Accertamento fiscale: notifica tardiva e risarcimento del danno (Cass. n. 20365/2013)

Redazione 05/09/13
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Svolgimento del processo

.1- Il Ministero delle Finanze convenne in giudizio avanti al Tribunale di Brescia il Comune di Nembro chiedendone la condanna al risarcimento del danno, quantificato in Euro 20.198,63, cagionato per effetto della tardiva esecuzione della notifica a due contribuenti di un avviso di accertamento INVIM, tempestivamente richiesta al convenuto dall’Ufficio del Registro di Bergamo.

.2 – Con sentenza in data 29 dicembre 2003 il Tribunale di Brescia dichiarò estinto il giudizio per sopravvenuta carenza di interesse ad agire da parte del Ministero in conseguenza della condanna del messo notificatore, nel frattempo intervenuta da parte della Corte dei Conti.

.3 – Con sentenza in data 3 maggio – 26 agosto 2006 la Corte d’Appello di Brescia accolse il gravame del Ministero e, accertata la responsabilità del Comune di Nembro, lo condannò a pagare all’Agenzia delle Entrate la complessiva somma di Euro 49.384,89.

La Corte territoriale osservò per quanto interessa: la pronuncia della Corte dei Conti aveva riguardato il danno contabile emergente dalla negligente condotta del messo comunale, mentre era in discussione la responsabilità derivante da inadempimento contrattuale addebitabile al Comune, rientrante nella giurisdizione del giudice ordinario; al danno, coincidente con l’ammontare delle imposte e degli accessori non recuperati, doveva essere aggiunta la rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali.

.4 – Avverso la suddetta sentenza il Comune di Nembro ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate hanno resistito con unico controricorso.

Il ricorrente ha presentato memoria.

Motivi della decisione

.1.1 – Il primo motivo adduce violazione dell’art. 2909 c.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e R.D. n. 1214 del 1934, art. 52. Il ricorrente si duole del rigetto della propria eccezione di carenza di legittimazione passiva, sollevata sulla scorta della decisione della Corte dei Conti che, per i medesimi fatti, aveva condannato il messo notificatore. Egli assume che l’efficacia del giudicato della sentenza della Corte dei Conti è opponibile all’Amministrazione che, da un lato, non può considerarsi terzo rispetto all’azione di responsabilità intentata dal pubblico ministero contabile nei confronti del messo comunale e, dall’altro, subisce gli effetti riflessi del giudicato non essendo titolare di un diritto autonomo rispetto alla suddetta azione risarcitoria.

.1.2 – La censura sopra riassunta è inammissibile prima che infondata.

Inammissibile poichè si limita a riproporre la propria tesi prescindendo totalmente dalla ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha fatto leva sulla distinzione tra danno contabile, addebitato al messo comunale e responsabilità da inadempimento contrattuale, attribuita al Comune.

Ne risente il quesito finale, previsto dall’art. 366-bis c.p.c. applicabile al ricorso ratione temporis. Infatti è orientamento consolidato che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale il quesito di diritto si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Ciò in quanto la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Il quesito proposto dal ricorrente non soddisfa le finalità indicate poichè prescinde totalmente dalla motivazione della sentenza impugnata.

Ma la censura è anche infondata dal momento che trova insormontabile ostacolo nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui (Cass. Sez. 1, n. 13662 del 2007) l’azione di responsabilità promossa dal P.G. della Corte dei Conti per i danni conseguenti alla tardiva effettuazione da parte dei messi comunali della notifica di un accertamento tributario, in quanto volta a far valere una responsabilità amministrativa, a tutela dell’interesse generale al corretto esercizio delle funzioni amministrative e contabili, si differenzia da quella risarcitoria proposta dall’Amministrazione finanziaria nei confronti del Comune e degli altri responsabili, la quale trova fondamento nella responsabilità solidale dei convenuti, in relazione al mancato adempimento da parte Comune dell’obbligazione derivante da un rapporto di mandato “ex lege”. L’azione di responsabilità contabile nei confronti del messo comunale e l’azione contrattuale nei confronti del Comune sono domande che, pur ricollegabili ai medesimi fatti, risultano diverse tanto sotto il profilo oggettivo quanto sotto quello soggettivo.

Recentemente questa stessa sezione (Cass. Sez. 3, n. 23462 del 2010) ha ribadito che il comune, ove richiesto dall’amministrazione finanziaria di notificare un atto impositivo ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, assume gli obblighi di un mandatario “ex lege”; esso, pertanto, è civilmente responsabile nei confronti dell’amministrazione mandante nel caso in cui, colposamente ritardando l’esecuzione della notificazione di un avviso di liquidazione di imposta, provochi la decadenza di tale Amministrazione dalla pretesa fiscale.

.2.1 – Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 2909 c.c. e 100 c.p.c..

Con il motivo in esame il ricorrente ripropone l’eccezione di difetto d’interesse ad agire nei confronti del Comune da parte dell’amministrazione finanziaria in virtù del risarcimento già ottenuto all’esito del giudizio di responsabilità amministrativo – contabile nei confronti del messo comunale.

.2.2 – La censura trova anticipata risposta nelle argomentazioni e nelle massime riferite sub.1.2 – e risulta infondata per le medesime ragioni lì esposte, in particolare laddove si è evidenziato che, seppur ricollegabili ai medesimi fatti, l’azione di responsabilità contabile nei confronti del messo comunale e l’azione contrattuale nei confronti del Comune costituiscono domande diverse sotto entrambi i profili (oggettivo e soggettivo). Il quesito finale è inidoneo perchè presente le stesse connotazione negative evidenziate con riferimento al precedente.

.3.1 – Il terzo motivo adduce violazione degli artt. 2909 e 1306 c.c. in merito alla quantificazione del danno risarcibile.

Il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello non ha tenuto conto della quantificazione del danno risarcibile operata dalla Corte dei Conti.

.3.2 – La censura non considera la diversità della natura della domanda di responsabilità contabile rispetto a quella di responsabilità contrattuale.

La determinazione del quantum è stata effettuata dalla Corte territoriale con corretto riferimento alla pretesa fiscale.

Anche questo motivo si conclude con un quesito di diritto che pecca di astrattezza per le vedute ragioni.

.4.1 – Il quarto motivo lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in merito al valore probatorio della sentenza della Corte dei Conti con riguardo alla quantificazione del danno risarcibile.

.4.2 – La censura non dimostra i vizi denunciati, ma attacca il contenuto decisorio della sentenza impugnata.

Manca il momento di sintesi prescritto dall’art. 366-bis c.p.c., necessario non solo per circoscrivere il fatto controverso, ma anche per specificare in quali sue parti e per quali ragioni la motivazione della sentenza impugnata si riveli, rispettivamente, omessa, insufficiente, contraddittoria.

.5.1 – Il quinto motivo ipotizza violazione dell’art. 2697 c.c. con riferimento alla prova del danno.

Si assume che la prova del danno incombe sul soggetto che fa valere in giudizio il diritto al risarcimento.

.5.2 – La censura poggia su argomentazioni assolutamente generiche e non dimostrative di errori da parte della Corte territoriale, che non ha violato i principi che regolano l’onere della prova.

Anche questo motivo è assistito da un quesito generico e astratto, quindi inidoneo a soddisfare le esigenze perseguite dall’art. 366-bis c.p.c..

.6.1 – Il sesto motivo adduce violazione dell’art. 97 Cost. e art. 1227 c.c..

Il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto irrilevante la mancata osservanza da parte dell’Ufficio delle Entrate della prassi di accompagnare la richiesta di notificazione degli avvisi di accertamento tributari con l’indicazione del termine ultimo per la notifica.

.6.2 – Pur formalmente prospettata sotto il profilo della violazione di norme di diritto, in realtà la censura attacca un profilo valutativo, quindi di merito, della sentenza impugnata, la quale ha fatto leva sul lasso temporale più che congruo a disposizione del Comune per fare eseguire la notifica.

Il quesito finale è astratto.

.7 – Pertanto il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono il criterio della soccombenza. La liquidazione avviene come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140 del 2012, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.800,00, di cui Euro 2.600,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2013.

Redazione