Accertamento induttivo: impugnazione (Cass. n. 18244/2012)

Redazione 25/10/12
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Ordinanza

Svolgimento del processo

1. A. M. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Puglia n. 8/05/10, depositata il 19 gennaio 2010, con la quale essa rigettava l’appello della medesima contro la decisione di quella provinciale, sicché l’opposizione della contribuente relativa all’avviso di accertamento per mancata tenuta di libri contabili, recupero di costi a tassazione ed infedele dichiarazione ai fini dell’Irpef, *** ed Irap per l’anno 2002, nella sua qualità di titolare dell’impresa per il commercio all’ingrosso di materiale da costruzione, veniva ritenuta infondata. In particolare il giudice di secondo grado osservava che dalla verifica svolta dalla Guardia di finanza era emerso che diverse operazioni contabili non erano state registrate, come pure alcune fatture attive; inoltre, nonostante richiesta, la contribuente aveva omesso di esibire ai militi le relative scritture, senza peraltro nemmeno provare i suoi assunti in sede giudiziale. L’agenzia delle entrate resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

2. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di norma di legge, in quanto la CTR non considerava che il metodo induttivo non poteva essere adottato, e in particolare l’agenzia non aveva fornito ulteriori necessari elementi a supporto del suo assunto.
Il motivo è infondato. Invero, com’è noto, in tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dall’art. 39, comma primo, lett. d) del d.P.R. 29 Settembre 1973, n. 600 sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, e assistito da presunzione di legittimità circa l‘operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo (Cnf. anche Cass. Sentenze n. 951 del 16/01/2009, n. 24532 del 2007).
3. Col secondo motivo la ricorrente denunzia ancora violazione di norma di legge, oltre che vizio di motivazione, giacchè il giudice di appello non valutava che era proprio l’agenzia che doveva fornire la prova della maggiore durata della locazione degli immobili di M. né indicava le ragioni, per le quali riteneva di non accogliere la relativa doglianza avanzata.
Si tratta di censura generica, oltre che infondata, atteso che la ricorrente non riportava il tratto del ricorso in appello con cui avrebbe addotto la questione.
4. Col terzo motivo la ricorrente lamenta violazione di norma di legge, poichè il giudice di appello doveva riconoscere le deduzioni previste dalla legge, a prescindere dalla loro indicazione nella dichiarazione dei redditi.
La doglianza è anch’essa di carattere generico, per le stesse ragioni sopra indicate, oltre che infondata, dal momento che la deduzione invocata non era stata indicata in quella dichiarazione.
Invero, come per l’Ilor, la deducibilità dell’Irap è condizionata all’onere della specifica richiesta formulata nella dichiarazione annuale. Pertanto tale imposta non può essere dedotta dal reddito recuperato a tassazione, essendo la sua indeducibilità proprio conseguenza della omessa richiesta (V. pure Cass. Sentenza n. 2734 del 24/02/2001).
5. Ne deriva che il ricorso va rigettato.
6. Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte
Rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio a favore della controricorrente, che liquida in euro 2.000,00 (duemila/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito.
Cosi deciso in Roma, il 10 ottobre 2012.

Redazione