Ammessa la motivazione per relationem (Cass. pen., n. 44004/2013)

Redazione 28/10/13
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Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 1/2/2013 il G.i.p. del Tribunale di Aosta disponeva la custodia cautelare in carcere a carico di J.N. ed altri per una pluralità di furti in abitazione, commessi nell’ambito territoriale della Valle d’Aosta, Verbania e Cuneo. Con ordinanza del 18/2/2013 il Tribunale del riesame di Torino rigettava l’impugnazione dello J. accusato di cinque furti.
Osservava il Tribunale che da indagini di P.G. emergeva che gli indagati erano stabilmente dediti alla commissione di furti in abitazione, come si evinceva da intercettazioni svolte, servizi di appostamento e dal rinvenimento in loro possesso, in occasione di controlli ed arresti, di strumenti atti alla commissione della attività delittuosa (dischi da taglio; ricetrasmittenti sintonizzate sui canali delle forze dell’ordine; guanti da lavoro; cacciaviti, piede di porco; adesivi applicati alle targhe delle auto utilizzate; ecc). Inoltre dall’analisi dei tabulati e dai rilievi satellitari, risultavano presenti nei luoghi ed orari di commissione dei furti, senza che vi fosse una ragione della loro presenza e della continua peregrinazione notturna sul territorio, peraltro con un modus operandi inequivocabile : partenza da casa; arrivo nella località di consumazione dei furti; sosta in loco per un periodo di tempo limitato e compatibile con l’orario di commissione dei delitti; ritorno a casa in giornata. In particolare poi lo J., già gravato da precedenti specifici, non aveva fornito alcuna giustificazione di tali condotte, non rispondendo all’interrogatorio.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato lamentando:
2.1. la erronea applicazione della legge ed il vizio di motivazione per avere l’ordinanza del riesame richiamato per relationem il provvedimento cautelare, che a sua volta ricopiava la richiesta del P.M., che a sua volta ancora riproduceva la informativa di reato dei Carabinieri. Pertanto era mancato il controllo giurisdizionale e di garanzia che il G.i.p. prima ed il Riesame poi, avrebbero dovuto svolgere;
2.2. la violazione di legge laddove il tribunale non aveva disposto la caducazione della misura pur avendo il P.M. omesso di trasmettere i tabulati telefonici delle utenze degli indagati e sulla base dei quali era stata individuata la loro localizzazione. La violazione del quinto comma dell’art. 309 c.p.p. doveva comportare la automatica perdita di efficacia della misura.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
3.1. Va premesso, in ordine alla censura relativa alla motivazione per relationem, che tale modalità di redazione della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali è ammessa, sempre che il giudice della impugnazione dia atto di avere svolto il controllo giurisdizionale che gli compete, rispondendo alle censure mosse con l’atto di gravame. Nel caso di specie, il Tribunale del riesame ha svolto il controllo sull’ordinanza impugnata, emanando un provvedimento di sicuro contenuto valutativo, tanto vero che ha risposto in modo esaustivo alle eccezioni procedurali ed ha dichiarato la incompetenza per alcuni imputati e talune imputazioni.
Peraltro, sul punto, nei motivi di ricorso non si fa alcun cenno a omissioni valutative di specifiche doglianze sulla gravità indiziaria avanzate dalla difesa in sede di riesame.
3.2. In ordine alla seconda censura di rito formulata, va fatta una premessa.
Il quinto comma dell’art. 309 c.p.p. prevede che, su richiesta del presidente, sia richiesta la trasmissione degli atti all’autorità giudiziaria procedente (di regola il P.M.), la quale, non oltre il quinto giorno, deve trasmette al tribunale gli atti presentati dal P.M. al giudice, a norma dell’articolo 291, comma 1, a sostegno della richiesta della misura, nonché tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini.
Va precisato che l’obbligo di trasmissione riguarda solo degli atti che il P.M. ha selezionato per sostenere la sua richiesta (oltre che gli elementi a favore dell’indagato); quindi nessuna onere sussiste di trasmissione di tutto il contenuto del fascicolo processuale.
La violazione dell’obbligo di cui al quinto comma è sanzionata, processualmente, dal comma nono dell’art. 309 ove è prevista la perdita di efficacia della misura.
Ciò detto va precisato che la disposizione del quinto comma non è finalizzata a garantire il diritto di difesa dell’indagato, ciò in quanto la conoscenza degli atti gli è già assicurata dalla previsione del terzo comma dell’art. 293, il quale prevede che l’ordinanza cautelare, la richiesta e gli atti a sostegno sono depositati in cancelleria ed il difensore ha il diritto di visionarli ed estrarne copia (cfr. Corte Cost. sent. n. 192 del 1997).
Pertanto, una finalità di garanzia del diritto di difesa del quinto comma dell’art. 309, può essere rinvenuta solo nella parte in cui si obbliga il P.M. a trasmettere gli atti sopravvenuti, favorevoli all’indagato.
Deve ritenersi pertanto che la funzione della norma in questione sia quella di garantire che il contraddittorio davanti al giudice del riesame si svolga portando tempestivamente a conoscenza di quest’ultimo gli stessi atti su cui il giudice della cautela ha svolto le sua valutazioni.
La sanzione della perdita di efficacia svolge una funzione deterrente, garantire che la decisione avvenga in tempi rapidi e certi, evitando ritardi per eventuali richieste di integrazione degli atti.
3.3. Ciò detto, la difesa dello J. lamenta che non sono stati trasmessi al Riesame i tabulati telefonici relativi alle utenze degli indagati. Il Tribunale ha risposto che non ce ne era bisogno, in quanto la rilevanza dei dati dei tabulati era trasfusa nella informativa di P.G..
La doglianza formulata è infondata in quanto ciò che avrebbe dovuto lamentare la difesa, provando tale affermazione, è che con la richiesta di misura cautelare erano stati trasmessi anche i tabulati e non solo la informativa; ciò perché, come ricordato, l’obbligo di trasmissione da parte dell’autorità procedente non riguarda “tutti” gli atti, ma solo quelli inoltrati al giudice della cautela a sostegno della misura (o quelli sopravvenuti). Della presenza dei tabulati negli atti inoltrati al G.i.p. non vi è alcuna prova (neanche desumibile dalla lettura della misura cautelare, che fa riferimento ai dati rilevabili dalla informativa) e pertanto non può ritenersi maturata la lamentata violazione del quinto comma dell’art. 309.
Al rigetto, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al direttore dell’Istituto penitenziario competente, perché provveda a quanto stabilito dall’art. 94, co. 1 ter, disp. att. c.p.p..

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