Anche l’avvocato non cassazionista può presentare istanza di regolamento di competenza (Cass. n. 24740/2013)

Redazione 05/11/13
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Ordinanza

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 17 maggio 2011 Sorim s.r.l. propose opposizione, innanzi al Tribunale di Napoli, avverso il decreto ingiuntivo con il quale, a istanza di T.I.A. s.r.l. (già S.E.T. s.r.l.), le era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 1.413.219,00, eccependo, in limine, l’incompetenza del giudice adito.

Resistette l’opposta.

Nel giudizio intervenne **** s.r.l., quale cessionaria del credito azionato.

Con sentenza pronuncia all’udienza dell’8 novembre 2012 il giudice adito ha dichiarato la propria incompetenza, in virtù dell’esistenza, nel contratto stipulato dalle parti in data 11 marzo 1999, di una clausola compromissoria contente, ad avviso del decidente, la previsione di un arbitrato irrituale.

Avverso detta pronuncia hanno proposto ricorso per regolamento di competenza F.D. s.r.l. e T.I.A. s.r.l. Ha resistito con memoria Sorim s.r.l..

Il Procuratore generale, nella sua requisitoria scritta, ha chiesto di dichiarare inammissibile l’istanza. Entrambe le parti hanno depositato note illustrative.

Motivi della decisione

1 Premettono le ricorrenti che la sentenza deve ritenersi impugnabile con il mezzo del regolamento, sia in quanto con essa il giudice adito si è implicitamente dichiarato competente per territorio, nonostante l’eccezione di Sorim e l’adesione di T.I.A e di **** – in spregio al disposto dell’art. 38 c.p.c., comma 2, – sia in quanto la decisione era stata assunta in violazione delle regole del contraddittorio, considerato che il giudice incaricato della trattazione aveva invitato le parti a concludere in ordine a tutte le questioni di ordine pregiudiziale idonee a definire il giudizio, laddove l’eccezione di arbitrato sollevata da Sorim era una questione preliminare di merito. Assumono inoltre le esponenti l’irrilevanza, ai fini della decisione della controversia, della clausola compromissoria de qua, attenendo la stessa a questioni riguardanti l’interpretazione, l’esecuzione o la risoluzione del contratto, non già a questioni concernenti l’inadempimento e le sue conseguenze.

Evidenziano anche che Sorim aveva rinunciato alla clausola, avendo sottoscritto la proposta di transazione del 9 dicembre 2002. In ogni caso, aggiungono, la clausola arbitrale non prevederebbe la giurisdizione esclusiva del collegio arbitrale. La stessa sarebbe infine invalida in quanto non sottoscritta dal legale rappresentante di SET e riferita al solo arbitrato rituale.

2 Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancanza di procura sulla copia notificata nonchè per essere stata rilasciata, quella apposta sull’originale, ad avvocato non cassazionista.

L’eccezione è infondata.

E sufficiente al riguardo richiamare il consolidato principio di questa Corte Regolatrice secondo cui la mancata trascrizione, sulla copia del ricorso per cassazione notificato, degli estremi della procura speciale conferita dal ricorrente al difensore, non determina l’inammissibilità del ricorso ove la procura sia stata rilasciata con dichiarazione a margine o in calce allo stesso, in quanto in tal caso l’intimato, con il deposito del ricorso in cancelleria, è posto in grado di verificare l’anteriorità del rilascio della procura rispetto alla notificazione dell’atto di impugnazione (confr. Cass. civ. 2 luglio 2007, n. 14967; Cass. civ. 19 luglio 2007, n. 16540).

Per altro verso è pacifico – stante la chiarissima previsione dell’art. 47 cod. proc. civ. – che l’istanza di regolamento di competenza può essere validamente sottoscritta dal difensore che rappresenti la parte nel giudizio di merito, ancorchè non iscritto all’albo degli avvocati abilitati al patrocinio davanti alle Magistrature Superiori, che anzi la procura conferita per un determinato grado del giudizio di merito, ove non escluda espressamente, o comunque in modo inequivocabile, la facoltà di proporre eventualmente istanza di regolamento di competenza, abilita tout court il difensore ad attivare la predetta istanza, prevalendo, sulla presunzione di conferimento della procura per un determinato grado di giudizio, stabilita dall’art. 83 c.p.c., u.c.., la norma speciale di cui all’art. 47 c.p.c., comma 1, (confr. Cass. civ. 19 marzo 2012, n. 4345). A ciò aggiungasi che le contestazioni sollevate in ordine alla validità del mandato conferito all’avvocato ****** da entrambe le ricorrenti sono oscure e prive di autosufficienza, considerato che ***** sembra ancorare l’eccezione alla sola diversità degli atti con i quali T.I.A. e **** si sono costituite in giudizio, nonchè alla circostanza che le stesse avevano eletto domicilio in luoghi diversi. Ma tali circostanze sono assolutamente irrilevanti, ai fini che qui interessano.

3 Nel resto il ricorso non supera il preventivo vaglio di ammissibilità. Questa Corte, pur dopo la riforma del 2006 (D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), che ha espressamente sdoganato l’esperibilità del regolamento di competenza contro le pronunce in tema di arbitrato rituale (art. 819 ter cod. proc. civ.), ha ribadito che lo stesso non è invece attivabile avverso la sentenza con la quale il giudice di merito, a fronte dell’eccezione di improponibilità della domanda per avere le parti del giudizio stipulato una clausola di arbitrato irrituale, abbia provveduto sulla propria potestas iudicandi, riconoscendola o negandola (confr. Cass. civ. 17 gennaio 2013, n. 1158; Cass. civ. 5 dicembre 2012, n. 21869).

4 L’affermazione si giova del rilievo che la predetta riforma ha accentuato i caratteri distintivi dell’arbitrato rituale, rispetto a quello libero, definitivamente prefigurando il primo come strumento di risoluzione delle controversie alternativo rispetto alla giurisdizione civile ordinaria, e rimarcando invece i tratti schiettamente negoziali del secondo.

Non a caso, il diritto vivente formatosi prima della novella riteneva, anche con riguardo all’arbitrato rituale, che lo stabilire se una controversia appartenesse alla cognizione del giudice ordinario o fosse deferibile agli arbitri costituiva una questione, non già di competenza in senso tecnico, ma di merito, in quanto direttamente inerente alla validità o all’interpretazione del compromesso o della clausola compromissoria (confr. Cass. sez. un. 3 ottobre 2002 n. 14223), laddove il legislatore delegato ha dichiaratamente capovolto tale prospettiva, estendendo all’arbitrato rituale il principio, proprio del giudizio ordinario, secondo cui ciascun giudice è anzitutto giudice della propria competenza (art. 817 cod. proc. civ.).

5 In tale assetto, la collocazione dell’arbitrato irrituale fuori del sistema giurisdizionale, già prefigurabile come necessaria in base a criteri sistematici, trova un significativo riscontro nella lettera dell’art. 808 ter cod. proc. civ., che espressamente esclude l’applicabilità delle norme del titolo 8 del libro 4, all’arbitrato libero. Ne deriva che sono inoperanti, con riferimento allo stesso, sia l’art. 817 testè menzionato, sia il connesso art. 819 ter cod. proc. civ., in base al quale la sentenza, con cui il giudice afferma o nega la propria competenza in relazione a una convenzione d’arbitrato, è impugnabile a norma degli artt. 42 e 43.

6 In un contesto processuale in cui la qualificazione della convenzione conclusa tra le parti in termini di arbitrato irrituale neppure è stata contestata dall’esponente, quanto sin qui detto non può che condurre alla declaratoria di inammissibilità del proposto regolamento, pronuncia che copre ed assorbe tutte le deduzioni svolte dagli impugnanti in ordine alla competenza territoriale del Tribunale di Napoli; alla pretesa lesione del contraddittorio; al rilievo officioso del carattere irrituale dell’arbitrato previsto dalle parti, a fronte di un’eccezione che lo connotava come rituale; alla asserita rinuncia alla stessa; alla estensione della clausola compromissoria; alla improprietà, infine, del riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, alla incompetenza dell’adito giudice ordinario, laddove più correttamente andava dichiarata l’improponibilità della domanda (confr. Cass. civ. 4 marzo 2011, n. 5265). Ed è a dir poco ovvio che tutte tali questioni ben potranno essere fatte valere con gli ordinari mezzi di impugnazione.

Il proposto regolamento va dunque dichiarato inammissibile. Segue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.700,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 ottobre 2013

Redazione