Accertamento: i costi rientranti nella strategia commerciale della società sono deducibili (Cass. n. 3340/2013)

Redazione 12/02/13
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Svolgimento del processo

Con sentenza n. 61/16/2006, depositata il 26.9.2006, la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate confermando la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Modena n. 36/03/2005 che accoglieva parzialmente il ricorso della società avverso l’avviso di accertamento, relativo all’anno 1997, con il quale l’ufficio recuperava a tassazione somme dovute a titolo di Irpeg e Ilor.

La società faceva acquiescienza ad alcuni rilievi operati dall’Ufficio, limitando, in sede di appello, la materia del contendere a due questioni: 1) interessi su finanziamenti effettuati a favore di altra società (*************** s.p.a.), pari a L. 167.228.656, considerate occulti dall’Ufficio, 2) costi non inerenti e non documentati pari a L. 208.969.506.

Rilevava al riguardo la Commissione Tributaria Regionale, confermando quanto affermato già nella sentenza di primo grado, che la vendita operata nei confronti della *************** s.p.a.di materiale di confezionamento di vino sfuso e imbottigliato a prezzo di costo realizzava il fine pratico di permettere a tale società di operare sul mercato e mantenere in attività lo stabilimento di (omissis), ritenendo non trattarsi di finanziamento occulto ma di attività commerciale anche se antieconomica.

Con riferimento ai costi non inerenti relativi a servizi amministrativi e commerciali export e manutenzioni impianti, i giudici di secondo grado li ritenevano inerenti alla strategia commerciale della società.

L’Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale deducendo i seguenti motivi:

a) violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, non avendo i giudici di appello esaminato ìeccezione di vizio di ultra petizione formulata nell’atto di appello dall’Agenzia delle entrate non essendovi alcun riferimento negli atti di causa allo stabilimento di (omissis) della ********************** e allo scopo che avrebbe avuto la ricorrente di mantenerlo in vita;

b) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 42, comma 2, dell’art. 56, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ritenendo come e norme citate comprendano anche gli interessi rientranti nel reddito d’impresa maturati su somme derivanti da finanziamenti “occulti” o non sorretti da logica economica a causa dell’antteconomicità dell’operazione commerciale posta in essere, essendosi il giudice di appello limitato a richiamare una decisione della Commissione tributaria provinciale di Milano e a ritenerla genericamente condivisibile;

c) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, e dell’art. 2967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, non avendo il contribuente provato l’inerenza, la congruità e l’effettività delle componenti negative di reddito portate in deduzione nell’esercizio dell’impresa.

La società intimata si è costituita con controricorso ne giudizio di legittimità.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 12.12.2012, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Motivi della decisione

Sono infondati il primo e il terzo motivo di ricorso.

1. Con riferimento al primo motivo di ricorso va rilevato che “la corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ex art. 112 c.p.c., riguarda il “petitum” che va determinato con riferimento a quello che viene domandato sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire, ed alle eccezioni che in proposito siano state sollevate dal convenuto. Tuttavia, tale principio, così come quello de “tantum devolutum quantum appellatum” (artt. 434 e 437 c.p.c.), non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma, rispetto a quella prospettata dalle parti (cfr Cass. Sez. L, Sentenza n. 6757 del 24/03/2011).

Risultano, comunque, prodotti in atti sia il tabulato da cui risulta l’importo delle rivendite da parte della Giaccbazzi Juce s.p.a. di vino imbottigliato (doc. 11) nonchè le relative fatture (doc 12) da cui i giudici di merito hanno dedotto la natura commerciale di tali operazioni fondando la motivazione del provvedimento su documentazione ritualmente prodotta in atti.

2. Anche il terzo motivo è infondato.

Attraverso il meccanismo delle deduzioni si realizza un risparmio di imposta, in quanto si abbatte il reddito imponibile netto, in misura corrispondente all’entità della spesa o dei costo deducibili.

Spetta al contribuente dare la prava, in applicazione del principio desumibile dall’art. 2697 c.c., dell’inerenza dei costi e della loro riconducibilità all’ordinario esercizio dell’attività d’impresa dovendosi ritenere inerente ciò che – sul piano dei costi e delle spese – appartiene alla sfera dell’impresa, in quanto sostenuto nell’intento di fornire a quest’ultima un’utilità, anche in modo indiretto, (cfr. Cass. 26851/09, 18930/11).

Il concetto di inerenza è, invero, nozione di origine economica, legata all’idea del reddito come entità calcolata a; netto dei costi sostenuti per la sua produzione, che, nel campo fiscale, si traduce in un risparmio di imposta e in relazione alla cui sussistenza, ove si abbia riguardo a spese intrinsecamente necessarie alla produzione de reddito dell’impresa, non incombe alcun ulteriore onere della prova in capo al contribuente, gravando sull’amministrazione finanziaria l’onere della prova della non inerenza dei costi astrattamente riconducici1 all’attività d’impresa (Cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6548 dei 27/04/2012).

L’onere della prova a carico del contribuente si riferisce, quindi, alla strumentalità della spesa rispetto alla all’attività di impresa, qualora il costo non risulti di chiara evidenza in considerazione della sua stessa natura. Non è, infatti, in linea di principio, inerente all’impresa tutto ciò che si può ricondurre alla sfera personale o familiare dell’imprenditore, ovvero del socio o del terzo.

Provata dal contribuente la astratta riconducibilità della spesa o del costo all’impresa, dovrà l’Amministrazione – che intenda disconoscerne l’inerenza all’attività di impresa, ai fine di inferirne la sussistenza di un maggior reddito tassabile in capo a contribuente – fornire ìa relativa dimostrazione in giudizio.

In relazione alla medesima “ratio”, questa Code ha operato un distinguo, ai fini del riparto dell’onere della prova, tra beni “normalmente necessari e strumentali” e beni “non necessari e strumentali”, ponendosi a carico del contribuente l’onere della prova dell’inerenza solo in questa seconda evenienza (cfr. Cass. 9265/95, 13478/01).

Nel caso di specie peraltro la Commissione regionale ha ritenuto i costi “inerenti” in quanto rientranti nella “strategia commerciale” della società disattendendo, con valutazione di merito incensurabile in sede di legittimità, la tesi dell’ufficio che, pur non contestando l’effettività dei costi, riteneva che gli stessi fossero “superflui”.

3. Il secondo motivo è, invece, fondato.

La CTR ha escluso, con riferimento al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 42, comma 2, nel testo dell’epoca vigente, la presunzione di fruttuosità, ritenendo “legittimo l’annullamento dei recuperi delle somme per interessi su finanziamenti occulti in quanto le deduzioni al riguardo sono contrarie all’interpretazione delle norme richiamate e soprattutto della giurisprudenza ormai consolidata sul punto (vedi per tutte CTP Milano n. 278/2000)”. Osserva il collegio che la motivazione di una sentenza può essere redatta per relationem rispetto ad altra sentenza, purchè la motivazione stessa non si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento: occorre che vengano riprodotti i contenuti mutuati, e che questi diventino oggetto di autonoma valutazione critica, in maniera da consentire poi anche la verifica della compatibilità logico-giuridica dell’innesto motivazionale, (Cass., SS.UU., 4.06.2008 n. 14814) Quindi, il rinvio per relationem al disposto di altra sentenza è perfettamente legittimo e giustificato da una economia di scritture, ma il Giudice rinviante non può limitarsi ad un generico richiamo, come nel caso di specie, ma deve citarne i contenuti o riportarne i passaggi fondamentali.

Nel caso in cui,come nella fattispecie, i rinvio venga effettuato con riferimento ad una sentenza di merito, relativa di un altro processo, (quindi non sempre facilmente reperibile, a differenza delle sentenze della Cassazione), senza alcuna motivazione ai riguardo, ad una sentenza di altra Commissione tributaria con la sola indicazione del numero della sentenza e dell’anno, ma senza la indicazione della sezione (in quanto la numerazione delle sentenze tributarie di merito viene operata per ciascuna sezione e non per Commissione) deve ritenersi doppiamente illegittimo, posto che il ricorrente non può essere obbligato alla ricerca di documenti extraprocessuali.

La CTR non giustifica, quindi, in alcun modo, ai sensi e per gli effetti della citata normativa, la scelta illogica della società e non giustificabile sotto il profilo imprenditoriale della vendita della merce da parte della società ricorrente alla società **************** allo stesso prezzo di acquisto, non considerando l’ipotesi di “finanziamenti occultì, non sorretti da logica economica.

Va, quindi, cassata l’impugnata sentenza con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia che si pronuncerà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

cassa l’impugnata sentenza con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia che si pronuncerà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Redazione