Agriturismo “tarocco”: fallimento escluso perchè comunque azienda agricola (Cass. n. 8690/2013)

Redazione 10/04/13
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Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza del 20.12.011, ha accolto il reclamo proposto da P.P., titolare dell’omonima azienda agrituristica, contro la sentenza dichiarativa del suo fallimento. La corte territoriale ha rilevato che, poiché l’impresa era iscritta presso la CCIAA nella sezione delle imprese agricole e poiché v’era certificazione, rilasciata dalla Provincia di Mantova, attestante il rapporto di connessione fra l’attività forovivaistica e di produzione di frutta biologica e l’attività agrituristica esercitate dalla reclamante, attesa la prevalenza del volume di lavoro richiesto per la prima attività rispetto a quello richiesto per la seconda, sussisteva presunzione iuris tantum della qualità di imprenditrice agricola della P., che non poteva ritenersi superata in base all’unico elemento contrario evidenziato dal tribunale, costituito dal fatto che l’imprenditrice non rispettava le proporzioni minime fra i prodotti propri e quelli provenienti dall’esterno previste per la somministrazione di pasti e bevande dalla l. della Regione Lombardia n. 31108, di disciplina dell’agriturismo.
La sentenza è stata impugnata dal curatore del Fallimento di P.P. con ricorso affidati) a due motivi, cui la P. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
La Villa Sergio & C, s.n.c., creditrice istante, non ha svolto attività difensiva.

 

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo di ricorso, il curatore denuncia violazione del comb. disp, degli artt. 2135 c.c., 1 l. fall., 2 e 4 l. n. 96106, 152 e 157 l. Reg. Lombardia n. 31108.
Deduce che, alla luce del comb. disp. dell’art. 2135 c.c., così come riformato dall’art. 1 del d. lgs. n. 228101, e dell’art. 2 della l. 96106, che ha regolamentato in via generale la materia, l’agriturismo, per rientrare fra le attività agricole per connessione, deve essere connotato dall’utilizzo da parte dell’agricoltore di prodotti, mezzi e risorse provenienti in prevalenza dalla sua azienda.
Rileva, ancora, che l’art. 4 della l. n. 96/06, al 2° comma, demanda alle regioni di definire i criteri per la valutazione del rapporto di connessione delle attività agrituristiche rispetto a quelle agricole, che devono rimanere prevalenti, sicché il fatto che la norma contenga poi un richiamo al solo parametro del tempo di lavoro necessario per l’esercizio di tali attività non significa che, in concreto, non occorra tener conto di ulteriori elementi di riscontro.
Sostiene, pertanto, che la sistematica violazione del disposto dell’art. 157 della legge regionale lombarda n. 31/08, di regolamentazione del settore, il quale stabilisce che, nella somministrazione di pasti e bevande, l’azienda agrituristica deve garantire l’apporto di prodotti propri secondo ben determinate proporzioni, non può essere privo di rilievo al fine dell’esclusione della qualificazione agricola dell’attività di impresa, posto che il requisito della connessione non può essere desunto che in ragione della tipologia del prodotto somministrato.
2) Col secondo motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione della sentenza impugnata, lamenta l’omesso esame del merito da parte della corte territoriale, che si sarebbe limitata a richiamare, ritenendolo decisivo, il certificato della Provincia di Mantova che attestava che, l’azienda della P. richiedeva un volume di lavoro agricolo prevalente rispetto a quello richiesto dall’attività agrituristica, ma avrebbe omesso di accertare se il dato certificato corrispondesse o meno a quello reale e non avrebbe tenuto conto delle complessive risultanze della consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio di primo grado.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, devono essere respinti.
3.1) La natura commerciale od agricola di un’impresa, rilevante al fine di stabilire se la stessa sia soggetta a fallimento ai sensi dell’art. 1, 1° comma del R.D. n. 267142, deve essere accertata sulla scorta di criteri generali ed uniformi, valevoli per l’intero territorio nazionale.
Ne consegue che l’apprezzamento in concreto della ricorrenza dei requisiti di connessione fra attività agrituristiche ed attività propriamente agricole e della prevalenza di queste ultime rispetto alle prime, in presenza dei quali deve essere esclusa l’assoggettabilità a fallimento dell’imprenditore che le eserciti, va principalmente condotto alla luce del disposto dell’art. 2135 comma 3° c.c., integrato dalle previsioni della l. n. 96106, intitolata “disciplina dell’agriturismo”, che ha fissato i principi fondamentali cui le regioni devono uniformarsi nell’emanare le proprie normative in materia. Entro tale cornice, gli specifici criteri valutativi previsti dalle singole leggi regionali possono sicuramente fungere da supporto interpretativo, ma non possono rivestire carattere decisivo, posto che la loro assunzione a parametri vincolanti per la definizione del rapporto di connessione potrebbe condurre a risultati diversi da regione a regione pur partendo dall’analisi di identici dati aziendali (quanto, ad es., a percentuali di prodotti propri utilizzati od alle proporzioni fra prodotti locali ed esterni).
Del resto, aderendo alla tesi del ricorrente, secondo cui l’attività agrituristica potrebbe ritenersi connessa a quella agricola solo nel caso di rispetto delle precise proporzioni nell’uso di prodotti propri e prodotti esterni fissate dalle leggi regionali, dovrebbe giungersi alla conclusione, non ricavabile dal disposto dell’art. 2135 c.c. né dalla l. n. 96106, che un’azienda agricola adibita, ad es., a monocoltura od a viticoltura, e dunque impossibilitata ad offrire ai clienti prodotti in prevalenza propri, non possa esercitare detta attività.
In realtà, trattandosi di attività para/alberghiera, che non si sostanzia nella mera somministrazione di pasti e bevande, la verifica della sua connessione con l’attività agricola non può esaurirsi nell’accertamento dell’utilizzo prevalente di materie prime ottenute dalla coltivazione del fondo (che, ai sensi dell’art. 2135 c.c., connota più specificamente le attività di sola manipolazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti) e va piuttosto compiuta avuto riguardo all’uso, nel suo esercizio, di attrezzature (quali, ad es., i locali adibiti alla ricezione degli ospiti) e di ulteriori risorse (sia tecniche che umane) dell’azienda che sono normalmente impiegate nell’attività agricola.
La corte territoriale ha pertanto correttamente ritenuto che la presunzione della natura agricola per connessione (attestata dalla certificazione rilasciata dalla provincia di Mantova) dell’attività di ricezione ed ospitalità esercitata dalla P. all’interno della propria azienda, adibita alla coltivazione di piante e fiori ed alla produzione di frutta biologica, non potesse essere vinta dall’unico elemento contrario evidenziato dal giudice di primo grado, consistente nel mancato rispetto delle proporzioni minime fra prodotti propri e prodotti provenienti dall’esterno fissate dalla legge regionale lombarda per la somministrazione di pasti e bevande.
3.2) Il ricorrente non è stato, d’altro canto, in grado di specificare quali fossero gli ulteriori elementi probatori, emersi dall’espletata ctu ma non valutati dal giudice del merito, etti ad evidenziare la natura commerciale della predetta attività, né ha saputc chiarire le ragioni per le quali, a fronte dell’istruttoria già espletata in primo grado (gravando, oltretutto, a suo carico l’onere della prova), la corte territoriale avrebbe dovuto disporre un supplemento di indagine: la censura svolta sotto il profilo di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. si rivela, pertanto, priva del requisito richiesto, a pena di inammissibilità dall’art. 366 1° comma n. 6 c.p.c.
La novità della questione trattata giustifica la declaratoria di integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio.

Redazione