Accertamento induttivo sul contribuente a seguito di semplici indagini operate sui suoi clienti (Cass. n. 17005/2013)

Redazione 09/07/13
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Ordinanza

Svolgimento del processo

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Sicilia n. 28/24/10, depositata il 19 febbraio 2010, con la quale, accolto l’appello di S.C. contro la decisione di quella provinciale, l’opposizione relativa all’avviso di accertamento per Irpef, Irap ed ***, inerenti all’anno 1999, veniva ritenuta fondata. In particolare il giudice di secondo grado osservava che l’agenzia presumeva un maggior reddito in capo al contribuente, titolare di ditta esercente l’attività di commercio dì mobili, su altra presunzione, costituita da contabilità in nero riscontrata dalla Guardia di finanza, e quindi in base ad una doppia (presunzione), non consentita. C. resiste con controricorso, ed ha depositato memoria.

Motivi della decisione

2. Col motivo addotto a sostegno del ricorso la ricorrente deduce violazione di varie norme di legge, in quanto la CTR non considerava che l’avviso di accertamento era scaturito dalla verifica della Guardia di finanza, nel corso della quale era emersa la presenza di un’agenda, con annotazioni specifiche di cessioni di mobili tra il fornitore R.M. e il contribuente inciso, sicché si trattava di presunzione precisa, munita del carattere di gravità e precisione, che comportava la legittimità del metodo induttivo e l’inversione dell’onere della prova, tuttavia non assolto dal soggetto interessato.
Il motivo è fondato, atteso che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 39, comma primo, lett. c), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta “dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”. In tal caso, l’esistenza di attività non dichiarate è desumibile anche sulla base dì presunzioni semplici, con conseguente inversione dell’onere della prova, come nella specie, spettando al contribuente dimostrare – persino anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette – l’infondatezza della pretesa fiscale (V. pure Cass. Sentenza n. 28342 del 21/12/2005). Peraltro in tema di IVA, l’art. 62-sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito in legge 29 ottobre 1993, n. 427, nel prevedere al comma 3 che gli accertamenti condotti ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis dello stesso d.l. n. 331 del 1993, autorizza l’ufficio finanziario, allorché ravvisi siffatte “gravi incongruenze”, a procedere all’accertamento induttivo anche fuori delle ipotesi previste dal detto art. 54 e, in particolare, anche in presenza di una tenuta formalmente regolare della contabilità. Ciò costituisce un’ulteriore deroga, in materia di accertamento, ai limiti fissati dall’art. 54, con la conseguente ammissibilità dell’accertamento induttivo oltre le ipotesi già previste dal successivo art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, e cioè anche in presenza di contabilità formalmente regolare (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 5977 del 14/03/2007, n. 26919 del 2006).
Dunque sul punto la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto.
3. Ne deriva che il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della decisione impugnata, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384, comma 2 cpc, e rigetto del ricorso in opposizione del contribuente avverso l’atto impositivo.
4. Quanto alle spese del doppio grado, sussistono giusti motivi per compensarle, mentre le altre di questo giudizio seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e decidendo nel merito, rigetta quello introduttivo; compensa le spese del doppio grado, e condanna il controricorrente al rimborso di quelle di questo giudizio, che liquida in euro 1.500,00(millecinquecento/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito.

Redazione