Appalti pubblici – Appalto a prezzo chiuso – Applicazione disciplina revisione prezzi – Va esclusa – Ragioni (Cons. Stato, n. 4349/2013)

Redazione 02/09/13
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FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il T.a.r. per la Puglia respingeva il ricorso n. 3327 del 2000 (integrato da motivi aggiunti), proposto dalla MO.TE.CO. s.r.l., in proprio e quale mandataria in a.t.i. con Tecnochimica (ora Sicem), avverso il certificato di collaudo del 29 settembre 2000, relativo ai lavori di sistemazione idraulica agraria in agro di Ostuni – aggiudicati alla ricorrente all’esito di una gara d’appalto per licitazione privata, promossa dal Consorzio Speciale per la Bonifica di Arneo e svolta con il metodo della offerta economicamente più vantaggiosa ex art. 24, comma 1, lett. b), legge 8 agosto 1977 n. 584 (la lettera d’invito risaliva al 31 gennaio 1992) – nonché avverso la determinazione n. 279 del 15 dicembre 2000 della stazione appaltante, di approvazione del certificato di collaudo, nella parte in cui era stata negata la revisione dei prezzi contrattuali.

Il T.a.r., previa reiezione dell’eccezione di carenza di giurisdizione, sollevata dalle parti resistenti, respingeva il ricorso nel merito, poiché non sarebbe stato ravvisabile il denunciato vizio di carenza di motivazione (dedotto sotto il profilo che il certificato di collaudo si sarebbe limitato a dichiarare, in modo apodittico, che “non si applica la revisione prezzi”), tenuto pure conto del complesso degli atti relativi all’appalto in questione, da cui emergevano le ragioni poste dalla stazione appaltante a base della mancata applicazione dell’istituto della revisione dei prezzi;

– affermava l’applicabilità, alla fattispecie sub iudice, del divieto della revisione dei prezzi, di cui all’art. 3, d.-l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992 n. 351, in quanto, per un verso, si sarebbe trattato di un appalto “a forfait chiuso, chiavi in mano”, al quale sarebbe stato inapplicabile l’istituto della revisione dei prezzi, di cui all’art. 33, comma 3, legge 28 febbraio 1986 n. 41, e, per altro verso, il vincolo contrattuale avrebbe dovuto ritenersi sorto solo dopo l’entrata in vigore della disposizione normativa introduttiva del divieto, con la sua conseguente applicabilità al rapporto in esame.

2. Avverso tale sentenza interponeva appello la parte ricorrente e soccombente, sostanzialmente riproponendo i motivi già dedotti in primo grado, seppure adattati all’impianto motivazionale dell’appellata sentenza.

3. All’udienza pubblica del 7 maggio 2013 la causa veniva trattenuta in decisione.

4. Premesso che la statuizione reiettiva dell’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della presente controversia non è stata impugnata, sicché sul relativo capo di sentenza si è formato il giudicato endoprocessaule ed ogni relativa questione esula dal devolutum, si osserva nel merito che l’appello è infondato.

4.1. In primo luogo, nell’appellata sentenza correttamente è stata disattesa la censura di carenza di motivazione del diniego di riconoscimento della revisione dei prezzi richiesta dall’aggiudicataria, potendosi dalla lettura complessiva degli atti relativi all’appalto in esame desumere che la ragione di tale diniego era riconducibile al contrasto con le specifiche previsioni contrattuali e con la disciplina normativa, ostative alla richiesta revisione, e che l’odierna appellante era pienamente consapevole di tale posizione della stazione appaltante (come emerge dal tenore della riserva n. 20, nel cui ambito l’aggiudicataria aveva evidenziato il contrasto emerso tra le parti in ordine alla revisione dei prezzi).

4.2. I primi giudici hanno, poi, a ragione confermato la legittimità del diniego (da parte della stazione appaltante) di riconoscimento della revisione dei prezzi, in quanto:

– il contratto, stipulato il 21 giugno 1994, aveva previsto espressamente la natura fissa ed invariabile dei prezzi, escludendone la revisione (v. le premesse, a p. 5 del documento contrattuale, nonché le clausole di cui agli artt. 3 e 8 del contratto);

– l’odierna appellante, nell’offerta, aveva espressamente dichiarato di essere “consapevole che trattasi di appalto a forfait chiuso, chiavi in mano, nel senso che, a fronte del prezzo offerto, l’appaltatore rimarrà obbligato ad eseguire l’opera così come definita dal progetto dell’Amministrazione, con le migliorie proposte dall’impresa, alle condizioni indicate nel capitolato speciale d’appalto, nella lettera di invito e nell’offerta, senza possibilità di invocare alcuna circostanza esimente, dovendo l’appaltatore medesimo accettare, in base alla verifica di ogni parte del progetto e dei luoghi, nonché a calcoli di propria convenienza, ogni e qualsiasi rischio connesso con la esecuzione dell’opera”, e confermato tale impegno nella nota del 29 ottobre 1992, successiva all’aggiudicazione provvisoria e richiamata nel contratto;

– l’evidenziata ed univoca qualificazione contrattuale dell’appalto come “a prezzo chiuso” escludeva l’applicabilità della disciplina in materia di revisione dei prezzi (sull’incompatibilità dei due sistemi, v., per tutte, Cass. civ., sez. I, sent. 18 maggio 2012 n. 7917), ponendosi come ragione autonomamente sufficiente a sorreggere la posizione negativa assunta dalla stazione appaltante [a prescindere, cioè, dalla questione dell’eventuale applicabilità –ratione temporis – al caso in esame del divieto di revisione dei prezzi d’appalto, introdotto dall’art. 3, d.-l. n. 333 del 1992 (entrato in vigore l’11 luglio 1992), su cui v. le considerazioni che seguono].

Come, poi, altrettanto correttamente rilevato dal T.a.r., il vincolo contrattuale deve, ad ogni modo, ritenersi perfezionato solo in epoca successiva all’entrata in vigore del citato art. 3, d.-l. n. 333 del 1992, in quanto:

– solo il 28 dicembre 1993 era intervenuta la deliberazione n. 5685/1993 della Giunta regionale, con la quale il Consorzio di bonifica era stato autorizzato a disporre l’aggiudicazione definitiva, ed il contratto era stato stipulato solo il 21 giugno 1994;

– contrariamente a quanto sostenuto dalla parte attuale appellante, non avrebbe potuto, dunque, ritenersi sufficiente l’aggiudicazione provvisoria, disposta dal Consorzio di bonifica con deliberazione n. 72 del 14 aprile 1992, inidonea a perfezionare il vincolo contrattuale (infatti, la lettera d’invito prevedeva espressamente che: “L’aggiudicazione provvisoria verrà disposta con provvedimento della Deputazione Amministrativa del Consorzio, sulla base della graduatoria di cui al precedente punto, fatti salvi i provvedimenti definitivi della Regione Puglia”);

– la considerazione appena svolta è ulteriormente suffragata dalla circostanza che l’autorizzazione della Giunta regionale all’aggiudicazione definitiva era intervenuta solo all’esito dei pareri dell’Ufficio del Genio civile di Brindisi e del Comitato regionale tecnico amministrativo, favorevoli all’approvazione del progetto “per come modificato con le proposte di variante emerse dalla gara di appalto”, essendosi dunque perfezionato l’incontro tra le volontà delle parti contrattuali solo in esito alla seconda fase, successiva all’assegnazione provvisoria e che non era di semplice controllo, ma implicava un’ulteriore valutazione circa l’idoneità del progetto.

Pertanto, l’impugnato diniego di riconoscimento della revisione dei prezzi trova un autonomo fondamento legittimante anche nel menzionato divieto introdotto dall’art. 3, d.-l. n. 333 del 1990, applicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta in giudizio.

4.3. Per le esposte ragioni, s’impone la reiezione dell’appello, con assorbimento di ogni altra questione, ormai irrilevante ai fini decisori, e con salvezza dell’impugnata sentenza.

5. In applicazione del criterio della soccombenza, gli oneri del presente grado di giudizio, come liquidati nella parte dispositiva, devono essere posti a carico della parte appellante e soccombente.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione VI), respinge l’appello (r.g.n. 9941/2009) e condanna la parte appellante e soccombente a rifondere a quelle appellate e vittoriose (Consorzio di bonifica e Regione Puglia) gli oneri processuali del presente grado, liquidati in complessivi euro diecimila/00 (in ragione di metà per ciascuno).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2013

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