Abuso di informazioni privilegiate.Confisca obbligatoria strumenti finanziari “movimentati” attraverso operazioni compiute in violazione dell’art. 187-bis del d.lgs. n. 58/1998 (Corte cost. n. 251/2012)

Redazione 15/11/12
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Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 187-sexies, commi 1 e 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), promosso dalla Corte di appello di Torino nel procedimento vertente tra S.M. ed altra e la CONSOB, con ordinanza del 27 gennaio 2012, iscritta al n. 80 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2012 il Giudice relatore **************.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza del 27 gennaio 2012, la Corte di appello di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 187-sexies, commi 1 e 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), nella parte in cui dispone la confisca obbligatoria degli strumenti finanziari «movimentati» attraverso le operazioni compiute in violazione dell’art. 187-bis del medesimo decreto legislativo (abuso di informazioni privilegiate), o del loro equivalente economico, «senza consentire all’autorità amministrativa prima e al giudice investito dell’opposizione poi di graduare anche tale misura in rapporto alla gravità in concreto della violazione commessa».
Il giudice a quo premette di essere investito del giudizio di opposizione avverso la deliberazione della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) del 30 dicembre 2009, con la quale erano state irrogate sanzioni amministrative per una fattispecie di ritenuto abuso di informazioni privilegiate. Secondo il provvedimento impugnato, l’amministratore di una società avrebbe acquistato, per conto di quest’ultima, fra il 31 maggio e il 9 giugno 2005, un consistente numero di azioni bancarie, utilizzando l’informazione privilegiata, di cui era in possesso in ragione della sua qualità, relativa al fatto che una società controllata era in procinto di dare esecuzione a massicci ordini di acquisto delle medesime azioni, conferiti da terzi e idonei ad influire sulla quotazione dei titoli. Le azioni erano state rivendute poco tempo dopo, con un profitto di euro 1.407.505, al netto delle commissioni.
A fronte di ciò, la CONSOB aveva irrogato all’autore del fatto e alla società nel cui interesse esso era stato commesso la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 1.800.000 ciascuno, per violazione, rispettivamente, dell’art. 187-bis e dell’art. 187-quinquies del d.lgs. n. 58 del 1998. Nei confronti della società era stata inoltre disposta, ai sensi dell’art. 187-sexies del citato decreto legislativo, la confisca di titoli azionari ed obbligazionari per un valore di euro 20.723.331, corrispondente a quello del «prodotto» dell’illecito, rappresentato dalle azioni acquistate utilizzando l’informazione privilegiata: importo che conglobava la somma impiegata nell’operazione (euro 19.255.857) e il «differenziale positivo» conseguito in occasione della rivendita dei titoli (euro 1.467.474).
Il giudice rimettente riferisce, altresì, di avere pronunciato sentenza non definitiva, con cui aveva respinto l’opposizione, salvo che per il capo della deliberazione concernente la confisca, relativamente al quale, con separata ordinanza – recependo l’eccezione degli opponenti – aveva sollevato questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., dell’art. 187-sexies, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 58 del 1998, «nella parte in cui dispone che l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, previste dal medesimo capo del decreto legislativo, importi sempre la confisca del prodotto, del profitto e dei beni utilizzati per commettere l’illecito e che, ove la confisca non possa essere eseguita direttamente, essa debba avere obbligatoriamente luogo su “denaro, beni o altre utilità di valore equivalente”».
La questione era stata dichiarata, peraltro, inammissibile dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 186 del 2011, per oscurità e indeterminatezza del petitum. La Corte aveva, in particolare, rilevato come l’intervento ad essa richiesto rimanesse «oscuro sia quanto all’oggetto che quanto al contenuto». Sotto il primo profilo, non era dato, infatti, comprendere se l’invocata declaratoria di illegittimità costituzionale dovesse concernere tutte le entità cui si riferisce la norma denunciata, ovvero solo il prodotto dell’illecito e i beni utilizzati per commetterlo, ovvero ancora esclusivamente tali ultimi beni. Sotto il secondo profilo, non emergeva in modo univoco se fosse stata richiesta una pronuncia ablativa, intesa a rimuovere puramente e semplicemente la speciale ipotesi di confisca in discussione, o se fosse auspicata, invece, una pronuncia a carattere additivo-manipolativo, che attribuisse – all’autorità amministrativa prima e al giudice poi – il potere di graduare la misura ablativa prevista dalla norma censurata, escludendone in tutto o in parte l’applicazione allorché essa apparisse, in concreto, sproporzionata rispetto alla gravità dell’illecito.
Di seguito a tale pronuncia, gli opponenti avevano riassunto il processo, chiedendo al giudice a quo di sollevare nuova questione di legittimità costituzionale della norma censurata.
Ad avviso della Corte rimettente, le ragioni poste a fondamento della precedente ordinanza di rimessione non avrebbero perso di validità, salva restando l’esigenza di precisare il petitum, in ossequio alle indicazioni della citata sentenza n. 186 del 2011.
Al riguardo, il giudice a quo osserva che il comma 1 dell’art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998 prevede la confisca obbligatoria «del prodotto o del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo». Il comma 2 stabilisce, a sua volta, che, quando non sia possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa «può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente». Malgrado l’impiego della voce verbale «può», sarebbe indubitabile – secondo la Corte rimettente – che anche la confisca per equivalente, prevista dal comma 2, abbia carattere obbligatorio, posto che una diversa interpretazione svuoterebbe di significato la preliminare affermazione di obbligatorietà della misura ablativa contenuta nel comma 1.
Al tempo stesso, non sarebbe contestabile che tra i beni utilizzati per commettere la violazione vadano inclusi gli strumenti finanziari oggetto delle operazioni illecite di acquisto, vendita e similari, previste dall’art. 187-bis, comma 1, lettere a) e c), del d.lgs. n. 58 del 1998. Correttamente, pertanto, la CONSOB avrebbe disposto, nel caso di specie, la confisca di strumenti finanziari appartenenti alla società interessata per un ammontare equivalente, non soltanto al profitto conseguito (pari al differenziale tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto delle azioni cui si riferivano le informazioni privilegiate), ma anche alle somme di denaro impiegate per l’acquisto stesso. Avendo già respinto l’opposizione con sentenza non definitiva, relativamente ai motivi attinenti alla sussistenza della violazione contestata, il giudice a quo si troverebbe, quindi, a dover disattendere nella loro interezza anche i motivi inerenti alla confisca: donde la rilevanza della questione.
Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, la Corte torinese rileva che mentre la previsione della confisca obbligatoria, anche per equivalente, del profitto dell’illecito non si esporrebbe a censure di legittimità costituzionale, non altrettanto potrebbe dirsi con riguardo alla confisca obbligatoria dei beni utilizzati per commettere la violazione o del loro controvalore.
Alla luce, infatti, delle caratteristiche tipiche dell’abuso di informazioni privilegiate – il quale consiste, di norma, nell’effettuazione di operazioni su strumenti finanziari allo scopo di conseguire un utile differenziale – ciò che realmente determina la lesione del bene tutelato non sarebbe la mera «movimentazione» di detti strumenti finanziari, né, tantomeno, l’acquisizione della loro proprietà o del loro possesso da parte del responsabile della violazione, quanto piuttosto il conseguimento di un profitto illecito. Tale profitto verrebbe realizzato, peraltro, di regola, tramite l’impiego di valori economici molto superiori, privi di un rapporto di «proporzionalità» con la gravità della violazione. Proprio perché i profitti di borsa conseguono alle variazioni marginali dei prezzi degli strumenti finanziari negoziati, l’utile illecito corrisponderebbe, infatti, solo ad una frazione assai esigua dei valori investiti nell’operazione.
Né, d’altra parte, si potrebbe ritenere che detti valori abbiano un significato negativo intrinseco, «in termini di prevenzione generale o speciale», tale da renderli meritevoli di ablazione per il solo fatto di trovarsi nel patrimonio e nella disponibilità del responsabile della violazione. La confisca dei valori considerati, o del loro equivalente, si tradurrebbe, pertanto, in una vera e propria sanzione, che, affiancandosi alla sanzione amministrativa pecuniaria, non può, tuttavia, a differenza di questa, essere graduata in rapporto alla gravità in concreto dell’illecito commesso.
In questa prospettiva, la norma denunciata violerebbe, quindi, tanto l’art. 3 Cost., imponendo di applicare la confisca senza consentire alcuna verifica di proporzionalità con il disvalore dell’illecito o con la pericolosità della detenzione dei beni ablati; quanto l’art. 27 Cost., il quale esigerebbe la ragionevolezza e la non arbitrarietà della risposta sanzionatoria, rispetto alla effettiva gravità, soggettiva ed oggettiva, dell’illecito perpetrato.
Sulla base di tali rilievi, la Corte rimettente ritiene conclusivamente di dover sottoporre a nuovo scrutinio di legittimità costituzionale i commi 1 e 2 dell’art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998, nella parte in cui impongono la confisca degli strumenti finanziari «movimentati» attraverso l’operazione compiuta in violazione dell’art. 187-bis, o del loro controvalore, senza consentire all’autorità amministrativa prima, e al giudice investito dell’opposizione poi, di graduare la misura in rapporto alla gravità in concreto della violazione commessa.

 

Considerato in diritto

1.- La Corte di appello di Torino dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 187-sexies, commi 1 e 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria, anche per equivalente, degli strumenti finanziari «movimentati» tramite le operazioni integrative dell’illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate, «senza consentire all’autorità amministrativa prima e al giudice investito dell’opposizione poi di graduare anche tale misura in rapporto alla gravità in concreto della violazione commessa».
La Corte rimettente muove dall’assunto che il disvalore tipico dei fatti di abuso di informazioni privilegiate si radichi propriamente nella realizzazione di un profitto illecito. Date le dinamiche delle operazioni di borsa, tale profitto corrisponderebbe, peraltro, di regola, solo ad una esigua frazione dei valori economici impiegati nell’operazione, anch’essi obbligatoriamente assoggettati alla misura ablatoria in quanto beni strumentali alla commissione dell’illecito. Per questo verso, la confisca assumerebbe, dunque, una connotazione prettamente sanzionatoria, senza, peraltro, che ne sia possibile la graduazione in rapporto all’effettiva gravità dell’illecito, con conseguente rischio che il soggetto responsabile si trovi esposto ad un trattamento punitivo del tutto sproporzionato rispetto al fatto commesso.
Di qui il ritenuto contrasto della norma censurata con gli artt. 3 e 27 della Costituzione, per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità della risposta sanzionatoria.
2.- In via preliminare, va rilevato come la circostanza che la Corte torinese riproponga una seconda volta la questione nell’ambito del medesimo grado di giudizio non ridondi, di per sé, in un motivo di inammissibilità.
Una simile operazione non è, infatti, preclusa allorché la Corte costituzionale abbia emesso una pronuncia a carattere non decisorio, fondata su motivi rimuovibili dal giudice a quo, posto che in tal caso la riproposizione non contrasta col disposto dell’ultimo comma dell’art. 137 Cost., in tema di non impugnabilità delle decisioni della Corte stessa (ex plurimis, sentenze n. 50 del 2006 e n. 189 del 2001, ordinanza n. 317 del 2007): ciò, peraltro, alla ovvia condizione che il giudice a quo abbia eliminato il vizio che in precedenza impediva l’esame nel merito della questione (ex plurimis, ordinanze n. 371 del 2004 e n. 399 del 2002).
Nella specie, la pronuncia di inammissibilità adottata da questa Corte in rapporto alla precedente ordinanza di rimessione (sentenza n. 186 del 2011) ha carattere, per l’appunto, non decisorio, ed è basata su ragioni – il difetto di chiarezza e univocità del petitum – che il giudice a quo può senz’altro rimuovere.
3.- Nel riproporre la questione, la Corte di appello di Torino ha, d’altra parte, eliminato la carenza in precedenza riscontrata.
Nell’odierno frangente, il giudice a quo ha, infatti, formulato un petitum puntuale, rendendo palese come la questione non miri a conseguire una pronuncia ablativa, quanto piuttosto una pronuncia additivo-manipolativa, che – in surroga dell’attuale obbligo di confisca integrale, anche per equivalente, previsto dalla norma censurata – riconosca all’autorità amministrativa (in sede di irrogazione) e al giudice (nell’ambito del giudizio di opposizione) il potere di «graduare» la misura «in rapporto alla gravità in concreto della violazione commessa». Ciò, peraltro, limitatamente ad uno specifico oggetto, nell’ambito di quelli riconducibili nel perimetro applicativo della normativa denunciata (la quale impone la confisca «del prodotto o del profitto» e dei «beni utilizzati» per commettere gli illeciti amministrativi di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato): vale a dire, in rapporto ai soli «strumenti finanziari movimentati» tramite le operazioni compiute in violazione del divieto di abuso di informazione privilegiate.
Al di là dell’opinabilità di taluno degli asserti formulati (quale quello che gli strumenti finanziari acquisiti sfruttando l’informazione privilegiata rientrerebbero tra i beni utilizzati per commettere l’illecito, trattandosi, semmai, del «prodotto» di esso e proprio in tale qualità essendo stati confiscati per equivalente dalla CONSOB nel caso di specie), dal coordinamento tra motivazione e dispositivo dell’ordinanza di rimessione si desume, altresì, in modo sufficientemente chiaro che la pronuncia richiesta dal giudice a quo dovrebbe riguardare gli «strumenti finanziari movimentati» nei limiti in cui il relativo valore rifletta quello dei beni impiegati nell’operazione, con esclusione della parte di esso corrispondente alla plusvalenza realizzata. Secondo le espresse affermazioni della Corte torinese, infatti, la previsione della confisca obbligatoria, anche per equivalente, del profitto non genererebbe alcuna perplessità di ordine costituzionale, riferendosi il denunciato vulnus ai soli «valori impiegati per commettere l’operazione inquinata dall’abuso informativo», non legati da un rapporto proporzionale predefinito col primo.
4.- Se pure chiaro ed univoco, l’odierno petitum rende, tuttavia, inammissibile la questione sotto un diverso profilo.
Nel denunciare le conseguenze ultra modum che possono scaturire, in determinati contesti, dalla previsione della confisca obbligatoria, non solo del profitto, ma anche dei beni strumentali alla commissione dell’illecito, specialmente se contemplata anche nella forma «per equivalente» – problema in sé reale e avvertito, da sottoporre all’attenzione del legislatore – il giudice a quo invoca, in effetti, una pronuncia che, per i suoi contenuti, esorbita dai poteri di questa Corte.
Nell’attuale panorama ordinamentale, la confisca – tanto penale che amministrativa – è, infatti, sempre e soltanto una misura “fissa”. L’alternativa “di sistema” al regime dell’obbligatorietà è quella della facoltatività (è quest’ultima, appunto, la regola generale in tema di confisca amministrativa dei beni impiegati per commettere la violazione, rispetto alla quale la norma censurata assume carattere derogatorio: art. 20, terzo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, recante «Modifiche al sistema penale»): nel qual caso, peraltro, la discrezionalità della pubblica amministrazione o del giudice si esplica esclusivamente in rapporto all’an della misura. La confisca può essere disposta o meno: ma, se disposta, colpisce comunque nella loro interezza il bene o i beni che ne costituiscono l’oggetto tipico.
La Corte torinese non chiede, peraltro, di trasformare, in parte qua, la confisca prevista dall’art. 187­-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998 da obbligatoria in facoltativa: chiede, invece, di introdurre un innovativo “terzo regime”, a carattere intermedio (la “graduabilità”), a fronte del quale la discrezionalità amministrativa o giudiziale si esplicherebbe in relazione al quantum. La confisca degli «strumenti finanziari movimentati» resterebbe, cioè, obbligatoria, ma non “obbligatoriamente integrale”: la CONSOB e il giudice dell’opposizione stabilirebbero, infatti, per quale parte i predetti strumenti finanziari, o il relativo controvalore, debbano essere assoggettati alla misura ablativa, sulla base del parametro costituito dalla gravità in concreto della violazione (peraltro, senza che risulti chiaro se vi sia un limite minimo oltre il quale il preconizzato potere di abbattimento del quantum non potrebbe andare, e quale esso eventualmente sia).
Per questo verso, l’intervento richiesto assume, dunque, il carattere di una “novità di sistema”: circostanza che lo colloca al di fuori dell’area del sindacato di legittimità costituzionale, per rimetterlo alle eventuali e future soluzioni di riforma, affidate in via esclusiva alle scelte del legislatore.
5.- La questione va dichiarata, di conseguenza, inammissibile (ex plurimis, sulla inammissibilità delle questioni che sollecitino interventi “creativi” della Corte, sentenza n. 33 del 2007, ordinanze n. 77 del 2010, n. 243 del 2009 e n. 83 del 2007).
L’evidenziato profilo di inammissibilità assorbe ogni ulteriore considerazione in ordine alla correttezza delle premesse ermeneutiche poste a base dell’iter argomentativo della Corte rimettente, particolarmente per quanto attiene all’asserita possibilità di individuare il momento espressivo dell’offesa tipica dell’abuso di informazioni privilegiate nel conseguimento di un indebito profitto (evento, in realtà, non richiesto ai fini del perfezionamento della violazione, che si configura come illecito di mera condotta).

 

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 187-sexies, commi 1 e 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dalla Corte di appello di Torino con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Redazione