Appalti pubblici – Delibera AVCP 8 aprile 2009, n. 29 – Mancato richiamo alle sanzioni di cui all’art. 6 comma 11 del Codice dei Contratti pubblici (Cons. Stato, n. 5939/2013)

Redazione 11/12/13
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SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6774 del 2009, proposto dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12
contro
Comune di Agnadello
per la riforma della sentenza del T.A.R. della Lombardia, Sezione staccata di Brescia, Sezione II, n. 1349/2009

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 novembre 2013 il Cons. **************** e udito l’avvocato dello Stato **************;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (d’ora innanzi: ‘l’A.V.C.P.’ o ‘l’Autorità’) riferisce che, con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per la Lombardia – Sezione staccata di Brescia e recante il n. 563/2009 il Comune di Agnadello (CR) ha impugnato la delibera dell’Autorità 8 aprile 2009, n. 29 chiedendone l’annullamento in relazione a talune asserite ragioni di illegittimità.
In particolare, era accaduto che alcuni consiglieri di quel comune avessero segnalato all’A.V.C.P. l’attribuzione di taluni appalti con elusione o violazione della normativa comunitaria e nazionale in tema di evidenza pubblica e, per di più, con aggiudicazione in favore di imprese prive della necessaria attestazione SOA.
All’esito del procedimento istruttorio avviato a seguito di tale segnalazione, l’Autorità aveva adottato la delibera n. 29 del 2009 con la quale:
– si esprimeva l’avviso che la stazione appaltante avesse assunto provvedimenti in contrasto con le previsioni di cui all’articolo 2 e 40 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (‘Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture’) e di cui all’articolo 1 del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34 (‘Regolamento recante istituzione del sistema di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici, ai sensi dell’articolo 8 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni’);
– si censurava l’operato della stazione appaltante per avere questa affidato l’esecuzione di lavori a un’impresa priva dell’attestazione SOA;
– si invitava il Sindaco e i responsabili dell’Ufficio di controllo interno a “far conoscere le misure che intende adottare per evitare il ripetersi di tali fenomeni entro il termine di 30 giorni dalla data di ricevimento” della delibera.
La delibera in questione veniva impugnata dal Comune di Agnadello dinanzi al T.A.R. della Lombardia – Sezione staccata di Brescia il quale accoglieva il ricorso e, per l’effetto, annullava la delibera medesima per la parte in cui chiedeva di comunicare entro un tempo dato le attività amministrative che il comune avrebbe dovuto realizzare al fine di conformarsi al contenuto della delibera medesima.
La sentenza in questione è stata gravata in appello dall’A.V.C.P. la quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi.
In primo luogo, l’Autorità appellante osserva che il contenuto della richiamata delibera non recasse un contenuto lesivo per la sfera giuridica del Comune, risolvendosi in una mera richiesta di informazioni certamente rientrante nel suo potere di vigilanza in materia di contratti pubblici.
Né può ritenersi che il contenuto delle indicazioni contenute nella medesima delibera postulasse l’esercizio una sorta di potere gerarchico da parte dell’Autorità nei confronti del Comune.
D’altronde, la delibera in questione non recava – per il caso di mancato riscontro alle richieste ivi formulate – la comminatoria delle sanzioni pecuniarie di cui all’articolo 6, comma 11 del ‘Codice dei contratti’ (sanzione conseguente al rifiuto o all’omissione, senza giustificato motivo, di fornire le informazioni o di fornire i documenti richiesti dall’Autorità).
Si tratterebbe, al contrario, dell’esercizio di una mera attività sollecitatoria, in quanto tale non lesiva della sfera giuridica del Comune.
Ma anche a ritenere che la delibera impugnata in primo grado contenesse davvero una prescrizione vincolante per il Comune (in quanto tale assistita dalla comminatoria di una sanzione pecuniaria), non era la delibera prescrizionale in quanto tale a concretare un pregiudizio in capo al Comune, atteso che un tale effetto pregiudizievole non poteva che essere connesso al (meramente eventuale e successivo) provvedimento sanzionatorio.
Da ultimo – e in via subordinata – l’Autorità osserva che, quand’anche si ritenesse di ascrivere la delibera in parola all’ambito delle richieste vincolanti di informazioni di cui all’articolo 5, comma 9 del ‘Codice dei contratti’, l’atto in questione non avrebbe comunque potuto essere annullato, essendosi la stessa Autorità attenuta nella sua adozione al pertinente paradigma normativo.
Alla pubblica udienza del 19 novembre 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (d’ora innanzi: ‘l’A.V.C.P.’ o ‘l’Autorità’) avverso la sentenza del T.A.R. della Lombardia – Sezione staccata di Brescia con cui è stata annullata la delibera dell’Autorità con la quale era stata ravvisata la violazione – da parte di un comune lombardo – della disciplina in tema di contratti ad evidenza pubblica e, per l’effetto, era stato chiesto agli Organi comunali di far conoscere le misure che intendesse adottare per evitare il ripetersi di tali fenomeni per il futuro.
2. L’appello è fondato.
2.1. Al riguardo si osserva che, effettivamente, dall’esame degli atti di causa emerge che la delibera impugnata in primo grado non recasse un contenuto prescrittivo e vincolante nei confronti del Comune appellato, sì da alterarne l’esclusiva sfera decisionale. Al contrario, tale delibera si risolveva in una pura e semplice richiesta di informazioni in ordine all’esercizio di un’attività amministrativa comunque rientrante nella sfera di competenze del Comune e per il cui esercizio l’Autorità non indicava – contrariamente a quanto ritenuto dal Comune e poi dal T.A.R. – alcun contenuto puntuale e vincolante.
Né può ritenersi che il richiamo al puro e semplice rispetto della normativa comunitaria e nazionale in tema di evidenza pubblica fosse di per sé idoneo a prescrivere in modo vincolante anche nel quomodo il contenuto degli atti connessi all’attività contrattuale del Comune.
Allo stesso modo, l’appello in epigrafe è meritevole di accoglimento per la parte in cui ha osservato che il mancato richiamo – nell’ambito della delibera impugnata in primo grado – alle sanzioni di cui all’articolo 6, comma 11 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (per il caso di mancato rispetto delle richieste formulate ai sensi del comma 9 del medesimo articolo 6) deponesse ex se nel senso di escludere che le più volte richiamate richieste formulate in sede di delibera fossero ascrivibili all’ambito dei poteri istruttori previsti dall’articolo 6, comma 11 del ‘codice’ (si tratta della disposizione secondo cui “nell’ambito della propria attività l’Autorità può: a) richiedere alle stazioni appaltanti (…) documenti, informazioni e chiarimenti relativamente ai lavori, servizi e forniture pubblici, in corso o da iniziare al conferimento di incarichi di progettazione, agli affidamenti”).
Anche per tale ragione ne resta confermata la conclusione – dinanzi delineata – secondo cui la delibera impugnata in primo grado non comportasse l’esercizio di poteri prescrizionali da parte dell’Autorità e che quindi (a fortiori) essa non comportasse l’indicazione vincolante del contenuto di atti comunque rientranti nella sfera di competenza dell’ente locale.
Il rilievo appena svolto rende non necessario ai fini del decidere l’esame dell’ulteriore motivo di appello (comunque fondato su argomenti persuasivi) secondo cui, in ogni caso, l’eventuale violazione della sfera di competenze e di interessi del Comune non poteva in alcun modo dirsi violata in conseguenza di una mera – quanto generica – richiesta di informazioni, ma si sarebbe, se del caso, concretata solo laddove l’Autorità avesse fatto seguire alla mancata prestazione delle informazioni richieste l’adozione delle misure sanzionatorie di cui all’articolo 6, comma 11 del ‘codice’ (misure sanzionatorie che, è bene ricordarlo, non erano state neppure richiamate in sede di richiesta di informazioni).
3. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso in epigrafe deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere disposta la reiezione del primo ricorso
Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza in epigrafe, respinge il ricorso di primo grado.
Spese compensate
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2013

Redazione