Alloggio di edilizia residenziale pubblica: le controversie relative al subentro e all’opposizione al provvedimento di decadenza le decide il giudice ordinario (Cass. n. 20727/2012)

Redazione 23/11/12
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

Il presente giudizio trae origine dal procedimento di decadenza promosso dal comune di Torino nei confronti di G.A. – deceduto nelle more della vicenda – coniuge della odierna ricorrente A.V. , assegnatario di alloggio di edilizia residenziale pubblica.
Il provvedimento di decadenza fu impugnato dall’assegnatario davanti al Pretore di Torino che, con sentenza del 12.12.1989, accolse l’opposizione del ricorrente.
A diversa conclusione pervenne il tribunale di Torino che, sull’impugnazione proposta dal Comune di Torino avverso la sentenza di primo grado, con sentenza del 13.2.1995, dichiarò il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Su tali basi l’organo competente, con nota Prot. n. 1680 del 4.4.1997, diffidò A.V. a rilasciare l’immobile in questione perché detenuto senza titolo.
Quest’ultima propose ricorso al Tar Piemonte, al fine di ottenere – previa sospensione dell’esecuzione – l’annullamento del provvedimento di diffida al rilascio, ma il giudice amministrativo, con ordinanza del 4.9.1997 rigettò l’istanza cautelare; rigetto confermato dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 2003/1997.
La successiva istanza di voltura della titolarità dell’assegnazione dell’alloggio avanzata dalla V. , fu, quindi, rigettata da parte dell’Organo competente che ordinò il rilascio dell’immobile.
La V. impugnò detto provvedimento davanti al Tar con il ricorso n. 569/1998.
Riuniti i ricorsi proposti avverso i provvedimenti di rilascio dell’immobile (r.g.n. 1384/97) e di rigetto dell’istanza di volturazione del contratto di affitto relativo al medesimo alloggio (r.g. n. 569/98), il TAR, con sentenza del 19.11.2010, li rigettò.
La sentenza è stata appellata al Consiglio di Stato, davanti al quale l’odierna ricorrente ha contestato la carenza di giurisdizione del giudice amministrativo e, nel merito, l’erroneità della decisione.
Il Consiglio di Stato, con sentenza in forma semplificata, emessa all’esito della camera di consiglio e depositata il 2.5.2011, rigettò il ricorso.
Ha proposto ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione affidato ad un motivo illustrato da memoria A.V.
Resiste con controricorso il Comune di Torino.
L’altra intimata ATC – Agenzia Territoriale per la casa della Provincia di Torino non ha svolto attività difensiva.

 

Motivi della decisione

Con unico motivo la ricorrente denuncia la violazione di legge con riferimento all’art. 360 n. 1 cpc in relazione all’art, 37 stesso codice e agli artt. 4 e 5 I. 22/3/1865 all. E.
Contesta la decisione del Consiglio di Stato che, sulla questione di giurisdizione, ha ritenuto la stessa “ormai preclusa dalla mancata impugnazione della sentenza con cui il Tribunale di Torino ha dichiarato il difetto di giurisdizione in ordine a controversia attinente alla medesima vicenda”; con il rigetto, nel merito, dell’appello proposto.
Diversamente – secondo la tesi della ricorrente – il giudicato sulla giurisdizione può formarsi soltanto a seguito di statuizione emessa dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione in sede di regolamento preventivo di giurisdizione o di ricorso straordinario per motivi attinenti alla giurisdizione, oppure per effetto del passaggio in giudicato di una sentenza di merito che contenga il riconoscimento, sia pure implicito, della giurisdizione del giudice adito.
Di qui, il successivo rilievo del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della vicenda in esame, giurisdizione erroneamente riconosciuta dal TAR ed oggetto dell’appello al Consiglio di Stato.
Il ricorso è ammissibile.
È principio pacifico nella giurisprudenza della Corte di cassazione che i motivi inerenti alla giurisdizione – in relazione ai quali soltanto è ammesso, ai sensi dell’art. 111, ultimo comma, Cost. e dell’art. 362 c.p.c., il sindacato della Corte di Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato – vadano identificati, o nell’ipotesi in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia violato (in positivo o in negativo) l’ambito della giurisdizione in generale (come quando abbia esercitato la giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa oppure, al contrario, quando abbia negato la giurisdizione sull’erroneo presupposto che la domanda non potesse formare oggetto in modo assoluto di funzione giurisdizionale), o nell’ipotesi in cui abbia violato i cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione.
Ipotesi, questa, che ricorre quando il Consiglio di Stato abbia giudicato su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure abbia negato la propria giurisdizione nell’erroneo convincimento che essa appartenga ad altro giudice, ovvero ancora quando, in materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo sindacato della legittimità degli atti amministrativi, abbia compiuto un sindacato di merito (S.U. 14.9.2012 n. 15428; S.U. 21.6.2012 n. 10294; S.U. 12.4.2012 n. 5756; S.U.25.7. 2011 n. 16165; S.U. 9.6.2011 n. 12539).
La questione che si pone, nella specie, è se sia censurabile davanti alle Sezioni Unite della Corte di cassazione – perché questione attinente alla giurisdizione – la decisione del Consiglio di Stato che, sull’appello proposto dall’attuale ricorrente in punto di giurisdizione – avverso la decisione del Tar che, riconosciuta la propria giurisdizione aveva rigettato nel merito i ricorsi -, ha ritenuto l’esame della stessa ” ormai preclusa dalla mancata impugnazione della sentenza con cui il Tribunale di Torino ha dichiarato il difetto di giurisdizione in ordine a controversia attinente alla medesima vicenda”.
Le Sezioni Unite, con la sentenza 9.11.2011 n. 23306, hanno affermato che il ricorso per cassazione contro le sentenze del Consiglio di Stato è da considerare proposto per motivi inerenti alla giurisdizione, in base agli art. 111 Cost., u.c., 362 c.p.c., comma 1 e 110 cod. proc. amm. – ed è come tale ammissibile – quante volte il motivo di cassazione si fonda sull’allegazione che la decisione sulla spettanza della giurisdizione, tuttavia assunta, era preclusa per essersi, in precedenza, sulla questione formato il giudicato.
Nel caso in esame, il Consiglio di Stato, ha ritenuto precluso l’esame della questione di giurisdizione, reiterata con l’appello, sul presupposto della preclusione al suo rilievo – e quindi per la formazione del giudicato sul punto – dovuto alla mancata impugnazione della sentenza del giudice ordinario, che aveva declinato la propria giurisdizione in favore di quello amministrativo.
Le due fattispecie ora esaminate evidenziano ipotesi eguali ed opposte (nel primo caso la decisione sulla giurisdizione assunta pur a fronte della formazione del giudicato; nel secondo la mancata decisione sulla questione di giurisdizione per la ritenuta formazione del giudicato al suo rilievo) che hanno in comune la prospettazione della violazione di una norma sul procedimento.
Violazione, però, non meramente processuale (e come tale all’interno dei limiti della giurisdizione amministrativa), ma che si sostanzia in una decisione – anche se preclusiva – sulla giurisdizione.
Come tale sindacabile dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione.
In sostanza, si tratta di valutare la sindacabilità di norme sul procedimento in relazione alla questione di giurisdizione.
Errori relativi a questo aspetto processuale sono attratti al sindacato delle Sezioni Unite.
Non è, infatti, soltanto il giudizio, che verte sull’interpretazione della norma attributiva della giurisdizione, che attiene a questa, ma anche l’errore sull’interpretazione e sulla conseguente applicazione delle norme che regolano il rilievo del difetto di giurisdizione e di quelle correlate, che attengono al sistema delle impugnazioni e che, in quanto tali, contribuiscono a delineare il regime del rilievo della questione di giurisdizione.
Sotto questo profilo, le Sezioni Unite, con la richiamata decisione, hanno evidenziato che, sulla regola stabilita dall’art. 37 c.p.c., ha inciso la disciplina del regime delle impugnazioni.
Ciò ha condotto a negare che il giudice dei successivi gradi del processo abbia il potere di tornare a decidere della questione di giurisdizione, dopo una pronuncia che la concerna, espressa o implicita che sia.
Inoltre, la sentenza n. 77 del 12 marzo 2007 della Corte costituzionale ha portato ad emersione nell’ordinamento e come aspetto essenziale del principio di effettività della tutela giurisdizionale, quello di unità funzionale della giurisdizione.
Da cui è scaturita – attraverso la disciplina dettata dalla L. n. 69 del 2009, art. 59 – un’ulteriore restrizione della regola dettata dall’art. 37 c.p.c..
Si è giunti così, con la disciplina della translatio, a riconoscere implicitamente alla decisione del giudice, che ne indica altro, come dotato della giurisdizione che nega a se stesso, la forza di vincolare il secondo giudice, se questi non vi si sottrae in un tempo processualmente definito.
Questa disciplina, in particolare, dimostra che alla Corte di Cassazione spetta anche di sindacare – perché contraria ad un giudicato sulla giurisdizione, oramai formatosi all’interno del processo suscitato dalla domanda originaria, oppure perché affermativa di un giudicato in realtà insussistente, come tale preclusivo all’esame della questione di giurisdizione – un’eventuale decisione del giudice amministrativo o contabile di secondo grado, che abbia ritenuto di non potere esaminare la questione di giurisdizione reiterata con l’appello, perché coperta da giudicato.
Anche per la questione di giurisdizione, come è avvenuto per la questione di competenza nell’ambito del giudizio davanti al giudice ordinario, vale il principio che a tale questione attiene anche il sistema delle disposizioni che disciplinano il rilievo della questione stessa e l’irreversibile stabilità della relativa decisione (S.U. 19.10.2007 n. 21858).
Una volta ritenuto ammissibile il ricorso, sotto questo profilo e, quindi, sindacabile in questa sede l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per la quale l’esame della questione di giurisdizione era “ormai preclusa dalla mancata impugnazione della sentenza con cui il Tribunale di Torino ha dichiarato il difetto di giurisdizione in ordine a controversia attinente alla medesima vicenda”, deve rilevarsi la fondatezza della denuncia sollevata, con riferimento alla ritenuta preclusione, per la formazione del giudicato sulla declinatoria di giurisdizione emessa dal tribunale di Torino.
È, infatti, costante il principio enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, per il quale, a differenza delle sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione – alla quale, per la funzione istituzionale di organo regolatore della giurisdizione, spetta il potere di adottare decisioni dotate di efficacia esterna (c.d. efficacia panprocessuale) – le sentenze dei giudici ordinari di merito, come quelle dei giudici amministrativi, che statuiscano sulla sola giurisdizione, non sono idonee ad acquistare autorità di giudicato in senso sostanziale ed a spiegare, perciò, effetti al di fuori del processo nel quale siano state rese.
Le sentenze emesse da tali giudici sono idonee ad acquistare autorità di giudicato (esterno) anche in tema di giurisdizione, soltanto se, in esse, la statuizione – sia pure implicita – sulla giurisdizione si coniughi con una statuizione di merito (S.U. 10.8.2005 n. 16779; conf. S.U. ord. 19.12.2005 n. 27899; S.U.28.6.2006 n. 14854; S.U. 5.2.1999 n. 45). Nel caso in esame, la sola statuizione di difetto di giurisdizione – senza alcuna decisione sul fondo della domanda – emessa dal tribunale di Torino, con la sentenza nei confronti dell’originario ricorrente G. , esclude – per non avere autorità di giudicato in senso sostanziale – che la sentenza spieghi effetti nei confronti del presente giudizio, introdotti da V.A. davanti al giudice amministrativo, al fine di ottenere, l’annullamento, sia del provvedimento di diffida al rilascio dell’immobile sia del provvedimento di rigetto dell’istanza volta ad ottenere la voltura del contratto di affitto relativo al medesimo alloggio.
Nel merito il ricorso è fondato.
La materia dell’edilizia residenziale pubblica, per la finalità sociale che la connota, è compresa in quella dei servizi pubblici, ora disciplinata dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33, nel testo sostituito dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7 e risultante dalla sentenza di illegittimità costituzionale parziale del 6 luglio 2004 n. 204 della Corte Costituzionale. In tale materia, il procedimento di assegnazione degli alloggi di edilizia pubblica si articola in due fasi: a) quella attinente alla prenotazione ed all’assegnazione dell’alloggio ed alla posizione e qualità del richiedente; b) quella della disciplina del rapporto così instaurato.
La prima fase ha natura pubblicistica ed è caratterizzata dall’esercizio di poteri finalizzati al perseguimento di interessi pubblici ai quali corrispondono posizioni di interesse legittimo dei richiedenti. Nella seconda fase, la posizione del richiedente ha natura di diritto soggettivo, poiché, in questa fase, la pubblica amministrazione non è titolare di poteri di supremazia di alcun genere e vede limitato il suo intervento alla verifica del corretto adempimento di obbligazioni civili che gravano sull’assegnatario.
La distinzione ha le sue ripercussioni sulla giurisdizione, Le controversie attinenti a pretesi vizi di legittimità dei provvedimenti emessi nella prima fase debbono essere attribuite alla giurisdizione del Giudice amministrativo, mentre quelle in cui siano in discussione cause sopravvenute di estinzione o risoluzione del rapporto locatizio, poiché sottratte al discrezionale apprezzamento della pubblica amministrazione, vanno ricondotte alla giurisdizione del Giudice ordinario (S.U. 12.6.2006 n. 13527; S.U.23.6.2005 n. 13459);
Sulla base di una tale – ormai costante – ricostruzione, la giurisdizione del Giudice amministrativo si può configurare nella prima fase del procedimento di assegnazione, che è di natura pubblicistica, perché caratterizzata dall’esercizio di poteri finalizzati al perseguimento di interessi pubblici mediante provvedimenti che esprimono il potere di supremazia della pubblica amministrazione.
La giurisdizione del Giudice amministrativo, invece, non è configurabile nella fase successiva al provvedimento di assegnazione. In questa fase, infatti, non vi sono atti o provvedimenti che esprimano una ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato, ma provvedimenti, variamente definiti di revoca, decadenza o risoluzione, i quali si configurano come atti di valutazione delle obbligazioni assunte dall’assegnatario al momento dell’assegnazione.
Gli atti della seconda fase, in definitiva, non incidono sulla posizione di diritto soggettivo che deve essere riconosciuta all’assegnatario e le controversie relative rientrano nella giurisdizione del Giudice ordinario. È stato così deciso (S.U. ord. 28.12.2011 n. 29095; conf. S.U. ord. 16.1.2007 n. 758) che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto la decadenza dall’assegnazione dell’alloggio, correlata non già ad un’asserita (nuova) valutazione dell’interesse pubblico a mantenerla, bensì all’avvenuto accertamento della carenza del requisito dell’impossidenza e/o del superamento dei limiti reddituali, quale previsto dalla legge (nella specie della Regione Lazio) per il diritto alla conservazione dell’alloggio, e perciò costituente atto con valenza dichiarativa incidente su una posizione di diritto soggettivo dell’assegnatario, rientrante nella seconda delle menzionate fasi del rapporto intercorrente con l’ente pubblico.
È stato – ancora – ritenuto (S.U. 12.6.2006 n. 13527) rientrare nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della controversia avente ad oggetto l’opposizione avverso il decreto di rilascio emesso nei confronti di occupante abusivo dell’alloggio, fondata sulla deduzione della qualità di ospite dell’assegnatario e sulla negazione che quest’ultimo avesse abbandonato l’alloggio.
Sempre nella giurisdizione del giudice ordinario è stato, ulteriormente, affermato (S.U. ord. 16.1.2007 n. 757 ) rientrare la controversia avente ad oggetto il diritto al subingresso nel rapporto di assegnazione del terzo familiare, per effetto di espressa previsione legislativa regionale, in presenza di alcune condizioni riguardo alle quali manca qualsiasi vantazione discrezionale della Pubblica Amministrazione. E così pure, sono attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie attinenti a pretesi vizi di legittimità dei provvedimenti emessi nella prima fase fino all’assegnazione, mentre sono riconducibili alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie in cui siano in discussione cause sopravvenute di estinzione o di risoluzione del rapporto. Da ultimo, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario per tutte le controversie attinenti alla fase successiva al provvedimento di assegnazione, poiché – come già detto – nell’ambito di tale fase la P.A. non esercita un potere autoritativo.
Rientra, quindi, nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto la decadenza dall’assegnazione dell’alloggio, ai sensi dell’art. 11 d.p.r. 1035 del 1972, per non essersi l’assegnatario presentato per la stipula del contratto di locazione e per non aver occupato l’alloggio (S.U. ord. 16.1.2007 n. 755; S.U. ord. 28.12.2011 n. 29095). Su tale base, è di tutta evidenza che la controversia in esame attiene alla fase successiva all’assegnazione, contestando l’attuale ricorrente la legittimità dei provvedimenti di diffida al rilascio dell’immobile e di rigetto dell’istanza volta ad ottenere la voltura del contratto di affitto in favore della V. ; e, come tale, postula il riconoscimento della giurisdizione del giudice ordinario.
Conclusivamente, il ricorso è accolto; la sentenza impugnata è cassata, ed è dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario davanti al quale sono rimesse le parti.
Le spese sono rimesse al giudice del rinvio.

 

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a sezioni unite, accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata. Dichiara la giurisdizione del giudice ordinario davanti al quale rimette le parti anche per le spese del giudizio di cassazione.

Redazione