Accertamento falsità dichiarazione resa ai sensi dell’art. 75 del d.P.R. 445 del 2000: conseguenze (Cons. Stato n. 1933/2013)

Redazione 09/04/13
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FATTO e DIRITTO

1.- Il Comune di Venezia con ordinanza del 2 aprile 2012 disponeva l’annullamento della comunicazione del 29 aprile 2010 della società Al Pesador di sub ingresso nell’attività di somministrazione di alimenti e bevande sita in Venezia (omissis) e la chiusura dell’esercizio a decorrere dal 30° giorno dalla notifica.

Il Comune contestava alla società di aver fornito nella comunicazione di cambio di procuratore del 25 marzo 2011 false dichiarazioni in ordine al possesso del requisito professionale del nuovo rappresentante legale e che in conseguenza, per effetto del disposto dell’art. 75 del d.p.r. n. 445 del 2000, la società era decaduta dal beneficio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande.

Era emerso, infatti, in sede di accertamento della Guardia di Finanza che il predetto legale rappresentante della società aveva esibito un certificato di iscrizione alla Camera di Commercio che si era rivelato falso.

Il Comune, dunque, con riferimento alla suddetta circostanza e ritenuto irrilevante l’avvenuto cambio del procuratore generale (la società, in data 14 novembre 2011, nominava un altro procuratore in possesso dei requisiti di legge), disponeva l’annullamento della comunicazione di sub ingresso nell’esercizio dell’attività e la chiusura dell’esercizio.

2.- Il TAR Veneto, adito dalla società Al Pesador per l’annullamento della suddetta ordinanza, con sentenza n. 742 del 29 maggio 2012, respingeva il ricorso.

Il TAR affermava che l’art. 75 del d.p.r. n. 445 del 2000 è una norma di natura sanzionatoria amministrativa, che dispone la decadenza da ogni beneficio che può conseguire da una dichiarazione non veritiera, sia per il suo tenore letterale, sia per la logica di rigore che le è propria, sia per il riferimento sistematico al successivo articolo 76, che ne prevede il cumulo con le sanzioni penali.

In quanto norma sanzionatoria speciale, che riguarda le sole attestazioni non veritiere, prevale sulla fattispecie legale generale sanzionatoria di chiusura degli esercizi commerciali di somministrazione di alimenti e bevande di cui all’art. 32, commi 3 e 9 della l. reg. n. 29 del 2007 e all’art. 17 ter del TULPS, valida quando l’infrazione non consiste in attestazioni false.

Il TAR aggiungeva che “La decadenza di cui all’art. 75… opera automaticamente, in modo vincolato, al verificarsi della fattispecie. Non è cumulabile alla summenzionata ipotesi di chiusura di cui agli artt. 32 e 17 ter, ma è cumulabile alla eventuale sanzione pecuniaria di cui alla l. regionale n. 29 del 2007 e del TULPS che contengono tali norme…La circostanza che il certificato falso riguardi solo un segmento temporale della gestione non osta all’applicazione della sanzione della decadenza”.

3.- Con l’atto di appello in esame, la società Al Pesador chiede la riforma o l’annullamento della suddetta sentenza perché erronea ed illegittima alla stregua dei seguenti motivi:

violazione e falsa applicazione dell’art. 75 del d.p.r. n. 445 del 2000; degli artt. 1 e 3 della l. n. 241 del 1990, nonché dell’art. 97 della Costituzione ed eccesso di potere per motivazione perplessa e contraddittoria, difetto di istruttoria; difetto dei presupposti; ingiustizia manifesta; violazione del principio di proporzionalità;

violazione sotto altro profilo dell’art. 75 del d.p.r. n. 445 del 2000; degli artt. 1 e 3 della l. n. 241 del 1990, dell’art. 97 della Costituzione; eccesso di potere per motivazione perplessa e contraddittoria, difetto di istruttoria; difetto dei presupposti; ingiustizia manifesta; violazione del principio di proporzionalità; violazione degli artt. 4, 8 e 15 della l. Regione Veneto n. 29 del 2007;

violazione di legge; violazione e omessa applicazione degli artt. 1, 3, 7, 8, 9 e 10 della l. n. 241 del 1990; eccesso di potere per motivazione perplessa e sviamento;

violazione e omessa applicazione degli artt. 4 e 32 della l. Regione Veneto n. 29 del 2007; violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della l. n. 241 del 1990 sotto ulteriori profili; eccesso di potere per travisamento, difetto assoluto dei presupposti; abnormità; contraddittorietà della motivazione; violazione del principio di ragionevolezza e del principio di proporzionalità;

violazione e omessa applicazione dell’art. 16 della l. n. 689 del 1981; violazione del principio del ne bis in idem; eccesso di potere per difetto dei presupposti; istruttoria carente e perplessa.

Il Comune di Venezia costituitosi in giudizio ha contestato i motivi di appello, chiedendone il rigetto.

Alla pubblica udienza del 23 ottobre 2012, il giudizio è stato assunto in decisione.

4.- L’appello è fondato e deve essere accolto.

4.1- La società appellante con i primi due motivi d’appello, che possono essere esaminati congiuntamente, lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 75 del d.p.r. 445 del 2000, oltre che violazione dei principi di imparzialità e buona amministrazione ed eccesso di potere sotto diversi profili.

Secondo la ricorrente il TAR avrebbe applicato la disposizione citata al di fuori dei limiti da essa norma previsti, pervenendo a conseguenze abnormi e sproporzionate rispetto al bene giuridico che la norma tutela, travalicando anche i limiti della ragionevolezza.

Le doglianze dell’appellante, nei limiti e con le precisazioni di cui infra, vanno condivise.

4.2- L’art. 75 del d.p.r. 445 del 2000 stabilisce che “qualora dal controllo…emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione…il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”.

La norma, come rilevato anche dal TAR, si inserisce in un contesto in cui alla dichiarazione sullo status o sul possesso di determinati requisiti è attribuita funzione probatoria, da cui il dovere del dichiarante di affermare il vero.

Ne consegue che la dichiarazione “non veritiera” al di là dei profili penali, ove ricorrano i presupposti del reato di falso, nell’ambito della disciplina dettata dalla l. n. 445 del 2000, preclude al dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era indirizzata la dichiarazione o comporta la decadenza dall’utilitas conseguita per effetto del mendacio.

In tale contesto normativo, in cui la “dichiarazione falsa o non veritiera” opera come fatto, perde rilevanza l’elemento soggettivo ovvero il dolo o la colpa del dichiarante.

In conseguenza non possono trovare ingresso le doglianze della società ricorrente in ordine alla propria estraneità alla fattispecie della “dichiarazione non veritiera” per essersi limitata ad indicare il proprio legale rappresentante quale soggetto in possesso dei requisiti personali e professionali che lo stesso aveva autocertificato ex d.p.r. n. 445 del 2000, inducendola in errore.

Infatti, quest’ultima circostanza, senz’altro rilevante in sede penale, in quanto ostativa alla configurazione del falso ideologico, attesa la mancanza dell’elemento soggettivo, ovvero della volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e della consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, non assume rilievo nell’ambito della l. n. 445 del 2000, in cui il mendacio rileva quale inidoneità della dichiarazione allo scopo cui è diretto.

Ne consegue che al di là della catalogazione dell’art. 75, se o meno norma sanzionatoria, la comminatoria di decadenza è la naturale conseguenza dell’inidoneità della dichiarazione non veritiera a raggiungere l’effetto cui era preordinata.

4.3- Altra questione è quella della individuazione del “beneficio” o dei “benefici” rispetto ai quali opera la decadenza, che è il thema della controversia qui in esame.

Secondo il TAR, come si è detto sopra, la decadenza opera con riguardo a qualunque beneficio anche non diretto conseguente alla dichiarazione falsa attesa la natura speciale della norma in questione che la fa prevalere sulla disciplina generale in materia di esercizi di somministrazione di alimenti e bevande e sulle sanzioni ivi previste (il riferimento, nel caso è all’art. 32, commi 3 e 9 della l. Regione Veneto n. 29 del 2007).

Il percorso motivazionale del TAR non può essere condiviso.

4.3.1- Sotto un primo profilo, non appare esservi tra l’art. 75 della l. n. 445 del 2000 e l’art. 32, commi 3 e 9 della l. reg. n. 29 del 2007 un rapporto tra norma speciale e norma generale, trattandosi di norme che operano in ambiti diversi: l’una riguarda in generale la dichiarazione mendace o non veritiera; l’altra le violazioni delle norme relative alla specifica materia della somministrazione di alimenti e bevande, nonché la mancanza dei requisiti per l’esercizio dell’attività.

Ne deriva che la dichiarazione mendace è soggetta alla disposizione dell’art. 75, l. n. 445 del 2000, in relazione alla valenza giuridica del mendacio ex se, con la conseguenza, nel caso in esame, della decadenza dal requisito di cui è stato falsamente dichiarato il possesso (attestazione di iscrizione alla camera di commercio).

Ogni questione sulla mancanza del requisito, qualunque sia la causa, compresa l’ipotesi qui in esame di decadenza per dichiarazione non veritiera, ricade nella disciplina sostanziale (nel caso quella di autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande, dettata dalla l. Regione Veneto n. 29 del 2007).

In sostanza il beneficio o i benefici rispetto al quale opera la sanzione della decadenza di cui all’art. 75 sono solo quelli immediatamente perseguiti con la dichiarazione non veritiera e non già quelli indirettamente ricollegabili al mendacio.

In base a tali criteri ermeneutici, emerge la non condivisibilità della tesi del TAR e già prima dall’amministrazione comunale, che hanno compreso nella comminatoria di decadenza di cui all’art. 75, l. citata, tutti gli effetti immediati e mediati, in qualunque modo collegati al “mendacio”, concludendo per la decadenza della società dall’autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande, malgrado la questione relativa al possesso della iscrizione al REC del titolare di un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande sia previsto e disciplinato dalla disciplina di settore (ad esempio in materia di contratti pubblici, la sanzione dell’esclusione dalla gara, conseguente alla dichiarazione falsa o non veritiera del partecipante è prevista dalla legge in materia di contratti pubblici, e non è effetto dell’art. 75, l. n. 445 del 1998).

4.4- Fermo tanto, va accertato il trattamento giuridico che la l. Regione Veneto n. 29 del 2007 attribuisce al requisito di iscrizione al REC del titolare dell’attività e le sanzioni per l’ipotesi di carenza del requisito.

La suddetta legge all’articolo 4, prevede il possesso da parte del rappresentante legale delle società esercenti l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, dei requisiti morali e professionali e l’iscrizione al REC.

All’art. 32, per il caso di esercizio dell’attività in carenza dei requisiti, la legge prevede sanzioni sia di tipo pecuniario, che di sospensione e chiusura dell’esercizio (art. 17 bis comma 1 TULPS e art. 32, comma 3).

L’art. 17 ter del TULPS stabilisce, che non si dà luogo all’esecuzione dell’ordine di sospensione o di chiusura dell’attività nel caso in cui l’interessato dimostri di aver sanato la violazione o di aver avviato le relative procedure e la legge regionale n. 29 del 2007 presta attenzione a tale circostanza tant’è che l’interpretazione autentica dell’art. 32, contenuta nella circolare applicativa del Presidente della Giunta regionale del 7 aprile 2009, stabilisce che “non dovrà darsi luogo all’esecuzione dell’ordine di sospensione nel caso in cui l’interessato dimostri di aver sanato la violazione”.

Ciò posto, non può non considerarsi che la società appellante che aveva preposto il nuovo rappresentante in data 20 giugno 2011 provvide tempestivamente, già in data 14 novembre 2011, subito dopo l’accertamento della Guardia di Finanza che aveva contestato al detto rappresentante di aver esibito certificato di dubbia autenticità, alla sua sostituzione, avendo al suo interno altri soggetti in possesso di regolare certificato di iscrizione al REC da preporre all’esercizio dell’attività.

Tale comportamento, in base al citato art. 32, come interpretato dalla stessa amministrazione, attraverso l’applicazione della norma di favore, esclude la più grave sanzione della sospensione o chiusura dell’esercizio.

4.5- Quanto sin qui esposto, è aderente alla configurazione della fattispecie dell’art. 75, l. 445 del 2000, come naturale conseguenza della mancanza successivamente accertata dei requisiti per il conseguimento della utilitas – tesi questa seguita da una parte della giurisprudenza, ma non confligge nemmeno con la diversa configurazione della norma quale sanzione amministrativa, atteso che il carattere afflittivo della disposizione, ne impone un’interpretazione restrittiva che deve soffermarsi sul nesso causale tra dichiarazione non veritiera ed utilitas conseguita.

L’interpretazione della norma che ne ha fatto l’amministrazione e che il TAR ha condiviso, attribuisce alla norma valenza ultronea a quella desumibile dal dato letterale e dalla ratio ed a conseguenze sproporzionate rispetto al bene giuridico che la norma intende tutelare (la veridicità delle dichiarazioni), tanto più, ove il comportamento del dichiarante non sia qualificabile in termini di colpevolezza, avendo fatto affidamento su attestazioni rivelatesi false.

4.6- In conclusione, deve ritenersi che il beneficio rispetto al quale opera la decadenza ai sensi dell’art. 75. l. n. 445 del 2000 è da individuarsi nell’utilitas diretta e immediata acquisita con la falsa dichiarazione. Restano, invece, estranee alla fattispecie dell’art. 75, ricadendo nella disciplina positiva di settore le ulteriori conseguenze connesse alla decadenza dal “beneficio”, ovvero alla dichiarazione non veritiera.

Da ciò consegue l’erroneità delle considerazioni svolte dal TAR sulla prevalenza della sanzione dell’art. 75 su quella prevista dall’art. 32 della l. regionale n. 29 del 2007 e la posizione assunta in ordine alla cumulabilità delle sanzioni, nonché sull’irrilevanza che il certificato falso abbia riguardato solo un segmento temporale della gestione.

5.- Per queste ragioni, assorbito ogni altro motivo, l’appello deve essere accolto e per l’effetto in riforma della sentenza di primo grado deve essere accolto il ricorso proposto dalla società Al Pesador ed annullata l’ordinanza sindacale, con esso ricorso impugnata.

Le spese dei due gradi di giudizio possono essere compensate tra le parti, attesa la novità della questione esaminata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, accoglie l ‘appello come da motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza, accoglie il ricorso di primo grado, cui consegue l’annullamento dell’ordinanza sindacale impugnata.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2012

Redazione