Aggravante per odio razziale (Cass. pen. n. 25870/2013)

Redazione 12/06/13
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Svolgimento del processo

1. C.E. risponde, in concorso con compagni di classe separatamente giudicati in quanto minori, dei reati, secondo la riqualificazione operatane in secondo grado, di ingiuria e violenza privata commessi il (omissis) e di ingiuria continuata commessa nei precedenti mesi di quell’anno scolastico, tutti aggravati dalla finalità di discriminazione o odio etnico di cui alla L. n. 205 del 2003, art. 3, in danno del compagno di classe A. O., che il (omissis), al termine di una partita, era stato schernito e fatto oggetto di sputi negli spogliatoi e poi portato a forza e costretto a restare nel locale docce, con i rubinetti aperti, mentre in precedenza, nel corso dell’anno scolastico, era stato abitualmente apostrofato con espressioni quali “negro di merda”.

2. La corte di appello di Perugia, con sentenza 11-4-2012, ritenuto assorbito il reato di atti di discriminazione razziale autonomamente contestato (capo C), negli altri reati (capi A e B) sotto forma dell’aggravante di cui sopra, confermava l’affermazione di responsabilità di cui alla pronuncia 1-10-10 del Tribunale di Perugia, sez. dist. di Città di Castello, revocando la subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale e riducendo l’importo delle spese processuali liquidate alla parte civile in primo grado.

3. Ricorre l’imputato tramite l’avv. *********** articolando quattro doglianze.

4. La prima: errata applicazione delle norme incriminatrici e dei criteri di valutazione della prove e vizio motivazionale anche sotto forma di travisamento dei fatti. Infatti la corte perugina, nell’affermare che era plausibile che i professori nulla sapessero delle offese razziste di cui l’allievo nigeriano era stato oggetto nel corso dell’anno scolastico (omissis), avendo questi taciuto la cosa tanto ai genitori che agli insegnanti prima della vicenda del (omissis) (spogliatoi/docce) sia per vergogna che per non dare un dispiacere ai genitori, non aveva tenuto conto che, invece, la p.o. aveva dichiarato di aver riferito agli insegnanti le offese ricevute, il che rendeva le sue dichiarazioni palesemente false minandone la valutazione di attendibilità effettuata dalla corte di merito in ordine al reato di atti di discriminazione razziale, riqualificato dalla corte come ingiuria aggravata. In conseguenza veniva meno l’aggravante anche in relazione ai fatti del (omissis) – dal momento che la sentenza l’aveva ancorata esclusivamente al preesistente contesto discriminatorio – e riacquistava plausibilità l’ipotesi dello scherzo per tali fatti.

5. Con il secondo motivo si deducevano violazione di legge e vizio motivazionale in relazione al mancato riconoscimento dell’esimente, anche putativa, del consenso dell’avente diritto, risultando dalle dichiarazioni della stessa p.o. e da quelle dei coimputati minorenni che il giovane nigeriano, in occasione dell’episodio del (omissis), non era stato ingiuriato da alcuno e che aveva accettato la cosa come uno scherzo fino a che due compagni, ma non l’imputato, gli avevano sputato addosso.

6. Il terzo motivo investe con le medesime censure il riconoscimento dell’aggravante dell’odio razziale in quanto le ingiurie antecedenti all’episodio dello spogliatoio non erano state udite da terzi e la corte del territorio non aveva motivato le ragioni della preferenza accordata all’orientamento di questa corte che non ne richiede la percezione da parte di terzi rispetto a quello che invece la richiede.

7. Con il quarto motivo il ricorrente rilevava violazione di legge ed inosservanza di norme stabilite a pena di nullità in relazione al D.L. n. 122 del 1993, artt. 6, comma 3, artt. 521 bis e 33 bis c.p.p., in quanto la corte, a seguito della riqualificazione dei fatti, avrebbe dovuto trasmettere gli atti al PM affinchè il processo si svolgesse dinanzi al tribunale in composizione collegiale previa fissazione dell’udienza preliminare.

8. La parte civile ha depositato memoria con cui ha chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso, con vittoria di spese dei tre gradi di giudizio.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va disatteso.

2. Il quarto motivo del gravame esige prioritaria trattazione per il suo potenziale carattere assorbente dei primi tre.

3. L’eccezione di violazione del D.L. n. 122 del 1993, art. 6, comma 3, artt. 521 bis e 33 bis c.p.p., per mancata trasmissione degli atti al PM affinchè il processo, a seguito della riqualificazione dei fatti sub A e B come aggravati dalla finalità di discriminazione o odio etnico di cui alla L. n. 205 del 2003, art. 3, si svolgesse dinanzi al tribunale in composizione collegiale previa fissazione dell’udienza preliminare, risulta tardivamente proposta.

4. Invero, essendo anche il reato di cui all’originario capo C di competenza del tribunale collegiale ex art. 33 bis c.p.p., comma 1, lett. p), (che, facendo espresso riferimento ai delitti previsti dal D.L. n. 122 del 1993, art. 6, commi 3 e 4, conv. in L. n. 205 del 1993, richiama i delitti contemplati dalla L. n. 654 del 1975, art. 3, norma contestata al capo C, sostituita dal D.L. n. 122 del 1993, art. 1, citato), la questione avrebbe dovuto essere proposta, non essendosi tenuta l’udienza preliminare, nel termine ex art. 491 c.p.p., comma 1, (come stabilito dall’art. 33 quinquies c.p.p.), mentre era proposta solo con il ricorso per cassazione, con conseguente preclusione al suo accoglimento (art. 33 octies c.p.p.).

Nè la riqualificazione dei reati operata in secondo grado attraverso l’assorbimento del capo C nei primi due capi sotto forma di contestazione dell’aggravante, è in qualche modo lesiva, contrariamente a quanto sostenuto dal P.G. d’udienza, del diritto al contraddittorio in ordine alla natura e qualificazione giuridica dei fatti di cui l’imputato è chiamato a rispondere, sancito dall’art. 111 Cost., comma 3, e dall’art. 6 CEDU, commi 1 e 3, lett. a) e b), così come interpretato nella sentenza della Corte EDU nel proc. Drassich c. Italia. Infatti nella specie l’osservanza di tale diritto, la cui violazione neppure il ricorrente ha lamentato, risulta assicurata, con esclusione di qualunque forma di contestazione “a sorpresà, dalla circostanza che ab origine era contestato al C. il reato di atti di discriminazione razziale (capo C), a fronte di che la ritenuta aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico/razziale in relazione ai capi A e B, con assorbimento in essi del capo e, non introduce alcun elemento di novità dal quale l’imputato non sia stato posto in grado di difendersi, oltre ad integrare trattamento più favorevole.

5. Passando all’esame dei primi tre motivi, si osserva che il primo – con cui si lamenta, tra l’altro, anche travisamento del fatto, peraltro intendendosi all’evidenza far riferimento al travisamento della prova -, è privo di fondamento. Il ricorrente pretenderebbe di far discendere la valutazione di palese inattendibilità della persona offesa dal rilevo che, mentre la corte territoriale aveva ritenuto che il giovane nigeriano non avesse confidato ai professori il prolungato regime di offese a sfondo razzista cui era stato sottoposto nel corso dell’anno scolastico prima dell’episodio del (omissis), questi aveva invece dichiarato di averlo fatto, in ciò smentito dai docenti. A dimostrazione del travisamento delle dichiarazioni della p.o., nel ricorso è però richiamata la pag. 11 della trascrizione del verbale dell’udienza 21-11-2008, da cui non risulta che il teste avesse riferito di essersi confidato con i professori. D’altro canto la citazione testuale, contenuta nel gravame, di una parte della deposizione, oltre ad essere avulsa dal contesto, che questa corte non conosce e non può conoscere, non è particolarmente significativa al fine perseguito non potendo escludersi che le confidenze fossero intervenute dopo i fatti del (omissis). Viene meno, così, anche la conseguenza auspicata dal ricorrente e cioè che, essendo la p.o. inattendibile per il profilo indicato, ne discenderebbe l’inesistenza dell’aggravante anche in relazione ai fatti del 5 aprile – la cui ricorrenza era stata ancorata in sentenza esclusivamente al preesistente contesto discriminatorio – e riacquisterebbe plausibilità l’ipotesi dello scherzo.

6. Del pari infondate le censure di cui al secondo motivo.

L’esclusione del travisamento della prova lamentato con la prima doglianza, con conseguente conferma del giudizio di attendibilità della p.o., esclude in radice la possibilità di riconoscimento dell’esimente, anche putativa, del consenso dell’avente diritto in relazione al capo B, la cui prospettazione appare di visibile inconsistenza alla stregua del contesto discriminatorio, ben evidenziato in sentenza, creato nei mesi precedenti dall’imputato e da altri allievi ai danni del compagno di classe, apostrofato abitualmente con l’epiteto di “negro di merda”.

7. Ingiustificatamente, con il terzo motivo, il ricorrente contesta poi la possibilità di riconoscimento dell’aggravante dell’odio razziale per non essere state udite da terzi le ingiurie anteriori all’episodio dello spogliatoio, richiamando giurisprudenza di questa corte, a suo dire non costante, che ne esigerebbe la percezione da parte di altri. Invero non solo la sentenza 11590/2010 richiamata a tale scopo nel ricorso, non richiede affatto tale elemento, ma a sostegno dell’opposto orientamento milita consolidato indirizzo di questa corte secondo cui l’aggravante è integrata quando l’azione si rapporti, nell’accezione corrente, al pregiudizio manifesto di inferiorità di una razza, non essendo necessario che la condotta incriminata sia destinata o, quanto meno, potenzialmente idonea a rendere percepibile all’esterno – e quindi a suscitare – il riprovevole sentimento o, comunque, il pericolo di comportamenti discriminatori o di atti emulatori, anche perchè ciò comporterebbe l’irragionevole conseguenza di escludere l’aggravante in questione in tutti i casi in cui l’azione lesiva si svolgesse in assenza di terze persone (Cass. 49694/2009, 38597/2009, 38591/2008).

8. Al rigetto del ricorso seguono la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e quella alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate in dispositivo facendo applicazione dei criteri per la liquidazione dei compensi ai professionisti dettati con il D.M. 20 luglio 2012, n. 140, entrato in vigore il giorno successivo, tenuto conto che la costituzione riguarda anche il padre di A.O..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori secondo legge.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2013.

Redazione