Annullamento in autotutela del permesso di costruire: individuazione dell’interesse pubblico e accertamento del pregiudizio del privato (Cons. Stato n. 5411/2012)

Redazione 23/10/12
Scarica PDF Stampa

FATTO e DIRITTO

1.- Il Comune di San Giorgio in Bosco rilasciava in data 10 marzo 1994 alla società immobiliare **** s.r.l. la concessione edilizia n. 189/92 per la costruzione di due edifici plurifamiliari in zona urbanistica classificata “ZTO C/2” (zona semintensiva di espansione).

I lavori venivano avviati dal sig. F. Carmelo che aveva acquistato la proprietà del suolo (comunicazione di inizio lavori del 9 aprile 1994).

In data 14 marzo 1995, l’amministrazione comunale annullava la concessione edilizia per contrasto con l’art. 3 delle NTA del piano di fabbricazione al tempo vigente che richiedeva la previa approvazione del piano di lottizzazione e sul presupposto che non fosse applicabile il disposto degli artt. 9, comma 3 e 109 della l. reg. n. 61 del 1985, che consentivano il rilascio della concessione in diretta attuazione delle previsioni del piano generale.

2.- Con ricorso al TAR Veneto, F. Carmelo gravava la determinazione in autotutela del Comune.

Nelle more del giudizio, veniva approvato il Piano Regolatore Generale che rendeva inedificabile il lotto oggetto di causa, avendolo compreso all’interno della zona classificata “coni visuali”, ove ai sensi dell’art. 34 delle NTA vigeva un vincolo di inedificabilità assoluta.

F. Carmelo gravava anche il piano regolatore in parte qua.

3.- Il TAR Veneto con sentenza n. 3227 del 19 aprile 2001 rigettava il ricorso promosso avverso l’atto di autotutela, mentre accoglieva il ricorso avverso la variante alla previsione edificatoria dell’area.

4.- Con l’atto in esame F. ******* ha proposto appello per l’annullamento o la riforma della suddetta sentenza nella parte lesiva, alla stregua dei seguenti motivi:

violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 3 e dell’art. 109 della l. reg. n. 61 del 1985;

carenza dei presupposti per l’intervento in autotutela;

sviamento e violazione dell’art. 78, comma 5, della l. reg. n. 61 del 1985.

Si è costituito in giudizio il Comune di San Giorgio in Bosco che ha chiesto il rigetto dell’appello.

Le parti hanno depositato memorie difensive e di replica e, alla pubblica udienza del 24 aprile 2012, il giudizio è stato assunto in decisione.

5.- L’appello è infondato e va respinto.

L’area di proprietà dell’appellante ricade in zona territoriale omogenea di espansione C2 destinata dal piano di fabbricazione al tempo vigente ad edifici residenziali di tipo semintensivo.

Secondo gli artt. 3 e 17 delle NTA del p.d.f., l’utilizzazione edificatoria dell’intera zona richiedeva la redazione del piano di lottizzazione (l’art. 3 delle NTA nel disciplinare l’attuazione degli interventi edilizi stabiliva che “La zona C2 si attua esclusivamente mediante piano di lottizzazione convenzionato”), sicché non era possibile un intervento edilizio in diretta attuazione delle previsioni del piano generale.

5.1- L’appellante, invero, sostiene che la ZTO C2 sarebbe stata suddivisa in due ambiti distinti, con separazione dell’area interessata dall’edificazione, suscettibile di concessione diretta, dall’area residua soggetta a piano di lottizzazione.

Trattasi, invero, di affermazione priva di supporto giustificativo, atteso che la disciplina prevede indistintamente per l’intera area C2 il vincolo procedimentale del piano di lottizzazione.

Quanto alla circostanza che nella rappresentazione grafica della zona, vi sia una linea tratteggiata che separa la parte contigua alla S.S. Valsugana dalla restante area, non corrispondendo ad essa una distinta disciplina urbanistica, non può che avere il significato di perimetrare i tendenziali ambiti stralci della strumentazione attuativa.

E’ principio generale quello secondo il quale, se vi è contrasto tra le indicazioni grafiche del piano regolatore generale e le prescrizioni normative, sono queste ultime a prevalere, in quanto in sede di interpretazione degli strumenti urbanistici, le risultanze grafiche possono solo chiarire e completare quanto è normativamente stabilito nel testo, ma non possono sovrapporsi o negare quanto risulta da questo (Cons. Stato, V, 22 agosto 2003, n. 4734; sez. IV, 12 giugno 2007, n. 3081).

La censura è in conseguenza infondata.

5.2- Assume l’appellante che alla luce della disciplina urbanistica locale per le zone ZTO C2, l’edificabilità diretta del lotto in questione sarebbe stata possibile in applicazione del combinato disposto degli artt. 9 e 109 della legge urbanistica regionale n. 61 del 1985.

L’assunto è privo di pregio.

La norma urbanistica derogatoria trova, infatti, applicazione solamente nel caso di lotto residuo rispetto ai lotti contermini interamente edificati o se la zona sia dotata di tutte le opere di urbanizzazioni primarie e secondarie.

Dagli atti depositati in giudizio e, in particolare, dal verbale di sopralluogo dell’U.T.C. del 22 febbraio 1995 e dall’allegato rilievo fotografico, si evince che il lotto di cui si discute rappresenta una limitata porzione di terreno di mq 2.052 all’interno di un’area inedificata di mq 80.0000 circa.

Esso, quindi, non costituisce un lotto residuo e ciò anche a voler considerare il mappale 603 nel solo contesto della zona denominata dall’appellante “distretto A”, cioè quella posta ad ovest del tratteggio riportato sulle tavole di piano.

Infatti la suddetta zona, interessata nel 1990 da un frazionamento che individuava tre lotti, è rimasta inedificata, perché nessuno dei lotti è stato interessato da interventi edilizi (l’unica concessione edilizia rilasciata è stata annullata con sentenza del TAR Veneto n. 102 del 1999).

Quanto alle opere di urbanizzazione, secondo la rappresentazione fatta dal Comune, l’area ne è del tutto carente, mancando addirittura di una strada di accesso, di impianti fognari e di un raccordo con l’aggregato abitativo preesistente.

In conclusione non sussistevano le condizioni per il rilascio della concessione diretta, senza considerare poi che la notevole rilevanza ed impatto urbanistico dell’intervento consistente nella realizzazione di due condomini per un totale di dieci appartamenti, in mancanza di un piano di dettaglio, avrebbe compromesso il corretto ed ordinato assetto urbanistico della zona.

5.3- Con il terzo motivo l’appellante censura il provvedimento di annullamento in autotutela per mancanza dei presupposti, in quanto non sussisterebbe l’interesse pubblico alla rimozione della concessione edilizia già rilasciata e perché, comunque, tale interesse sarebbe recessivo rispetto al grave pregiudizio arrecato ad esso ricorrente.

La censura è infondata.

E’ preciso dovere dell’amministrazione comunale, cui è affidata la gestione del territorio, evitare la compromissione dell’ordinato sviluppo urbanistico che va attuato attraverso gli strumenti pianificatori generale e di dettaglio. Sussiste, quindi, l’interesse pubblico dell’amministrazione alla rimozione in autotutela di provvedimenti assunti in violazione della disciplina urbanistica – edilizia.

Quanto al pregiudizio arrecato al ricorrente, esso non è ravvisabile, atteso che l’atto di annullamento in autotutela è intervenuto nell’arco di un anno circa dal rilascio della concessione edilizia e che a tale data non era stata realizzata alcuna opera di costruzione, ma solo modesti movimenti di terra, fatti tempestivamente oggetto di sospensione con l’ordinanza di sospensione lavori dell’8 marzo 1995.

Le circostanze rappresentate escludevano di per sé la necessità di effettuare il raffronto tra l’interesse pubblico ad un ordinato assetto urbanistico e l’interesse privato pregiudicato dall’annullamento, in disparte il fatto che il ricorrente era ben consapevole del regime urbanistico edilizio dell’area, risultando dal certificato di destinazione urbanistica allegato all’atto di compravendita.

5.4- L’appellante insiste poi nel ritenere che l’atto nominato come annullamento in autotutela sarebbe invece un atto di revoca a seguito di una nuova valutazione urbanistica dell’area.

La censura è priva di fondamento, atteso che sia il nomen iuris che le ragioni del provvedimento qualificano univocamente l’atto come espressione del potere di annullamento in autotutela.

Per le ragioni esposte, l’appello deve essere respinto.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, respinge l ‘appello.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 aprile 2012

Redazione