Appalti pubblici – Interdittiva antimafia- Deve fondarsi su fatti e vicende aventi un valore soltanto sintomatico ed indiziario, con l’ausilio di indagini che possono riferirsi anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo (Cons. Stato n. 4414/2013)

Redazione 04/09/13
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SENTENZA

sul ricorso n. 7062/2012 RG, proposto dalla Tre Emme Costruzioni s.r.l., corrente in Roccabianca (PR), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati **************, ****************** e *****************, con domicilio eletto in Roma, via Nomentana n. 76,
contro
l’UTG – Prefettura di Parma, in persona del Prefetto pro tempore ed il Ministero dell’interno, in persona del sig. Ministro pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti di
Bacchi s.p.a., corrente in Boretto (RE), Iniziative Ambientali s.r.l., corrente in Novellara (RE) e Consorzio Edile M2, con sede in Parma, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti nel presente giudizio,
per la riforma
della sentenza del TAR Emilia-Romagna, Parma, n. 172/2012, resa tra le parti e concernente la sospensione dell’aggiudicazione per interdittiva antimafia;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle sole Amministrazioni statali intimate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del 1° febbraio 2013 il Cons. Silvestro *********** e uditi altresì, per le parti, l’avv. ********** e l’Avvocato dello Stato *******;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. – La Tre Emme Costruzioni s.r.l., corrente in Roccabianca (PR), dichiara d’aver stipulato il 4 maggio 2010 un contratto di subappalto (per opere di carpenteria) con la ****** s.p.a., corrente in Boretto (RE) ed aggiudicataria, per conto della Iniziative Ambientali s.r.l., dei lavori per realizzare la Tangenziale di Novellara (RE), 3° stralcio.
Detta Società rende nota la stipulazione, in data 16 settembre 2010, d’un altro subappalto tra la stessa ****** s.p.a. ed il Consorzio M2, anch’esso per opere di carpenteria.
A seguito di un’ispezione di PS nel cantiere delle opere de quibus, la Prefettura di Reggio Emilia ha informato la stazione appaltante, con interdittiva antimafia del 5 aprile 2011, di infiltrazioni mafiose a carico della Bacchi s.p.a. La Prefettura di Reggio Emilia ha quindi reso edotta della citata interdittiva la Prefettura di Parma, competente per territorio quanto alla valutazione della posizione delle due ditte subappaltatrici. Queste ultime sono state attinte dalla misura di rigore prevista dall’art. 3 del DPR 2 agosto 2010 n. 150, giusta nota prefettizia prot. n. 412 del 5 aprile 2011.
2. – Avverso detta statuizione entrambe le subappaltatrici hanno adito il TAR Parma con il ricorso n. 413/2011 RG, deducendo in punto di diritto vari profili di censure.
Nelle more di quel giudizio l’adito TAR ha accolto in parte e con salvezza degli atti ulteriori l’impugnazione spiegata dalla Bacchi s.p.a. Sicché il TAR Parma, con l’ordinanza n. 351 del 6 ottobre 2011, ha concesso la misura cautelare richiesta con il citato ricorso n. 413/2011, stante la unitarietà della vicenda controversa ed ai fini del suo complessivo riesame.
La Prefettura di Parma, in data 28 settembre 2011, ha autonomamente emesso una nuova interdittiva in sostituzione di quella inizialmente adottata, impugnata con motivi aggiunti dalle società interessate.
L’adito TAR, con la sentenza n. 172 del 9 maggio 2012, ha dichiarato il ricorso n. 413/2011 in parte improcedibile ed in parte lo ha respinto.
3. – Appella allora la Tre Emme Costruzioni s.p.a., con il ricorso in epigrafe, deducendo in punto di diritto in modo articolato l’inidoneità del quadro indiziario posto a base dell’impugnata interdittiva. Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate, che concludono per il rigetto del presente appello.
Alla pubblica udienza del 1° febbraio 2013, su conforme richiesta delle parti costituite, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
4. – La ******à appellante si duole dell’affermazione del TAR, secondo cui il ricorso di primo grado ha proceduto alla (non consentita) analisi parcellizzata d’ogni singolo dato dell’interdittiva del 2011 senza, però, smentire nel complesso il grave quadro indiziario colà esposto.
L’appellante afferma di aver dovuto seguire tal modo d’argomentate innanzi al TAR ed ora in questa sede perché, a suo avviso, per opporsi ad un provvedimento «… formato da un insieme di atti inconferenti e indizi labili, appare…necessaria ed indispensabile una disamina puntuale a confutazione di ogni singolo elemento…evocato…». Al riguardo, l’appellante prende le mosse dalla sentenza n. 271/2011, con la quale lo stesso TAR Parma aveva annullato l’interdittiva antimafia assunta contro la ****** s.p.a. e, con l’analisi minuziosa d’ogni singolo aspetto dell’atto gravato in primo grado, ne vuol assumere la genericità e, al contempo, l’evidente erroneità.
Ancora di recente (cfr. Cons. St., III, 5 marzo 2013 n. 1329), la Sezione ha avuto modo di precisare, con statuizione da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, che nel previgente sistema l’interdittiva antimafia, essendo espressione della logica di anticipazione della difesa sociale, non richiedeva un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello che serve per provare l’appartenenza di un soggetto alla criminalità organizzata. Invero, ben può a tal scopo l’interdittiva stessa fondarsi su fatti e vicende aventi un valore soltanto sintomatico ed indiziario, con l’ausilio di indagini che possono riferirsi anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo. Sicché l’argomentazione analitica dell’appellante, volta a separare i singoli fatti segnalati e ritenuti sintomatici dalla P.A., tende allo scopo di non far leggere il fenomeno che la riguarda nella sua complessità di intrecci non solo penali, ma anche familistici e, al contempo, economico imprenditoriali, invece tra loro o connessi o pur sempre concordanti.
L’argomentare dell’appellante, distintamente riferito ai singoli rilievi, mira a svuotare del senso complessivo i singoli dati, ognuno dei quali, forse, potrebbe apparire poco rilevante o non allarmante, ma alla sola condizione che tali fatti veramente avessero riguardato altre persone, in un contesto remoto nel tempo e nello spazio. Per il Collegio tre s’appalesano i dati dell’interdittiva che con evidenza dimostrano la fondatezza della sentenza alla luce arresti giurisprudenziali di questo Consiglio, nonché la debolezza del metodo usato nel ricorso. Per un verso vi sono seri indizi di continui ed attuali contatti e parentela tra i membri della famiglia *******, ossia tra gli stretti congiunti degli amministratori della ******à appellante, con le famiglie ******* e *************, notoriamente ‘ndrine di spicco in Calabria, indizi che, non dequotati dalla risalenza dei precedenti penali del sig. *****************, ne escono anzi rafforzati perché ciò fa sorgere il non infondato sospetto anche dell’anzianità di tali contatti. Per altro verso, colpisce la peculiare situazione del sig. *******************, ex-marito della sorella del sig. **************** (anche egli amministratore dell’ società appellante), per il quale, già titolare di una impresa facente parte del Consorzio M2 e poi uscitane, l’AGO dispose l’avviamento al lavoro ma, guarda caso, tra tutti i lavori possibili proprio per quello alle dipendenze dell’appellante stessa, da cui il sig. ***** si dimise nell’aprile 2011, al tempo, cioè, della prima interdittiva del Prefetto di Reggio Emilia. Per altro verso ancora, si predica il non frazionamento dei subappalti, quando essi son stati affidati ad imprese afferenti a soggetti d’un unico gruppo familiare, mentre per quello inerente all’appellante, d’altronde affidato a corpo e non a misura, il suo valore stimato fu calcolato, erroneamente, per fatto di quest’ultima e poi corretto dall’appaltatrice ****** s.p.a.
Va, quindi, ribadita la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. St., III, 18 aprile 2011 n. 2342; id., 19 gennaio 2012 n. 254; id., 23 luglio 2012 n. 4208), laddove ammonisce che gli elementi raccolti dall’interdittiva antimafia non vanno considerati separatamente, spettando all’interprete di stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.
E dimostra altresì come non sia necessario pervenire al massimo grado di certezza dei presupposti, come occorre per le condanne in sede penale, né a quello, di minor certezza, per le misure di prevenzione, essendo sufficiente la sola dimostrazione del pericolo del pregiudizio. I fatti sintomatici ed indizianti che sostengono la plausibilità della sussistenza di un collegamento tra impresa e criminalità organizzata s’incentrano appunto nelle relazioni familistiche dell’appellante con contesti e persone che non lasciano seriamente propendere per la loro affidabilità. Si dice giustamente in materia che il solo rapporto di parentela e di frequentazione del socio o dell’amministratore di un’impresa con un soggetto appartenente alla criminalità organizzata non costituisce di per sé un presupposto sufficiente per l’interdittiva. Nella specie, tuttavia, si hanno tali rapporti non già come occasionali o spuri, ma nel loro complesso avvalorati da altri elementi indiziari e convergenti verso la stessa appellante, da cui essa stessa non appare in grado di potersi sottrarre.
Inoltre, i dati testé evidenziati costituiscono da soli, oltre che buoni argomenti a supporto della fondatezza e della completezza dell’interdittiva prefettizia (e, dunque, della sentenza impugnata, che va così condivisa), seri elementi indiziari da cui arguire la possibile permeabilità malavitosa dell’appellante, che non vanificano, anzi corroborano la serietà dell’interpretazione complessiva datane dalla P.A. In tal caso, l’interdittiva de qua bene adempie al suo compito, delineato dalla giurisprudenza (cfr., per tutti, Cons. St., III, 15 maggio 2012 n. 2806; id., 3 settembre 2012 n. 4663), d’essere, cioè, una misura preventiva volta a colpire l’azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la P.A. Ecco perché l’interdittiva stessa prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti sia degli amministratori di imprese aventi rapporti qualificati con la P.A. stessa, sia dei soggetti a loro contigui, fondandosi piuttosto sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di PS, valutati per la loro rilevanza dal Prefetto.
5. – Nei sensi fin qui esaminati, l’appello non è dunque meritevole d’accoglimento, e rende recessiva ogni altra confutazione di merito, peraltro non con consona alla potestà valutativa latamente discrezionale del Prefetto, in sé né arbitraria, né sproporzionata al fine perseguito.
****** motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. III), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso n. 7062/2012 RG in epigrafe), lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 1° febbraio 2013

Redazione