Abuso del diritto: antieconomicità della operazione e costi indeducibili (Cass. n. 12282/2013)

Redazione 20/05/13
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

In esito ad accessi ed attività istruttoria, l’Agenzia Entrate notificava alla società F2M Confezioni srl, numero due avvisi di accertamento, relativi ad IRES ed IRAP per gli anni 2005 e 2006, con i quali recuperava ad imposizione l’indebita deduzione di costi ritenuti fittizi.

Altri due avvisi, sempre relativi ai medesimi periodi, alle stesse imposte e per analoghe causali, venivano notificate alla Private Alliance srl.

Le predette società, interamente possedute da componenti la medesima famiglia, con separati ricorsi, impugnavano gli atti impositivi in sede giurisdizionale.

La CTP adita, previa riunione, accoglieva i ricorsi, ritenendo che la fattispecie non fosse riconducibile nè al disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, e neppure ai principi in tema di abuso del diritto, e tale decisione, appellata dall’Agenzia Entrate, veniva confermata dalla CTR. Il ricorso di che trattasi è affidato a quattro mezzi. Le intimate società, giusto controricorso, hanno chiesto che l’impugnazione venga dichiarata inammissibile e, comunque, rigettata;

contestualmente, in via incidentale e condizionata, hanno riproposto la questione relativa all’applicazione delle sanzioni, rimasta assorbita nel grado di merito.

A seguito di nota n. 99595 del 10.09.2012, con cui l’Agenzia Entrate, in relazione all’accertamento dell’anno 2006 contro la F2M, comunicava l’intervenuta definizione della lite, ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, srl, con Decreto Presidenziale n. 20049/2012 depositato il 15.11.2012, il processo iscritto al n. 16615/2012 R.G., veniva dichiarato estinto.

Con istanza 12.12.2012, l’Agenzia Entrate ha evidenziato che, erroneamente, era stata disposta l’estinzione del giudizio, tenuto conto che la comunicazione di definizione della lite era limitata solo ad uno dei quattro accertamenti impugnati relativo all’anno 2006 ed alla società F2M Confezioni srl, e quindi ha chiesto la revoca del precitato decreto Presidenziale e la fissazione dell’udienza di discussione.

Motivi della decisione

Il giudizio non può proseguire, essendo venuto meno l’interesse alla coltivazione del giudizio, limitatamente all’accertamento n. (omissis) per l’anno 2006, relativo alla società F2M Confezioni srl, la quale ha presentato domanda di condono, ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, positivamente esitata dall’Agenzia Entrate di Perugia.

Ciò si desume dalla nota in atti della predetta Agenzia in data 10.09.2012, prot. 99595, con la quale si comunica la verifica di regolarità della domanda di condono presentata dalla predetta società, l’integrale pagamento della somma, per l’effetto, dovuta e, quindi, la cessazione della materia del contendere, nonchè, sia dalla istanza 06.10.2012 con cui l’Avvocatura dello Stato, alla stregua del contenuto di detta nota, ha chiesto dichiararsi l’estinzione del giudizio, sia pure, dalla successiva istanza in data 12.12.2012, con cui la medesima Avvocatura, ha chiesto la revoca del decreto di estinzione del giudizio n. 20049/12, depositato il 15.11.2012, erroneamente emesso nei confronti di entrambe le società e per tutti gli anni d’imposta, e la fissazione dell’udienza di discussione della causa.

Ciò posto il Collegio, avuto riguardo alla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 8, nel testo vigente ed applicabile in esito alle successive modifiche, il quale da sostanziale rilievo alla comunicazione con cui gli uffici attestino la regolare definizione della domanda di condono, è dell’avviso che il giudizio debba essere dichiarato estinto nei confronti della società F2M Confezioni srl, limitatamente alla pretesa fiscale relativa all’anno 2006, essendo cessata la materia del contendere, per intervenuto condono.

In relazione al residuo accertamento per l’anno 2005 nei confronti della medesima società F2M Confezioni srl ed ai due accertamenti, per gli anni 2005 e 2006, contro la società Private Alliance srl in Liquidazione, la CTR ha rigettato l’appello dell’Agenzia, ritenendo e dichiarando l’infondatezza delle relative pretese fiscali, opinando, per un verso, che non fosse stata data la prova della fittizietà dei costi esposti e, sotto altro profilo, che, il disconoscimento dei detti costi non poteva, nel caso, derivare dall’elusività delle operazioni e dall’applicazione dei principi in tema di abuso del diritto, sia in quanto la questione era stata proposta tardivamente, sia pure perchè la fattispecie non era riconducibile alla previsione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, e non giustificava, comunque, l’applicazione di principi desumibili dall’art. 53 Cost..

L’Agenzia Entrate, con i primi due mezzi censura l’impugnata decisione per violazione e falsa applicazione dell’art. 109 cit.

T.U.I.R., D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 41, nonchè per insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo.

Deduce la irragionevolezza della contestata operazione, relativa alla cessioni di due marchi, effettuata nell’anno 2004 verso un corrispettivo di Euro 200.000, ed ai costi, di gran lunga maggiori, immediatamente dopo sopportati per il relativo utilizzo e sfruttamento.

In buona sostanza l’Agenzia, rilevato che i due marchi posseduti erano stati ceduti nel 2004 per il prezzo di complessivi Euro 200.000 e, d’altronde, che il costo delle royalties, poi pattuite ed esposte in contabilità, per il relativo sfruttamento, nei soli due anni successivi, ammontava a complessivi Euro 1.336.402 di cui Euro 900.986 nel 2005 ed Euro 435.416 nel 2006, nè inferisce l’antieconomicita, oltre che la fittizietà dell’operazione.

Con il terzo ed il quarto motivo, la decisione viene censurata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, art. 53 Cost., e dei principi in tema di abuso del diritto, nonchè dell’art. 53 Cost., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, e dei citati principi.

Si deduce che la questione relativa all’abuso del diritto è rilevabile d’ufficio, anche in Cassazione, ostandovi solo la formazione del giudicato, ed altresì, che, per i tributi non armonizzati, esiste un generale principio antielusivo, che trova il proprio fondamento nell’art. 53 Cost..

Stante la delineata realtà processuale, il Collegio ritiene che la decisione impugnata non risulti in linea con i principi espressione di un ormai consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale.

– a – E’ stato affermato che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’ufficio finanziario ha il potere di accertare la sussistenza della eventuale simulazione di un contratto in grado di pregiudicare il diritto dell’amministrazione alla percezione dell’esatto tributo, senza la necessità di un preventivo giudizio di simulazione, spettando poi al giudice tributario, in caso di contestazione, il potere di controllare “incidenter tantum”, attraverso l’interpretazione del negozio ritenuto simulato, l’esattezza di tale accertamento, al fine di verificare la legittimità della pretesa tributaria” (Cass. n. 11676/2002).

– b – Si è, pure, ritenuto che “In tema di imposte sui redditi, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d); ad un tale riguardo il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie” (Cass. n. 10802/2002, n.7680/2002, n. 1821/2001, n. 7871/2012), e, d’altronde, che, per consolidato orientamento giurisprudenziale in presenza di un legittimo accertamento induttivo e, quindi, della connessa prova presuntiva, incombe sulla parte contribuente l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa fiscale (Cass. n. 19174/2003; n. 17016/2002; n. 14505/2001).

– c – Costituisce, d’altronde, ius receptum che è configurabile l’omessa motivazione della sentenza, “quando il giudice di merito omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logico-giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento (Cass. n. 890/2006, n. 1756/2006, n. 2067/1998, n. 12664/2012, n. 3370/2012).

– d – Le Sezioni Unite di questa Corte (Sentenza n. 30055/2008), hanno, poi, fissato il principio secondo cui “Nel processo tributario, pur essendo l’oggetto del giudizio delimitato dalle ragioni poste a fondamento dell’atto di accertamento, il tema relativo all’esistenza, alla validità ed all’opponibilità all’Amministrazione finanziaria del negozio da cui si assume che originino determinate minusvalenze deve ritenersi acquisito al giudizio per effetto dell’allegazione da parte del contribuente, il quale è gravato dell’onere di provare i presupposti di fatto per l’applicazione della norma da cui discende l’invocata diminuzione del reddito d’impresa imponibile: ne consegue, anche in ragione dell’indisponibilità della pretesa tributaria, la rilevabilità d’ufficio delle eventuali cause di invalidità o di inopponibilità del negozio stesso, sempre che ciò non sia precluso, nella fase di impugnazione, dal giudicato interno eventualmente già formatosi sul punto o (nel giudizio di legittimità) dalla necessità di indagini di fatto” (CONF. Cass. n. 30056/2008, n. 30057/2008, n. 20398/2005).

– e – la medesima Corte nella circostanza ha, anche, precisato che “In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali. Esso comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione” (Cass. n. 30055/2008, n. 30057/2008, n. 7343/2011, n. 12622/2012).

Ritiene la Corte che il primo ed il secondo mezzo vadano accolti, in applicazione dei principi sopra trascritti sub a), b) e c), avuto riguardo al fatto che l’illogicità e manifesta antieconomicita delle operazioni effettuate dalle contribuenti, con la cessione dei marchi e l’immediato successivo riacquisto degli stessi, sulla base di prezzo esageratamente più elevato, offrivano concreti elementi per indurre a ritenere legittimo il ricorso al particolare metodo di accertamento utilizzato nel caso e che, quindi, per poter annullare l’accertamento, i Giudici di merito avrebbero dovuto specificare, sulla base di una complessiva valutazione degli elementi in atti e di valide argomentazioni, le ragioni per le quali l’evidente antieconomicità delle operazioni, poste in essere dalle contribuenti, non costituiva sintomo di violazioni di disposizioni tributarie.

Nel caso, la CTR, non solo ha omesso di esaminare alcuni elementi in atti, idonei a giustificare un diverso percorso decisionale, ma oltretutto non ha svolto una approfondita disamina logico-giuridica dei dati utilizzati, avendoli valorizzati isolatamente, sulla base di affermazioni apodittiche, generiche ed incongrue.

La CTR, infatti, per giustificare l’economicità delle operazioni, si è limitata a condividere acriticamente la deduzione delle contribuenti, secondo cui nel 2004 vi sarebbe stata una contraffazione dei marchi,”che ne aveva ridotto il valore” in modo tale da giustificarne la vendita per il prezzo esposto in contabilità.

Non ha considerato la medesima CTR:

che l’argomentazione utilizzata – secondo la quale il prezzo ridotto ricavato dalla cessione dei marchi era stato causato dalla relativa contraffazione,- si rivelava palesemente incongrua, giacchè sul piano della coerenza logica, si poneva in insanabile contrasto con la pacifica circostanza, che già nell’anno successivo (2005) a quello della cessione dei marchi (2004), le contribuenti, per il mero utilizzo degli stessi, nel solo ambito territoriale di Italia, San Marino e Vaticano, hanno dichiarato di avere affrontato costi pari quasi a cinque volte (Euro 900.986), il prezzo realizzato dalla vendita (Euro 200.000), appena un anno prima;

che la cessione dei marchi era stata effettuata a favore di una società Svizzera, costituita appena da un mese, del cui consiglio di amministrazione faceva parte un commercialista, consulente delle contribuenti; che detta società Svizzera, aveva subito dopo trasferito i diritti di sfruttamento dei marchi ad altra società di diritto Irlandese, della quale era rappresentante legale una persona di età giovanissima (18 anni), la quale ne aveva, quindi, disposto in favore delle contribuenti, nei limiti e per il corrispettivo anzi indicati.

Circostante tutte, sostanzialmente, ignorate dalla CTR e, però, idonee, a far ritenere legittimo l’accertamento induttivo dell’Agenzia e, conseguentemente, a determinare la traslazione dell’onere probatorio, in punto economicità delle operazioni, sulle contribuenti. Il Collegio è, altresì, dell’avviso che la decisione abbia, pure, fatto malgoverno dei principi sopra riportati sub d) ed e).

– Anzitutto, per non avere considerato che la questione relativa all’esistenza, alla validità ed all’opponibilità all’Amministrazione finanziaria del negozio e delle operazioni da cui sarebbero derivati i costi doveva ritenersi acquisita al giudizio per effetto dell’allegazione da parte delle contribuenti.

– Di poi, per non avere tenuto conto che, in ogni caso, trattavasi di questione indisponibile e quindi rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, salvo il giudicato, nel caso insussistente.

– Altresì, per non avere rilevato che gravava sulle contribuenti l’onere di provare i presupposti di fatto per l’applicazione dell’invocata diminuzione del reddito d’impresa imponibile.

– Infine, per non avere considerato che il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, in virtù del quale restava precluso alle contribuenti il conseguimento di vantaggi fiscali, ove ottenuti, come nel caso, mediante l’uso distorto, di strumenti giuridici, – quali la cessione a terzi di marchi a prezzo ridotto e l’immediato successivo acquisto, verso un corrispettivo annuale di gran lunga maggiore, del mero diritto di sfruttamento parziale, – idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici fiscali.

Conclusivamente, deve ritenersi che la CTR abbia disatteso e fatto malgoverno dei richiamati e condivisi principi, omettendo una adeguata ed approfondita verifica della realtà processuale, argomentando, peraltro, in modo del tutto insufficiente ed incongruo.

Il ricorso va, dunque, accolto e, per l’effetto, cassata l’impugnata decisione.

Il Giudice del rinvio, che si designa in altra sezione della CTR dell’Umbria procederà al riesame e quindi deciderà nel merito ed anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, offrendo adeguata motivazione.

P.Q.M.

Dichiara cessata la materia del contendere tra l’Agenzia Entrate e la F2M Confezioni Srl in relazione all’accertamento dell’anno di imposta 2005 ed in tali limiti estinto il giudizio.

Accoglie il ricorso dell’Agenzia Entrate, per gli accertamenti relativi agli altri anni di imposta per entrambe le contribuenti, cassa l’impugnata decisione e rinvia ad altra sezione della CTR dell’Umbria.

Così deciso in Roma, il 21 marzo 2013.

Redazione