Accesso ai documenti e segreto istruttorio penale (Cons. Stato n. 547/2013)

Redazione 29/01/13
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FATTO

La signora B. riferisce di essere proprietaria di un appartamento al settimo piano di un immobile sito in Napoli, Via Kerbaker (l’appartamento in questione è disposto su due piani e ha due terrazzi).

Nel mese di marzo del 2011 l’amministratore del condominio ebbe a presentare al Comune di Napoli una segnalazione certificata di inizio di attività (‘SCIA’) avente ad oggetto lavori di manutenzione straordinaria relativi (fra l’altro) i terrazzi di proprietà dell’appellante.

In data 19 ottobre 2011 ella è stata convocata presso gli Uffici della Polizia municipale di Napoli per fornire informazioni sui lavori relativi alla sua proprietà.

In data 24 ottobre 2011 alcuni ufficiali del Corpo di Polizia municipale del Comune di Napoli (accompagnati da alcuni tecnici comunali) si sono recati presso l’appartamento dell’appellante “al fine di verificare la liceità di alcuni manufatti rilevati sul posto ed i lavori riguardanti la copertura del fabbricato con la relativa recinzione”.

Con successiva nota in data 24 ottobre 2011, il Corpo di Polizia municipale di Napoli riferiva che “il tecnico del Comune di Napoli (…), dal sopralluogo odierno, riteneva necessaria l’acquisizione di idonea documentazione riguardante le rispettive proprietà, nella fattispecie di un locale in muratura di circa mq. 15 S.V. ricadente nella proprietà B. (…). Lo stesso riteneva altresì necessario ulteriori accertamenti inerenti le pavimentazioni con relative recinzioni ai terrazzi di copertura delle due U.A.”.

Con atto in data 20 dicembre 2011, l’appellante ha chiesto al Comune di Napoli l’accesso agli atti relativi al procedimento di accertamento amministrativo avviato nel corso del 2011.

Siccome il Comune di Napoli non aveva consentito l’accesso agli atti in parola, la signora B. proponeva il ricorso n. 709 del 2012 dinanzi al T.A.R. per la Campania al fine di ottenere la condanna dell’Ente al rilascio di tali atti.

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale adìto ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile e in parte infondato.

La sentenza in questione è stata impugnata in sede di appello dalla signora B., la quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:

1) Error in iudicando sulla valutazione dei presupposti alla base della decisione – Erronea applicazione dell’art. 25, commi 4 e 5, l. 241 del 1990 – Insufficienza, erroneità e contraddittorietà della motivazione – Illogicità, ingiustizia e irragionevolezza manifeste.

La sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma laddove ha dichiarato inammissibile il ricorso per essere stato consegnato alla ricorrente il verbale del sopralluogo effettuato dalla Polizia municipale di Napoli in data 24 ottobre 2011.

Sotto tale aspetto, il T.A.R. non avrebbe considerato che la domanda ostensiva avanzata dall’odierna appellante era, in realtà, finalizzata ad ottenere l’accesso agli ulteriori e diversi atti sottesi alla pretesa del Comune di Napoli di effettuare ulteriori sopralluoghi (evidentemente presupponesti l’esistenza di un procedimento amministrativo ad hoc).

In definitiva, la richiesta di accesso era finalizzata ad avere contezza del procedimento amministrativo (della cui esistenza non era dato dubitare) evidentemente avviato dal Comune al fine di verificare la liceità dei manufatti realizzati dall’appellante sulla sua proprietà, nonché del relativo responsabile.

Ed ancora, la sentenza sarebbe meritevole di riforma laddove ha ritenuto che il ricorso per l’accesso fosse infondato dal momento che gli atti relativi erano coperti sottratti all’accesso e coperti da segreto istruttorio ai sensi dell’articolo 329, c.p.p..

Al contrario, lo stesso Comune di Napoli (ancora alla data del 28 marzo 2012) avrebbe – sia pure indirettamente – confermato che nessun atto fosse stato delegato alla Polizia municipale di quel Comune dall’A.G., essendo – al contrario – avvenuto che gli organi comunali avessero trasmesso una notitia criminis all’A.G. competente.

Al riguardo, il Tribunale avrebbe dovuto tenere in considerazione l’orientamento secondo cui la mera pendenza di un procedimento penale non costituisce di per sé elemento ostativo all’accessibilità degli atti.

Si è costituito in giudizio il Comune di Napoli il quale ha concluso nel senso della reiezione del gravame.

Alla Camera di consiglio del 27 novembre 2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello nel rito dell’accesso (articolo 116 del c.p.a.), proposto dalla proprietaria di un appartamento sito nel Comune di Napoli avverso la sentenza del T.A.R. della Campania con cui è stato dichiarato in parte inammissibile e in parte infondato il suo ricorso volto all’accesso degli atti relativi a un procedimento finalizzato alla verifica di presunti abusi commessi relativamente all’appartamento di sua proprietà.

2. L’appello è in parte fondato, nei termini di cui in appresso.

2.1. Da quanto esposto in narrativa emerge che la signora B. fosse portatrice di una posizione giuridica soggettiva idonea a legittimare la proposizione del ricorso per l’accesso.

In particolare, come esposto in narrativa e chiarito in atti, l’odierna appellante è proprietaria di un appartamento – e delle relative pertinenze – sul quale, nel corso degli anni, sono stati effettuati interventi di manutenzione in relazione ai quali risulta che il Comune di Napoli abbia avviato un procedimento finalizzato alla verifica di presunti abusi edilizi ivi commessi.

Conseguentemente, l’odierna appellante vanta un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata, ad accedere agli atti del procedimento avviato dall’amministrazione comunale.

Al riguardo i primi Giudici hanno correttamente richiamato il principio secondo cui non ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all’autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta all’accesso, in quanto, se la denuncia è presentata dalla pubblica amministrazione nell’esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative, non si ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 329, c.p.p.; tuttavia se la pubblica amministrazione che trasmette all’autorità giudiziaria una notizia di reato non lo fa nell’esercizio della propria istituzionale attività amministrativa, ma nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuite dall’ordinamento, si è in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell’art. 329 c.p.p. e conseguentemente sottratti all’accesso ai sensi dell’art. 24, l. n. 241 del 1990 (in tal senso: Cons. Stato, VI, 9 dicembre 2008, n. 6117).

Ebbene, nei suoi scritti difensivi (il cui contenuto è stato sostanzialmente condiviso dai primi Giudici) il Comune di Napoli si è limitato a dichiarare che gli ulteriori accertamenti (sic) sono stati compiuti nell’espletamento di compiti delegati dall’Autorità giudiziaria.

Da quanto rilevato dal Comune non è dato comprendere se gli atti finalizzati all’accertamento e alla repressione dei presunti abusi edilizi posti in essere nella proprietà dell’appellante: a) siano stati delegati dall’A.G. (nel qual caso l’ostensione non sarebbe possibile); b) coincidano con le notitiae criminis poste in essere dagli organi comunali nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria ad essi specificamente attribuite dall’ordinamento (nel qual caso parimenti l’ostensione non sarebbe possibile), ovvero c) costituiscano atti di indagine e accertamento (se del caso, tradottisi in denunce all’A.G.) non compiuti nell’esercizio di funzioni di P.G., bensì nell’esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative (nel qual caso, non sussistono impedimenti ad ammettere l’esercizio del diritto di accesso su tali atti).

Sono invece infondate le deduzioni dell’appellante che, incidentalmente, hanno lamentato che l’accesso sui luoghi poteva aver luogo solo previo avviso di avvio di un procedimento sanzionatorio..

Ai sensi dell’art. 27, comma 1, del testo unico sull’edilizia (approvato con il d.P.R. n. 380 del 2001), “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente, la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi”.

Pertanto, se del caso per il tramite dei suoi dipendenti, il dirigente o il responsabile dell’ufficio può disporre anche ad horas, informalmente e ‘a sorpresa’ l’accesso sui luoghi per verificare se sussista un illecito edilizio (avente o meno rilevanza penale), se vada emesso un ordine di sospensione dei lavori o se vada avviato un procedimento per l’emanazione di un atto di ritiro di un precedente atto abilitativo: solo in quest’ultimo caso è configurabile l’obbligo di trasmettere un formale avviso previsto dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990.

Ciò comporta l’infondatezza della pretesa dell’interessata, di subordinare la propria collaborazione con l’ufficio al previo rilascio di un formale atto di avviso di avvio di un procedimento sanzionatorio: da un lato, ella può accedere ai verbali posti in essere dall’ufficio con riferimento alla sua posizione (purché, come sopra precisato, non siano stati posti in essere nell’esercizio di una delega trasmessa dalla autorità giudiziaria), dall’altro ella non può pretendere di visionare un atto formale di avvio di un procedimento sanzionatorio, che non va emesso per accertare la realtà di fatto caratterizzante un immobile.

3. In base a quanto sin qui esposto il ricorso in epigrafe deve essere accolto in parte e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, deve essere ordinato al Comune di Napoli di consentire alla signora B., entro il termine di trenta giorni dalla notificazione o comunicazione della presente sentenza, l’accesso (mediante esame o estrazione di copia) agli atti relativi alla ricerca e alla repressione dei presunti abusi edilizi commessi sulla sua proprietà, escludendo dall’ordine di esibizione gli atti il cui compimento sia stato delegato dall’A.G., nonché gli atti che costituiscano notitiae criminis poste in essere (o acquisite) dagli organi comunali nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria ad essi specificamente attribuite dall’ordinamento.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei limiti di quanto dedotto in motivazione e, nei corrispondenti limiti, accoglie il ricorso di primo grado.

Spese compensate dei due gradi del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2012

Redazione