Accusa di corruzione: le frequentazioni sospette non sono sufficienti (Cass. pen. n. 27309/2013)

Redazione 21/06/13
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 5 novembre 2012 il tribunale del riesame di Agrigento, decidendo in sede di rinvio dalla corte di cassazione, in parziale accoglimento della richiesta di riesame proposta da G.G. con riguardo al decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice delle indagini preliminari del tribunale di Agrigento in data 10 aprile 2012, relativo alla somma di Euro 112.500,00 rinvenuta e sequestrata in via d’urgenza il 28 marzo 2012 dalla Guardia di Finanza di Agrigento nell’appartamento in uso al G., revocava il decreto limitatamente al titolo costituito dall’articolo 322 ter codice penale, confermando nel resto il ricorso.

La Corte di Cassazione con sentenza del 2.7.2012 aveva annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva confermato il decreto di sequestro.

Il g.i.p. aveva motivato il sequestro richiamandosi sia all’art. 322 ter c.p., che al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, conv. in L. n. 13356 del 1992.

Il Tribunale del Riesame nell’ordinanza annullata aveva affermato che, dei reati ipotizzati dal P.M. nei confronti del G., soltanto due (quelli previsti dagli artt. 318 e 319 c.p.) rientravano tra i delitti astrattamente legittimanti la confisca, e perciò, il sequestro ai sensi dell’art. 322 ter c.p., e D.L. n. 206 del 1992, art. 12 sexies.

3. Il Tribunale aveva ritenuto sussistente sia il fumus commissi delicti, ossia l’astratta configurabilità della corruzione, sia le altre condizioni che legittimavano la confisca D.L. n. 3906 del 1992, ex art. 12 sexies, vale a dire la sproporzione dell’importo pecuniario sequestrato rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, nonchè la mancata giustificazione della lecita provenienza della somma e aveva rigettato il ricorso ritenendo assorbita ogni questione relativa all’art. 322 ter c.p.p.. La Corte di Cassazione con la sentenza richiamata aveva ritenuto fondate le doglianze del G. che aveva sottolineato la diversità tra il sequestro previsto dall’art. 322 ter c.p., e quello previsto dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies. Riteneva la Corte il provvedimento viziato anche nella parte in cui aveva ritenuto l’astratta configurabilità della fattispecie delittuosa della corruzione.

Avverso il provvedimento pronunciato a seguito di rinvio dal tribunale del riesame di Agrigento ricorre per cassazione l’indagato a mezzo del suo difensore deducendo che l’ordinanza impugnata è incorsa in:

1. violazione di legge, mancanza assoluta o comunque carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’astratta configurabilità sia dei reati ipotizzati a carico dell’indagato, sia in ogni caso di una partecipazione criminosa di quest’ultimo ex art. 110 c.p..

Sostiene il ricorrente che la tecnica motivazionale utilizzata dal tribunale è la medesima di quella utilizzata nella decisione annullata dalla suprema corte.

2. mancanza assoluta e comunque carenza di motivazione in ordine all’esistenza di una sproporzione dell’importo pecuniario sequestrato e il reddito o altre attività economiche del ricorrente e la mancata giustificazione di una sua lecita provenienza. Illegittimità del sequestro finalizzato alla confisca allargata ex art. 12 sexies.

3. Violazione di legge in ordine alla sussistenza del periculum in mora con riguardo al sequestro ex art. 12 sexies.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

Occorre prendere le mosse dalla sentenza di annullamento della sesta sezione penale del 2 luglio 2012 che ha annullato con rinvio l’ordinanza del tribunale di Agrigento emessa in data 30 aprile 2012.

La Corte di Cassazione con la sentenza richiamata aveva ritenuto che a ragione il G. aveva sottolineato la diversità tra il sequestro previsto dall’art. 322 ter c.p., e quello previsto dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies. Il primo postula l’accertamento di un nesso eziologico tra il reato per cui si procede e il bene da sequestrare o il valore equivalente, mentre il secondo richiede l’accertamento di una sproporzione tra l’importo nella disponibilità dell’indiziato dei reati previsti dalla norma e il reddito dichiarato ai fini fiscali o alla propria attività economica, e di cui non possa giustificare la provenienza. La diversità per tipologia, presupposti e finalità non consentiva pertanto di poter ritenere assorbito nel sequestro ex art. 12 sexies, quello disposto ex art. 322 ter c.p., per cui andava ritenuta illegittima l’ordinanza del Tribunale che aveva omesso di esaminare l’istanza di riesame con riferimento all’art. 322 ter c.p., finendo con il mantenere in vita anche quest’ultimo sequestro, senza aver minimamente preso in esame le contestazioni e le doglianze del G.. Ma soprattutto la Corte aveva osservato che il provvedimento era viziato anche nella parte in cui aveva ritenuto l’astratta configurabilità della fattispecie delittuosa della corruzione, affermando che sulla verifica da parte del Tribunale del riesame del fumus commissi delicti, questa Corte aveva precisato, anche di recente, che se è vero che tale verifica non deve tradursi nel sindacato sulla fondatezza dell’accusa, ma deve investire soltanto la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato, ciò non significa, però, che sia sufficiente, ai fini dell’individuzione del fumus commisi delicti, la mera prospettazione da parte del pubblico ministero dell’esistenza del reato, e tanto meno della possibilità di essa: il giudice del riesame, nella sua pronuncia, deve comunque rappresentare, in modo puntuale e coerente, le concrete risultanze procedimentali e la situazione emergente dagli elementi fomiti dalle parti e dimostrare, nella motivazione del provvedimento, la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura del sequestro (Cass. n. 4049/2012 del 39.11.2011; Cass. 21125/2006 dell’8.5.2006; n. 1885/2004 del 10.12.,2003; n. 48785 del 19.11.2003).

Ha quindi ritenuto che il Tribunale aveva argomentato sulla mera possibilità dell’esistenza del reato di corruzione, con riferimento non già a elementi di fatto riferiti alla persona del G., sia pure sotto il profilo della sua partecipazione ad altrui attività illecite, bensì sulla base di argomentazioni generali e generalizzanti, fondate su un’asserita massima di esperienza di tipo criminologico in ambito amministrativo, concludendo che “la mancanza della prova storica del pactum sceleris, cioè dell’accordo corruttivo sottostante alle singole attività ascritte all’indagato, non avrebbe importanza decisiva ai fini della tempestiva adozione della misura cautelare, trattandosi di un esito probatorio acquisibile anche per via logico-deduttiva e/o in una fase più avanzata delle indagini”….. così come la costatazione che “il plesso amministrativo nel quale il pubblico ufficiale è preposto sia oggetto di numerosi esposti che ne denunciano l’opacità e parzialità della gestione, e la circostanza che il soggetto indagato risulti aver la disponibilità di risorse finanziarie superiori al reddito ufficialmente dichiarato o all’attività economica svolta, fornirebbero indiretto riscontro alla prospettazione d’accusa, concorrendo a definire una trama indiziaria magari insufficiente a sorreggere un giudizio di colpevolezza, ma bastevole ai limitati fini del controllo di congruità degli elementi addotti per l’attivazione della misura cautelare reale”. Dal che ne era seguita, secondo la sentenza di annullamento, l’incongruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferiva la misura di sequestro.

Veniva inoltre sottolineato che, se non poteva essere sottovalutata l’allarmante diffusione della corruzione, che richiede sicuramente un potenziamento ed un affinamento degli strumenti legislativi di prevenzione, di contrasto e di repressione del fenomeno e un più determinato e orientato impegno degli operatori di polizia giudiziaria e dei magistrati inquirenti nel perseguimento dei reati contro la pubblica amministrazione, nell’applicazione degli istituti di diritto penale e processual-penale il giudice doveva rimanere ancorato all’esame di fatti, concreti e specifici, riferiti o riferibili alla condotta dell’indagato o dell’imputato, senza farsi condizionare o influenzare da considerazioni di ordine generale e, soprattutto, da generalizzazioni che contrastano con il principio della responsabilità personale. Ciò detto questo collegio non può non rilevare che anche il nuovo provvedimento preso dal tribunale di Agrigento non si sottrae alla censura già articolata da questa corte. Anche in questo caso il provvedimento impugnato svolge una generale prospettazione di inquadramento che riguarda, da un lato il costante coinvolgimento della Labrproject s.r.l., società di progettazione che faceva capo al coindagato arch. Gi. G. e dall’altro ai rapporti di familiarità tra quest’ultimo e l’odierno indagato, dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di Lampedusa e Linosa, rapporti che si erano estrinsecati in una stretta frequentazione tra i due e nell’utilizzazione da parte di entrambi dello studio professionale Progetto Spazio di Agrigento. Questa generale prospettazione serve al provvedimento impugnato per disegnare l’ambito dentro il quale inserire le due fattispecie che dovrebbero giustificare l’accusa di corruzione. Ma anche a tener conto della particolarità dei rapporti che ingenerano un inquietante sospetto non può affermarsi i due fatti richiamati soddisfino quell’ancoraggio a fatti concreti segnalato da questa corte con la sentenza di annullamento. Con riguardo al primo episodio, relativo all’acquisto di un terreno comunale di 1600 m2 da parte di A. S., assume il giudice del rinvio che tale acquisto dal Comune sarebbe stato reso possibile a fronte dell’assunzione da parte del medesimo A. dell’impegno a cedere alla società Labproject del Gi. una porzione del fondo sulla quale il Gi. e il G. avrebbero poi costruito due villette e che da tale circostanza ne risulterebbe confermata, in via indiziaria, l’ipotesi accusatoria di un sodalizio personale che trascolora nell’alleanza affaristica tra il G. e il Gi. e che comunque sarebbe sufficiente, in sede cautelare, per giustificare in via indiziaria l’ipotesi accusatoria di corruzione. Identico linguaggio, articolato sempre in forma ipotetica e che traccia fattispecie dai confini totalmente sfumale anche quello relativo al secondo episodio, laddove si afferma essere possibile intravedere il sinallagma corruttivo e quantificare il corrispettivo confiscabile nella vicenda relativa al rilascio del permesso a costruire numero 13 del 10 agosto 2011 emesso dal G. nella qualità di capo dell’ufficio tecnico comunale di (omissis) e relativo al completamento e alla definizione del fabbricato di proprietà della Edilmare s.r.l., sito a (omissis). Non è dato comprendere le ragioni per cui i giudici del rinvio hanno ritenuto che la vicenda, descritta con riguardo a ritenute anomalie dell’iter amministrativo, raccontate in maniera non comprensibile, abbiano portato a ritenere, in via ipotetica che la vicenda in esame lascerebbe scorgere comunque in via indiziaria una fattispecie di corruzione impropria tale da legittimare il sequestro sia a mente dell’art. 322 c.p., che del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies. E non può non significativamente rilevarsi che a sostegno di tale conclusione il provvedimento impugnato richiama un passaggio argomentativo del provvedimento annullato dalla 6 Sezione di questa Corte (è difficile sfuggire all’idea che nell’economia dell’operazione contrattuale, la facilitazione dell’iter burocratico della pratica Edilmare sia entrata come un elemento essenziale e che G. sia dunque parte occulta dell’accordo tra P. e Gi. e beneficiario pro quota del vantaggio economico conseguente al realizzarsi dell’affare) che dimostra ancora una volta la circolarità degli elementi spesi dal giudice del rinvio nel riproporre, anche nel provvedimento oggi impugnato, tutti i temi già oggetto della pregressa decisione della corte di cassazione.

Il provvedimento impugnato, con riguardo alla sussistenza del fumus, ripetendo la stessa motivazione possibilistica, si presta ancora una volta alle censure già sottolineate da questa Corte nella sentenza di annullamento con riguardo alla mancanza di ancoraggio all’esame di fatti, concreti e specifici, riferiti o riferibile alla condotta dell’indagato o dell’imputato, senza farsi condizionare o influenzare da considerazioni di ordine generale e, soprattutto da generalizzazioni che contrastano con il principio della responsabilità personale.

L’accoglimento del primo motivo di ricorso assorbe le altre censure.

Il provvedimento deve pertanto essere nuovamente annullato con rinvio al tribunale di Agrigento.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Agrigento.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2013.

Redazione