Anziana ricoverata in ospedale, muore sotto il crollo del tetto: è responsabile chi aveva la manutenzione dell’edificio (Cass. pen. n. 3290/2013)

Redazione 22/01/13
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Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Genova, con sentenza del 23/11/2009, giudicò T.G., C.A., A.A., B.M., **** e M.R., chiamati a rispondere di plurime contestazioni di reato: tutti, tranne il M., di omicidio colposo ai danni di P.R. , la quale gravemente malata e non autosufficiente, veniva attinta da una parte dell’intonaco venuto a crollo dal tetto presso l’ASP (omissis) , (locali della ASL (omissis) di Genova, concessi in comodato all’ASP), ove la vittima era ricoverata; del reato di cui all’art. 449, cod. pen.; il solo T. e costui insieme al M. del reato di cui all’art. 677, cod. pen., per l’omessa attivazione per la manutenzione di parti varie dell’edificio.
Disposta restituzione degli atti al P.M., ai sensi dell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen., in relazione ai reati ascritti a C.A., A.A., B.M. al capo b) e a T.G. ai capi b) e c) perché, con riferimento alla situazione constatata nei locali del blocco 2, piano terra, stanze 1, 4 e 5, il fatto è diverso da come descritto nel capo d’imputazione; assolti C.A., A.A. e B.M. dall’imputazione di cui al capo a) e da quella di cui al capo b) – limitatamente ai distacchi di intonaco verificatisi nel blocco 6 – per non avere commesso il fatto e dall’imputazione di cui al capo b) – limitatamente ai distacchi di intonaco verificatisi nel blocco 4 piano terra lavanderia – perché il fatto non sussiste; M.R. dall’imputazione ascrittagli, perché il fatto non sussiste; assolto T.G. dall’imputazione di cui ai capi b) e c) – limitatamente ai distacchi di intonaco verificatisi nel blocco 4, piano terra, lavanderia – e da quello di cui al capo d) perché il fatto non sussiste e dichiarato non doversi procedere nei confronti di F.C., essendo estinto per prescrizione il reato ascrittogli; dichiarato T.G. colpevole del reato di cui al capo a) e del reato di cui al capo b) – diversamente qualificato il fatto come violazione dell’art. 677, cod. pen., ed in esso assorbito il reato di cui al capo c) – limitatamente ai distacchi di intonaco verificatisi nel blocco 6, quale responsabile dell’Unità Operativa Manutenzione dell’ASL (omissis), concesse le attenuanti generiche e ritenuto il concorso formale fra i due reati, lo condannò alla pena sospesa stimata di giustizia, ordinando la non menzione.
1.1. La Corte d’Appello di Genova, investita dall’impugnazione del T. , con sentenza del 21/11/2011, dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 677, cod. pen., estinto per intervenuta prescrizione, e ridotta, di conseguenza, la pena, confermò nel resto la statuizione di primo grado.
2. L’imputato proponeva ricorso per cassazione.
3. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “insufficiente motivazione”, con violazione della lett. e) (erroneamente indicata nel sommario della censura come lettera c) del comma 1 dell’art. 606, cod. proc. pen., in ordine alla ricostruzione della causa del crollo, da doversi far risalire non ad omessa manutenzione dello stabile, bensì a responsabilità dell’impresa appaltatrice dei lavori.
Limitandosi ad aderire supinamente agli argomenti del giudice di primo grado la Corte territoriale era venuta meno al dovere di fornire congrua risposta allo specifico motivo d’appello.
In particolare, ininfluente avrebbe dovuto ritenersi la circostanza che gli intonaci avevano tenuto ai microfori praticati dall’impresa per posizionare i pannelli della controsoffittatura; inoltre, non era stato tenuto in debito conto che nell’indagine svolta dall’ing. Bo. era risultato che ben il 78% degli intonaci verificati era a rischio, con la conseguenza che la ditta R. non aveva effettuato la sistematica verifica di tutti i solai, siccome, invece, impostole dal capitolato.
3.1. Con il secondo motivo viene denunciato il medesimo vizio motivazionale per avere il giudice d’appello reputato superfluo accertare l’esatta individuazione della causa del distacco.
Causa che, invece, era indispensabile acclarare, anche al solo fine di escludere eventuali manomissioni da parte di terzi.
Inoltre, una tale indifferenza conoscitiva cozzava con l’eccellente elaborato del consulente di parte, prof. D.G. , il quale aveva escluso, con abbondanza di argomenti, che il crollo dovesse farsi risalire ad una infiltrazione di acqua meteorica dal camino, rovesciatosi in occasione di eventi meteorologici. Infine, in evidente contrasto con il ragionamento del giudice di primo grado, che, tuttavia, la Corte territoriale dichiara di condividere, si era reputato, come si è visto, ininfluente la ricerca della specifica causa del crollo, che, invece, solo ove attribuibile a difetto di manutenzione (secondo la ricostruzione del tribunale) si sarebbe potuto addebitare a colpa dell’imputato, quale responsabile dell’Unità Operativa Manutenzione.
3.2. Con il terzo motivo il ricorrente evidenzia violazione della lett. b) dell’art. 606, cod. proc. pen., avendo la Corte territoriale errato nell’interpretare le regole contrattuali afferenti al rapporto tra la ASL (omissis) e l’impresa appaltatrice, nonché tra la prima e l’ASP (omissis), con la conseguenza che anche le conclusioni concernenti l’individuazione del soggetto chiamato ad assicurare la sicurezza dei luoghi era errata.
La consegna anticipata (come nel caso in esame) di una parte dell’opera, pur in presenza di collaudo, non libera l’appaltatore fino a che il committente non l’accetti e proprio in ragione della detta regola erano stati formulati gli artt. 37 e 42 del capitolato d’appalto (all’appaltatore l’onere della manutenzione, salvo quei lavori dipendenti da usura causata dall’uso).
Quando al secondo rapporto, solo limitatamente ad un anno (periodo di durata del contratto espressamente stabilito) l’accordo fra l’ASL e l’ASP derogava all’art. 1808, cod. civ., ponendo a carico del comodante le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria; di conseguenza, nel periodo successivo al 25/1/2003, ripresa vigore la normativa generale, spettava all’ASP far luogo alla manutenzione ordinaria, anticipando anche le spese necessarie per quella straordinaria, avendo, inoltre, l’obbligo della diligente custodia, restando, così, l’ASL esonerata dalla responsabilità di cui all’art. 2051, cod. civ.
3.3. Con il quarto motivo viene denunziato travisamento della prova ed illogicità della motivazione.
Avrebbe dovuto essere l’ASP a garantire l’incolumità della propria assistita ricoverata, assicurando la costante agibilità e abitabilità dei locali.
3.4. Con l’ultimo motivo il ricorrente evidenzia erronea applicazione di atti amministrativi rilevanti in questa sede.
La sentenza era censurabile per non avere individuato puntualmente il discrimine tra le competenze dell’Unità Operativa Grandi Opere Edili e quella di Manutenzione, alla quale era preposto l’imputato, unità entrambi costituenti articolazioni dell’ASL (omissis).
A fronte del palesato dubbio da parte del giudice di primo grado si riscontrava l’approccio semplificatorio della sentenza di secondo grado, la quale aveva escluso la competenza della prima in relazione all’intervento che avrebbe evitato il crollo. In particolare, a mente della deliberazione del Direttore Generale n. 1796 del 31/12/2003, solo ad avvio delle funzioni sanitarie, quindi dopo l’accettazione dell’opera, sarebbe venuta meno la competenza delle “Grandi Opere”. Qualunque serio intervento manutentivo non avrebbe potuto essere che posteriore e solo dopo acquisita tutta la documentazione concernente l’immobile.
Infine, il ricorrente segnala l’erronea applicazione dell’art. 1673, cod. civ., il quale se il deterioramento si verifica prima dell’accettazione e lo stesso non è imputabile ad alcuna delle parti, il costo per il ripristino viene posto a carico dell’appaltatore.

 

Considerato in diritto

4. Il ricorso è infondato.
4.1. Esaminando unitariamente le due prime censure, intimamente connesse, in quanto riconducibili alla verifica del nesso di causalità, può precisarsi quanto segue.
La Corte territoriale, niente affatto limitatasi a recepire acriticamente il percorso argomentativo del giudice di primo grado, tuttavia richiamato e legittimamente fatto proprio, ha diffusamente ed analiticamente, senza incorrere in contraddizioni ed illogicità rilevanti in questa sede, sconfessato le tesi difensive, oggi riprese, in larga parte senza tener conto delle risposte fornite dal giudice di secondo grado.
Fermo restando che il crollo avvenne per il concorso di più cause, tutte, comunque, capaci di procurare il tragico evento a causa del mancato intervento manutentivo perdurato a lungo nel tempo, correlate all’usura, ad eventi meteorologici particolarmente avversi e al cedimento di impianti tecnologici (rigonfiarsi dei ferri, reiterate gravi infiltrazioni dovute a copiosi nubifragi, decapitazione di camini, rottura di tubazioni), quel che rileva in questo processo, come esattamente evidenziato dalla Corte territoriale, è che l’imputato ebbe la colpa di aver omesso d’intervenire nella qualità di responsabile del pertinente servizio e, comunque, in caso d’impossibilità di una efficace opera manutentiva, dovuta a ragioni pratiche o giuridiche, non provvide a segnalare alla direzione dell’ASL l’urgente necessità di sgombrare i locali.
Affermare che l’individuazione e l’isolamento della causa da considerarsi efficiente (ammesso che ciò sia possibile) appare del tutto ininfluente. Né emergono plausibili ragioni per dar spazio alla mera congettura difensiva, secondo la quale un tale accertamento si sarebbe reso necessario per lo meno al fine di escludere il fatto del terzo, qui del tutto estraneo alle ipotesi prospettabili.
Non censurabile deve ritenersi l’affermazione in sentenza, secondo la quale, ove la situazione di degrado prossima al crollo fosse stata presente al momento dello svolgimento dei lavori, a seguito dell’impianto del controsoffitto, almeno in qualche punto l’intonaco del tetto sarebbe dovuto crollare: Infatti, se è pur vero che i pannelli vennero assicurati con l’ausilio di semplici viti, la capillare pluralità delle stesse, unitamente alle vibrazioni causate dagli strumenti di perforazione utilizzati per il loro collocamento, avrebbe dovuto far venir giù almeno qualche pezzo dell’intonaco, il quale, peraltro, ha, come noto, consistenza particolarmente vulnerabile. Analogamente ineccepibile deve ritenersi l’affermazione secondo la quale gli accertamenti svolti ex post sulla stabilità degli intonaci, i quali avvennero a distanza di molti anni dalla redazione del progetto esecutivo (1994), dall’inizio dei lavori (1996) e dal completamento degli stessi (2002) non potevano essere in grado di dimostrare lo stato degli stessi al momento della consegna dei padiglioni da 1 a 6.
Specie ove si presti attenzione al confronto con la lunga serie di episodi d’infiltrazioni d’acqua, analiticamente passata in rassegna nella sentenza gravata (cfr., in ispecie pagg. 18 e 19), verificatisi successivamente alla consegna dei detti padiglioni, ed interessanti aree contigue e prossime a quella del crollo; nonché alle risultanze emergenti dalla relazione svolta dai Vigili del Fuoco, i quali ebbero modo di constatare il grave degrado degli intonaci del padiglione ove si trovava la vittima.
In ogni caso, peraltro, non è dato cogliere la ragione per la quale il responsabile per la manutenzione avrebbe dovuto restare esonerato dall’intervenire ove il pericolo fosse derivato, in tutto o in parte, da vizi addebitabili all’appaltatore, piuttosto che a degrado fisiologico, posto che il blocco 6 era stato da anni consegnato all’ASL e da questa utilizzato, tramite la convenzione di cui s’è detto.
Nessuna apprezzabile contraddizione devesi, inoltre, rilevare tra le due sentenze di merito per il fatto che la Corte genovese ha affermato, avvalendosi delle risultanze tecniche in atti, l’irrilevanza dell’esatta individuazione della causa dell’evento, apparendo logico reputare che, sul punto, il giudice di secondo grado abbia proceduto, correttamente, a correggere la motivazione di quello di primo grado.
4.2. Neppure il terzo ed il quarto motivo colgono nel segno. Non influisce punto sulle questioni qui in esame la ricostruzione civilistica del rapporto intercorso tra l’impresa appaltatrice e la stazione appaltante (l’ASL): invero, quali che siano gli obblighi dell’appaltatore in caso di consegna anticipata di parte dell’opera, derivanti da vizi della stessa, non può essere messo in dubbio che il committente, il quale si riceve il fabbricato (i padiglioni di cui detto) assume, per ciò stesso, la funzione di garante nei confronti dei soggetti che il detto fabbricato frequenteranno o in esso, addirittura, stazioneranno in permanenza.
A ben vedere senza fondamento appare, di poi, il tentativo di far derivare dalle norme sul comodato la conclusione secondo la quale l’ASL, al momento del crollo, non rivestiva la detta funzione di garanzia nei confronti della vittima.
Volutamente omettendo l’esatto inquadramento della vicenda fattuale, ben illustrato dalla Corte di Genova, che vide due pubbliche amministrazioni (l’ASL e l’IPAB …) , alla quale succedette l’ASP) far luogo ad un protocollo d’accordo, così da assicurare la presa in carico di pazienti lungo degenti, che l’ASL affidava all’IPAB, mettendo a disposizione i relativi locali, la questione della penale responsabilità non può essere risolta richiamando l’art. 1808, cod. civ. (ammesso che l’intesa fra i due enti possa risolversi facendo esclusivo riferimento alle norme civilistiche regolanti il comodato), il quale ha il solo scopo di stabilire il riparto delle spese occorse per la riparazione della cosa fra comodante e comodatario. L’obbligo del comodatario, invero, di affrontare le spese necessarie per l’uso della cosa (ad es. canoni per corrente elettrica, acqua, riscaldamenti, ecc.) e di anticipare quelle occorrenti per le spese straordinarie, necessarie e urgenti sostenute per la conservazione della stessa, in nulla elide quello del proprietario di garantire (art. 2051 e 2053, cod. civ.) i terzi dai danni che dalla cosa derivino. In definitiva, il comodatario, salvo, poi, se del caso, ad individuare una concorrente responsabilità dello stesso, non solleva il comodante proprietario dagli obblighi propri derivanti dalla titolarità. Il caso concreto, poi, mostra piuttosto emblematicamente l’effettiva impossibilità del comodatario di prevenire l’evento: le gravi infiltrazioni venivano regolarmente segnalate e, comunque, erano note all’ASL; senza contare che gli interventi avrebbero dovuto interessare parti non concesse in comodato.
Le vicende, poi, attinenti alle certificazioni di abitabilità e agibilità, antincendio, attraverso le quali l’impugnante intende evocare la responsabilità dell’impresa appaltatrice e della Unità Operativa Grandi Opere Edili, risultano palesemente ininfluenti.
4.3. Chiaramente forzata appare l’interpretazione delle competenze dell’Unità Operativa Grandi Opere Edili.
La unità di cui detto, come esattamente evidenziato dai giudici di merito, svolgeva il compito di progettare e seguire l’intrapresa edificazione di nuovi manufatti edilizi ospedalieri, senza competenze alcuna sulla manutenzione (non è contestata l’assenza di manutentori).
La circostanza che, per determinazione dirigenziale, all’unità in parola fossero state attribuite competenze fino all’avvio delle funzioni sanitarie, non significa affatto, come, al contrario, vorrebbe il ricorrente, che le dette competenze vengano meno solo con l’accettazione dell’opera da parte dell’ASL, bensì, più in generale, come appare ragionevole, con l’avvio d’utilizzo degli immobili. Ovviamente, senza che sussista il formalistico ostacolo prospettato dal ricorrente, ove occorrente, la documentazione, se del caso ancora in possesso dell’appaltante (non transitata, cioè, con la consegna anticipata), potrà e dovrà essere messa a disposizione del committente e per questo alla Unità Operativa Manutenzione, onde consentire le riparazioni e gli interventi che si fossero resi necessari.
5. Al rigetto consegue la condanna alle spese processuali.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione