Accertamento natura di pubblico impiego e diritto al trattamento previdenziale (Cons. Stato n. 5979/2012)

Redazione 27/11/12
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FATTO

Il dottor ************* riferisce di aver prestato per oltre quindici anni la propria attività professionale, quale collaboratore professionale esterno (c.d. “gettonato”), dapprima presso il Policlinico annesso alla Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università degli studi di Napoli Federico II ed in seguito presso l’Azienda ospedaliera universitaria della Seconda Università degli studi di Napoli, e di aver proposto ricorso (n. 6579 del 2006) al Tribunale amministrativo regionale per la Campania al fine di veder accertare la natura di pubblico impiego di fatto dell’attività svolta dal settembre 1981 al 31 dicembre 1997 e condannare le amministrazioni intimate al pagamento delle differenze retributive dovute ed alla ricostruzione della sua posizione assicurativa, assistenziale e previdenziale.

Con sentenza n. 16457 del 2007 il giudice adito ha dichiarato inammissibile il ricorso in quanto relativo a questioni attinenti a periodo di lavoro anteriore al 30 giugno 1998 e proposto ben oltre il termine di decadenza sostanziale del 15 settembre 2000 di cui all’art. 69, comma 7, d.lgs.30 marzo 2001, n. 165.

Il dottor D. propone appello, articolando la critica alla sentenza di cui chiede la riforma in tre motivi, con i quali, in sintesi, sostiene: 1) che un’interpretazione secondo cui il comma 17 dell’art. 45 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, poi trasfuso nell’art. 69, comma 7, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, avrebbe delineato un’ipotesi di decadenza sostanziale dai diritti azionabili in giudizio determina non pochi problemi di costituzionalità in relazione alle previsioni di cui agli articoli 24, 36, 38, 113 e 117 della Costituzione; che non potrebbero costituire ostacolo all’indagine di rilevanza, ammissibilità e non manifesta infondatezza della questione le ordinanze della Corte Costituzionale richiamate nella sentenza gravata, in quanto le vicende allora esaminate non avevano riguardato la compressione del diritto al trattamento previdenziale e pensionistico, diritto inviolabile ed imprescrittibile, cui non potrebbe applicarsi l’istituto della decadenza, ed in relazione al quale, del resto, alcun termine aveva iniziato a decorrere, rilevando il momento di conseguimento dell’età pensionabile; che solo a seguito di un primo riconoscimento della natura di rapporto di pubblico impiego delle prestazioni effettuate dai medici “gettonati” con sentenza del Consiglio di Stato 26 luglio 2001, n. 4134 egli ha preso coscienza del proprio diritto ad una equa contribuzione previdenziale; in subordine, che sussistono i presupposti per il riconoscimento dell’errore scusabile; 2) che deve prioritariamente considerarsi come la materia per cui si controverte ricade tuttora nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, stante l’assimilabilità della figura del medico “gettonato” alla categoria dei ricercatori universitari e, comunque, la necessità di adottare il criterio della prevalenza, tenendo conto che i “gettonati” svolgevano presso le università una attività professionale caratterizzata dalla prevalenza di una delle mansioni, quella assistenziale, proprie dei ricercatori universitari; non avrebbe pertanto alcuna rilevanza nella specie la data del 30 giugno 1998 e di conseguenza non sarebbe configurabile alcuna decadenza per posteriorità della domanda alla data del 15 settembre 2000; 3) che l’esistenza del rapporto di lavoro dovrebbe essere quantomeno accertata incidenter tantum nella prospettiva del riconoscimento della previdenza per gli anni di lavoro da “gettonato”.

Si sono costituiti in giudizio la Seconda Università degli studi di Napoli, la relativa Azienda ospedaliera universitaria e l’Inpdap, concludendo nel senso della reiezione del ricorso.

Alla pubblica udienza del 19 giugno 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.

 

DIRITTO

La questione sottoposta al Collegio investe il tema, di cui più volte è stato investito il giudice amministrativo, della proponibilità, dopo il trasferimento al giudice ordinario della giurisdizione sul rapporto di pubblico impiego, dell’azione giudiziale dei medici che avevano prestato la propria collaborazione professionale presso strutture cliniche universitarie, con rapporto definito “a gettone”, per l’accertamento della natura di pubblico impiego di fatto dell’attività assistenziale svolta e delle conseguenti spettanze sul piano retributivo, assicurativo, assistenziale e previdenziale.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 21 febbraio 2007, n. 4, pronunciandosi relativamente a domande proposte da numerosi soggetti interessati al predetto accertamento e che avevano proposto ricorso, come l’odierno appellante, dopo il 15 settembre 2000, ha dichiarato inammissibili per tardività i ricorsi – originariamente accolti dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania, per assimilazione del rapporto di lavoro in questione con quello dei ricercatori universitari – evidenziando che alla scadenza del termine anzidetto corrisponde “la radicale perdita del diritto a far valere, in qualunque sede, ogni tipo di contenzioso” nell’ambito della cognizione in precedenza rimessa al giudice amministrativo in materia di pubblico impiego, ossia per questioni attinenti al periodo antecedente al 30 giugno 1998, comprese fattispecie riferite a rapporti di fatto, senza che emergessero problemi di costituzionalità; a tale riguardo e con richiamo alle ordinanze della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 214, 26 maggio 2005, n. 213, 7 ottobre 2005, n. 382 e 11 maggio 2006, n. 197, l’Adunanza plenaria ha considerato il nuovo assetto ispirato a coerenti esigenze organizzative, connesse al trapasso da una giurisdizione all’altra, evidenziando che il legislatore aveva perseguito l’obiettivo di “non coinvolgere il giudice ordinario in controversie relative a rapporti nati in un periodo nel quale non sussisteva ancora la sua giurisdizione, e, al tempo stesso, di non coinvolgere troppo a lungo il giudice amministrativo in una giurisdizione ormai perduta”.

La Corte costituzionale, infatti, ha ritenuto che, per disciplinare la successione di leggi processuali nel tempo, il legislatore gode di ampia discrezionalità e che la disparità di trattamento tra i dipendenti privati e quelli pubblici, soggetti a un termine di decadenza, è ragionevole e giustificata dall’esigenza di contenere gli effetti prodotti dal trasferimento della giurisdizione al giudice ordinario e dal temporaneo mantenimento della medesima in capo al giudice amministrativo e che il termine di oltre ventisei mesi non era tale da rendere oltremodo difficoltosa la tutela giurisdizionale.

L’indirizzo dell’Adunanza plenaria (proprio sulla questione dei medici “gettonati” dell’Università di Napoli) è stato seguito da copiosa giurisprudenza di questa Sezione (cfr., ad esempio, le sentenze 21 aprile 2008, n. 1770, 3 aprile 2008, nn.1391,1392, 1393, 24 agosto 2010, n. 5916 e, recentemente, 23 maggio 2012, n. 3023), che ha chiarito, quanto agli aspetti rilevanti per il presente contenzioso, per un verso, come non possa essere condivisa la tesi, prospettata per affermare la persistenza della giurisdizione amministrativa, della assimilabilità fra medici gettonati e ricercatori universitari, per la diversità dei rispettivi profili professionali e l’assenza per i primi, incaricati di funzioni assistenziali, delle funzioni di ricerca e di didattica proprie dei secondi (cfr., diffusamente, la citata sentenza 3 aprile 2008, n. 1391), e, per altro verso, che “anche la tutela ai fini previdenziali delle posizioni giuridiche soggettive dei medici c.d. “gettonati” soggiace al limite” temporale del 15 settembre 2000 “con la conseguenza che la tardiva proposizione del ricorso abbia comportato una forma di decadenza di tipo sostanziale”, dovendosi escludere “una sorta di prevalenza di carattere ontologico che i diritti di natura previdenziale presenterebbero in confronto a qualunque diritto di carattere lato sensu inerente il rapporto di lavoro”, con conseguente manifesta infondatezza di dubbi di legittimità costituzionale sotto tale profilo “per le medesime ragioni per cui la Corte costituzionale li ha dichiarati manifestamente infondati in relazione alla generale previsione che ha determinato la decadenza sostanziale … in relazione alla generale tutelabilità dei diritti che traggono origine dalla prestazione lavorativa” (v. la citata sentenza n. 3023 del 2012).

Dall’indirizzo sintetizzato il Collegio ritiene di non doversi discostare. Va, quindi, disatteso il logicamente prioritario secondo motivo di appello teso a sostenere, sulla base di una non condivisibile assimilazione dei medici gettonati ai ricercatori, la persistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, ammessa, appunto per i soli docenti universitari e per i ricercatori a norma degli articoli 3, comma 2, e 63, comma 4, del citato d.lgs. n. 165 del 2001. Non giova all’appellante richiamare la sentenza di questa Sezione 26 luglio 2001, n. 4134 che in obiter dictum considera , nel quadro mansionistico di settore, che la qualifica di più immediato riferimento a quella dei medici “gettonati” fosse quella corrispondente alla figura professionale dei ricercatori, poiché il parallelo riguardava l’aspetto della valutazione della congruità del gettone retributivo ed escludeva una piena equiparabilità tra le due categorie di personale, proprio a causa dell’assenza, per una di esse, delle funzioni di ricerca e didattica; l’assenza di qualunque coinvolgimento dei “gettonati” nella didattica e nella ricerca ha appunto indotto la Sezione, nelle già citate sentenze n. 1391 del 2008 e 5916 del 2010, a ritenere frutto di eccessiva semplificazione la proposta assimilazione coi ricercatori e più consona l’assimilazione a altro personale medico con inquadramento nella qualifica dei funzionari tecnici (poi personale E.P., comprensivo, peraltro, dei medici ex “gettonati”).

Non persuasivo è anche il primo motivo di appello, incentrato sulla valorizzazione del profilo previdenziale e così del diritto a pensione, cui non potrebbero applicarsi le categorie della decadenza o della prescrizione, trattandosi di diritto per definizione imprescrittibile e comunque maturantesi solo con il conseguimento dell’età pensionabile, e del diritto alla regolarizzazione della posizione previdenziale. Ancorchè finalizzata alla tutela previdenziale, l’azione tesa ad ottenere la regolarizzazione contributiva è proponibile avanti al giudice che ha giurisdizione sul rapporto cui la pretesa è inerente; nella specie, trattandosi di rapporto di fatto assimilabile, sul piano sostantivo e processuale, al rapporto di pubblico impiego, l’azione per questioni inerenti i periodi del rapporto di lavoro sino al 30 giugno 1998 poteva essere rivolta al giudice amministrativo nel rispetto dei presupposti, condizioni e limiti dell’azione avanti a tale giudice, ivi compresa l’applicazione delle disposizioni in materi di decadenza dall’azione poste dapprima dall’art. 45, comma 17 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, indi dall’art. 69, comma 7, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

Risulta, quindi, esclusa la possibilità di una pronuncia del giudice amministrativo sulla questione proposta dal dottor D., avendo egli proposto il ricorso dopo la scadenza del termine inderogabile del 15 settembre 2000, che precludeva la cognizione del medesimo anche se relativo a rapporti anteriori al 30 giugno 1998.

Non si ravvisano, infine, i presupposti per accordare il beneficio dell’errore scusabile (del resto non riconosciuto nelle numerose occasioni in cui questo Consiglio si è pronunciato su controversie di contenuto analogo alla presente), atteso il chiaro ed inequivoco contenuto dell’art. 69, comma 7, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165; né è consentito, come sollecitato con il terzo motivo, un accertamento meramente incidentale dell’esistenza del rapporto di pubblico impiego, in quanto l’accertamento incidenter tantum non può essere un petitum fine a sé stesso ma postula un altro distinto, autonomo ed ammissibile petitum nei cui confronti il chiesto accertamento incidentale si presenti come pregiudiziale, evenienza che non si riscontra nella specie, in cui l’accertamento del rapporto di pubblico impiego di fatto costituisce proprio la pretesa principale inammissibilmente azionata oltre il termine consentito.

La sentenza di primo grado, dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso, merita, in conclusione, conferma e l’appello va respinto.

In relazione alla natura della controversia, si reputa giustificata la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 7503 del 2008, lo respinge

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 giugno 2012

Redazione