Abusi edilizi su area sottoposta a vincolo ai paesaggistico (Cons. Stato n. 3367/2013)

Redazione 20/06/13
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FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente ha impugnato in primo grado la determinazione del Comune di Ardea prot. 19573 del 15 aprile 2010 con la quale veniva comunicato il diniego della domanda di sanatoria presentata in data 19 settembre 1985 per l’immobile ubicato in Lungomare degli Ardeatini, n. 421.

2. Il ricorso è stato respinto con la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, 8 febbraio 2012, n. 1262.

3. Propone ricorso in appello il sig. *********..

4.0. La Sezione non può che confermare quanto già deciso con la sentenza 5 aprile 2012, n. 2035.

4.1. Va premesso che l’edificio oggetto della domanda di sanatoria risulta ultimato nell’anno 1976, e quindi dopo che l’area sulla quale esso insiste era stata vincolata ai fini paesaggistici con decreto ministeriale del 22 ottobre 1954. Tale area, inoltre, è compresa nelle zone tutelate dal piano territoriale paesaggistico approvato con la legge regionale n. 24 del 1998 e con il piano territoriale paesaggistico regionale del 21 dicembre 2007.

L’art. 32 legge n. 47 del 1985, nell’introdurre la possibilità di condonare opere abusive realizzate prima del 1° ottobre 1983 su aree sottoposte al vincolo, subordina il rilascio della concessione edilizia al parere dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo stesso.

Come ha osservato il Consiglio di Stato nel parere reso dalla seconda sezione nell’adunanza del 9 marzo 2011, n. 2404/2011, sul ricorso straordinario proposto da alcuni proprietari di immobili siti nella stessa zona del Comune di Ardea interessata dalla vicenda in esame, tale parere ha natura giuridica di condizione ostativa e di presupposto indefettibile per la concessione edilizia in sanatoria e comporta la verifica della compatibilità dell’intervento con gli interessi paesaggistici e ambientali dell’area sottoposta a tutela.

Nel caso di specie, il Comune di Ardea ha valutato che l’edificio in esame “fa parte di una serie dì costruzioni, realizzate tra la spiaggia e il lungomare, le quali compromettono sia l’accessibilità che la fruizione del panorama marino”. Esso ha inoltre rilevato che tali edifici costituiscono un “grave danno paesaggistico in quanto alterano le caratteristiche morfologiche e naturali del luogo, facendogli perdere la propria identità fisica. L’impatto della realizzazione edilizia, nel contesto disturbante di diffusa fabbricazione, ha carattere invasivo tanto da determinare la compromissione non solo della percezione paesaggistica da parte della collettività, ma anche lo stravolgimento dell’armonia e naturale bellezza del paesaggio e dell’ambiente circostante”.

L’ente locale ha quindi valutato le caratteristiche morfologiche e paesaggistiche dell’area tutelata ed ha considerato che l’edificio in questione contribuisce ad alterare proprio quelle caratteristiche meritevoli di salvaguardia.

Tale modo di agire dell’amministrazione è conforme ai principi più volte affermati dalla giurisprudenza, secondo la quale, in materia di tutela delle bellezze panoramiche, l’esistenza di una anteriore lesione arrecata alla zona non rappresenta, da sola, un motivo sufficiente a dispensare dalla verifica riguardante la realizzabilità o la sanabilità di un’opera; anzi, l’eventuale danno progressivo produce la necessità di una indagine ancora più accurata, per scongiurare un maggiore, più grave e definitivo turbamento dei valori tipici dei luoghi (cfr. per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 27 settembre 2002, n. 4971): la situazione di compromissione della bellezza naturale da parte di preesistenti realizzazioni, anziché impedire, maggiormente richiede, quindi, che ulteriori costruzioni non deturpino irreversibilmente l’ambiente protetto.

Nella fattispecie in esame il Comune, in particolare, ha provveduto a sanzionare la maggior parte degli edifici che versano nelle medesime condizioni giuridiche di quello di proprietà dei ricorrenti e si propone dichiaratamente di ripristinare in maniera generale ed organica il naturale contesto ambientale e paesaggistico, ripristino che appare, dalla documentazione versata in atti, concretamente attuabile.

Il motivo di ricorso, riproposto in appello, che fa perno sulla diffusa edificazione che ha interessato l’area, con gli effetti invasivi e deturpanti evidenziati dal Comune, non ha quindi pregio.

4.2. Infondata è anche la censura incentrata sull’epoca di realizzazione dell’immobile.

L’art. 7 della legge n. 1497 del 1939 imponeva già la necessità, per gli interventi da effettuarsi in zone paesaggisticamente vincolate, del previo assenso, che nella specie non solo non è stato emanato, ma non è stato neppure chiesto. Non è, quindi, la generale legge sull’edificazione che doveva costituire il parametro per l’azione dell’Amministrazione nel rispondere all’istanza dell’interessata, ma la particolare disciplina relativa alla tutela delle aree riconosciute di pregio paesaggistico, vale a dire, trattandosi di condono, l’art. 32 della legge n. 47 del 1985, che postula lo specifico assenso da parte dell’autorità competente, preposta alla difesa del vincolo.

4.3. In primo luogo l’intervento edilizio è stato realizzato, per esplicita ammissione contenuta nella istanza di condono, nel 1976 e quindi dopo l’apposizione, con decreto ministeriale 22 ottobre 1954, del vincolo ai sensi dell’allora vigente legge 29 giugno 1939 n. 1497; in ogni caso, è pacifico l’orientamento di questo Consiglio, secondo cui, a prescindere dal momento di introduzione del vincolo stesso, ai fini del parere di cui all’art. 32 della legge 47 del 1985 rileva la data di valutazione della domanda di sanatoria, e non quella di costruzione dell’immobile (per tutte, Cons. St., Ad. plen., 7 giugno 1999, n. 20 e Sez. VI, 11 dicembre 2001, n. 6210).

4.4. Deve, poi, escludersi, una disparità di trattamento sotto il profilo che per edifici insistenti nella medesima zona la Soprintendenza avrebbe autorizzato la sanatoria e altri sarebbero stati condonati. Infatti, per giurisprudenza costante, il vizio considerato non viene in evidenza in tutti i casi in cui non risulti dimostrata l’assoluta identità di situazioni, e comunque la legittimità dell’operato della pubblica Amministrazione non può essere inficiata dall’eventuale illegittimità compiuta in altra situazione (per tutte Consiglio Stato, Sez. VI, 22 novembre 2010, n. 8117).

4.5 Quanto alla censura relativa all’omessa considerazione del lungo tempo intercorso dalla realizzazione dell’immobile, e del conseguente consolidamento dell’interesse dei privati proprietari, va considerato che:

– i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia sono atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico che si intendono tutelare, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non potendo ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può legittimare (v., per tutte, Cons. Stato, Sez. V, 11 gennaio 2011, n. 79);

– la legislazione di settore esclude che si formi un legittimo affidamento, quando è realizzato un immobile abusivo e l’Amministrazione non esercita il suo potere-dovere di emanare l’ordine di demolizione, in quanto il decorso del tempo dalla data dell’abuso – per il principio di legalità – può avere rilievo giuridico solo quando la normativa ammetta in via eccezionale il condono di quanto illecitamente realizzato;

– nella specie, poiché le ragioni del diniego e della conseguente ingiunzione di demolizione sono state ampiamente e sufficientemente esplicitate nella necessità di provvedere al recupero ambientale del territorio compromesso, e dei valori ambientali che vi si devono esprimere, non rileva esaminare la correttezza dell’ulteriore ed autonoma ragione posta a base del diniego, relativa al mancato rilascio del nulla osta previsto dall’art. 55 del codice della navigazione, che gli appellanti, con ulteriore mezzo del gravame, affermano sia stata rilasciata: trattasi, infatti, di motivazione ultronea per provvedimenti che, come si è rilevato, si sorreggono su diverse e legittime motivazioni.

4.6. Destituito di fondamento è, infine, il motivo di ricorso di primo grado, riproposto in appello, secondo cui il vincolo imposto con d.m. 22 ottobre 1954 (pubblicato nella G.U. n. 22 del 28 gennaio 1955), non risulterebbe più attuale e rilevante né sul piano fattuale né sul piano giuridico.

Mentre con riguardo alla situazione fattuale valgono le considerazioni svolte sopra sub 6.1., con riguardo al profilo giuridico è sufficiente il richiamo al consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, secondo cui i vincoli paesaggistici, quale quello in esame, non possono ritenersi caducati per effetto della legislazione sopravvenuta di cui al decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431, oppure con lo spirare del termine previsto per l’adozione dei piani paesistici regionali (v., ex plurimis, decisione 8 febbraio 2008, n. 408; 31 dicembre 1988, n. 1351; cfr., in termini, anche Corte Cost. 4 agosto 2003, n. 294).

4.7. In conclusione, l’appello è infondato e va respinto.

5. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del presente grado devono essere poste a carico dell’appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 6633 del 2012, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante a rifondere al Comune di Ardea, in persona del legale rappresentante pro tempore, le spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nell’importo di euro 1.000,00 (euro mille/00), oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2013

Redazione