Accertamento del passivo: la carenza di data certa è rilevabile d’ufficio (Cass. n. 4213/2013)

Redazione 20/02/13
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Svolgimento del processo

1. Con ricorso del 28.6.2000 proposto ai sensi della *******., art. 101, l’Impresa **************. F.lli Z. di Z. C. & ********* chiedeva che fosse ammesso al passivo del fallimento ************ s.r.l. il credito di L. 132.4 64.368, di cui L. 111.880.000 in via privilegiata, vantato in relazione a forniture effettuate in favore della società “in bonis”.

Il giudice delegato del Tribunale di Potenza adito fissava quindi l’udienza per la comparizione delle parti e, avendo riscontrato in tale sede la mancanza del fascicolo di ufficio, fissava nuova udienza concedendo ulteriore termine per la notifica dell’istanza di ammissione al curatore. All’esito della relativa trattazione, nel corso della quale veniva disposta la riunione dei due procedimenti in tal modo instaurati, il Tribunale di Potenza adito dichiarava improcedibile la prima domanda e improponibile la seconda.

2. La decisione, impugnata dal creditore istante, veniva parzialmente riformata dalla Corte di Appello, che più precisamente riteneva corretta la statuizione relativa all’improcedibilità della domanda originaria, mentre dissentiva dalla statuizione di improponibilità adottata con riferimento al secondo ricorso, che tuttavia giudicava infondato nel merito.

In particolare su quest’ultimo punto la Corte territoriale rilevava che il credito della **************, asseritamente sorto in relazione all’avvenuta somministrazione di piante, sarebbe stato comprovato – secondo il ricorrente – da fatture debitamente supportate da bolle di accompagnamento; che peraltro la posizione di terzietà attribuibile al. curatore avrebbe determinato l’applicabilità della “regola della certezza e computabilità della data” (p. 11) ai crediti di cui era stata chiesta l’ammissione al passivo; che l’osservanza della detta regola avrebbe comportato “che il creditore che chiede il riconoscimento di un suo credito nei confronti del fallito allegando una scrittura privata a sostegno della pretesa creditoria formulata verso la massa e contraddetta dal curatore fallimentare, è soggetto all’applicazione della disciplina di cui all’art. 2704 c.c., con riferimento alle condizioni richieste ai fini della certezza e computabilità della data della scrittura riguardo ai terzi” (p. 11); che viceversa nella specie l’appellante aveva prodotto soltanto fatture e copie fotostatiche di alcune “bolle di vendita”, circostanza dunque che avrebbe imposto, conseguentemente, il rigetto dell’istanza di ammissione.

3. Avverso la decisione l’Impresa ************** proponeva ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui non resisteva l’intimato, per la cui trattazione veniva l’issata l’udienza del 14.11.2011.

All’esito della detta udienza il Collegio ravvisava l’opportunità di trasmettere gli atti al Primo Presidente della Corte ai fini di una eventuale assegnazione della causa alle sezioni unite, avendo segnatamente riscontrato che con il quarto ed il quinto motivo di impugnazione era stata prospettata “sotto diverse angolazioni la questione della configurabilità del requisito della certezza della data di scritture private come elemento costitutivo della fattispecie sostanziale… o piuttosto come elemento impeditivo del riconoscimento del diritto, opponibile in via di eccezione dalla curatela”, tesi che avrebbero entrambe ricevuto riconoscimento nella giurisprudenza di legittimità.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 15.1.2013, previo deposito di memoria illustrativa da parte del ricorrente.

Motivi della decisione

4. Con i motivi di impugnazione l’Impresa ************** ha rispettivamente denunciato:

1) violazione dell’art. 112 c.p.c. e nullità della sentenza, che sarebbe derivata dal fatto che la Corte territoriale, dopo aver esaminato i due motivi di appello relativi all’erroneità della statuizione di improcedibilità del primo ricorso e di improponibilità del secondo, ha poi deciso la controversia nel merito, rigettando la domanda dell’appellante.

Nel dispositivo, tuttavia, era stato omesso ogni riferimento alla questione concernente l’improponibilità/improcedibilità dei ricorsi, e ciò avrebbe determinato La lesione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato;

2) violazione dell’art. 112 c.p.c. e nullità della sentenza, poichè il tema giuridico affrontato in primo grado riguardava esclusivamente la proponibilità e la procedibilità della domanda, sicchè il rigetto dell’appello, in quanto determinato dall’affermata inapplicabilità dell’art. 2710 c.c., e dalla riscontrata carenza documentale del credito, sarebbe stato basato su tema di indagine nuovo, il cui esame avrebbe dato causa ad un vizio di ultrapetizione o di extrapetizione;

3) violazione dell’art. 2710 c.c., in ragione della stimata inidoneità di. fatture di vendita non contestate – per di più supportate da bolle di consegna delle merci – a dare prova di un rapporto obbligatorio sorto prima della dichiarazione di fallimento;

4) violazione dell’art. 2704 c.c., con riferimento all’affermata irrilevanza dell’attestazione notarile della conformità della copia delle fatture prodotte agli originali, in quanto successiva alla dichiarazione di fallimento.

Il giudizio infatti sarebbe errato perchè le scritture che si intendeva opporre al fallimento non sarebbero state correttamente individuabili nelle allegate certificazioni notarili – come a torto avrebbe ritenuto la Corte territoriale -, ma sarebbero piuttosto consistite nelle diverse fatture emesse in relazione alle forniture effettuate, che recavano data antecedente alla detta dichiarazione.

Quanto poi all’adempimento della prestazione posta a base della pretesa creditoria, questo sarebbe risultato dalle bolle di accompagnamento, non disconosciute nè contestate dalla parte debitrice; 5 ) vizio di motivazione, in relazione all’affermazione secondo cui il curatore avrebbe avuto possibilità di contestare i crediti in sede di formazione del passivo.

Tale possibilità, invero, non si sarebbe potuta realizzare nel caso di specie, atteso che il curatore era rimasto contumace in primo grado. Inoltre l’argomentazione svolta dalla Corte di appello non sarebbe condivisibile anche per altro verso, vale a dire per il fatto che neppure nel successivo giudizio di gravame, cui il fallimento aveva preso parte, erano state sollevate riserve di sorta al riguardo.

5. Osserva il Collegio che è insussistente la violazione denunciata con il primo motivo di ricorso, non essendo ravvisabile l’omissione prospettata.

Ed infatti dall’esame della sentenza impugnata si evince che con i due motivi in cui si articolava l’appello l’Impresa **************, la cui domanda di ammissione al passivo del fallimento non era stata accolta per ragioni processuali (più esattamente per l’improcedibilità di una prima istanza e l’improponibilità di una seconda), aveva censurato la decisione sostenendone l’erroneità, sia perchè il giudice delegato aveva concesso nuovo termine per la notificazione del ricorso introduttivo, sia perchè comunque l’estinzione dei processo non avrebbe estinto l’azione, sicchè non sarebbe venuta meno la possibilità di riproporla nuovamente.

La Corte di Appello ha puntualmente preso in esame le doglianze rappresentate ritenendo fondata una di essa e conseguentemente, venuta meno la preclusione processuale che ne aveva impedito la delibazione in primo grado, è entrata nel merito della controversia per stabilire se, ed eventualmente in quale misura, fosse accoglibile la richiesta formulata dal preteso creditore.

Deve dunque ritenersi che non è neppure astrattamente ipotizzabile l’evocato vizio di omessa pronuncia, essendo stata data adeguata risposta alla, domanda originariamente formulata. Nè rileva, a sostegno dell’assunto dell’**************, il solo profilo al quale la ricorrente attribuisce valore in senso contrario, vale a dire la circostanza che nel dispositivo non sia stato fatto esplicite richiamo alla ravvisata parziale fondatezza della questione relativa alla improponibilità ed improcedibilità delle domande, risultando implicitamente la statuizione di accoglimento delle censure attinenti ai. profili processuali della sentenza impugnata (peraltro diffusamente trattati in motivazione) dal contenuto della pronuncia adottata, avente ad oggetto il merito della controversia.

6. Ad uguali conclusioni di infondatezza deve pervenirsi con riferimento all’ulteriore denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c., rappresentata con il secondo motivo di ricorso.

La detta violazione sarebbe stata individuabile nel fatto che la questione di diritto prospettata avrebbe riguardato l’improponibilità e l’improcedibilità della domanda di ammissione al passivo, sicchè la decisione della Corte di Appello che aveva rigettato la domanda di ammissione al passivo avrebbe introdotto un tema di indagine nuovo, superando “i limiti della causa petendi e del petitum inerenti la controversia trattata in primo grado ed i limiti, dei motivi di gravame proposti”, dando così causa al vizio di ultrapetizione o di extrapetizione della sentenza. Il rilievo è privo di pregio, essendo sufficiente osservare in proposito che il giudice ha deciso sulla domanda originariamente proposta dalla parte, e non già su questione estranea al dibattito processuale, mentre alla sollecitata rimessione della causa al primo giudice sarebbe comunque di ostacolo il disposto degli artt. 353 e 354 c.p.c., che limita i casi di rinvio a fattispecie incontestabilmente diverse da quelle in esame.

7. Il terzo ed il quarto motivo di impugnazione devono essere esaminati congiuntamente poichè, pur essendo incentrati su pretese violazione di due diverse disposizioni di legge (rispettivamente artt. 2710 e 2704 c.c.), pongono sostanzialmente una medesima questione, attinente ai limiti entro i quali il regime probatorio concernente scritture private e scritture contabili astrattamente applicabile nei confronti di un imprenditore possa poi trovare attuazione, ove sia successivamente intervenuto il suo fallimento, anche nei confronti del curatore.

7. a – In proposito osserva il Collegio, per quanto concerne il primo articolo sopra citato (art. 2710), che questa Corte ha reiteratamente affrontato la questione relativa all’efficacia probatoria astrattamente attribuibile ai libri bollati, vidimati e regolarmente tenuti nei rapporti tra imprenditori (C. 11/26216, C. 01/1715, C. 96/3108, C. 95/740, C. 88/2878) e in quelli fatti valere da un imprenditore nei confronti del curatore dell’intervenuto fallimento (C. 11/10081, C. 06/1543, C. 05/5582, C. 03/17543, C. 99/352, C. 97/4729).

Focalizzando l’attenzione sul secondo aspetto, esulando il primo dall’ambito della presente controversia, si rileva che le richiamate decisioni, conformi nel loro contenuto, hanno escluso la riferibilità del disposto dell’art. 2710 al curatore fallimentare, salvo che egli non fosse subentrato nella posizione sostanziale e processuale del fallito, ipotesi incontestabilmente non ricorrente nel caso di specie.

Più precisamente la detta esclusione risulta incentrata sul condivisibile rilievo che il regime probatorio delineato dal citato art. 2710 opera soltanto fra imprenditori, in relazione a rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa.

Il curatore certamente non è un imprenditore e dunque, una volta escluso che la sua posizione sia quella successoria in un rapporto già facente capo al fallito, essendo viceversa a lui attribuibile esclusivamente la funzione di semplice gestore del patrimonio di quest’ultimo, ne deriva automaticamente l’inapplicabilità nei suoi confronti della disciplina probatoria di cui si lamenta la mancata attuazione.

7. b – Maggiore problematicità presenta invece la questione relativa alla pretesa violazione dell’art. 2704 c.c., considerato che, come evidenziato nell’ordinanza di rimessione a queste sezioni unite, sul punto si registrano decisioni di diverso tenere.

Più esattamente, dall’esame della dottrina e della giurisprudenza formatasi, sul punto si evince che al riguardo si sono manifestati tre indirizzi, vale a dire un primo, che attribuisce all’elemento della data certa il valore di elemento costitutivo del diritto di partecipazione al concorso, in quanto tale con onere di dimostrazione a carico dell’istante; un secondo, che configura la mancanza di data certa come un fatto impeditivo del diritto azionato, deducibile esclusivamente dal curatore quale parte controinteressata, e quindi suscettibile di ingresso nel processo esclusivamente a seguito di specifica eccezione di quest’ultimo; un terzo, che facendo derivare dalla detta mancanza l’assenza dei fatti costitutivi del diritto azionato, la qualifica come eccezione in senso lato, per ciò rilevabile di ufficio dal giudice.

7. c – Come considerazione preliminare rileva il Collegio che la valutazione in ordine all’applicabilità o meno dei disposto dell’art. 2704 c.c. al curatore presuppone l’identificazione della sua qualità, di parte o di terzo, nel rapporto controverso, non essendo coincidente per le due distinte posizioni La disciplina in tema di prova, atteso che per la prima vale il disposto dell’art. 2702 c.c., mentre per la seconda trova applicazione quello dell’art. 2704 c.c.. Ciò premesso ritiene il Collegio che, per guanto in passato ampiamente discussa sia in dottrina che in giurisprudenza (e con esiti non sempre coincidenti) la questione relativa alla qualificazione – come parte o come terzo – della posizione del curatore, la giurisprudenza di questa Corte, alla quale si intende dare seguito, dopo aver superato il contrasto emerso fra le diverse decisioni adottate in sede di legittimità (C. S.U. 90/8879), si è ormai costantemente attestata nel senso che, ai fini della delibazione dela domanda di ammissione al passivo del fallimento proposta dal creditore, il curatore è da considerare terzo rispetto agli atti compiuti dal fallito (C. 12/13282, C. 12/9175, C. 12/2299, C. 09/22430, e in epoca più remota C. 00/9539, C. 00/1370, C. 98/8143, C. 98/4551, C. 96/5920, C. 95/2707, C. 95/1110).

In particolare le argomentazioni svolte per la parte di interesse nella citata sentenza n. 8879, sulla cui base si è poi consolidata la giurisprudenza sopra richiamata, possono essere molto sinteticamente così rappresentate: le norme da considerare ai fini della delibazione della questione oggetto di giudizio sarebbero quelle di cui alla *******., artt. 44 e 52, che darebbero luogo ad un conflitto giuridico fra i creditori anteriori e quelli posteriori al fallimento; per la composizione del contrasto sorgerebbe dunque la necessità di accertare la antecedenza del credito azionato all’apertura della procedura concorsuale; “la norma che sempre dovrà essere tenuta presente per stabilire la detta anteriorità non può che essere quella più rigorosa, vale a dire quella dell’art. 2704 c.c., comma 1”.

Pur essendo stati successivamente condivisi, come detto, gli esiti della pronuncia, non sempre ciò è avvenuto per quanto riguarda il primo aspetto sopra evidenziato, concernente la posizione di terzo del curatore in relazione al conflitto fra creditori, essendo stato segnatamente sostenuto che tale posizione sarebbe configurabile soltanto nel caso di conflitto specifico di un diritto azionato da una parte con quelli vantati da altri, per effetto di un negozio rappresentato da una scrittura privata, situazione che non sarebbe viceversa ravvisabile nel caso di generico concorso di tutti i creditori (C. 92/9552).

Comunque, indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla configurabilità di un conflitto giuridico fra creditori antecedenti e successivi al fallimento (per la cui risoluzione, come detto, sarebbe puntualmente evocabile la disciplina dettata dall’art. 2704), resta il fatto del tutto incontestabile che il curatore, il quale non è un successore del fallito, non ha preso parte al rapporto giuridico posto a base della pretesa creditoria fatta valere in sede di ammissione, ed è dunque da considerare terzo rispetto ad esso. Ne consegue pertanto che, in sede di verifica dei crediti, ai fini della determinazione della data di scritture private trova piena applicazione l’art. 2704 c.c., comma 1.

8. La conclusione che precede da quindi causa ad una seconda questione, vale a dire quella concernente l’individuazione delle modalità attraverso le quali il profilo relativo alla data certa di una scrittura privata può trovare ingresso nel processo ed essere oggetto di esame da parte del giudice delegato.

8. a – In proposito ritiene il Collegio che non sia condivisibile l’orientamento secondo il quale l’elemento della data certa di una scrittura privata integrerebbe un fatto costitutivo del credito.

Al riguardo occorre innanzitutto precisare che l’art. 2704 è inserito nel libro sesto (tutela dei diritti), titolo secondo (delle prove), capo secondo (della prova documentale), sezione seconda (della scrittura privata), e regola quindi l’efficacia dell’atto senza incidere in alcun modo sulla sua validità.

Da tale rilievo (consistente cioè nel fatto che l’atto a sostegno della richiesta è valido, pur non essendo opponibile al terzo) discende pertanto che l’onere probatorio incombente su creditore istante in sede di ammissione può ritenersi soddisfatto ove prodotta documentazione idonea a dimostrare la fondatezza della pretesa formulata, mentre l’eventuale mancanza di data certa nella detta documentazione costituisce un semplice fatto impeditivo del riconoscimento del diritto fatto valere.

Non ignora il Collegio la diversità di opinioni espresse sul punto, sia in campo dottrinario che giurisprudenziale, ma ritiene tuttavia che nessuno degli argomenti svolti al riguardo possa indurre a conclusioni difformi, e ciò tanto più ove si consideri che oltre a profilo sopra prospettato (e cioè la validità dell’atto, che risulta soltanto inopponibile al terzo), ve ne sono altri che inducono alla medesima conclusione.

Ed infatti, se è del tutto condivisibile il richiamo alla *******., artt. 44 e 52, ai fini della delibazione delle istanze di ammissione ai passivo, ciò non comporta che per questo solo fatuo debba mutare il regime probatorio conseguente all’atto originariamente posto in essere, atteso che l’art. 2704 non risulta richiamato da alcuna disposizione della legge fallimentare; l’eventuale mutamento di regime cui si è fatto cenno determinerebbe una non ragionevole incidenza negativa sulla parte creditrice, che oltre a non potersi avvalere del disposto di cui all’art. 2702 c.c., si troverebbe senza colpa nella pregiudizievole situazione di dover dare dimostrazione dell’antecedenza del proprio credito al fallimento; la necessità di precostituirsi una prova idonea a dare dimostrazione di una pretesa creditoria eventualmente successivamente maturata si pone in contrasto con la peculiare natura dei rapporti commerciali, che ha indetto il legislatore a prevedere semplificazioni probatorie (artt. 2709 e 2710 c.c.), proprio al fine di favorire le relazioni commerciali e di agevolare le definizioni delle relative transazioni; la distribuzione dell’onere della prova nell’ambito dei generali principi esistenti deve tener conto anche del principio della disponibilità dei mezzi di prova, che induce a privilegiare interpretazicni della legge che non rendano impossibile o troppo difficile il diritto di azione costituzionalmente garantito (C. 12/6008, C. 09/15406, C. 09/10744), eccessiva difficoltà, se non impossibilità, che si determinerebbe nel caso in cui si volesse imporre al creditore che formula istanza di ammissione al passivo l’onere di dimostrare l’anteriorità del credito all’apertura della procedura concorsuale.

9. La configurazione della mancanza di data certa come fatto impeditivo dell’accoglimento della pretesa creditoria formulata pone poi l’ulteriore questione se la deduzione del detto fatto debba essere o meno oggetto di eccezione in senso stretto, che in quanto tale potrebbe essere sollevata soltanto dalla parte, nella specie identificabile nel curatore.

Ad avviso del Collegio la detta questione va risolta in senso negativo.

Al riguardo va osservato che questa Corte ha reiteratamente (e ormai costantemente) enunciato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui l’eccezione in senso stretto, che si sostanzia in un controdiritto contrapposto al fatto costitutivo invocato dall’attore e la cui rilevazione è subordinata alla espressa manifestazione di volontà della parte che vi abbia interesse, ha carattere eccezionale, essendo limitata alle ipotesi in cui la legge riserva la relativa iniziativa esclusivamente all’interessato (C. 09/24680, C. 07/14581, C. 05/15661, C. 01/226, C. 98/6272, C. 98/1099).

Il silenzio normativo sul punto (la L. Fall., art. 95, comma 1, non attribuisce infatti al curatore alcun potere di esclusiva in merito) comporta pertanto che l’eccezione oggetto di esame non può essere annoverata fra quelle catalogate in senso stretto.

10. La carenza di data certa va dunque considerata come fatto impeditivo oggetto di eccezione in senso lato.

In particolare la L. Fall., art. 95, comma 3, dispone che all’udienza fissata per l’esame dello stato passivo il giudice decide sulle domande sulla base delle relative conclusioni “ed avuto riguardo alle eccezioni dei curatore, ai quelle rilevabili di ufficio ed a quelle formulate dagli altri interessati”.

E’ quindi espressamente attribuito al giudice delegato il potere- dovere di sollevare le eccezioni rilevabili di ufficio, potere-dovere che peraltro, anche in assenza di espresso dato normativo, sarebbe comunque desumibile dai principi già affermati da questa Corte in tema di ampliamento del rilievo di ufficio della nullità, pure in presenza di azione di risoluzione (C. 12/14828).

10. a) Deve dunque concludersi che, ferma restando la necessità che il dato risulti dagli atti, ove ciò si verifichi il giudice delegato ben può sollevare il rilievo di ufficio dell’eccezione in senso lato e quindi, per quel che interessa, anche quello concernente la mancanza di data certa della scrittura privata prodotta (C. 11/24432, C. 10/22711, C. 10/21251, C. 07/7739).

Nel caso di specie, tuttavia, la ricorrente con i motivi di doglianza oggetto di esame ha contestato la correttezza della sentenza impugnata, anche per il silenzio del curatore sul punto relativo all’opponibilità della documentazione allegata dal creditore istante, con riferimento alla certezza della data.

In proposito non sembra potersi dubitare della circostanza che, se il giudice delegato nel delibare la posizione creditoria dell’istante può (anzi deve) incontestabilmente rilevare la presenza di un’eccezione in senso lato ostativa al riconoscimento del credito, egli non può tuttavia disporre al riguardo senza una preventiva instaurazione del contraddittorio fra le parti sul punto.

Depongono in tal senso sia l’art. 183 c.p.c. (nella parte in cui dispone che il giudice indica le questioni rilevabili di ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione), sia (soprattutto) l’art. 101 c.p.c., comma 2, (che impone al giudice di assegnare alle parti un termine per memorie, ove ravvisata una questione rilevabile di ufficio potenzialmente incidente sulla decisione), disposizioni che, pur dettate nell’ambito del codice di rito – e quindi destinate a regolamentare moduli procedimentali diversi da quelli adottati in occasione della verificazione del passivo -, sono espressione del generale e costituzionalizzato principio del rispetto del contraddittorio (art. 111 Cost.), in quanto tale applicabile anche in sedie di verifica.

11. La Corte di Appello avrebbe quindi dovuto certamente sollecitare l’attenzione delle parti sull’esistenza di un fatto potenzialmente preclusivo all’ammissione de credito. La detta omissione, però, non vale a determinare l’accoglimento del ricorso, tenuto conto che non è stata sollevata censura sotto tale aspetto. Ed infatti, la doglianza è stata sostanzialmente rappresentata sotto un triplice riflesso: a) il credito vantato sarebbe risultato dalle fatture e bolle prodotte; b) la Corte territoriale avrebbe male interpretato la certificazione notarile di conformità della fatture allegate agli originali; c) le bolle di accompagnamento dela mercè asseritamente fornita non sarebbero state nè disconosciute nè contestate dal debitore.

Tuttavia, sui diversi punti considerati va osservato: sub a), che il rigetto dell’istanza non risulta imputabile all’omessa considerazione di bolle e fatture, ma al fatto del tutto diverso che le stesse fossero prive di data certa; sub b), che l’irrilevanza della certificazione notarile è stata affermata dalla Corte di appello con riferimento al fatto che la data dell’attestazione sarebbe successiva alla dichiarazione di fallimento (circostanza dalla quale discenderebbe la relativa inopponibilità al fallimento), affermazione non contestata in punto di fatto ed in armonia con la corretta ragione posta a base della decisione; sub c) che, indipendentemente; da ogni rilievo in ordine all’applicabilità al caso di specie della disciplina dettata dall’art. 115 c.p.c., in tema di disponibilità delle prove, la cui evocazione non appare in sintonia con la peculiarità del procedimento di verifica dei crediti e con la qualità soltanto di parte processuale attribuita al curatore, la decisione della Corte di appello risulta incentrata sull’assenza di data certa della documentazione prodotta dal creditore sicchè, mancando la censura sulla violazione del contraddittorio sotto l’aspetto dell’omessa preventiva audizione delle parti sul detto punto, ogni ulteriore profilo di doglianza resta assorbito.

12. Ad identiche conclusioni di assorbimento deve infine pervenirsi per quanto concerne il quinto motivo di impugnazione (il curatore in realtà non avrebbe avuto la possibilità di contestare i crediti in sede di formazione del passivo), essendo irrilevante il preteso vizio di motivazione su un punto comunque non incidente sulla decisione, che come detto risulta incentrata su un aspetto completamente diverso, quale quello della riscontrata assenza di data certa nella documentazione prodotta a sostegno della pretesa creditoria formulata.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato con l’enunciazione del seguente principio di diritto: “Nei confronti dei creditore che proponga istanza di ammissione al passivo del fallimento, in ragione di un suo preteso credito, il curatore è terzo e non parte, circostanza da cui discende l’applicabilità dei limiti probatori indicati, dall’art. 2704 c.c.. La mancanza di data certa nelle scritturo prodotte si configura come fatto impeditivo all’accoglimento della domanda oggetto di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche di ufficio dal giudice.

La rilevazione di ufficio dell’eccezione determina la necessità di disporre la relativa comunicazione alle parti per eventuali osservazioni e richieste e subordina la decisione nel merito all’effettuazione del detto adempimento”.

Nulla va infine stabilito in ordine alle spese processuali, poichè l’intimato non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Redazione