sfera giuridica, produttiva di danno.

B.3. Non occorre però occuparsi di tali eccezioni, che coinvolgono istituti, come l’accertamento incidentale e la declaratoria – in specie officio iudicis – della nullità, non affrontate compiutamente dalla giurisprudenza e dalla dottrina, con riguardo al codice del processo amministrativo, risultando evidente in ogni caso l’inammissibilità del ricorso.

Gli argomenti sviluppati dal ricorrente in effetti rappresentano un discorso dialettico, di cui però il deducente non riesce a dimostrare la premessa, ovvero che gli atti di gara, essendo stato accertato che essi (almeno in parte) sono stati emanati sulla base di comportamenti costituenti reato, siano affetti da radicale invalidità (e non solo da mera illegittimità che lascerebbe inalterata l’ampia sfera di discrezionalità riservata all’amministrazione in sede di autotutela).

La questione è stata recentemente affrontata dal Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 31 ottobre 2013 n. 5266, seppure in una materia non identica (quella edilizia, in cui sono presenti anche differenti meccanismi di controllo e di sanzione).

Tale decisione ha chiarito, innanzitutto, che una sentenza penale la quale si limiti a dichiarare l’intervenuta estinzione per prescrizione del reato contestato, procedendo ad esaminare i fatti ai soli fini di cui all’articolo 578 del codice di procedura penale (secondo il quale, in caso di costituzione di parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili), non integra un accertamento definitivo in sede penale sulla responsabilità degli imputati. Essa perciò non equivale ad una sentenza irrevocabile di condanna pronunciata a seguito del dibattimento alla quale (ai sensi dell’articolo 651 del codice di procedura penale) riconoscere, nell’ambito del giudizio amministrativo, efficacia di giudicato in ordine all’illiceità penale del fatto commesso e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso. Una tale pronuncia (della Cassazione) dunque non fa stato, ai sensi degli articoli 651 e 654, 578 del codice di procedura penale, con particolare riguardo all’avvenuto accertamento (con “sentenza irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento”) in ordine alla sussistenza del fatto materiale, alla sua qualificazione in termini di illecito e all’imputazione soggettiva della condotta sottostante.

Perciò, caduto tale principale presupposto logico-giuridico posto a fondamento dell’intero iter argomentativo (ossia l’esistenza di un giudicato penale in ordine all’illiceità dei comportamenti a fondamento dell’esito della gara), ne restano travolte le conseguenze che il deducente ne trae nel ricorso in esame, in termini di radicale nullità degli atti del concorso di progettazione, nonché in termini di doverosità dell’azione amministrativa.

La sentenza della Sezione VI ha poi comunque escluso, in generale, che i provvedimenti siano affetti da nullità, quando e perché la loro emanazione sia legata ad una condotta costituente un reato.

Richiamando la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 1976, il Consiglio ha ribadito “il principio secondo cui è affetto da annullabilità (e non da nullità) il provvedimento amministrativo (per sua natura autoritativo) che sia stato rilasciato sulla base di un atto la cui emanazione abbia comportato alla commissione di un reato”, osservando che anche un atto illegittimo di tal fatta è pur sempre riferibile all’amministrazione (pur potendo non determinare la responsabilità di questa), che la disapplicabilità degli atti illegittimi incide sull’esito del processo penale, ma non comporta di per sé conseguenze sugli effetti dell’atto disapplicato, e che comunque la denunciata nullità non trova riscontro nella disciplina di cui all’articolo 21 septies della legge n. 241/1990.

Non vi è ragione di discostarsi da tali conclusioni, che smentiscono in modo compiuto l’assunto dell’ing. **********, così riconducendo la fattispecie in esame alla casistica cui si è fatto dianzi cenno, al punto B.1.

Si deve solo precisare al proposito che quanto affermato dal Consiglio di Stato con riferimento all’articolo 578 del codice di procedura penale non può che valere viepiù per l’articolo 576 (di cui fa applicazione la sentenza n. 6240/2013 della Corte di cassazione). Tale ultima norma (“La parte civile può proporre impugnazione…, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio”) infatti presuppone addirittura il proscioglimento, al contrario dell’articolo 578, che riguarda invece l’impugnazione di una condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, nei confronti dell’imputato.

In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, con compensazione integrale delle spese di giudizio, giustificata dalla novità e complessità delle questioni coinvolte.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2013

Redazione