Accolto il ricorso avverso i provvedimenti di non ammissione alla prova orale degli esami di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato (Cons. Stato n. 5581/2012)

Redazione 02/11/12
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Cons. Stato Sez. IV, Sent., 02-11-2012, n. 5581

Svolgimento del processo

Con l’appello in esame, il Ministero della Giustizia (unitamente alle Commissioni per gli esami di avvocato 2009 operanti presso le ***** di Appello dui Lecce e Salerno), impugna la sentenza 29 aprile 2011 n. 782, con la quale il TAR per la Puglia, sez. I di Lecce, ha accolto il ricorso proposto dalla dottoressa M.G., avverso i provvedimenti di non ammissione alla prova orale degli esami di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato per la sessione 2009.

La sentenza impugnata ricorda “il tradizionale orientamento giurisprudenziale che ha rilevato come la valutazione delle prove di esame da parte delle commissioni di concorso o d’esame costituisca espressione dell’ampia discrezionalità di cui esse dispongono nello stabilire l’idoneità tecnica e culturale dei candidati, il cui esercizio deve ritenersi sindacabile soltanto sotto il profilo dell’eccesso di potere per illogicità manifesta o travisamento dei fatti”.

Tanto premesso, la sentenza appellata – evidenziando una motivazione “assolutamente stereotipata e ripetitiva” – ritiene che, nel caso di specie, “l’esame degli elaborati d’esame della ricorrente evidenzia però, con tutta evidenza, un contesto caratterizzato, oltre che dalla correttezza formale della forma espressiva e della sicura padronanza del lessico giuridico, anche da una corretta soluzione delle problematiche giuridiche poste a base delle prove d’esame”, di modo che “si tratta di un contesto complessivo che contrasta così nettamente con i voti ed i giudizi apposti dalla Commissione d’esame da indurre a ritenere che il giudizio negativo costituisca espressione di quella illogicità o irrazionalità manifesta di valutazione che può sicuramente trovare considerazione in sede di giudizio di legittimità”.

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando, perché il giudice “ha inammissibilmente sindacato nel merito la valutazione della Commissione”;

b) error in iudicando, poichè “non si riscontra nel giudizio tecnico discrezionale reso dalla Commissione, alcuna eclatante illogicità e/o carenza di motivazione”. Né questa può essere giudicata “stereotipata o ripetitiva”, posto che “è sufficiente ai fini della motivazione ed esternazione delle valutazioni compiute . . . il voto numerico attribuito in base ai criteri predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti”.

L’appellata G. si è costituita in giudizio ed ha concluso richiedendo il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.

Motivi della decisione

L’appello è fondato e deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata.

Innanzi tutto, occorre ribadire la natura delle decisioni delle commissioni esaminatrici, affermandosi che esse costituiscono “atti di natura mista”, come tali aventi una “duplice valenza”, e cioè natura “provvedimentale”, quanto all’ammissione o meno alla fase successiva della procedura; nonché natura di “giudizio”, circa la sufficienza della preparazione del candidato stesso al fine di detta ammissione (Cons. Stato, sez. VI, nn. 935/2008; 689/2008; 172/2006). Quanto a quest’ultimo profilo, si è affermato che “la commissione giudicatrice di concorso esprime un giudizio tecnico-discrezionale caratterizzato da profili di puro merito . . . non sindacabile in sede di legittimità, salvo che risulti manifestamente viziato da illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento dei fatti” (Cons. Stato, sez. IV, n. 1237/2008).

In sostanza – come ha condivisibilmente ricordato la stessa sentenza appellata – il giudice amministrativo ha il potere di sindacare in sede di legittimità le valutazioni espresse dalle commissioni giudicatrici in sede di concorso o di esame, solo laddove le stesse risultino inctu oculi affette da eccesso di potere per illogicità o irrazionalità, ovvero per travisamento dei fatti.

L’esame che il giudice deve dunque compiere attiene alla coerenza logica per così dire “intrinseca” del giudizio operato dalla commissione giudicatrice, così valutandone la intrinseca logicità/ragionevolezza, non potendo esso giudice giustapporre e/o sostituire al giudizio già espresso un proprio, differente giudizio (evidentemente frutto di diversi criteri valutativi), posto che ciò rappresenterebbe una non consentita espressione di sindacato nel merito dell’attività amministrativa.

Nel caso di specie, il giudice di I grado ha proceduto (v. pagg. 6 – 8 sentenza) ad un rinnovato giudizio delle prove, giungendo a formulare un giudizio positivo che rappresenta esercizio di proprio, autonomo potere valutativo, senza invece ripercorrere ab interno il percorso logico seguito dall’organo straordinario dell’amministrazione.

Né può sostenersi che il giudizio formulato dalla sentenza si rende necessario al fine di constatare l’illogicità del giudizio formulato dalla Commissione, in quanto tale verifica della sussistenza della figura sintomatica di eccesso di potere deve avvenire comunque nell’ambito del giudizio formulato dalla Commissione e non già previamente formulando, quale termine di paragone, un diverso giudizio, che irrimediabilmente si pone come espressione di valutazione propria del giudice.

Quanto alla sufficienza sul piano motivazionale, del voto espresso in termini numerici, occorre ricordare che la giurisprudenza amministrativa si è venuta via via consolidando nel senso di ritenere legittima (in quanto intrinsecamente motivata) la valutazione della prova di esame effettuata solo in termini alfanumerici, ovvero con formule sintetiche.

Secondo questo Consiglio di Stato (sez. VI, 9 settembre 2008 n. 4300), “anche successivamente all’entrata in vigore della L. 7 agosto 1990, n. 241, il voto numerico attribuito dalle competenti commissioni alle prove scritte od orali di un concorso pubblico o di un esame, esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale della commissione stessa, contenendo in se stesso la motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni o chiarimenti”. E ciò in quanto “la motivazione espressa numericamente, oltre a rispondere ad un evidente principio di economicità amministrativa di valutazione, assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla Commissione nell’ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato” (in senso conforme, Cons. Stato, sez. VI, n. 5254/2002; sez. IV, n. 4165/2005).

Anche la Corte Costituzionale, con sentenza n. 20/2009, ha preso atto del “diritto vivente”, validando la tesi “dell’insussistenza, nell’ordinamento vigente, di un obbligo di motivazione dei punteggi attribuiti in sede di correzione e della idoneità degli stessi punteggi numerici a rappresentare una valida motivazione del provvedimento di inidoneità”.

Alla luce di quanto esposto, occorre quindi ritenere sufficientemente motivato il giudizio della Commissione limitato alla mera apposizione di valutazioni in termini numerici.

Alla luce di tutte le considerazioni esposte, l’appello deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata e rigetto del ricorso instaurativo del giudizio di I grado.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Ministero della Giustizia ed altri (n. 4695/2011 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso instaurativo del giudizio di I grado.

Compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione