A quale età un figlio di genitori separati può decidere con chi stare

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Quando una coppia di genitori decide di separarsi, una delle questioni più frequenti è rappresentata dalla scelta della cosiddetta “collocazione” del figlio, vale a dire con quale dei due genitori dovrà abitare.

Per approfondire leggi anche “La tutela giuridica del minore” di Cristina Cerrai, Stefania Ciocchetti, Patrizia La Vecchia, Ivana Enrica Pipponzi, Emanuela Vargiu.

La collocazione della prole presso l’uno o l’altro dei genitori non non incide sulle modalità di affidamento che, salvo situazioni particolari, viene di solito disposto in forma congiunta ad entrambi i genitori, ma non è neanche prevista dalla legge, che si rivolge in modo esclusivo alla necessità che il minore mantenga un “rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, a norma dell’articolo 337 comma 1 del codice civile.

Il figlio, in caso di accordo tra i genitori, potrebbe non avere una collocazione prevalente, trascorrendo tempi analoghi con la mamma e il papà, i quali si dovranno organizzare per assicurare al minore uno spazio abitativo adeguato alle sue esigenze, oppure venire collocato in modo prevalente con il padre o con la madre.

Se non c’è accordo dovrà decidere il giudice. Anche in questo caso non esistono parametri codificati per la scelta della collocazione del figlio, se non quello della salvaguardia del suo esclusivo interesse morale e materiale, stando al dettato dell’articolo 337 comma 2 del codice civile. Sono importanti l’età del bambino, il tipo di attività lavorativa dei genitori, l’esistenza o no di un’abitazione che, al momento della separazione, costituiscano un fattore stabile per il minore.

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Ascolto del minore e capacità di discernimento

A norma dell’articolo 337 octies del codice civile, il giudice non potrà ignorare, specie se non ci sia accordo tra i genitori, la volontà espressa dal figlio e dovrà procedere al suo ascolto. La legge prevede che, al compimento del dodicesimo anno di età, il minore debba essere sempre ascoltato sulle questioni, diverse da quelle economiche, a lui relative. Ad esempio, la scelta della scuola da frequentare, le modalità per vedesi con il genitore con il quale non abita stabilmente.

L’ascolto potrà avvenire anche prima dei 12 anni, se il figlio sia ritenuto dal giudice capace di discernimento, vale a dire capace, secondo quella che è una categoria psico-giuridica, di elaborare idee e concetti in modo autonomo, di avere delle proprie opinioni e di comprendere gli eventi. Per valutare se questa capacità esista, il magistrato potrà decidere di disporre un primo colloquio del bambino con un esperto, cosiddetto colloquio tecnico-valutativo, una semplice scelta che potrebbe essere evitata.

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 752/15, del 19/01/2015, ha chiarito che non si può mettere in discussione l’idoneità e l’attendibilità delle dichiarazioni di un minore esclusivamente in ragione della sua età.  Il giudice può valutare la capacità di discernimento del bambino con meno di 12 anni senza richiedere uno specifico e relativo accertamento tecnico.

La Corte afferma che l’età può rilevare quando si tratti di un minore in età prescolare, in caso di bambini scolarizzati non può essere presunta una loro incapacità di discernimento. La decisione del tribunale deve avere come unico obiettivo l’interesse morale e materiale del minore, e da questo consegue che legge non impone al giudice di assecondare sempre il desiderio manifestato dal bambino.

La giurisprudenza, da parte sua, attua una sorta di apertura. In passato, partendo dal presupposto che l’interesse del minore possa anche non coincidere con la volontà dallo stesso espressa in sede di ascolto, si riteneva che il momento dell’ascolto avesse una funzione essenzialmente cognitiva (Cass. sent. 6081/06; n. 17201/11 ; n. 13241/11). Si affermava che l’audizione del figlio dovesse fornire al magistrato maggiori elementi per decidere e niente di più. Il giudice, doveva considerare l’opinione del minore, ma non era vincolato alle preferenze espresse dal figlio,dovendo motivare il provvedimento che si discostasse da esse.

Con la sentenza n. 5237/14 del 5/02/2014, la Cassazione ha rivisto questo orientamento in relazione ai procedimenti nei quali si debba verificare presso quale dei genitori il minore debba abitare. Sono procedimenti nei quali l’opinione del minore viene acquisita con la finalità di dare al giudice gli elementi per decidere nel migliore modo possibile, ma soprattutto per conoscere quale sia il desiderio del bambino su dove e con chi debba andare a vivere.

In questi casi, secondo la Corte, la funzione esclusivamente cognitiva dell’ascolto va “rimeditata” dovendosi sempre tenere conto della volontà da lui espressa in sede di ascolto. Nei casi specifici nei quali si sta decidendo sulla collocazione o sulle modalità di affidamento del figlio, il giudice nella sua decisione, deve dare la precedenza alla preferenza da lui espressa in sede di ascolto.

Ad esempio, nel caso posto alla sua attenzione, la Corte ha accolto la domanda del padre di una minore che era stata collocata presso la madre contro la sua volontà. Questo non esclude che in base agli elementi acquisiti, il giudice possa lo stesso decidere di non assecondare la scelta del fanciullo. In questa ipotesi, come precisato dalla Cassazione  (Cass. sent. n . 16658 del 22.06.2014), il giudice ha un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento del minore ed è una diretta conseguenza dell’imprescindibilità dell’ascolto stesso.

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