Amministratore indagato per reati fiscali: no al condono (Cass. n. 19862/2012)

Redazione 14/11/12
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Fatto

La s.r.l. A. presentò istanza di condono in relazione ad un processo verbale di constatazione ai fini lrpeg, Irap ed *** relativo agli anni 1999 e 2000 ed impugnò l’avviso di diniego oppostogli dall’amministrazione per il fatto che il legale rappresentante della società era stato condannato in primo grado per reati tributari contemplati dal d.leg. n. 74 del 2000. La Commissione tributaria provinciale di Lecco annullò l’avviso di diniego del condono e confermò la legittimità della definizione agevolata ex art. 15 l. 289 del 2002 e la Commissione tributaria regionale confermò la sentenza, sottolineando che i reati sono stati ascritti alla persona fisica del legale rappresentante e che il legislatore non ha configurato come causa ostativa al condono per la società la condanna penale del legale rappresentante di essa. Ricorre l’Agenzia delle entrate per ottenere la cassazione della sentenza, affidando il ricorso ad un unico motivo. Replica la società con controricorso.

 

Diritto

 

1.- Il ricorso è imperniato su una questione di diritto che trova espressione nel quesito così formulato: “dica codesta Corte se, in relazione all’art. 15 l. 289 del 2002 la preclusione alla definizione, nel caso di esercizio dell’azione penale per i reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, di cui il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di perfezionamento della decisione, concerna sia i contribuenti persone fisiche, sia contribuenti persone giuridiche, i cui organi abbiano commesso, nella qualità, i fatti reato contestati.

1.1.- La questione postula dunque il definitivo accertamento dei profili di fatto della vicenda, ossia:

a.- la presentazione da parte della società contribuente dell’istanza di definizione agevolata ai sensi della legge n. 289 del 2002;

b.- l’esercizio dell’azione penale nei confronti del legale rappresentante della società;

c.- la conoscenza da parte della società di tale esercizio in data antecedente al perfezionamento della definizione.

In questo contesto, è inconferente l’osservazione proposta dalla società, concernente la dedotta mancanza di prova che i reali ascritti al proprio rappresentante legale F. G. A. siano riferibili a s.r.l. A. e non già ad altra società, di cui egli pure era rappresentante legale.

La trattazione di quest’aspetto non compare in alcun punto della sentenza impugnata, e la società non ha specificamente dedotto che esso sia stato e sia ancora sub iudice, esponendo, anzi, nella ricostruzione dei fatti, che la questione fu proposta in primo grado, non affrontata dalla Commissione tributaria provinciale di Lecco e non espressamente riproposta in appello: è la stessa società, dunque, a fornire inequivoci elementi che la questione, se pure a suo tempo proposta, oggi non è più sub iudice, perché non riproposta in sede d’appello. Si tratta, dunque, di una mera questione di fatto estranea al perimetro del giudizio di legittimità.

D’altronde, ha già rimarcato questa Corte, la società, vittoriosa in appello, che manifesti la volontà di conseguire una decisione anche su una questione ritenuta assorbita, ha l’onere d’indicare i termini esatti in cui la questione è stata proposta al giudice d’appello, al fine di consentire di verificare se essa è ancora sub indice (Cass. 14 marzo 2011, n. 5970).

2.- Nel merito, il motivo è fondato, comportando l’accoglimento del ricorso.

L’ultimo nucleo normativo del 1° comma dell’art. 15 della legge n. 289 del 2002 stabilisce che «la definizione non è ammessa per i soggetti nei cui confronti è stata esercitata l’azione penale per i reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, di cui il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di perfezionamento della definizione».

Rimarca la società che essa non può rientrare nel novero dei soggetti nei cui confronti può essere esercitata l’azione penale e ne deduce di essere estranea allo specchio applicativo della norma.

2.1.- Il diaframma della personalità giuridica della società rispetto al suo amministratore, opposto dalla contribuente al fine di escludere l’applicabilità della norma, risulta per la verità inconferente, essendo eliso, al cospetto di condotte svolte dal rappresentante legale per conto della società, dal rapporto d’imputazione organica.

Questo rapporto non consente di estendere alla persona giuridica la responsabilità penale personale del suo amministratore, ma è veicolo di trasmissione ad essa tutte le altre conseguenze che a tale responsabilità si riannodano.

In virtù dell’imputazione organica, l’amministratore è braccio operativo della società; ed il reato da lui commesso nell’interesse della società lo rende strumento di questa per il perseguimento di illeciti vantaggi. Risulterebbe dunque patentemente frustrata la finalità perseguita dal legislatore con la norma in esame d’impedire, dopo la conoscenza formale dell’esercizio dell’azione penale nei confronti del reo, che possano essere lucrati, mediante il ricorso alle procedure di definizione agevolata, vantaggi fiscali, comunque connessi al compimento di reati sanzionati dal decreto legislativo n. 74 del 2000. Un’interpretazione formalistica della disposizione in esame, che si arresti al cospetto dell’incapacità penale delle persone giuridiche, finirebbe dunque col trascurare che, così congegnato, il meccanismo prefigurato dall’ultimo nucleo normativo del 1° comma dell’art. 15 l. 289 del 2002 agevolerebbe la commissione di reati tributari da parte di compiacenti amministratori, con la sinecura del conseguimento dei vantaggi derivanti dall’accesso al condono da parte delle società di cui siffatti amministratori sono proiezione ed espressione.

2.2.- Lo stesso decreto legislativo n. 74 del 2000, del resto, fa chiara applicazione dello strumento dell’imputazione organica (nonché di quello della preposizione, fonte della responsabilità indiretta ex art. 2049 cod.civ.) là dove, al 2° comma dell’art. 19, richiama l’art. 11, 1° comma del d.leg. n. 472 del 1997, che afferma la responsabilità solidale della società «nei casi in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo è commessa …dal dipendente o dal rappresentante o dall’amministratore, anche di fatto, di società…nell’esercizio delle sue funzioni o incombenze…».

E, su un piano speculare, sempre il legislatore ha espressamente previsto (con l’art. 1, comma 1 septies, del d.l. 24 giugno 2003, n. 143, inserito, in sede di conversione, dalla l. 1 agosto 2003, n. 212) che «le disposizioni di cui agli art. 8, comma 6, lettera c), 9, comma 10, lettera c) e 15, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, si intendono nel senso che la esclusione della punibilità opera nei confronti di tutti coloro che hanno commesso o concorso a commettere i reati ivi indicati anche quando le procedure di sanatoria, alle quali è riferibile l’effetto di esclusione della punibilità, riguardano contribuenti diversi dalle persone fisiche e da questi sono perfezionate».

2.3.- Questa Corte penale, sia pure in obiter dictum, ha ammesso che «mentre la persona fisica risponde comunque penalmente dei reati tributari commessi nell’interesse e per conto della società amministrata, quest’ultima è passibile solo di sanzioni extrapenali tra le quali può essere compresa l’esclusione dal condono come per i propri amministratori» (Cass. pen. sez, III, 24 settembre 2008, n. 39358, ************) e questa stessa sezione, da ultimo, al fine di escludere la necessità di una doppia conoscenza formale dell’esercizio dell’azione penale, ai fini dell’applicazione dell’art. 9, 14° co., lett. b), della legge 289 del 2002, ha rimarcato i seri dubbi di legittimità costituzionale per la ingiustificata posizione di privilegio di cui godrebbero, per quel che concerne l’accesso al condono, le persone giuridiche (che sarebbero sempre ammesse al beneficio) rispetto alle persone fisiche (per le quali soltanto opererebbero le cause ostative in questione), pure al cospetto di una disciplina legislativa uniforme (Cass. 25 maggio 2012, n. 8324). Un principio analogo è stato espresso, ancora dalla giurisprudenza penale di questa Corte, allorquando ha ritenuto che con la sentenza di applicazione concordata della pena per il reato di realizzazione o gestione di discarica abusiva, contemplalo dall’art. 51 del d.leg. 5 febbraio 1997, n. 22, dev’essere disposta la confisca dell’area su cui la discarica è stata realizzata, anche nel caso in cui questa appartenga a soggetti, quali le società, sforniti di capacità penale. La Corte ha al riguardo rimarcato che, allorché l’attività illecita sia compiuta da una persona giuridica attraverso i propri organi rappresentativi, costoro rispondono penalmente per i singoli fatti di reato, mentre ogni altra conseguenza patrimoniale ricade sull’ente esponenziale in nome e per conto del quale la persona fisica ha agito, con la sola esclusione dell’ipotesi di avvenuta rottura del rapporto organico per avere l’imputato agito di propria esclusiva iniziativa (Cass.pen., sez. III, 3 dicembre 2003, *********).

3.- Più in generale, la Corte ha icasticamente rimarcato che né il dolo, né l’abuso di potere dell’amministratore riescono ad interrompere il rapporto organico che questi intrattiene con la società, risultando essenziale unicamente che l’attività dell’agente si configuri come esplicazione dell’attività propria dell’ente (Cass. 5 dicembre 2011, n. 25946). E. coerentemente, questa stessa sezione tributaria ha riconosciuto alle dichiarazioni rese in sede di verifica dal rappresentante legale della società valenza di confessione stragiudiziale e non già contenuto testimoniale, in ragione ancora del rapporto d’immedesimazione organica (Cass. 21 dicembre 2005, n. 28316).

E, ancora, è significativo che, di recente, la Cassazione penale abbia reputato manifestamente infondata, in relazione agli art. 3, 24 e 27 Cost., la questione relativa alla responsabilità amministrativa delle società per effetto della commissione, nel loro interesse o a loro vantaggio, dei reati indicati dal d.leg. 8 giugno 2001, n. 231 – pervero inapplicabile alla fattispecie ratione temporis – ad opera dei soggetti apicali indicati nell’art. 5 perché, in forza del rapporto d’immedesimazione organica che lega i soggetti apicali alla persona giuridica, il reato da loro commesso è sicuramente qualificabile come proprio della persona giuridica (Cass.pen., sez. VI, 18 febbraio 2010, n. 27735).

4.- Ne deriva l’enunciazione del seguente principio di diritto: “L’esclusione dalla definizione agevolata contemplata dall’ultimo nucleo normativo del 1° comma dell’art. 15 l. 289 del 2002 si applica alle società i cui rappresentanti legali siano stati destinatari dell’azione penale per i reati previsti dal decreto legislativo n. 74 del 2000, qualora la contribuente abbia avuto formale conoscenza di tale esercizio entro la data di perfezionamento della definizione”. La sentenza impugnata va dunque cassata e, non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito, cui rigetto dell’impugnazione dei dinieghi di condono proposta dalla società contribuente.

Le spese della fase di legittimità seguono la soccombenza, mentre vanno compensate quelle inerenti alla fase di merito, in considerazione della relativa novità delle questioni affrontate.

 

P.Q.M.

 

-accoglie il ricorso;

-cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge le impugnazioni avverso i dinieghi di condono proposti da s.r.l. A.

-compensa le spese inerenti alla fase di merito;

-condanna s.r.l. A. al pagamento delle spese della fase di legittimità, liquidale in € 13.000,00, oltre spese prenotate a debito ed accessori di legge.

Redazione