PROCESSO PIAZZA FONTANA: -Sentenza della Corte d'Assise di Milano n. 15/2001, del 30 giugno 2001 e depositata il 19 gennaio 2002. Capitolo 6 *** pag.9/13 - la
descrizione fornita da Freda di Massimiliano Fachini, del ruolo da questi
assunto nell’ambito della destra padovana, dei suoi rapporti con ON e,
infine, dei suoi rapporti con lui, può definirsi “sfuggente”, perché
pur ammettendo l’intensità dei rapporti con Fachini, il teste ha negato
di essere a conoscenza delle attività da costui svolte e dei rapporti
intrattenuti in quegli anni. E’ interessante riportare integralmente il
contenuto di quella parte di esame, nella quale Freda ha più volte fatto
riferimento a sue deduzioni non suffragate da fatti: “P.M.
- I suoi rapporti con Fachini fino a quando sono durati? Lei ha detto che
era uno dei frequentatori della libreria Ezelino ma non del gruppo di
lettura AR? T.
- Il Signor Fachini durante il primo periodo della mia detenzione cioè
fino al 1976 mi sostituì nella gestione
dell'attività editoriale, curava i rapporti con la tipografia, curava la
distribuzione libraria dei testi che uscivano nonostante la mia
detenzione. P.M.
- Fintanto che Lei è rimasto in stato di libertà i rapporti con Fachini
sono continuati? T.
- I rapporti tra me e Fachini si sono intensificati soprattutto dopo
l'inizio della mia detenzione nel '71 prima c'erano rapporti sporadici,
incontri... Fachini era Consigliere Comunale del Movimento Sociale di
Padova. P.M.
- Quindi fino al periodo in cui Lei è stato arrestato i rapporti c'erano
ma saltuari, dopo la sua detenzione si sono intensificati? T.
- Certo. P.M.
- Come mai, che cosa ha determinato questa intensificazione di questi
rapporti? T.
- Perché Fachini uomo generoso non vedeva di buon occhio quell'atmosfera
di isolamento in cui l'ambiente neofascista metteva la mia persona, per
generosità aveva delle riserve anche lui sulla mia attività. P.M.
- Fachini aveva rapporti con l'ambiente di Ordine Nuovo prima col Centro
Studi e poi col Centro Studi rientrato? T.
- Non sono in grado di rispondere, posso dedurre un opinione in questo
caso, d'altronde non si trattava di ambienti umani quantitativamente tanto
apprezzabili, non si trattava di miriadi di persone,
le persone erano sempre le medesime. P.M.
- Lei per esempio rapporti non ne aveva? T.
- Io per mia condizionalità caratteriale non svolgevo attività politica
e quindi dal momento che costoro non si interessavano a quei settori
culturali a cui mi interessavo io, invece Fachini svolgendo un'attività
politica, militando nel Movimento Sociale e facendo il Consigliere
Comunale del Comune di Padova può darsi che coltivasse... P.M.
- Ma è una sua deduzione basata su che cosa? T.
- E` una mia deduzione di tipo antropologico niente altro, perché io non
potevo conoscere i rapporti di Fachini dal momento che iniziai la mia
detenzione nel '71, ecco. P.M.
- Il Centro Studi Lei sa che è rientrato nel Movimento Sociale, forse non
lo sa perché stamattina ha avuto qualche esitazione, verso la fine del
'69? T.
- Nel '69 sì. P.M.
- E quindi nel periodo precedente eravate entrambi liberi, il centro studi
esisteva? T.
- Nel periodo precedente data la militanza ortodossa diciamo di Fachini
nel Movimento Sociale Italiano e i suoi contatti con la Federazione dei
Combattenti della Repubblica Sociale sono portato ad escludere che avesse
rapporti con il Centro Studi Ordine Nuovo, è possibile che li abbia avuti
dopo il '71. P.M.
- Quindi nel periodo in cui i vostri rapporti si sono intensificati è
possibile che Fachini abbia avuto stretti rapporti con... T.
- La mia deduzione non giunge al punto di qualificare stretti rapporti. P.M.
- E` una deduzione che non riesce a fondare su fatti, su discorsi, su
parole? T.
- Non si tratta qui di memoria, qui si tratta proprio di non sapere
nemmeno allora sapevo.”[1]. -
sull’affermazione fatta all’epoca del processo di Catanzaro[2]
circa la disponibilità da parte di Ventura di un casolare nella provincia
di Treviso, Freda ha inopinatamente dimostrato di avere un ricordo molto
preciso (si badi diverso rispetto a quello di trent’anni prima) sul
luogo ove quel casolare sarebbe stato situato. Alla domanda del difensore
di parte civile, il teste ha affermato di essere a conoscenza che Ventura aveva dei terreni e una casa nella
campagna padovana, precisamente a Vigonza[3].
Quindi, la parte civile ha inquadrato le affermazioni di Freda su quel
casolare, nel rapporto di conoscenza con Roveroni e in quel contesto ha
formulato la contestazione delle dichiarazioni rese da Freda il 5.7.1972,
quando affermò che la persona individuata in una conversazione
telefonica con la sigla R era Roveroni, persona che aveva rapporti con il
commissario Iuliano; quest’ultimo aveva fatto confidenze a Roveroni, il
quale le riferì a Freda. Il teste ha dichiarato che se quelle
affermazioni le fece all’epoca erano vere. La parte civile ha ancora
contestato che Freda dichiarò che Roveroni gli aveva riferito che
Iuliano aveva detto di essere un agente del SID e che il SID si occupava
dell’operazione relativa al deposito da parte del gruppo di Freda e
Ventura di armi presso una cascina in un casolare di Treviso e Freda aveva
dichiarato che effettivamente Ventura aveva una specie di dependance in
campagna. A fronte della contestazione del difensore di parte civile
sulla circostanza che il commento che Freda fece circa la disponibilità
di un casolare indicato da Roveroni nella provincia di Treviso, senza
specificare che in effetti quella struttura era situata a Vigonza, il
teste ha dichiarato di non poter ricordare a tanti anni di distanza a
quale luogo si riferisse in quell’interrogatorio e ad un’ulteriore
specifica domanda del difensore della parte civile, ha ribadito di
ricordare della proprietà della famiglia Ventura di una cascina a Vigonza
in provincia di Padova e non a Treviso[4]. Si
è riassunto quasi integralmente le dichiarazioni di Freda per evidenziare
la loro totale inattendibilità. Difatti,
sia sotto il profilo della credibilità soggettiva del dichiarante che con
riferimento alla consistenza oggettiva delle dichiarazioni, tutti i
parametri illustrati nel capitolo 3 comportano un giudizio assolutamente
negativo. Freda,
ancora in questo dibattimento, ha dimostrato di avere un interesse
personale ad escludere qualsiasi circostanza che possa pregiudicare la sua
immagine se non la sua posizione giudiziaria. Il teste ha tentato di
impedire il suo esame testimoniale, adducendo un’insussistente
incompatibilità e giungendo a prospettare la sua intenzione di chiedere
la revisione della sentenza di condanna inflittagli dalla Corte d’Assise
d’Appello di Catanzaro, al solo fine di evitare l’esame, e, una volta
obbligato a rispondere, ha negato qualsiasi suo coinvolgimento nelle
attività politiche di quegli anni, rivendicando a sé un ruolo
speculativo incompatibile con l’attivismo di gruppi della destra. Ciò
in contrasto non solo con le indicazioni rese in questo processo da
numerosi testimoni, ma prima ancora con l’accertamento compiuto a suo
carico dai giudici di Catanzaro. Con
riferimento ai parametri oggettivi, Freda ha reso dichiarazioni non
spontanee (essendo stato obbligato a rendere l’esame), generiche
quando si è trattato di ricordare circostanze per sé compromettenti,
mentre il ricordo ha riacquistato precisione quando, a seguito delle
contestazioni mossegli, ha corretto alcune indicazioni fornite all’epoca
delle indagini nel procedimento a suo carico. La ricostruzione dei suoi
rapporti con Maggi, Zorzi e il gruppo di ON di Venezia-Mestre, nonché con
Fachini, è del tutto incoerente, perché da un lato quel rapporto sarebbe
stato occasionale o addirittura inesistente, ma dall’altro sarebbe stato
caratterizzato da momenti di intensità incompatibili con la dedotta
diversità di impostazione politica. Ma
soprattutto, la totalità delle affermazioni di Freda è stata smentita da
elementi di prova contrari. E vediamo, argomento per argomento, questo
contrasto. -
sull’impostazione culturale e politica sua e del suo gruppo, Freda è
stato smentito dall’accertamento della Corte d’Assise d’Appello di
Catanzaro, che lo ha ritenuto responsabile del delitto di associazione
sovversiva nonché di numerosi attentati commessi nel corso del 1969.
Quell’accertamento è stato univocamente confermato da numerosi
testimoni assunti in questo dibattimento, i quali hanno individuato in
Freda il principale esponente della destra eversiva padovana, responsabile
della strategia attuata da quell’area politica negli anni 1969-1971[5]. -
con riferimento ai rapporti con Maggi, già le affermazioni del teste
sarebbero del tutto incoerenti nell’escludere qualsiasi rapporto
politico con ON, per poi ammettere che proprio tra il 1969 e il 1970 fu
invitato a tenere alcune relazioni nella sede del Centro studi di ON
veneziano in occasione nel rientro nell’MSI e che nella seconda metà
degli anni ’70 fu proprio Maggi ad accoglierlo e a garantirgli
protezione durante una sua visita a Venezia. Anche su questi rapporti ci
si soffermerà in altra parte della motivazione, ma deve qui anticiparsi
che le affermazioni di Freda (e di Maggi), che mirano ad escludere
qualsiasi rapporto politico tra i rispettivi gruppi sono state smentite da
numerosi testimoni che hanno univocamente delineato la stabilità di quel
sodalizio e l’appartenenza di Freda e del suo gruppo all’area politica
di ON. -
la ricostruzione dei rapporti di Freda con Zorzi è un significativo
esempio dell’atteggiamento assunto dal teste nel suo esame
dibattimentale. A fronte di alcune circostanze inconfutabili (quali
l’indicazione nella rubrica di Freda dell’indirizzo e del numero
telefonico di Zorzi[6],
le molteplici indicazioni contenute nell’agenda di Freda del 1970 di
contatti con Delfo e con suo padre[7],
oltrechè le indicazioni di alcuni testi su rapporti tra Zorzi e Freda
risalenti al periodo 1968-1970[8])
Freda ha da principio ammesso di aver conosciuto il giovane mestrino, poi
ha affermato che fu solo Zorzi a conoscerlo nel corso delle conferenze
tenute a Mestre nei primi mesi del 1970, ma lui, conferenziere, non
necessariamente conobbe chi si trovava tra l’uditorio, poi ha ancora
ricostruito i rapporti di natura editoriale con Zorzi e con suo padre,
infine ha mantenuto incertezza sull’effettiva conoscenza. A prescindere
dall’assoluta contraddittorietà di quella parte dell’esame, è
interessante rilevare l’ambiguità dell’atteggiamento di Freda, che
proprio sulla confusione del ricordo e sull’ammissione di poche
circostanze non compromettenti, immediatamente dopo smentite, ha definito
la sua immagine di militante inafferrabile, immagine che in questo
dibattimento è stata, a parere della Corte, inconfutabilmente smascherata
a fronte del quadro probatorio acquisito sulla ricostruzione dei rapporti
di Freda con i gruppi ordinovisti veneziano e mestrino. -
sulla fuga da Catanzaro, Freda ha smentito i testimoni che hanno
ricostruito la dinamica di quell’episodio (per avervi personalmente
partecipato), accusandoli di essere “ontologicamente” mentitori in
quanto collaboratori, ma ha poi accuratamente evitato di fornire elementi
di conferma alla sua versione, omettendo di riferire le persone che
l’avrebbero aiutato nell’allontanamento dal domicilio coatto. Anche
sul punto le dichiarazioni di Freda sono del tutto inattendibili, o
meglio, palesemente false. -
sulla destinazione dei timer acquistati nel settembre 1969 è sufficiente
richiamare le sentenze dei giudici di Catanzaro e Bari che hanno accertato
la falsità dell’alibi prospettato da Freda e da questi ribadito dinanzi
a questa Corte. -
anche sulle risposte fornite da Freda sulla deposizione di Fabris, oltre a
richiamare il giudizio dei giudici di Catanzaro e Bari, va rilevato che le
affermazioni del teste sono inattendibili e smentite dalla moglie di
Fabris. Quest’ultimo è stato nel procedimento di Catanzaro uno dei
principali accusatori di Freda e in questo procedimento ha ulteriormente
precisato e aggravato le sue accuse. Freda, quando era imputato della
strage di piazza Fontana, tentò di smentire Fabris e oggi ha ribadito il
giudizio di totale inaffidabilità del suo accusatore. - sul
rapporto con Giannettini, non è necessario svolgere considerazioni
ulteriori rispetto a quelle già illustrate nelle sentenze di Catanzaro e
Bari, ribadendosi la falsità delle dichiarazioni di Freda. - i
rapporti di Freda con Fachini sono stati uno degli elementi ricorrenti
nelle deposizioni testimoniali assunte in questo dibattimento, per cui la
ricostruzione che il teste ha fornito di quel sodalizio, definendolo solo
amicale e privo di connotazioni politiche, è stato smentito
sistematicamente dai dichiaranti sentiti nel processo. Ma anche quella
parte dell’esame di Freda è significativa del suo atteggiamento ambiguo
e sfuggente, perché non potendo smentire l’oggettività di un rapporto
di collaborazione che si caratterizzò per la condivisione di posizioni
politiche eversive, il teste ha tentato di ridimensionare la vicinanza con
Fachini, limitandola ad una, del tutto inverosimile, solidarietà
personale di quest’ultimo nei suoi confronti per le “persecuzioni”
giudiziarie subite. -
Freda ha subìto la contestazione di dichiarazioni rese il 5.7.1972 al
G.I. di Milano nelle quali aveva indicato la disponibilità da parte di
Ventura di un casolare situato nella provincia di Treviso. Su questo
argomento il teste, che più volte ha addotto il lungo tempo trascorso da
quei fatti per giustificare i propri difetti di memoria, ha
improvvisamente ricordato con precisione una circostanza che all’epoca
non aveva riferito e che è in contrasto con la le dichiarazioni del 1972.
Il casolare di cui Ventura disponeva non era situato nella provincia di
Treviso (come all’epoca affermato), ma in quella di Padova e
precisamente nella località di Vigonza. Freda ha evidentemente inteso
“strafare”, smentendo una circostanza molto rilevante in questo
processo e che nel 1972 era meno significativa. L’affermazione
dibattimentale è evidentemente falsa, perché illogica nel riferire a
distanza di quasi trent’anni in modo difforme una circostanza
all’epoca affermata con certezza, smentita dai testimoni che hanno
riferito sul punto[9], strumentale alla difesa
degli attuali imputati che, nella prospettiva accusatoria, furono i
concorrenti di Freda nella strage. In
conclusione, la deposizione di Freda è sotto tutti i profili di
valutazione, totalmente falsa, perché interessata, generica su temi
compromettenti, specifica solo quando ha smentito fonti di prova a carico
degli imputati, illogica, contraddittoria, smentita dalla totalità delle
altre acquisizioni probatorie, per cui nella ricostruzione dei fatti che
si svolgerà nei capitoli centrali della sentenza, sulla parola di Freda
non potrà farsi alcun affidamento. Di
minore rilevanza è la deposizione di Guido Giannettini, le cui
dichiarazioni hanno riguardato argomenti già trattati durante il processo
di Catanzaro e in quella sede valutati. Il
teste, per buona parte della deposizione, ha ricostruito i suoi rapporti
con i servizi di sicurezza italiani e il rapporto di informazione attivato
con Freda e Ventura, ribadendo la versione difensiva sostenuta nel
processo di Catanzaro. Su
questa parte della testimonianza va rilevato che nella sentenza della
Corte d’assise di Catanzaro, le dichiarazioni di Giannettini furono
evidentemente ritenute inattendibili, tanto che questi fu condannato
all’ergastolo per la strage di piazza Fontana[10].
Ma anche il giudice dell’appello, pur accertando la mancanza di una prova
seria … sia sul ruolo attribuito dai primi giudici al Giannettini,
di tramite tra la cellula veneta ed i vertici politici e militari,
sia in ordine alla pretesa opera di provocazione che sarebbe stata da lui
svolta nell’ambito dell’attività sovversiva di quel gruppo, gli
argomenti finali ora esposti non possono fornire da soli la certezza di
una sua appartenenza a quella associazione, rilevò l’esistenza di
ambiguità di comportamento che non rendevano la sua posizione lineare[11].
Nella trattazione degli episodi riferiti dall’allora imputato, anche la
Corte d’assise d’appello accertò l’inattendibilità delle
affermazione compiute da Giannettini nei suoi interrogatori. Nel
corso dell’esame dibattimentale Giannettini ha subìto alcune
contestazioni logiche da parte del P.M. e della difesa di parte civile,
rispetto alle quali ha ribadito la propria ricostruzione di quei rapporti: - in
merito al contenuto delle informazioni acquisite da Freda, il teste ha
negato la contestata stranezza di quel rapporto, caratterizzato dai suoi
viaggi a Padova da Roma per acquisire informazioni sui gruppi della
sinistra extraparlamentare da un militante della destra[12]. -
sulle notizie che Giannettini trasmise al SID durante la permanenza a
Parigi, il P.M. ha contestato che era illogico che il servizio si
“accontentasse” di informazioni tratte da riviste a disposizione del
pubblico, ma il teste ha semplicemente risposto che questa fu l’unica
attività di informazione svolta durante quel periodo[13]. -
sulla contestazione del P.M. in merito all’inusualità di un rapporto
diretto di un collaboratore esterno con il direttore del SID, generale
Maletti, Giannettini ha risposto che la sua collaborazione con i servizi
fu tenuta segreta per 17 anni per cui evidentemente si trattava di un
rapporto importante[14]. Su
altri argomenti, Giannettini ha sostanzialmente smentito quei dichiaranti
che lo hanno indicato come direttamente coinvolto nella strategia eversiva
di quegli anni e in particolare nella vicenda di piazza Fontana. Sulla
sua permanenza in carcere, Giannettini, pur ammettendo la comune
detenzione con quei militanti della destra che hanno riferito confidenze
dallo stesso apprese[15],
ha negato la veridicità delle dichiarazioni di Bonazzi sui discorsi avuti
in carcere con Azzi in merito al coinvolgimento di Zorzi, Rognoni e del
gruppo milanese, e di Delle Chiaie[16].
Il rapporto tra le dichiarazioni di Giannettini e quelle di Bonazzi
(evidentemente sul punto contrastanti) sarà affrontato in altra parte
della motivazione, pur rilevandosi che l’ammissione da parte di
Giannettini delle circostanze riferite da Bonazzi avrebbe comportato la
necessità per il teste di fornire spiegazioni su un suo ruolo nella
vicenda diverso da quello ripetutamente prospettato. Vi è
da aggiungere che Giannettini ha ammesso la piena consapevolezza da parte
di tutti i detenuti di destra della sua appartenenza al SID, soggiungendo
che, nonostante ciò, era trattato con cordialità, perché al suo arrivo
a San Vittore costoro avevano chiesto a Freda quale atteggiamento
avrebbero dovuto tenere con lui e Freda li invitò a trattarlo
amichevolmente, tanto che, terminato l’isolamento, il teste fu assegnato
alla sezione dei detenuti di destra[17]. In
ordine ai suoi rapporti con Fachini, le indicazioni rese da Giannettini
sono state in parte confermative di quanto già ammesso nel processo di
Catanzaro, in parte più specifiche, anche se non può ignorarsi che il
teste ha su questo argomento subìto numerose contestazioni, dimostrando
un difetto nel ricordo inusuale e, quindi, sospetto. Giannettini ha
dichiarato di aver incontrato Massimiliano Fachini una prima volta quando
questi andò a casa sua e gli
disse che un certo capitano La Bruna aveva avvicinato il loro gruppo a
Padova. Fachini, sapendo che Giannettini era amico di Freda, gli chiese
come avrebbe dovuto considerare La Bruna e il teste rispose che
quell’ufficiale dei servizi sicuramente non era un loro nemico[18].
Giannettini ha sostanzialmente prospettato l’eventualità che Ventura e
Freda, e quindi Fachini, sospettassero dei suoi rapporti con il SID, per
cui, conoscendolo come amico di Freda, Fachini avesse pensato che
conoscesse il capitano La Bruna[19].
Giannettini
rivide Fachini nel 1972 in occasione dell’espatrio di Pozzan in Spagna,
perché questi fu accompagnato a Roma proprio da Fachini[20].
Da quell’incontro, Giannettini dedusse che La Bruna e Fachini avevano
avuto rapporti, anche se non seppe mai di che tipo[21].
Con riferimento a questa affermazione, Giannettini ha subìto una
significativa contestazione dal P.M., il quale ha fatto presente che il
15.5.1997 (a conferma di dichiarazioni del 17.8.1974) aveva dichiarato che
La Bruna nel 1972-1973 gli aveva detto di voler entrare in contatto con il
gruppo veneto (o forse proprio con Fachini) perché non voleva che
facessero fesserie. Giannettini ha ribadito di non ricordare la
circostanza, pur confermandola[22].
Ancora il P.M. ha contestato le dichiarazioni del 3.7.1975, nelle quali
Giannettini aveva parlato dell’operazione di controllo dei gruppi di
estrema destra del Triveneto da parte del generale Maletti, definita
“operazione Fachini” e consistente nell’attività di convincimento
svolta da Giannettini nei confronti di Fachini perché accettasse il
dialogo con il generale Maletti. Il teste ha dichiarato di non ricordare
quei fatti e si è limitato a confermare quelle dichiarazioni, senza
aggiunge alcunché sul significato di quell’operazione, se non
l’interessamento del SID verso questo gruppo (confermato dalla consegna
del passaporto a Pozzan)[23]. Uno
degli argomenti nuovi nella deposizione di Giannettini ha riguardato la
sua conoscenza di Delfo Zorzi, su cui le parti si sono soffermate a lungo
nel corso dell’esame testimoniale. Giannettini ha esordito escludendo di
aver conosciuto Zorzi, ma, immediatamente dopo tale affermazione, ha
descritto un incontro avvenuto a Roma tra il 1968 e il 1970 nel corso del
quale insieme a Freda vide un giovane successivamente individuato in Delfo
Zorzi[24].
Su specifica domanda del P.M., Giannettini ha collocato l’episodio
o poco prima o poco dopo la strage di piazza Fontana, ma ha subìto
la contestazione delle dichiarazioni rese il 17.3.1995, quando collocò
l’incontro tra il 1968 e il 1969, comunque molto tempo prima della
strage[25]. Su ulteriori
contestazioni del P.M., Giannettini ha confermato quanto riferito in
indagini preliminari, che cioè parlò di quel giovane durante la comune
detenzione con Freda e Pozzan, ai quali chiese chi fosse la persona
incontrata a Roma e uno dei due, probabilmente Pozzan, indicò il
veneziano Zorzi[26]. Durante
il controesame della difesa di parte civile, Giannettini ha negato di aver
fatto il nome di Zorzi solo recentemente per il timore di subire
ritorsioni da parte dello stesso, ma ha spiegato che quel nome lo fece
allora solo perché fu la prima volta che gli fu chiesto[27] e che comunque non
riconobbe la fotografia di Zorzi mostratagli dal G.I. di Milano. La
difesa Zorzi ha rivolto sul punto alcune domande al teste, dirette a
precisare l’epoca dell’incontro descritto. Giannettini ha riferito di
aver avuto un solo incontro a Roma con Freda[28]
e alla contestazione della difesa Zorzi di un memoriale prodotto al G.I.
di Catanzaro il 3.7.1975 nel quale aveva ricostruito tutti gli incontri
con Freda collocando l’incontro di Roma nel 1970, Giannettini ha
confermato che in quel documento aveva fornito indicazioni più precise,
per cui la conoscenza di quel giovane identificato in Zorzi doveva essere
collocata nel 1970 (cioè l’ultimo incontro avuto con Freda)[29]. Abbastanza
interessante è la parte di dichiarazioni di Giannettini dedicata al
progetto di depistaggio che il SID avrebbe inteso attuare con i timer
utilizzati per la strage di piazza Fontana. Giannettini,
esaminato sul punto, ha affermato di aver appreso dai giornali del
progetto di utilizzò di timer dello stesso tipo di quelli utilizzati per
la strage [30],
ma ha subìto la contestazione da parte del P.M. delle dichiarazioni del
17.3.1995 quando dichiarò che nel settembre 1972, durante un incontro
alla stazione Termini, La Bruna gli accennò al progetto di collocare dei
timer in una villa di Feltrinelli sita sul lago di Garda nella zona di Salò.
Giannettini ha dichiarato di non ricordare quell’episodio, che però
egli stesso aveva confermato il 15.5.1997, quando ribadì che La Bruna gli
aveva parlato di quel progetto[31]. Anche
se Giannettini non chiese spiegazioni a La Bruna sui motivi di quel
depistaggio, il capitano fece un accenno alle indagini su piazza Fontana,
affermando che la “pista nera” era di origine politica e che non
c’era molto di sostanzioso, per cui i servizi ritenevano necessario
“correggere il tiro” delle indagini. Poiché all’epoca Feltrinelli o
era latitante o era già morto presso il traliccio di Segrate,
rappresentava un buon soggetto da utilizzare in questo tipo di operazione[32].
A fronte di queste affermazioni, il P.M. ha domandato al teste quale fosse
l’interesse di un apparato istituzionale come il SID a formare una prova
a favore di Freda e Giannettini ha risposto che gli apparati militari
erano all’epoca orientati politicamente a destra, quindi
quell’operazione era giustificata dal contesto[33]
e all’ulteriore domanda su quale interesse potesse avere il SID a
realizzare un’operazione all’evidenza illegale per favorire un
personaggio che apparteneva alla destra estrema,
Giannettini ha rilevato come all’epoca non vi fosse contrasto tra
la destra legale e la destra extraparlamentare, che erano aree politiche
operanti con una comunità di intenti, per cui il SID riteneva che
coinvolgere la destra nell’attentato di piazza Fontana significasse
spostare l’asse politico da destra a sinistra[34].
Infine,
Giannettini ha precisato che di quel progetto gli parlò La Bruna prima
che lui fosse coinvolto nelle indagini su piazza Fontana e, quindi, prima
della detenzione, escludendo di averne a sua volta parlato con altri
detenuti nel corso della sua carcerazione[35]. L’ultimo
argomento di specifico interesse riferiti dal teste ha riguardato il
progetto di evasione di Giovanni Ventura, descritto da Mariangela Ventura.
Giannettini ha escluso qualsiasi coinvolgimento suo e per il suo tramite
del SID nel progetto di evasione di Ventura[36],
rilevando che era ben diverso l’interessamento all’espatrio di Pozzan
rispetto all’evasione dal carcere di Ventura[37]. Giannettini
non ha negato che in quegli anni ebbe diversi incontri con Mariangela
Ventura, attivati a seguito dell’arresto del fratello e nel corso dei
quali la donna gli parlò dei rapporti riservati custoditi nella cassetta
di sicurezza di Montebelluna, e proseguiti anche successivamente al
rinvenimento di quella documentazione più per interesse della Ventura che
suo[38]. Non è
agevole formulare un giudizio complessivo di attendibilità della
deposizione di Giannettini. Mentre le dichiarazioni di Freda sono apparse
alla Corte evidentemente false e reticenti, Giannettini è stato molto
attento a non rivelare alcuna circostanza che potesse coinvolgere se
stesso o il servizio di sicurezza per il quale collaborava all’epoca
nelle vicende stragiste di quegli anni, anche se non ha potuto non
confermare alcune circostanze indubbiamente compromettenti. Di
sicuro, il teste avrebbe preferito non sottoporsi all’esame, atteso che,
come già ricordato, ha prospettato la sua qualità di imputato di reato
connesso rivendicando il diritto di non rispondere. Questa circostanza
rende evidente un atteggiamento tendenzialmente reticente, confermato nel
corso dell’esame quando si è trattato di fornire chiarimenti su alcuni
episodi. D’altronde,
è evidente l’interesse del teste a tacere dei suoi rapporti con il SID
e con Freda, Ventura e Pozzan, atteso che proprio in relazione agli stessi
è stato coinvolto (e condannato in primo grado) nella vicenda della
strage di piazza Fontana. Anche se quella pronuncia assolutoria è
divenuta definitiva, non può ignorarsi l’interesse a ribadire la sua
estraneità su quei fatti. Ma è
nella valutazione del contenuto delle dichiarazioni di Giannettini che è
emersa l’illogicità di alcune sue affermazioni. Così,
con riferimento alla ricostruzione dei suoi rapporti con il SID e con
Freda, la versione del teste è apparsa anche a questa Corte del tutto
illogica ed inattendibile, non avendo Giannettini fornito spiegazioni
ragionevoli alle contestazioni “logiche” formulate dal P.M. e dalla
difesa di parte civile. Sul
periodo della sua detenzione, Giannettini non ha potuto negare il rapporto
con Azzi e Bonazzi, ma ha necessariamente smentito quest’ultimo con
riferimento alle confidenze che avrebbe appreso da Azzi, perché
confermare quella circostanza avrebbe significato dover fornire
spiegazioni sul ruolo assunto nella strategia eversiva di quegli anni dai
servizi di sicurezza. Eppure il teste non ha fornito una logica
spiegazione dell’atteggiamento che i detenuti di destra ebbero nei suoi
confronti: tutti sapevano che Giannettini era uomo dei servizi, la destra
riteneva i servizi implicati nelle stragi del 1969 che avevano
pregiudicato l’immagine politica di quell’area, eppure bastò la
parola di Freda perché Giannettini fosse trattato come un vero e proprio
militante di quell’area politica. Sui
rapporti con Fachini, le ammissioni di Giannettini (determinate dalla
contestazione di quanto dichiarato in indagini preliminari) sono state
ancor più significative, atteso che il teste non ha potuto negare i
rapporti del SID con il gruppo di Padova facente capo a Fachini, rapporto
di cui lui stesso fu l’artefice. Orbene, a fronte di un ruolo decisivo
nell’attivare il contatto tra La Bruna e Fachini, Giannettini ha negato
di essere a conoscenza del contenuto di quei rapporti, essendo
“costretto” ad ammettere quanto aveva dichiarato nel procedimento di
Catanzaro sull’interesse di Maletti e La Bruna nei confronti della
destra padovana. La
conoscenza di Zorzi rappresenta l’unica circostanza nuova riferita da
Giannettini in questo procedimento e su questo tema non è necessario
svolgere specifiche considerazioni atteso che sicuramente Giannettini,
mentre si trovava con Freda a Roma, incontrò un giovane successivamente
individuato in Delfo Zorzi. Oltre a questa affermazione non è però
possibile andare, atteso che il teste non ha con certezza indicato
l’epoca di quell’incontro, collocato tra il 1968 e il 1970 e,
soprattutto, non ha fornito alcuna spiegazione logica della ragione per
cui durante la comune detenzione con Freda e Pozzan chiese a costoro chi
fosse quel giovane incontrato a Roma alcuni anni prima. E’ ben strano
che un incontro così fugace ed occasionale sia rimasto nella memoria di
Giannettini al punto da chiedere ai suoi ex sodali informazioni su
quella persona, per cui è fondato il sospetto che l’individuazione in
Zorzi di quel giovane fosse inserita in un discorso più ampio sui fatti
dell’epoca, sospetto privo di rilevanza probatoria, ma che indubbiamente
conferma il giudizio sulla reticenza del teste in ordine ad episodi che
avrebbero potuto comprometterlo nelle vicende eversive di quegli anni. Sugli
episodi del depistaggio progettato dal SID attraverso l’utilizzo di
timer dello stesso tipo di quelli dell’ordigno di piazza Fontana, le
indicazioni fornite da Giannettini sono state introdotte solo a seguito di
contestazione. E’ ancora ben strano l’atteggiamento del teste che,
alla domanda se abbia avuto informazioni su una circostanza così
rilevante come il depistaggio che La Bruna gli aveva illustrato come
ricondotto agli apparati di intelligence italiani, risponda negando
di aver acquisito notizie sul punto, per poi confermare, senza però
ricordarlo, quanto dichiarato in indagini preliminari. La spiegazione
fornita dal teste su questo difetto di memoria è totalmente inverosimile,
per cui il giudizio di reticenza più volte prospettato è stato
confermato anche da questa parte di dichiarazioni. Infine,
la vicenda del progetto di evasione di Ventura fa emergere ulteriori
elementi di inattendibilità della deposizione di Giannettini, atteso che
questi non ha fornito alcuna spiegazione plausibile delle ragioni per cui
Mariangela Ventura avesse intrattenuto con lui un rapporto che proseguì
per alcuni mesi proprio a ridosso della carcerazione di Giovanni Ventura,
né ha logicamente spiegato perché, se il SID si adoperò per far
espatriare Marco Pozzan, non avrebbe avuto interesse a far evadere
Ventura. Ribadendo
la difficoltà di esprimere un compiuto giudizio di attendibilità delle
dichiarazioni di Giannettini, le reticenze, le contraddizioni logiche, la
mancata spiegazione di comportamenti tenuti, il contrasto con indicazioni
fornite da altri testimoni delineano un quadro generale di inaffidabilità
della sua deposizione in quelle parti che potrebbero prospettare un suo
coinvolgimento nelle vicende eversive di quegli anni. Non v’è dubbio
che il teste abbia fornito indicazioni rilevanti nel quadro complessivo di
questo processo, o perché indotto dal suo stato di detenzione e
dall’essere accusato della strage di piazza Fontana (come avvenne tra il
1974 e il 1978), o perché costretto dall’evidenza di alcune circostanze
(come nella vicenda dell’espatrio di Pozzan), o perché non considerò
la rilevanza di alcune dichiarazioni che stava rendendo. Ma queste
circostanze sono state inserite in un atteggiamento di tendenziale
reticenza, caratterizzato dall’assenza di spiegazioni logiche o
precisazioni sul loro significato. Marco Pozzan
ha tenuto nel corso di tutto l’esame dibattimentale un atteggiamento che
dimostra in modo inequivoco la sua intenzione di non fornire alcun
contributo all’autorità giudiziaria, e per questo deve essere ritenuto
un teste totalmente reticente. Si è
già ricordato che Pozzan (come Freda e Giannettini) ha tentato di
sottrarsi all’esame dibattimentale rivendicando la qualità di imputato
di reato connesso; costretto a testimoniare, ha continuamente ribadito
questo atteggiamento, subendo numerosissime contestazioni da parte del
P.M. su argomenti certamente di limitata rilevanza nel processo, ma
comunque significativi della sua reticenza. L’elencazione
dei temi su cui Pozzan è stato esaminato e delle risposte fornite al P.M.
(l’esame delle difese degli imputati è stato limitato a poche domande
contenute in appena due pagine di trascrizione[39])
dimostrano con incontestabile chiarezza l’atteggiamento reticente del
teste al punto da rendere superflua qualsiasi considerazione ulteriore
sulla valutazione dei parametri di attendibilità utilizzati in questo
capitolo. Così,
sulla conoscenza dei militanti della destra durante la sua permanenza in
Spagna e in particolare durante la detenzione, Pozzan ha dapprima
minimizzato i suoi rapporti con l’ambiente politico dei latitanti
italiani in quel paese[40]
e, a seguito di contestazione delle dichiarazioni rese nel 1982, ha
ammesso poche conoscenze, negando quella con Giancarlo Rognoni. Questa
circostanza è significativa dell’atteggiamento del teste, il quale
aveva ammesso in un interrogatorio del 1982 di aver conosciuto Rognoni,
mentre al dibattimento ha affermato di non ricordare quella persona,
dichiarando addirittura di essere propenso ad escludere di aver effettuato
quel riconoscimento, così costringendo il P.M. alla contestazione
dell’interrogatorio del 13.5.1982, nel quale aveva esplicitamente
indicato Rognoni come uno dei militanti della destra conosciuti in Spagna
[41]. Questo esordio dell’esame di Pozzan è
apparso alla Corte il segnale dell’atteggiamento reticente del teste, il
quale, dichiarando di non coltivare i ricordi spiacevoli, ha su molteplici
punti ribadito che di quanto dichiarato in anni passati aveva perso la
memoria[42]. Tale
atteggiamento è stato ribadito nella ricostruzione dei suoi rapporti con
Stefano Delle Chiaie, che Pozzan aveva indicato come colui che avrebbe
determinato l’arresto dei militanti della destra latitanti in Spagna[43].
In dibattimento il teste ha sostanzialmente smentito quell’affermazione,
adducendo innanzitutto di non ricordare quelle dichiarazioni, precisando
che le accuse a Delle Chiaie erano state rese quando era incollerito nei
suoi confronti e, infine, ammettendo di aver appreso la circostanza dai
funzionari spagnoli, ma precisando che costoro avrebbero anche potuto
dirgli il falso[44]. Pozzan
ha subìto un’altra contestazione con riferimento ai rapporti tra Freda
e Cristiano De Eccher, manifestando ancora una volta la sua volontà di
non ammettere alcuna circostanza compromettente per sé o per altri. Nel
1982, il teste aveva descritto quei rapporti richiamando il brano di una
lettera da cui aveva desunto che De Eccher era un emissario di Delle
Chiaie incaricato di controllare le attività di Freda[45],
ma prima di quella contestazione Pozzan aveva sostanzialmente negato le
circostanze oggetto delle domande, affermando di non sapere assolutamente
nulla dei rapporti di Freda con De Eccher, ammettendo poi di aver
visto un brano non integrale della lettera di cui aveva parlato in
indagine e ammettendo quelle circostanze solo a seguito della lettura
dell’interrogatorio del 13.5.1982[46]. Ma anche dopo aver
confermato quelle dichiarazioni, il teste ha tentato di modificare il
senso delle affermazioni compiute all’epoca, precisando che fu Salvatore
Francia a riferirgli quella vicenda e subendo ancora la contestazione del
P.M. sul punto, in quanto nel 1982 aveva dichiarato che era stato lui a
parlare di quel rapporto a Francia e non viceversa[47].
Solo a quel punto, Pozzan è stato costretto ad ammettere che fu
un’altra persona a riferirgli quelle circostanze, senza peraltro
indicarne il nome[48]. Ancora,
sulla disponibilità da parte di Freda dei timer acquistati nel settembre
1969, Pozzan ha ribadito l’atteggiamento reticente, affermando di avere
sul punto pochi ricordi confusi e subendo l’ennesima contestazione del
P.M.[49]. Con
riferimento ai rapporti suoi e di altri esponenti della destra con i
servizi di sicurezza, Pozzan ha reso dichiarazioni reticenti e del tutto
inverosimili, ribadendo in particolare la versione sostenuta nel processo
di Catanzaro sul suo espatrio in Spagna, e negando di essere stato
accompagnato a Roma da Fachini. Le dichiarazioni di Pozzan su
quell’episodio confermano la sua assoluta inattendibilità, perché
oltre che illogiche nel minimizzare i suoi rapporti con gli agenti del
SID, sono state confutate proprio da La Bruna e Giannettini[50]. [1]
Freda, p. 122-125. [2]
Si tratta dell’interrogatorio del 5.7.1972. [3]
Così Freda, p. 129: “P.C.
AVV. SINICATO - Le rivolgo alcune domande che riguardano aspetti
specifici. Lei conosceva l'esistenza di un deposito che Lei in un
interrogatorio ha chiamato depandance, campagnola di Ventura vicino a
Treviso? T.
- Non comprendo. Depandance di Treviso che faceva.. P.C.
AVV. SINICATO - Lei ha parlato nel corso di uno dei suoi interrogatori
della conoscenza da parte sua dell'esistenza di una cascina, di una
località? T.
- Mi scusi se la interrompo, mi può precisare l'interrogatorio, la
data e leggere anche le dichiarazioni e rammostrarmi perché non
ricordo. Interrogatorio avvenuto? P.
- La domanda non è sull'interrogatorio Avvocato Sinicato e lo dico
anche al testimone quindi riformuliamo la domanda. P.C.
AVV. SINICATO - Io chiedo se conosceva, conosce o ricorda diciamo... P.
- Facciamola così. P.C.
AVV. SINICATO - Che Ventura avesse una casa, una cascina, un qualche
edificio nella sua disponibilità nella zona della campagna intorno a
Treviso? T.
- No, nella campagna intorno a Padova a Vigonza aveva dei terreni e
possedeva anche una casa, ricordo a Vigonza.” [4]
Così Freda, p. 131: “P.C.
AVV. SINICATO - Lei ha parlato di questo Roveroni nel corso di un
interrogatorio reso il 5 di luglio del '72 al Giudice D'Ambrosio? T.
- Sì. P.C.
AVV. SINICATO - Mi interessa relativamente il contenuto
dell'interrogatorio, ma nel corso di quell'interrogatorio Lei
identificò il Roveroni come la persona indicata come R in una delle
telefonate intercettate in cui si parlava di questo R e lo identificò
come Roveroni e spiego che Roveroni era in rapporti con il Commissario
Iuliano e che Iuliano a
Roveroni aveva fatto delle confidenze, confidenze che Roveroni aveva
poi portato a Lei" T.
- Se io lo affermai nel 1972 ad una distanza ravvicinata con questo
episodio è probabile. P.C.
AVV. SINICATO - Le leggo il passo che mi interessa di quelle
confidenze che Roveroni fece a Lei e che Lei riporta
nell'interrogatorio: "Ricordo fra l'altro che Roveroni mi riferì
che Iuliano gli aveva detto di essere un agente del SID e che
dell'operazione si occupava il SID - questo come partenza del discorso
- nel corso di questi colloqui... T.
- Dell'operazione quale operazione, a quale mi riferisco in questo
interrogatorio? Il ritrovamento di armi a casa di qualcuno forse nel
1969? P.C.
AVV. SINICATO - Sì. Nel corso di questo colloquio tra Iuliano e
Roveroni che Roveroni le
ha riferito dice: "Iuliano infatti aveva detto a Roveroni che il
gruppo eversivo facente capo a me e a Ventura aveva una base logistica
in una cascina nei pressi di Treviso",
dichiarazioni di Iuliano a Roveroni e di Roveroni a Lei. Poi
però c'è una parentesi e Lei dice: "Il Ventura aveva in effetti
una specie di depandance in campagna". Allora le chiedo? T.
- A Vigonza credo. P.C.
AVV. SINICATO - Lei oggi ha precisato che oggi quello che le risulta o
ricorda e che avesse... in realtà Roveroni parlava di una località
di una cascina nei pressi di Treviso, Lei allora il suo commento lo
faceva con riferimento a una cascina nei pressi di Treviso non nei
pressi di Padova? T.
- Io non sono in grado di ricordare a 25 anni di distanza, 27 il
riferimento, l'ubicazione cui facessi riferimento allora, sono
deduzioni dagli atti processuali che ora non ricordo nella loro
organica completezza, non comprendo la domanda Avvocato. P.C.
AVV. SINICATO - La domanda è di sapere da Lei se tra i suoi ricordi
vi sia o meno una cascina nella zona di Treviso nella disponibilità
di Ventura? T.
- Io ricordo una cascina di famiglia di proprietà della famiglia di
Ventura a Vigonza in provincia di Padova.” [5]
Si rimanda al capitolo 8 per la descrizione del gruppo padovano
capeggiato da Freda. [6]
Indicazioni che riguardano il 1969 e l’inizio del 1970 e non, come
sostenuto da Freda, il 1971. [7]
L’indicazione riguarda il nome di Zorzi, conosciuto evidentemente in
forma amicale. [8]
Anche queste indicazioni saranno illustrate nel capitolo 8. [9]
Si tratta di Iuculano e Tommasoni, di cui si tratterà nel capitolo
11. [10]
Non è necessario rievocare tutte le parti delle dichiarazioni di
Giannettini che quella Corte ritenne inattendibili, apparendo
sufficiente richiamare le pp. 611-662. [11]
Corte d’assise d’appello di Catanzaro 20.3.1981, p. 620-621. [12]
Giannettini, p. 10, ha risposto alla contestazione del P.M. che lui
aveva conosciuto Freda e acquisì da lui le informazioni di cui
disponeva. [13]
Giannettini, p. 23-24. [14]
Giannettini, p. 80-81. [15]
Giannettini, p. 43 ha dichiarato che durante la detenzione conobbe
vari esponenti di estrema destra: a Milano, Cesare Ferri, Fabrizio
Zani e qualcun altro, a Roma alcune persone di AN, tra cui tale
Marchese Genovese Zerbi, Adriano Tilgher; quindi, Freda, Nico Azzi (a
San Vittore, a Rebibbia, e a Nuoro), Tuti (a Nuoro) e Bonazzi (a San
Vittore e poi a Nuoro). [16]
Nel corso dell’esame il P.M. ha svolto a Giannettini molteplici
contestazioni sulle affermazioni di Bonazzi, delle quali il teste ha
categoricamente escluso la veridicità: -
Giannettini ha ammesso di avere discusso in carcere con Azzi e Bonazzi
degli attentati del 1969, ma solo delle notizie che si leggevano sui
giornali, mente non parlò delle sue conoscenze in merito
all’atteggiamento del SID rispetto alle indagini sulla strage (p.
68); -
ha soggiunto di non sapere quale fosse la posizione di Azzi sulla sua
appartenenza ai servizi, né sa se Azzi abbia in qualche modo
collaborato con i servizi (p. 69); -
il P.M. gli ha contestato che Bonazzi ha dichiarato al dibattimento
che durante la permanenza nel carcere di Nuoro parlò con Azzi e
Giannettini dei legami tra i servizi e la strage di piazza Fontana e
che quest’ultimo non disse esplicitamente che Azzi era stato un
collaboratore dei servizi, ma tra loro c’era una profonda amicizia,
dalla quale Bonazzi dedusse tale circostanza; a Bonazzi fu contestata
la circostanza resa in indagini circa la conferma espressa che
Giannettini fece sull’appartenenza di Azzi ai servizi; Bonazzi ha
confermato il fatto, facendo però riferimento ai discorsi che
facevano Azzi e Giannettini, dai quali era esplicito questo rapporto
di appartenenza ai servizi di entrambi (p. 70); -
Giannettini ha escluso che ci siano potuti essere tali discorsi (p.
70); -
Giannettini ha altresì negato che vi siano stati discorsi con Azzi e
alla presenza di Bonazzi nei quali dissero che Delfo Zorzi era
coinvolto nella strage; ha rilevato che le dichiarazioni di Bonazzi su
questo punto sono molto fumose e comunque non sono vere (p. 71); -
il P.M. ha contestato ulteriormente che Bonazzi ha espressamente
riferito di un colloquio nel cortile del carcere di Nuoro con
Giannettini e Azzi, nel quale, parlando della strage di piazza
Fontana, uno dei due indicò la responsabilità del gruppo veneto e
parlò di Zorzi (p. 72); -
Giannettini ha negato che a Nuoro parlarono mai di queste cose (p.
72); -
Giannettini non conobbe mai Rognoni, ma ne sentì parlare durante la
carcerazione (p. 72-73); -
il P.M. contesta che Bonazzi, sempre a proposito di quel colloquio,
riferì un’affermazione di Azzi circa il coinvolgimento di Rognoni
nella strage, ma che vi fosse un rapporto logistico con il gruppo
“La Fenice” fu confermato anche da Giannettini (p. 73); -
Giannettini ha negato categoricamente la circostanza, affermando che
Bonazzi si è inventato tutto (p. 73); -
il P.M. ha contestato ancora che Bonazzi ha esplicitamente ribadito
che Giannettini lasciò intendere che vi era stato un appoggio del
gruppo di Milano (p. 73); - Giannettini ha negato la circostanza e ha affermato di non sapere perché Bonazzi abbia reso quelle affermazioni (p. 74). Con riferimento al coinvolgimento di Delle Chiaie, il teste ha ribadito che le dichiarazioni di Bonazzi, anch’esse contestategli, erano false: -
nel processo di Catanzaro si parlò del coinvolgimento di Delle Chiaie
negli attentati del 1969 e probabilmente se ne parlò anche prima nei
giornali, ma al di fuori dei giornali Giannettini non apprese notizie
sul punto; nemmeno di una “partecipazione ideologica” a quegli
avvenimenti (p. 76); -
il P.M. ha contestato a Giannettini le dichiarazioni rese da Bonazzi
circa quanto il teste avrebbe dichiarato sulle responsabilità di
Delle Chiaie: Giannettini ad un certo punto della latitanza si consegnò
per timore di finire nelle mani di Delle Chiaie, perché
quest’ultimo riteneva Giannettini e il gruppo veneto responsabili
del fallimento del golpe del 1969; secondo Delle Chiaie gli attentati
del 1969 ebbero un effetto contrario a quello desiderato;
nell’ottica di delle Chiaie gli attentati del 1969 dovevano
determinare una situazione di caos che giustificasse l’intervento
delle forze armate; questo progetto era comune a tutti coloro che
agirono in quella vicenda, anche di Giannettini; ma gli effetti della
strage di piazza Fontana determinarono il fallimento
dell’operazione, Delle Chiaie ritenne che fosse stato un evento
voluto, mentre Giannettini riteneva che la strage non fosse voluta;
Bonazzi precisò che fu Giannettini ad indicare Delle Chiaie come
coinvolto in quel progetto generale di creazione di uno stato di
tensione nel Paese che giustificasse l’intervento dell’esercito
(pp. 77-79); -
Giannettini ha fatto presente che quando si consegnò all’Italia si
trovava in Argentina e non in Spagna e che non sapeva niente della
presenza di Delle Chiaie, né della possibilità di cadere nelle sue
mani (p. 79); - comunque ha negato di aver parlato con Bonazzi di quei fatti (p. 80). [17]
Giannettini, p. 45 ha precisato che apprese questa circostanza perché
un giorno ricevette in cella la visita alcuni esponenti di destra che
gli riferirono di aver parlato con Freda, il quale aveva detto di
comportarsi amichevolmente con lui. Da questa indicazione, Giannettini
dedusse che Freda aveva ascendente sui detenuti di destra, era
considerato un punto di riferimento, una persona autorevole; la
considerazione di Freda sicuramente lo avvantaggiò nell’inserimento
nell’ambiente carcerario. [18]
Giannettini, p. 47, il quale ha ricordato che all’epoca conosceva
Fachini per aver letto dai giornali che questi era un esponente del
gruppo Freda, anche se lui non era a conoscenza dei rapporti
intercorrenti tra i due (p. 48). [19]
Giannettini ha così ricostruito le ragioni della visita di Fachini,
p. 48-49: “T.
- No, lui sapeva che io ero a contatto con Freda, che lavoravo insieme
a Freda e quindi aveva fiducia in me. Probabilmente a quell'epoca non
so se Ventura abbia detto qualcosa, abbia espresso può darsi dei
sospetti che io in realtà essendo a contatto con lo Stato Maggiore e
con la rivista militare potessi anche avere un contatto con il SID,
non lo so, comunque evidentemente Fachini fece questo ragionamento,
probabilmente non conosceva nessuno a Roma, il Capitano La Bruna
veniva da Roma, io frequentando gli ambienti militari forse avrei
potuto sapere qualcosa su La Bruna, e d'altra parte essendo io
conosciuto da loro come amico di Freda ero degno di fiducia per loro,
ecco le ragioni per cui fece questo tentativo. P.M.
DOTT. MERONI - E La
Bruna che cosa voleva da loro cosa voleva da Fachini? T. - Non lo so.” [20]
Giannettini, p. 50, ha definito la sua funzione, quella di garante del
SID nei confronti di Pozzan e Fachini. [21]
Giannettini, p. 53. [22]
Giannettini, p. 54. [23]
Giannettini, p. 55. [24]
Giannettini, p. 57, ha così descritto quell’incontro: “P.M.
DOTT. MERONI -
Senta Lei ha mai visto Delfo Zorzi? T.
- Chi? P.M.
DOTT. MERONI - Delfo Zorzi? T.
- No. P.M.
DOTT. MERONI - E`
sicuro di questo? T.
- Guardi una volta che Freda venne a Roma ci incontrammo brevemente e
poi aveva un appuntamento lo accompagnai a questo appuntamento e vidi
venire un giovane mi pare che fosse alto che salutò Freda, Freda
disse semplicemente un amico e io li salutai e me ne andai quindi
questione di pochi secondi. Successivamente quando fui detenuto
insieme a Pozzan cercai di capire chi era questa persona e Pozzan
disse ma potrebbe essere Delfo Zorzi, che io non avevo conosciuto e di
cui non conoscevo neppure il nome, solo che appunto Pozzan mi fece
questo nome, dice probabilmente... quindi se questa ipotesi di Pozzan
è fondata io lo incontrai per pochi secondi e su questa ipotesi il
Dottor Salvini mi mostrò una fotografia di Delfo Zorzi che io però
non riconobbi perché non ricordavo assolutamente, quindi è
un'ipotesi che quella persona fosse Delfo Zorzi, non so dire altro.” [25]
Giannettini, p. 58, il quale nel 1995 aveva indicato quel giovane come
appartenente ad ON e ha confermato al dibattimento quell’indicazione
nonché la collocazione precedente alla strage. [26]
Giannettini, p. 58-59: “P.M.
DOTT. MERONI - ... io ebbi un incontro a Roma con Franco Freda" e
ha descritto questo episodio di cui ci ha parlato adesso. Poi sempre
in questo interrogatorio disse: "Qualche anno dopo nel corso
delle vicende processuali che mi videro imputato insieme a Freda e
Pozzan e quindi quando si discuteva dei nostri rapporti uno dei due
non ricordo assolutamente se Freda o Pozzan, essendo caduto il
discorso su quell'unico mio incontro a Roma con Freda mi disse che
quella persona era tale Zorzi cognome tipicamente veneziano". Cioè
lo riferisce come di una
certezza su quello che le è stato riferito da Freda e da Pozzan, non
come potrebbe essere... T.
- Se è stato Freda o Pozzan in presenza di Freda
indubbiamente era lui, io adesso credevo di ricordare che me ne
avesse parlato solo Pozzan e quindi avesse fatto un'ipotesi non avendo
una certezza, ma se ho detto che
c'era anche Freda allora indubbiamente era lui. P.M.
DOTT. MERONI - Ma come
mai il discorso cade su questo incontro che Lei... non capisco il suo
interesse per sapere chi era questa persona che stava con Freda che ha
visto occasionalmente a Roma? T.
- Non mi ricordo più perché si parlò di questo. Forse Freda fece
riferimento a qualcosa che c'eravamo detti in quell'occasione ed
allora mi è venuto in mente di chiedere, non lo so faccio delle
ipotesi.” [27]
Giannettini, p. 89-92 [28]
Giannettini, p. 93-94. [29]
Giannettini, p. 125: “AVV.
PECORELLA - Lei ha steso un memoriale che, vediamo se trovo la data,
è allegato agli atti, nel quale ha ricostruito tutti questi incontri
secondo una certa sequenza sia dei luoghi che dei tempi... AVV.
FRANCHINI - Il memoriale allegato all'interrogatorio 03.07.75 ore
16.00 Giudice Istruttore Catanzaro. AVV.
PECORELLA - Ecco, proprio in relazione a questi incontro Lei ne ha
fatto un'indicazione precisa, io cercherò di ravvivare la memoria se
riesco per esempio nel 1967 Lei ricorda se incontrò Freda e dove lo
incontrò? T.
- Freda a Padova. AVV.
PECORELLA - Non ricorda quante volte? T.
- Non ricordo. AVV.
PECORELLA - Allora le ricordo non come contestazione ma proprio per
ravvivare la memoria Lei diceva in questo memoriale: "Nel 1967 un
paio di volte a Padova con Freda". Nel 1968 Lei incontrò Freda o
Ventura ricorda quante
volte e dove? T.
- Non lo ricordo, ripeto Freda a parte l'ultima volta a Roma sempre a
Padova, Ventura a parte la prima volta che mi fu presentato a Padova
lo vidi a Roma. Poi anno per anno non saprei dire in tutto ripeto li
avrò incontrati dieci, dodici, quindici volte, non lo so. AVV.
PECORELLA - Comunque Lei ribadisce che Freda a Roma lo vide una volta
sola? T.
- Sì. AVV.
PECORELLA - Io le ricordo che nel suo memoriale Lei ha scritto che
ebbe un incontro nel 1970 con Freda e un altro con Ventura a Roma,
quindi colloca in questo memoriale l'incontro con Freda nel 1970? T.
- Sì, con Freda doveva essere più meno quel periodo.” E ancora, pp. 128-129: “AVV.
FRANCHINI - Senta, credo che questa sia poi l'ultima domanda, Lei
quando andò all'Ambasciata Argentina a Buenos Aires ebbe un colloquio
con l'addetto militare dell'ambasciata? T.
- Sì. AVV.
FRANCHINI - Questo colloquio venne registrato? T.
- Sì, su mio invito. AVV.
FRANCHINI - Questo colloquio Presidente per conoscenza della Corte è
agli atti del processo di Catanzaro. Anche in questo colloquio
registrato Lei ricostruisce i sui incontri con Freda nel periodo '67,
'70? T.
- Sì. AVV.
FRANCHINI - Le leggo il passo: "Il mio contatto con Freda è
durato fino al 1970, poi ad un certo punto del '71 si cominciò a
parlare di Freda per gli attentati e Presidenti il contatto finì,
vidi l'ultima volta Freda all'inizio del 1970 in quell'occasione a
Roma e non a Padova". T.
- Sì. AVV.
FRANCHINI - Questo è il secondo atto in cui Lei parla di questo
incontro con Freda che è l'ultimo nel 1970? T.
- Sì. AVV.
FRANCHINI - Stamattina Lei alla domanda del Pubblico Ministero aveva
risposto non so se poco prima o poco dopo la strage di Piazza Fontana? T.
- Sì. AVV.
FRANCHINI - Il Pubblico Ministero le ha letto quello che Lei ha
dichiarato del 1995 al Dottor Salvini Lei ha detto allora era prima.
Adesso che le ho ricordato le sue
dichiarazioni rese all'A.G. di Catanzaro nel 1975 e quindi in
epoca prossima ai fatti e le ho ricordato il contenuto del colloquio
registrato con l'addetto militare presso l'Ambasciata di Buenos Aires
possiamo collocare questo incontro con Freda a Roma nel 1970? T.
- Sì, penso di sì.” [30]
Giannettini, p. 60-61. [31]
Giannettini, p. 62, ha confermato la circostanza. [32]
Giannettini, p. 64. [33]
Giannettini, p. 65. [34]
Giannettini, pp. 66-67. [35]
Giannettini, p. 132. [36]
Giannettini, p. 133-134. [37]
Giannettini, p. 135. [38]
Giannettini, p. 136-139, ha così ricostruito quegli incontri: “P.M.
DOTT. PROIETTO
- Senta, Lei ad un certo punto ha incontrato più da una volta
Mariangela Ventura? T.
- Sì. P.M.
DOTT. PROIETTO -
Ricorda come è accaduta questa cosa? Cioè Giovanni era già
in carcere? T.
- Sì. P.M.
DOTT. PROIETTO - Ricorda
come è accaduta questa cosa? T.
- Ricordo che una volta... io a quell'epoca lavoravo per l'agenzia
"Oltre Mare" venne a trovarmi per la prima volta Mariangela
Ventura che non conoscevo alla sede dell'agenzia e così mi raccontò
che il fratello era stato interrogato, e mi pare che mi accennò ai
documenti di Montebelluna; io francamente non la vedevo volentieri
perché non c'era motivo ormai di avere questo contatto però non
potevo respingerla, cacciarla, quindi
tornò qualche altra volta con la scusa... facendomi sapere,
probabilmente non era una scusa era la verità, facendomi sapere che
cosa stava dicendo il fratello negli interrogatori subiti da parte del
Dottor D'Ambrosio. Evidentemente il fratello aveva già cominciato a
dirigere le indagini nella mia direzione e forse Ventura attraverso la
sorella cercava di prepararmi, non lo so certo è che io in questo
modo... P.M.
DOTT. PROIETTO
- Mariangela Ventura che cosa voleva da Lei? T.
- Niente di particolare. P.M.
DOTT. PROIETTO
- Ho capito? T.
- E` venuta la prima volta dicendomi questo mi pare dei documenti di
Montebelluna che sono stati ritrovati i documenti di Montebelluna
voleva avvertirmi. P.M.
DOTT. PROIETTO
- Di che cosa del
fatto che erano stati trovati i documenti? T.
- Che ad un certo punto prima o poi si poteva arrivare a me. P.M.
DOTT. PROIETTO
- Quindi le è stata prospettata questa cosa? T.
- Sì, ma all'inizio non mi sembrava realistica poi venne fuori, come
ho detto stamattina, un mio nome su un giornale, non ricordo se fosse
L'Espresso o qualcosa del genere, che si faceva il mio nome
relativamente a una riunione che c'era stata a Padova. P.M.
DOTT. PROIETTO
- Senta, queste
cose a quando risalgono questi incontri con... era stato arrestato da
molto Giovanni? T.
- Guardi approssimativamente potrà essere stato il '72. P.M.
DOTT. PROIETTO
- Quindi, Mariangela viene da Lei in sostanza per dirle che
sono stati ritrovati documenti nella cassetta di Montebelluna quindi
siamo dopo il sequestro evidentemente di questi documenti? T.
- Sì. P.M.
DOTT. PROIETTO -
E in sostanza le lascia capire che il fratello potrebbe in
qualche modo coinvolgerla in questa inchiesta, questo è il senso? T.
- Sì, più o meno io ho pensato subito a questo. P.M.
DOTT. PROIETTO
- Certo. Lei ha informato di questa cosa i suoi referenti al
SID? T.
- Io parlai col Generale Maletti il quale mi disse ma no, cioè non
parlai dei documenti di Montebelluna,
contemporaneamente o prima o dopo, nello stesso tempo, uscì
quel cenno sul giornale. P.M.
DOTT. PROIETTO
- La mia domanda era: di fronte al fatto di... T.
- No quello. P.M.
DOTT. PROIETTO
- ... Mariangela che le viene a dire esplicitamente, per
incarico del fratello ovviamente,
hanno trovato dei documenti, potrebbe essere coinvolto anche Lei, e quindi
chiaramente coinvolgere Lei voleva dire coinvolgere il SID in
sostanza, suppongo, e Lei questa cosa non è andata a riferirla ai
suoi... T.
- No mi pare la seconda volta che venne Mariangela allora cominciai a
preoccuparmi di più e lo accennai. P.M.
DOTT. PROIETTO
- Quindi l'ha riferito? T.
- Sì. P.M.
DOTT. PROIETTO - Ha
riferito che c'era questa eventualità? T.
- Che c'era in corso questo traffico che in un
modo qualsiasi avrebbe potuto coinvolgermi e lui mi ha
consigliato di stare tranquillo di aspettare, dice è inutile
agitarsi. P.M.
DOTT. PROIETTO
- Il Generale
Maletti di fronte a questo rischio dice non facciamo nulla? T.
- Per il momento non facciamo nulla. Di fatti poi questo rischio finì
per concretizzarsi un po' più in là, gli inizi del '73. P.M.
DOTT. PROIETTO
- Però si è concretizzato? T.
- Si è concretizzato ed a quell'epoca ovviamente il Generale Maletti
innanzitutto stabilì di non incontrarmi più personalmente e poi mi
consigliò attraverso La Bruna di andare all'estero.” [39]
Pozzan, p. 156-157. [40]
Pozzan, p. 91, ha così risposto alla domanda: “P.M.
- Chi ha conosciuto in Spagna di persone appartenenti a gruppi di
Destra? T.
- Ecco, questa è una domanda imbarazzante perché le dirò che io ero
stato diffidato dalle autorità spagnole che mi avevano concesso asilo
ad occuparmi di qualsiasi attività politica e anche sconsigliato dal
frequentare eventuali altri fuoriusciti. Preciso che i rari incontri
che io ed anche altri ebbero tra loro non erano accompagnati o
preceduti da presentazioni, cioè i nomi... P.M.
- Be', ho capito, però anche senza formale presentazione
ufficiale è normale quando si incontra qualche persona
chiedere chi è questo, comunque l'ha sentita la domanda? T.
- Sì. P.M.
- Che cosa ci risponde,
chi ha conosciuto o chi ha incontrato, non lo so, se li conosceva già
prima? O chi ha incontrato nel caso che li conoscesse già in
precedenza? T.
- No, io non ne conoscevo in precedenza e ripeto che non si usava...
questo lo facevano anche loro nei miei confronti. Nessuno ha mai
chiesto nome e cognome o anche i fatti privati di ciascuno ed io a
maggior ragione. Inoltre io li frequentavo pochissimo e
successivamente niente del tutto. P.M.
- Quindi devo ritenere
che la sua risposta è: non ricordo, non ho conosciuto nessuno? T.
- Non conosciuto, ho conosciuto qualcuno... P.M.
- Non ricorda i nomi? T.
- ...ma io non conoscevo i nomi.”. [41]
Così Pozzan, p. 96, ha risposto alla specifica domanda del P.M.: “P.M.
- Non se le ricorda
queste persone, queste altre che non ricordava ovviamente, Giancarlo
Rognoni in particolare? T.
- No. P.M.
- Ma Lei se lo ricorda adesso chi è Giancarlo Rognoni o no? T.
- Be', ne ho sentito parlare, ho sentito qualcosa. P.M.
- No, ma non mi interessa
se ne ha sentito parlare sui giornali, cioè voglio sapere se
comunque, a prescindere dalla conoscenza di questa persona in Spagna,
successivamente ha avuto modo di conoscerlo o di sapere chi fosse? T.
- Allora, io ho già richiamato il caso del Giudice Istruttore, del
Pubblico Ministero di Firenze che mi sottoposero delle foto; non so se
questa circostanza sia anteriore a quella che Lei ha riferito dell'82. P.M.
- Potrebbe essere più o meno lo stesso periodo. T.
- Ecco. Può darsi che sia sovrapposta, non so quale abbia preceduto
l'altra. Mostrandomi le foto ho riconosciuto delle persone. Può darsi
che abbia riconosciuto anche quelle che Lei ha citato e che io non ho
ricordato adesso in fase di... “ [42]
Paradossale è stata la mancata indicazione per nome di un personaggio
talmente noto nell’estrema destra latitante in Spagna quale Stefano
Delle Chiaie (p. 93) , che pure Pozzan aveva frequentato in Italia (p.
97) e che era stato indicato al teste dai funzionari spagnoli che lo
avevano arrestato come il responsabile degli arresti degli italiani
latitanti (p. 100). [43]
Il P.M. ha contestato a Pozzan le dichiarazioni rese il 13.5.1982: “P.M.
- Io le devo invece
contestare che Lei sempre nell'interrogatorio che le ho citato prima,
cioè quello del 13 maggio '82, disse: "Effettivamente all'atto
del mio arresto io feci delle rimostranze violente al commissario di
Polizia al quale feci presente che fino a quel momento non avevo dato
alcun fastidio e che la stessa autorità spagnola a seguito della mia
buona condotta aveva revocato delle restrizioni a cui prima ero
soggetto. Il mio sfogo avvenne alla presenza di tre funzionari della
Polizia dei quali non ricordo i nomi. Conoscevo solamente il capo
della direzione della Polizia che non era presente alla circostanza e
che si chiamava Dochesus (?) Enriquez, il suo vice si chiamava invece
Don Ramos. Alle mie rimostranze i funzionari di Polizia risposero che
esse andavano dirette ad un compatriota che si chiamava Delle Chiaie.
Aggiunse anche che si era trattato di uno sporco affare, definì il
mio compatriota un tizio molto strano. Seppi anche dagli stessi
funzionari che per l'operazione che aveva portato all'arresto dei
fuoriusciti italiani il Delle Chiaie era stato ricompensato da parte
delle autorità italiane con una somma di circa 10 milioni di Pesetas.
A tal fine precisarono che prima della cattura dei fuoriusciti il
Delle Chiaie avrebbe avuto un incontro all'interno di un aereo
spagnolo a Roma con un funzionario o funzionari italiani per
concordare le modalità dell'operazione suddetta e stabilire il
compenso". E' chiaro, se lo ricorda?” (p. 100) [44]
La risposta di Pozzan alla contestazione del P.M. è un esempio palese
di reticenza, atteso che il teste ha con molta arguzia ridimensionato
un’affermazione che quando fu resa era inequivoca: “T.
- Adesso devo rinfrescare la memoria. Devo dire che tutto questo
avviene in prossimità dei fatti. P.M.
- Certo, lo so perfettamente che sono passati 18 anni adesso. T.
- Io ero sicuramente incollerito e può darsi, anzi credo che gli
spagnoli siano ricorsi a questo espediente per scagionarsi
dell'accaduto. P.M.
- Ma gli spagnoli hanno riferito questa cosa a Lei o no? T.
- Sì, sì, hanno riferito ma non in sede ufficiale, sa. P.M.
- No, no, ho capito
benissimo che non era in sede ufficiale, certo. T.
- Che loro abbiano svicolato sulla porcheria che stavano facendo,
porcheria per conto mio, abbiano attribuito a... P.M.
- Certo, ma insomma Signor Pozzan, l'hanno attribuita o non l'hanno
attribuita la responsabilità al Delle Chiaie? T.
- Sì, sì, hanno fatto questa attribuzione. P.M.
- Quindi è un'opinione
sua quella che adesso Lei ci sta dicendo che, invece, no, forse gli
spagnoli volevano giustificarsi ma in realtà non era vero? T.
- Voglio dire, che me l'abbiano detto non significa che mi abbiano
detto il vero. P.M.
- Questo è fuori
discussione. Infatti a Lei si chiede solamente di sapere che cosa le
hanno detto. Le hanno detto questa cosa le autorità spagnole. T.
- Sì. “ (p.
101). [45]
Questa è stata la contestazione del P.M.: “P.M.
- Allora le rileggo quello che Lei aveva dichiarato sempre in questo
interrogatorio dell'82. Lei disse: "La circostanza è riferita
esattamente da Francia. Ritengo che sia attendibile più la sua
memoria che la mia. In relazione alla stessa circostanza debbo
precisare che effettivamente Cristiano De Echer era uomo di Delle
Chiaie mandato per sorvegliare Freda. Dico, meglio, secondo me
infiltrato per sorvegliare Freda. Per quanto riguarda il contenuto
della lettera, ricordo solamente che l'estensore si esprimeva in terza
persona e diceva che il Cristiano, come da istruzione, teneva sotto
costante e stretto controllo il responsabile del gruppo veneto
seguendone gli spostamenti. Per dovere di correttezza debbo informarla
che durante il processo della strage di piazza Fontana in primo grado
io accennai al Freda che il De Echer lo ritenevo un infiltrato nel suo
gruppo; Freda sdegnosamente respinse quanto io gli dicevo nel senso
che non riteneva possibile quanto io gli avevo riferito anche con
riferimento a Stefano Delle Chiaie". Se le ricorda queste
dichiarazioni?” (p. 102). [46]
Pozzan, p. 101: “P.M.
- Senta, Lei che cosa ha
saputo a proposito di rapporti tra Cristiano De Echer (?) e Freda? T.
- Assolutamente nulla. P.M.
- Lei non ricorda di avere visto una lettera in forza della quale
aveva desunto determinate circostanze, situazioni, lettera di cui poi
Lei ha parlato a Salvatore Francia? T.
- Sì. P.M.
- Se lo ricorda? T.
- Sì. P.M.
- Ci vuole riferire che
cosa ricorda di questa vicenda? T.
- Io ho visto qualcosa che mi è stato mostrato ma non era integrale.
Non mi è stato mostrato tutto il testo, mi è stato mostrato un brano
da cui io ho ricavato quell'impressione, quella sensazione. P.M.
- E qual era
quell'impressione, quella sensazione che ha ricavato? T.
- Che ci fosse stato qualche contatto. P.M.
- Qualche contatto di che
tipo? T.
- Fra le persone che Lei ha detto, fra Freda e De Echer. P.M.
- Ho capito, sì, ma come
si qualificava questo contatto, che cosa sarebbe dovuto avvenire o che
cosa era avvenuto? Se lo ricorda? T.
- No, con chiarezza no.
“ [47]
Pozzan, p. 103-104: “P.M.
- Conferma queste cose? T.
- Con una precisazione: io le ho ricavate per mia deduzione sulla base
di quello che mi avevano detto gli altri, cioè io non ho prove
dirette. Me ne avevano parlato il Francia e quindi io ho ricavato... P.M.
- No, veramente sembra che sia stato Lei che ne parla a Francia, non
viceversa, da questa dichiarazione eh? T.
- No, può essere reciproco perché in base a quello che mi dice
Francia io mi apro a dire quello che so io o che ho appreso. P.M.
- Sì, ma da questa
dichiarazione sembra, a parte che poi Francia l'ha anche confermato in
dibattimento qua, ma sembra che sia Lei che informa Francia del fatto
che Lei vedendo quella lettera ha avuto la conferma che De Echer
avesse questa funzione, non Francia che informa Lei. Francia è la
persona che viene informata da Lei. Capisce? Anche perché poi il
verbale va avanti e dice: "Io ho effettivamente riferito la
circostanza predetta...", anzi scusi: "Prendo atto della
dichiarazione resa da Francia Salvatore nella parte in cui riferisce
dei timer acquistati da Freda. Io ho effettivamente riferito la
circostanza predetta a Francia Salvatore". Quindi, da queste
dichiarazioni emerge che è Lei che riferisce questa cosa a Francia,
non viceversa. Siccome Lei dice che queste sono cose che Lei ha
appreso, io le chiedevo da chi le aveva apprese? Però Francia
sembrerebbe di no stando a quello che Lei dichiarava nell'82?”. [48]
Pozzan, p. 105: “T.
- Ce n'è un altro che adesso mi sfugge sia il nome... P.M.
- Un'altra persona? Sta pensando a un'altra persona? T.
- Mmh. P.M.
- E non ricorda qualcosa
di questa persona per consentirci di individuarla? T.
- Eh... Era un uomo di fiducia di Delle Chiaie che, però, era
provenuto da un'altra organizzazione, era confluito con Delle Chiaie.
Lei prima mi ha fatto dei nomi, potrebbe essere tra quelli che mi ha
fatto. P.M.
- Vuole che le rifaccia quei nomi di prima? T.
- Sicuramente aveva un nome di copertura, cioè non usava il proprio. P.M.
- Quindi questa
circostanza Lei ricorda di averla saputa anche da un altro uomo di
fiducia di Delle Chiaie? T.
- Sì. P.M.
- Oltre che averla desunta da quella lettera di cui stiamo parlando,
evidentemente, è così? T.
- Sì e mi sfugge... Mi secca ma... se fosse stato tra i nomi che Lei
mi ha fatto l'avrei riconosciuto. P.M.
- Quindi non è tra i nomi che le ho fatto? T.
- Temo di no, perché quando me li ha letti non mi hanno suggerito
niente. Vuole rileggermeli? P.M.
- Certo. Quelli conosciuti nel carcere di Madrid, Lei aveva detto
Salvatore Francia... T.
- No, no, quello non è mica stato arrestato. P.M.
- Allora non può essere, perché questi erano i nomi delle persone
che Lei aveva detto di aver visto a Madrid nel carcere. T.
- Tra quelli che mi ha citato il Dottore nell'82. P.M.
- Be', io comunque glieli ridico. Perdiamo meno tempo se glieli dico.
Salvatore Francia, Eliodoro Pomar, Elio Massagrande, un certo
Francesco di cui non ricordo il cognome, Mario Tedeschi, Giancarlo
Rognoni, Pietro Benvenuto e Flavio Campo? T.
- Non è uno di questi.” [49]
Pozzan, p. 105-108: “P.M.
- Non è uno di questi. Senta, della vicenda dei timer che cosa ha
saputo e che cosa ha riferito a Francia? T.
- Quello che risulta agli atti. P.M.
- Sicuramente, ma noi lo dobbiamo sapere da Lei, se se lo ricorda,
sennò le rileggo quello che ha detto. T.
- No, perché ammette Lei stesso che sono quasi 20 anni. P.M.
- Certo, lo so, io le sto chiedendo... T.
- E che anche quelle erano voci che io avevo raccolto. Mica... P.M.
- Lei ricorda qualche
cosa adesso o no? T.
- No, ho ricordi molto vaghi sa, molto confusi. P.M.
- Allora le rileggo
quello che Lei aveva dichiarato nell'82? T.
- Sì, la ringrazio. P.M.
- Per quanto attiene alla
questione dei timer riferita da Francia Salvatore, posso solamente
dire anche se non ho controllato la fonte delle mie informazioni che
durante il mio periodo di latitanza, essendo all'oscuro di notizie
sulla vicenda giudiziaria che mi vedeva coinvolto assieme ad altre
persone, pregai mia moglie di informarsi per farmi sapere qualcosa da
coloro i quali avevano i Difensori che potevano seguire la vicenda
giudiziaria dato che io non avevo Difensore di fiducia. Fu così che
mia moglie apprese da un Difensore del Freda che le cose non andavano
male, nel senso che al momento opportuno Freda era in condizioni di
esibire la prova decisiva della sua innocenza e, cioè, i timer che
aveva acquistato e costituivano il punto principale dell'Accusa.
Successivamente, però, lo stesso Difensore disse che i timer in
questione erano purtroppo spariti dal nascondiglio dove erano
occultati. Tale nascondiglio era stato murato e al momento in cui si
constatò la sparizione dei timer venne trovato intatto ma vuoto.
Collegando tali fatti con la lettera che io vidi nel carteggio di
Stefano Delle Chiaie, ritenni che la sparizione dei timer fosse stata
opera di avanguardisti provocatori. Io non ebbi la possibilità di
parlare con il Freda della questione dei timer in quanto quando gli
dissi della possibile infiltrazione del suo gruppo di Cristiano De
Echer il Freda aveva sdegnosamente respinto l'ipotesi da me formulata.
Dato l'atteggiamento del Freda non ebbi la possibilità di andare
avanti nel discorso. Ritengo, ma è solo un'ipotesi, che il De Echer,
il quale godeva della fiducia del Freda, fosse a conoscenza del
nascondiglio dei timer sempre che detta circostanza sia vera. Proprio
perché il Freda in più circostanze confermò la sua stima e fiducia
nei confronti del De Echer sono portato ad escludere che il Freda
sapesse che De Echer militava in Avanguardia Nazionale e che comunque
fosse un provocatore e ciò dico perché Freda non aveva mai inteso
avere rapporti politici con Avanguardia Nazionale". Questo è
quello che Lei ha dichiarato nell'82, sono esatte queste sue
affermazioni? T.
- Sì, non so se sono stato esplicito nell'indicare, o forse non l'ho
indicato affatto, che queste erano mie congetture. Non fondate su
prove.” [50]
Quella vicenda è stata così ricostruita: -
Pozzan ha dichiarato di ricordare soltanto che fu avvicinato da alcuni
signori sconosciuti che lo ospitarono in una loro sede e lo
imbarcarono per la Spagna (p. 111); -
ha soggiunto di essere stato avvicinato a Padova, accompagnato a Roma
e ospitato in un posto che aveva come “facciata” la distribuzione
di film (gli pare di aver sentito già via Sicilia); quei signori lo
avvicinarono a Padova e gli dissero che era nel suo interesse
affidarsi a loro; si qualificarono come poliziotti e poiché era
latitante a lui andava bene essere catturato da loro (p. 111-112); -
quei poliziotti gli proposero di fare qualcosa nel suo interesse a
condizione che lui fornisse le informazioni di cui era a conoscenza e,
non avendo scelta, si disse disponibile a rendere informazioni (p.
112-113); -
queste persone volevano informazioni sulle indagini per la strage di
piazza Fontana, perché, essendo Freda e Ventura detenuti, non avevano
fonti dirette; Pozzan avrebbe dovuto riferire quanto aveva appreso e
dichiarato in sede di interrogatorio, cioè in quale direzione erano
rivolte le indagini e lui riferì quello che aveva saputo nel corso
degli interrogatori (p. 113-114); -
rimase a Roma vari giorni, e poi quelle persone decisero che doveva
andare in Spagna; allora Pozzan ritenne di non avere molte
alternative: gli dissero che a loro parere era tutta una montatura,
per cui le indagini si sarebbero sgonfiate, ma ci sarebbero voluti
molti anni e Pozzan li avrebbe trascorsi in galera (p. 115); -
Pozzan all’epoca ritenne che fossero poliziotti, successivamente
seppe che quelli del SID provenivano dai CC; Pozzan intuì che erano
dei servizi segreti (p. 116); -
a Padova Pozzan conobbe il capitano La Bruna che era il comandante dei
NOD e fu lui a gestire questa cosa; Pozzan esclude che Fachini lo
abbia accompagnato a Roma da Padova (come dichiarato da La Bruna e da
Giannettini); Pozzan risponde che questa affermazione è nuova (p.
117); -
Pozzan conobbe Giannettini prima di quella vicenda, perché
presentatogli da Freda durante uno dei suoi viaggi a Roma; poi
Giannettini andò anche a Padova e lo conosceva come giornalista
esperto di dottrine militari e di armi; lo conobbe nel 1967-1968; lo
vide un paio di volte a Padova quando Freda glielo fece conoscere e
forse una seconda volta; a Roma vide Giannettini alla sede dei NOD;
Pozzan afferma che Giannettini non ha mai nascosto la sua appartenenza
al SID (p. 118-119); -
Pozzan, quando vide Giannettini alla sede dei NOD, ritenne che fosse
un consulente del SID, d’altronde era di casa negli ambienti
militari, aveva contatti e rapporti con ufficiali (p. 120); -
il P.M. ha contestato a Pozzan che La Bruna e Giannettini hanno
dichiarato che fu Fachini ad accompagnarlo a Roma; Pozzan ha
dichiarato di ignorare perché abbiano dichiarato una cosa non vera,
forse giovava alla sua linea difensiva (p. 121); - Pozzan ha ribadito di non conoscere l’identità della persona che lo accompagnò a Roma (p. 122). |
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