PROCESSO PIAZZA FONTANA: -Sentenza della Corte d'Assise di Milano n. 15/2001, del 30 giugno 2001 e depositata il 19 gennaio 2002. Capitolo 6 *** pag.10/13 Sull’appartenenza di Delle Chiaie e
di Gianni Casalini al SID, Pozzan ha subìto l’ulteriore contestazione
del P.M., atteso che nel 1982 aveva dichiarato che il primo gli aveva
confidato di avere rapporti con importanti esponenti dei servizi di
sicurezza[1]
e di aver appreso la notizia del rapporto di Casalini con il SID da amici
comuni, mentre in dibattimento ha dapprima negato quella circostanza e poi
l’ha riferita a non specificate “voci dell’ambiente”[2]
Sulla riunione che si sarebbe tenuta a
Padova il 18 aprile 1969, Pozzan ha sostenuto di non ricordare con
esattezza il contenuto delle sue dichiarazioni, chiedendo al P.M. di
procedere alla contestazione[3].
Questa parte di esame, oltre che reticente, è palesemente falsa, atteso
che Pozzan, nel tentativo di giustificare dichiarazioni evidentemente
inconciliabili, è giunto ad addebitare agli investigatori che lo avevano
interrogato (il P.M. Calogero e il G.I. Stitz) il suggerimento del nome di
Rauti, ritrattando immediatamente dopo quella affermazione e poi
nuovamente affermandola[4].
L’ultima parte delle dichiarazioni
di Pozzan ha riguardato il casolare di Paese, in relazione al quale il
teste ha ripetutamente negato la conoscenza.
In conclusione, su tutti gli argomenti
oggetto dell’esame dibattimentale, Pozzan ha invocato la sua cattiva
memoria, negato circostanze che in passato aveva riferito, ridimensionando
il significato di alcune affermazioni compiute negli interrogatori resi al
G.I. o al P.M., addebitato agli investigatori dell’epoca un interesse
personale nelle indagini che sarebbe giunto al punto di ricostruire
falsamente un racconto che egli non avrebbe mai fatto. E’ inutile,
disquisire dei parametri di attendibilità del teste, il cui atteggiamento
complessivo è stato improntato dall’assoluta e incrollabile reticenza,
con ricostruzioni dei fatti generiche, contraddittorie, illogiche, e,
quindi, totalmente false.
La valutazione che la Corte dovrà
compiere delle affermazioni rese da Pozzan sarà inevitabilmente
condizionata dal giudizio qui espresso, poiché questi ha inteso negare
qualsiasi coinvolgimento suo o di altre persone nelle vicende eversive per
le quali ha subìto un processo, è stato ritenuto responsabile e non è
stato condannato grazie all’intervenuta prescrizione. Certo, alcune
dichiarazioni che nel corso degli anni Pozzan ha reso potranno essere
utilizzate proprio perché l’atteggiamento reticente consente di
attribuire alle sue ammissioni (ad esempio sulla conoscenza con Rognoni,
sulla riunione di Padova della primavera del 1969 – a prescindere dalla
presenza o meno di Rauti – sui rapporti dei militanti della destra con
il SID, sui rapporti con Fachini, Giannettini, La Bruna, Maletti) una
rilevanza probatoria ancora più significativa proprio perché proveniente
da un teste che, appena ha potuto, ha negato pervicacemente tutto.
6 n –
Rauti.
La deposizione di Rauti in questo
dibattimento, nel quale è stato sentito come imputato di reato connesso,
pur essendosi prolungata per alcune ore, non è di grande rilevanza
probatoria, atteso che egli è stato esaminato su alcuni temi generali
attinenti alla sua esperienza politica in ON. Sulla vicenda di piazza
Fontana le indicazioni di Rauti sono state molto scarne, sia perché non
gli sono state rivolte domande specifiche sull’argomento, sia perché
egli ha negato categoricamente qualsiasi coinvolgimento nei fatti eversivi
dell’epoca.
Nella prima parte del suo esame Rauti
ha ricostruito il percorso politico del Centro studi ON, costituito nel
1956 e rientrato nell’MSI nel 1969. Su questa parte, l’unico elemento
significativo della deposizione ha riguardato le modalità della decisione
e le ragioni della confluenza di quel movimento nel partito. Nonostante
Rauti abbia inteso fornire di quella fase politica una chiave di lettura
diversa rispetto a quanto riferito da altri testimoni, le difformità tra
le ricostruzioni non sono così eclatanti da apparire inconciliabili.
Secondo Rauti la decisione di rientrare nell’MSI non fu improvvisa, ma
piuttosto determinata dal mutamento di linea politica del partito,
coincidente con l’assunzione della segreteria da parte di Almirante; il
teste non ha però negato che la situazione politica di quegli anni avesse
contribuito ad assumere quella decisione, confermando sostanzialmente che
l’appartenenza ad un’organizzazione parlamentare dei giovani militanti
di ON avrebbe rappresentato una garanzia nei confronti delle istituzioni
in un periodo caratterizzato da scontri politici di piazza[5].
Non può sottovalutarsi, comunque, la diversità dell’affermazione di
Rauti rispetto a quanto hanno dichiarato molti esponenti del Centro studi
ON, secondo i quali la decisione di rientrare nel partito fu
specificamente determinata dai pericoli di coinvolgimento dei militanti
ordinovisti nelle vicende eversive del 1969 (prospettati allo stesso Rauti
da alcuni esponenti istituzionali della destra)[6].
Sotto altro profilo, Rauti ha negato
categoricamente la veridicità delle affermazioni di Fabris e della
Bettella sull’episodio che lo avrebbe coinvolto, definendole come una
follia e prospettandone l’assoluta inverosimiglianza[7].
In merito alla conoscenza con
Giannettini e alla loro partecipazione al convegno organizzato
dall’istituto Pollio nel 1965, le dichiarazioni di Rauti sono apparse
logicamente contraddittorie su alcuni specifici aspetti, quali il
contenuto della sua relazione a quel convegno. E’ interessante riportare
alcuni passi di quell’esame, dal quale emerge l’illogicità delle
risposte fornite da Rauti sulle tesi esposte nel suo intervento:
“I.R.C. - Ma io ho qui, ripeto,
devo averla. La relazione si intitolava "La tattica della
penetrazione comunista in Italia", ecco, c'è la data:
"Intervento del 4 maggio - non c'è l'anno - del Dottore Pino Rauti".
Io notai, cercai di sottolineare che la società civile italiana era
oggetto di tattiche, anche nuove, di penetrazione da parte dei comunisti,
che queste tattiche risalivano alla famosa - come dire? - osservazione
culturale ideologica di Gramsci, secondo le quali tesi era più importante
che non si poteva conquistare e soprattutto non si poteva mantenere il
potere politico se prima non si era presenti nella società civile; già
allora si cominciamo ad adoperare questo termine, quindi era non tanto
importante una manifestazione di partito interna, quanto importante, per
esempio, una piccola casa editrice, non era importante un comizio, una
sfilata dei sindacati, quanto era importante una mostra fotografica ben
organizzata. Quindi lavorare e radicarsi nella società civile, in modo da
avere non il controllo, avere, diciamo, una egemonia sostanziale
soprattutto in termini culturali …
…
P.M. - Lei, dopo avere esposto,
appunto, queste tecniche di
penetrazione, devo dire anche in maniera molto brillante e vivace,
disse... scrive: "Ecco quindi che il fenomeno della guerra sovversiva
pone alle nostre coscienze ed alle nostre preoccupazioni una serie di
problemi estremamente drammatici ed estremamente urgenti, perché noi
tutti sentiamo che l'apparato politico e costituzionale del quale le forze
anticomuniste si trovano a disporre, non sembra molto adeguato alla lotta
contro il comunismo".
I.R.C. - Sì.
P.M. - Qui non si parla di
culturale o non culturale; qui si parla del fatto che l'apparato politico
e costituzionale del nostro Paese evidentemente non era adeguato a
contrastare...
I.R.C. - Del tipo di sfida che
lanciava...
P.M. - ...a contrastare la lotta...
I.R.C. - Esatto, era vecchio. Io
citavo una cosa...
P.M. - E conclude, mi scusi, e
conclude con questa affermazione: "Spetterà poi ad altri organi in
senso militare, in senso politico generale, trarre da tutto questo le
conseguenze concrete, e far sì che alla scoperta della guerra sovversiva
e della guerra rivoluzionaria, segua l'elaborazione completa della tattica
controrivoluzionaria e della difesa". Qual era il senso di queste
affermazioni, all'epoca ovviamente, non ci interessa ovviamente quello che
Lei pensa adesso.
…
I.R.C. - Io semmai dissi che tutte
le strutture dello Stato dovevano essere coinvolte. Era importante la
Magistratura, ed erano importanti anche i militari, perché citai
l'esempio degli Ufficiali che arrivano con i loro saldi principi e si
trovano di fronte ad un gettito di leva che è ampiamente condizionato
dalla cultura di sinistra, e hanno... non hanno più lo strumento
operativo come c'era una volta; una volta il ragazzo arrivava, si metteva
sull'attenti, diceva: "Signor sì", e marciava. Adesso il
ragazzo arrivava con una sua cultura, giusta o sbagliata che fosse, ma era
quella la sua cultura, ed allora anche l'Ufficiale doveva - come dire? -
acculturarsi, e citavo l'esperienza degli Ufficiali francesi, dell'Indocina
e via dicendo. Vede, Avvocato...
P.M. - Dottor Rauti, io sono il
Pubblico Ministero.
I.R.C. - Mi scusi.
P.M. - Non è offensivo, era solo
perché non prendesse i ruoli.
I.R.C. - Non è facile riassumere,
Lei ha detto, giustamente, brevemente
concetti che poi riguardavano anche - come dire? - un appassionato
dibattito culturale che c'era in quei anni, che riguardava anche le
strutture militari. Noi, per esempio, guardavamo molto all'esperienza
dell'esercito francese in Indocina prima e in Algeria poi, e notavamo
questa differenza, che prima l'esercito francese aveva fatto operazione di
controguerriglia, tipo la legione straniera, mentre i nuovi reparti
francesi, soprattutto paracadutisti, avevano Ufficiali e Sotto-ufficiali
di nuovo tipo, si incaricavano di mettere in piedi gli acquedotti rurali,
davano lezioni ai bambini nei piccoli villaggi dell'Atlante Berbero,
sapevano stilare un testo di propaganda, sapevano depistare le prime cose
di epidemie o altro, cioè erano Ufficiali che facevano forme di presenza
sociale, e quella noi chiamavamo guerra rivoluzionaria contro la guerra
sovversiva dei comunisti.
P.M. - Dottor Rauti, di tutte
queste di cui lei ci sta parlando nella sua relazione non c'è traccia.
I.R.C. - Ci stanno i libri che ho
scritto in materia.
P.M. - Siccome adesso stavamo
parlando di questa relazione, sembra che stiamo leggendo due cose diverse.
I.R.C. - E` difficile adesso
riassumere, come nella relazione non fu possibile, riassumere adesso tutto
questo grosso dibattito, dove ci sono citati dei libri, sono uscite decine
di volumi che noi abbiamo cercato di fare tradurre in italiano, e che
avevano tutti questo motivo fondante: che alle tecniche di infiltrazione e
di presenza nella società civile la società politica mutuata dal XIX
secolo, dall'800, i vecchi partiti erano chiaramente inadatti; e questo
spiegavano, secondo noi, perché i comunisti andavano avanti.”[8].
Sui suoi rapporti con Freda, Fachini,
Delle Chiaie, Soffiati, Ventura e Maggi, le indicazioni di Rauti sono
state generiche e prive di evidenti elementi di illogicità, limitandosi
il dichiarante a ricostruire la diversità o la comunanza dei loro
percorsi politici.
Riguardo a Delfo Zorzi, le indicazioni
fornite da Rauti sono state meno lineari, perché pur non escludendo di
averlo potuto conoscere in ragione della comune militanza in ON, il
dichiarante ha inteso modificare il contenuto delle affermazioni fatte in
indagini preliminari, proponendo alcune sottolineature sul significato
dell’espressione utilizzata in quegli atti:
“P.M. - Non le ho chiesto... la
mia era una domanda molto più innocente. Lei ha conosciuto Delfo Zorzi?
I.R.C. - Zorzi non ricordo di
averlo conosciuto; può darsi che l'abbia incontrato, sì, in qualche
manifestazione nel Veneto. Io andavo spesso nel Veneto, come altrove, a
fare manifestazioni. Come faccio a dire "Conosciuto"? Era
presente a qualche comizio mio, a qualche conferenza mia? Può darsi, Però
conoscenza precisa e specifica non credo di averne avuta.
P.M. - Lei, in queste dichiarazioni
del 2 giugno '98, disse esplicitamente: "Io ho conosciuto Delfo Zorzi
nel periodo del Centro Studi Ordine Nuovo, e quindi ritengo di averlo
incontrato in qualche manifestazione del centro".
I.R.C. - Credo di averlo incontrato
in qualche...
P.M. - La conoscenza è sicura. E`
questo che voglio dire.
I.R.C. - Lei mi chiede, scusi,
precisiamo: Lei mi chiede se io ho conosciuto - già un termine piuttosto
vago - se io ho incontrato uno che era iscritto presumibilmente era un
giovane attivista di Ordine Nuovo nel momento in cui io tenevo, in tutta
Italia, manifestazione per Ordine Nuovo; ma certamente che l'avrò visto,
mi avrà salutato, mi avrà dato la mano, si sarà fatto fotografare
accanto a me, mi avrà chiesto, come fanno molti, se ce l'avevo un libro
con la mia dedica; non lo so, non me lo ricordo, ma è probabile che sia
accaduto. E che significa questo? Dottore, io faccio politica da
cinquantaquattro anni, moltiplichi per dodici mesi, ho conosciuto decine
di migliaia di persone, quindi... poi anche la memoria precisa:
"Quando ha visto Delfo Zorzi?", e chi se lo ricorda?
P.M. - Ma non gliel'ho chiesto. Io
le ho chiesto se Lei lo aveva conosciuto. Oggi ha dato una risposta
dubitativa, in questo interrogatorio del 2 giugno...
I.R.C. - Dubitativa quando all'uso
che Lei può fare o all'uso che può trarre dal termine
"Conoscere". Allora precisiamo: essendo un aderente ad Ordine
Nuovo probabilmente, quasi certamente, l'avrò incontrato in qualche
manifestazione; significa conoscerlo questo, secondo Lei? Questo lo dice
Lei. Secondo me, conoscere una persona, è un'altra cosa. Io conosco i
dirigenti del partito, quelli che hanno avuto cariche, incarichi, ruoli di
responsabilità, che più mi
sono stati vicini per anni, a volte per decenni; quelli li conosco. Gli
altri sono incontri più o meno casuali.
P.M. - Dottor Rauti, io le avevo
semplicemente fatto ricordare che in queste dichiarazioni del '98 Lei
disse, verbale da Lei sottoscritto, riletto alla presenza del suo
Difensore: "Io ho conosciuto Delfo Zorzi nel periodo del Centro Studi
Ordine Nuovo". Evidentemente in quell'occasione aveva capito il
significato del verbo conoscere, e oggi mi sembra invece di capire che
dobbiamo stare a discutere.
I.R.C. - Conosciuto mi sembra
eccessivo, a ripensarci bene.”[9].
Altre indicazioni meno rilevanti (e
comunque senza evidenti contraddizioni rispetto alle acquisizioni
processuali) hanno riguardato la pubblicazione dell’opuscolo “Le mani
rosse sulle Forze armate”, i rapporti con Armando Mortilla e con
l’agenzia giornalistica Fiel, i rapporti con Guerin Serac e con
l’agenzia Agent Interpress, i rapporti con il FN di Borghese.
Qualche incongruità nella deposizione
si è manifestata con riferimento al coinvolgimento di militanti triestini
di ON in alcuni attentati del 1969. Rauti ha dichiarato di non ricordare
che Forziati gli avesse riferito quella notizia, ammettendo di aver
appreso dalla stampa tale eventualità che fu comunque negata dai
dirigenti veneti dell’organizzazione[10].
Infine, Rauti ha sostanzialmente
ammesso di aver conosciuto Giancarlo Rognoni, definendolo un simpatizzante
di ON, anche se ha reso dichiarazioni equivoche, prima ammettendo la
circostanza e poi negandola, sulla contiguità del gruppo “La Fenice”
ad ON.
La deposizione di Rauti non è di
facile valutazione e ne è evidente la ragione.
In questo processo sono state
acquisite indicazioni provenienti da alcuni testimoni che hanno delineato
un coinvolgimento diretto di Rauti nella strategia eversiva condotta da
alcuni gruppi ordinovisti nel 1969 e culminata nella strage di piazza
Fontana. Rauti fu indagato nel procedimento di Milano a seguito delle
dichiarazioni, poi ritrattate, di Pozzan, e fu prosciolto in istruttoria;
in questo procedimento sono emersi ulteriori indizi sul ruolo che egli
avrebbe assunto in quella fase politica, tra cui le testimonianze rese da
Fabris e dalla Bettella in merito all’intervento intimidatorio che Rauti
avrebbe compiuto a salvaguardia della posizione processuale di Freda.
Ciò premesso, gli elementi di
valutazione della testimonianza di Rauti conducono ad un giudizio
articolato e complesso, atteso che in alcune parti le sue dichiarazioni
sono coerenti con il quadro probatorio acquisito, in altre decisamente in
contrasto. Sarà per questo necessario affrontare, quando si tratterà gli
specifici argomenti riferiti dal dichiarante, il contrasto di versioni con
altri testimoni e verificare l’attendibilità dell’una o dell’altra.
In termini generali non può comunque ignorarsi che gli argomenti su cui
un tale contrasto sussiste sono quelli che potrebbero delineare un
coinvolgimento diretto di Rauti in alcune vicende eversive della fine
degli anni ‘60, per cui le sue affermazioni dovranno essere valutate con
estrema cautela, ben potendo essere determinate dall’interesse a non
rivelare tale coinvolgimento.
6 o – Bandoli e Minetto.
I testi valutati nel paragrafo sono
accomunati dall’essere stati indicati da Digilio come gli esponenti
italiani più importanti della struttura di intelligence
statunitense operante in Veneto tra la fine degli anni ’60 e la metà
degli anni ’70. Se quelle indicazioni fossero vere, costoro avrebbero
potuto fornire un significativo contributo di conoscenza su quel tipo di
attività. Bandoli e Minetto hanno però negato categoricamente la
veridicità delle affermazioni di Digilio, contrapponendosi a qualsiasi
sua affermazione (ma anche ad altri testimoni quali Rossi e Persic) sulla
loro partecipazione ad attività di intelligence.
La Corte ritiene che Minetto e Bandoli
siano testimoni del tutto reticenti, perché, pur nella diversità
dell’atteggiamento assunto e della loro personalità, hanno dimostrato
di essere indisponibili a
qualsiasi collaborazione con l’autorità giudiziaria.
La deposizione di Minetto meriterebbe
di essere riportata integralmente in molte parti, perché rappresenta un
esempio eclatante di reticenza, contraddittorietà logica, incoerenza e
falsità.
Nella prima parte della sua
testimonianza, Minetto ha ricostruito alcuni periodi della sua vita, dalla
militanza nella RSI, agli anni trascorsi in Argentina, fino al rientro in
Italia, quando, pur non appartenendo ad alcun gruppo politico della
destra, conobbe molte persone che militavano in quell’area politica e le
frequentò assiduamente. Egli ha però negato qualsiasi coinvolgimento
nelle loro attività, giustificando i suoi rapporti di conoscenza con
Soffiati, Persic, Bandoli, Digilio e tutti gli altri esponenti della
destra veronese con la circostanza che abitava a Colognola ai colli e che
prestò la propria competenza lavorativa in favore di quelle persone[11].
Già con riferimento alle ragioni di
conoscenza di Bruno e Marcello Soffiati, le indicazioni di Minetto sono
prive di attendibilità: il rapporto con loro avrebbe avuto origine nella
frequentazione della trattoria di Colognola ai colli, che però fu aperta
da Marcello Soffiati solo nella seconda metà degli anni ’70, mentre
quel rapporto di conoscenza ebbe origine all’inizio degli anni ’60.
Minetto ha poi tentato di ridimensionare i suoi rapporti con i Soffiati,
ma è stato smentito, oltre che da numerosi testimoni, dalla accertata sua
partecipazione al matrimonio di Marcello del 1972 in qualità di
testimone. Le risposte fornite da Minetto in quella parte di esame sono da
sole sufficienti a dimostrare l’assoluta inattendibilità del teste, il
quale, non ha potuto negare di essere stato il testimone al matrimonio di
Marcello Soffiati, eppure all’inizio dell’esame del P.M. ha persino
esitato nel ricordarne il nome:
“P.M. - Dopo il suo ritorno
dall'Argentina, Lei ha mai fatto parte di gruppi di destra?
T. - No, conoscevo perché quando
sono tornato dall'Argentina sono andato ad abitare nel paese di mia moglie
a Colognola ai Colli, e lì ho conosciuto un signore che si chiamava
Soffiati.
P.M. - Soffiati come di nome?
T. - Soffiati, il nome non me lo
ricordo, era vecchio, era un ex fascista. E lì ho conosciuto questo, ma a
Colognola li conoscevano tutti.
P.M. - Ma l'ha conosciuto e basta,
o l'ha conosciuto e frequentato?
T. - No, frequentato mai.
P.M. - Mai frequentato?
T. - No, io non lo frequentavo, lo
trovavo lì in paese, così, o al bar..., perché era uno che gli piaceva
giocare alle carte ed allora si incontrava lì al bar.
P.M. - Questo Soffiati aveva anche
dei figli?
T. - Due figli: uno si chiamava
Giorgio ed uno..., l'altro... Giorgio era un ragazzo serio, era estraneo
alla famiglia, e quell'altro invece era un po' esaltato.
P.M. - Ed il nome non se lo ricorda
dell'altro figlio?
T. - Perché l'altro figlio Giorgio
è andato su qua verso Pieda, si è sposato lì ed è rimasto lì.
P.M. - Questo Giorgio. Le sto
chiedendo se non ricordava il nome dell'altro figlio?
T. - Adesso non mi viene in mente,
ce l'ho sulla punta della lingua ma...
P.M. - Può essere Marcello?
T. - Marcello sì.
P.M. - E` giusto?
T. - Sì, sì Marcello.”[12].
La conoscenza con i Soffiati non
determinò, secondo le affermazioni del teste, una loro assidua
frequentazione, atteso che egli ha dichiarato di essersi recato presso
l’abitazione di Colognola ai colli solo in due occasioni per riparare il
frigorifero. Si badi, Minetto non ha negato che i Soffiati, insieme a
Bandoli[13],
intrattenessero rapporti con militari delle basi statunitensi, ma ha
escluso la sua presenza in occasione di quegli incontri:
“P.M. - Signor Minetto, i
Soffiati, il padre o i figli, frequentavano o avevano rapporti con gli
americani, come ha detto Lei?
T. - A me sembra di sì.
P.M. - Il padre o i figli, o tutti
e due?
T. - Più il vecchio che il figlio,
ma avevano rapporti tutti e due, perché siccome Soffiati abitava davanti
alla chiesa, che c'è un piazzale...
P.M. - A Colognola questo?
T. - A Colognola ai Colli.
P.M. - Il Soffiati padre?
T. - Sì, il padre, la famiglia
insomma, e quando c'era... specialmente al sabato o la domenica c'erano
sempre macchine targate americane, ed allora quando c'erano queste persone
là dentro noi non si andava, noi del paese si girava a largo, insomma.
P.M. - Perché era disdicevole
entrare in queste occasioni?
T. - No, perché il vecchio
Soffiati non voleva che quando c'erano gli americani ci fosse gente per la
casa, capisce?
P.M. - Quindi, Lei andava in casa
del vecchio Soffiati?
T. - Sono andato due, tre volte in
casa del Signor Soffiati. Una volta per riparargli un frigorifero.
P.M. - Quindi per ragioni di
lavoro?
T. - Per ragioni di lavoro, e dopo
una volta mi sembra, così, che mi ha chiamato dentro.
P.M. - Quindi voglio dire,
essendoci andato in casa del vecchio Soffiati due volte sole, non aveva
nemmeno nessun senso che Lei non ci dovesse andare quando c'erano gli
americani. Avrebbe senso se Lei era un frequentatore abituale ed
allora Soffiati dice "guarda, quando ci sono gli americani non
venire".
T. - Erano loro che non volevano
che andasse dentro la gente del paese.
P.M. - Non Lei in particolare, la
gente del paese in genere?
T. - Era il vecchio Soffiati che
non voleva.
P.M. - Ma perché, la gente del
paese frequentava abitualmente la casa del vecchio Soffiati?
T. - No, perché davanti alla
chiesa lì d'estate, siccome ci sono le piante e delle panchine la gente
si sedeva lì sotto, e quando arrivavano gli americani nessuno si
sedeva sulle panchine.
P.M. - Perché il vecchio Soffiati
aveva detto che non ci si doveva sedere sulle panchine?
T. – Sì.”[14].
Ma è nella parte della deposizione
dedicata alle ragioni per cui Marcello Soffiati gli chiese di essere il
testimone di matrimonio della moglie, che l’inattendibilità di Minetto
è apparsa eclatante. Anche questo passo merita l’integrale
riproposizione perché è il più significativo del suo atteggiamento,
diretto a minimizzare i rapporti con quelle persone:
“P.M. - Signor Minetto, Lei è
stato al matrimonio di Soffiati?
T. - Al matrimonio sì, quando si
è sposato Marcello.
P.M. - E che ruolo svolgeva al
matrimonio di Marcello?
T. - Mi ha invitato più che altro
perché avevo la macchina, ed allora chi aveva la macchina in quel periodo
era sempre invitati a pranzo, ma io...
P.M. - Cioè, Lei
a quanti matrimoni è stato invitato per fare l'autista?
T. - No, ho fatto...
P.M. - Oltre a questo, ovviamente?
T. - ... il coso alla moglie.
P.M. - Ha fatto?
T. - Come si dice..., il testimone
alla moglie.
P.M. - Lei la conosceva la moglie?
T. - No, la conoscevo così.
P.M. - Ma Lei conosceva meglio la
moglie o Marcello?
T. - Ma, nessuno dei due bene.
P.M. - Allora,
Lei ha conosciuto la moglie di Soffiati perché gliel'ha presentata
Soffiati Marcello, oppure ha conosciuto Soffiati Marcello perché glielo
ha presentato la sua futura moglie?
T. - E` stato il padre a
presentarmela.
P.M. - Il padre di Soffiati?
T. - Sì.
P.M. - Allora,
il padre di Soffiati le ha presentato quella che sarebbe diventata
la moglie di Marcello?
T. - Sì.
P.M. - E Lei ha fatto il testimone
per questa donna?
T. - Sì, perché prima di sposarsi
Marcello aveva messo incinta la moglie, cioè la fidanzata, allora
è stata l'unica volta che io ho chiesto a Marcello che si prenda
le responsabilità, perché diventare padre di due figli bisognava anche
sposarsi. Allora, mi ha detto "va
bene io mi sposo" era assieme alla moglie e allora
la moglie mi ha detto "lei mi fa da testimone?",
"sì". Perché io avevo più contatto con la mamma del
Marcello, perché la mamma del Marcello era una donna che soffriva molto
nell'ambiente suo, perché il figlio la faceva...
Era una donna che non era tranquilla, non per il marito perché era
vecchio, ma per il figlio.
P.M. - Signor Minetto, Lei ricorda,
approssimativamente ovviamente, quante persone c'erano a questo
matrimonio?
T. - Non lo so.
P.M. - Era un matrimonio con
centinaia di invitati?
T. - Una trentina.
P.M. - Volevo solo avere un'idea.”[15].
Tutte le affermazioni di Minetto sono
all’evidenza inverosimili: egli ha sostenuto che non frequentava, né
stimava Marcello Soffiati – di cui non ha ricordato neanche il nome –
eppure fu prescelto per fare il testimone al suo matrimonio; il motivo di
quell’invito è stato giustificato dal teste nella disponibilità da
parte sua di un’autovettura, anche se ha dovuto ammettere che tale
circostanza non giustifica da sola la partecipazione ad una cerimonia con
meno di trenta invitati e soprattutto all’assunzione della veste di
testimone. Sul punto ha fornito una ricostruzione talmente fantasiosa da
non meritare alcun commento per affermarne l’inverosimiglianza.
Anche con riferimento a Persic e a
Benito Rossi, Minetto ha confermato l’atteggiamento reticente, negando
un rapporto di frequentazione con loro e ammettendo “a fatica” di
averli conosciuti o di averli potuti conoscere per via del suo rapporto
con Soffiati[16].
Ma è stata la descrizione della sua
conoscenza eventuale con Digilio a confermare l’inattendibilità:
“P.M. - Lei ha conosciuto Carlo
Digilio?
T. - Carlo Digilio me l'ha fatto
vedere nella fotografia al matrimonio, può darsi che questo Digilio mi
conosca a me, ma io Digilio personalmente mai stato a dire "questo è il Signor Digilio", non l'ho mai
avuto di fronte a Digilio, perché Digilio quando io sono stato portato
dentro qua a San Vittore mi continuavo a chiedere "perché non mi
mette a confronto con 'sto Digilio, perché se mi conosce così bene,
vorrei vederlo perché io non me la ricordo questa persona".
P.M. - Ma non se lo ricorda nemmeno
al matrimonio?
T. - Non me lo ricordo nemmeno al
matrimonio. So che frequentava Colognola, ma siccome che Marcello aveva
tutte persone che frequentava che era meglio stare alla larga, perché lui
era un tipo che voleva fare la sua rivoluzione. Le rivoluzioni le fa il
popolo, non le fa la persona singola, era un esaltato e basta.
P.M. - Scusi, come fa a sapere che
Digilio frequentava Colognola?
T. - Perché ho saputo che a
Colognola tutti conoscono Digilio. Perché quando aveva la trattoria
Marcello Soffiati, aveva la trattoria lui, questo Digilio è rimasto lì,
han detto 8, 10 giorni, non lo so.
P.M. - E questa cosa chi gliel'ha
detta?
T. - Tutti quelli di Colognola.
Quando io sono tornato a Colognola da tutto quello che mi è successo, mi
hanno detto "ma guarda che Digilio conosce tutti qua a Colognola,
perché è stato qua a
Colognola in casa da Marcello Soffiati". Ma io non andavo su,
specialmente di estate incominciavo a lavorare alle sette e lavoravo fino
alle nove di sera, non avevo tempo di andare a Colognola.
P.M. - Quindi a Colognola l'hanno
conosciuto tutti tranne che Lei?
T. - Ma può darsi che l'ho
conosciuto anche io, ma io non me lo ricordo.
P.M. - Io adesso le rifaccio vedere
quella foto del matrimonio così vediamo, gliela rifaccio vedere
nuovamente.
T. - Sì, che mi credevo che fosse
all'inizio che me l'ha fatta vedere,
credevo che fosse il fratello di Marcello.
P.M. - Adesso gliela rifaccio
vedere.
(nds, il Pubblico Ministero mostra
al teste la fotografia citata).
T. - Qua si vede meglio, può darsi
che lui mi conosce, ma adesso per esempio non me lo ricordo. Questo è il
fratello di Marcello, questi qua... erano
tanti che non li conoscevo mica al matrimonio. Vede che ho il garofano
rosso, perché tutti quelli dalla parte della moglie erano tutti
socialisti, e dalla parte di qua erano tutti fascisti. Può darsi che
anche ci fosse stato ma io che me lo ricordo non me lo ricordo, se mi
ricordassi tutti quelli che ho visto nella vita.
P.M. - Volevo dirle: ha visto che
era praticamente seduto di fronte a Lei? Questo se ne è reso conto?
T. - Non lo so se era lì seduto di
fronte a me, in fianco, era lì.
P.M. - Era seduto, direi, di fronte
alla persona che sta seduta alla sua destra, che è una signora anziana.
T. - Sì, sì, non so.”[17].
Quindi, secondo Minetto, una persona
come Digilio, che tutti a Colognola conoscevano come amico di Soffiati,
che partecipò alla festa di matrimonio di quest’ultimo sedendo al
medesimo tavolo del teste, che frequentava con intensità la trattoria di
Colognola, non era né un nome né un volto a lui noti. L’affermazione
è evidentemente inattendibile ed è finalizzata ad escludere qualsiasi
coinvolgimento con le attività di quel gruppo di persone e in particolare
di Carlo Digilio.
Minetto ha ammesso di aver conosciuto
Maggi, presentatogli da Soffiati alla “festa del pisello” di Colognola
ai colli. Su questa affermazione alcune parti non hanno risparmiato
considerazioni ironiche all’indirizzo del teste, non consentite in
questa sede di valutazione dell’attendibilità della sua deposizione.
Certo è che l’indicazione di Minetto appare coerente con la
ricostruzione complessiva dei suoi rapporti con i militanti di ON, la cui
frequentazione sarebbe stata determinata dagli incontri al bar o in
trattoria per giocare a carte, dalle visite per svolgere la propria
attività lavorativa, dalla sosta nella piazza seduti in una panchina. In
questo quadro, la “festa del pisello” completa la natura di quei
rapporti, privi di qualsiasi connotazione politica.
Con riferimento al suo coinvolgimento
nelle attività di intelligence per conto delle strutture
statunitensi facenti capo alle basi militari presenti in Veneto, Minetto
ha naturalmente negato la veridicità delle affermazioni di Digilio e di
altri testimoni, ma è evidente che quella negazione era stata
“preparata” nel corso della sua deposizione, quando aveva minimizzato
i rapporti con quelle persone.
Minetto ha innanzitutto negato di
essere a conoscenza dello svolgimento da parte dei Soffiati di attività
informativa nell’interesse delle strutture di intelligence
statunitensi:
“P.M. - Senta, a Lei risulta che
qualcuna di queste persone che abbiamo nominato, e cioè i due Soffiati,
Bandoli, Rossi... be' Rossi no ovviamente, perché non ha presente chi è,
Persic, abbiano fatto attività informativa in favore degli americani,
come ha detto Lei?
T. - Non lo so. Questo non lo so
perché erano cose sue quelle lì.
P.M. - Che cosa vuol dire che
"erano cose sue"?
T. - Robe sue dei Soffiati.
P.M. - Ma i Soffiati la facevano
questa attività o no?
T. - Non lo so.
P.M. - Ed allora come fa a dire che
erano cose sue?
T. - Se faceva quel lavoro lì
erano cose sue, non lo dicevano agli altri.
P.M. - A Lei non hanno mai detto
nulla, è questo che Lei sta dicendo?
T. - A me no.
P.M. - Né Lei ha mai saputo nulla
a riguardo?
T. - No.”[18].
Quindi, ha negato di aver egli assunto
tali funzioni, tacciando di falsità i testimoni che avevano reso
affermazioni di quel tipo:
“P.M. - Senta, Lei ha mai svolto
attività informativa per gli americani?
T. - No, no mai.
P.M. - Lei lo sa che ci sono delle
persone che dicono che lo ha fatto? Che lo hanno ripetuto anche qua.
T. - Lo so, ma quelle robe lì
io...
P.M. - Non solamente Digilio
intendo dire. E non è mica un'attività illecita.
T. - No, ma quello che io mi
domando, se questo Digilio
dichiara...
P.M. - Non è il solo Digilio che
lo dice.
T. - Anche gli altri, che io ero
dei servizi segreti, l'accusa era quella.
P.M. - Non è un'accusa.
T. - Per me era un'accusa.
P.M. - Non è un'accusa!
T. - Per me personalmente era
un'accusa, il fatto è questo: siccome che tutta questa gente si vantava
che loro conoscevano tizio, perché loro tutte le persone importanti le
conoscevano, loro, però io siccome dovevo lavorare, e tengo al mio
lavoro, io quelle cose lì non avevo mai dato alito di... perché a me non
mi interessava, (p.i.
pronuncia non chiara) mi ha messo, e non so chi, e lo sa il Dottore
Salvini e lo sa quelli dei servizi segreti italiani, mi hanno messo su un
piedistallo che non è il mio.
P.M. - E Lei non si è chiesto per
quale ragione più di una persona dice questa cosa a suo riguardo?
T. - Ma non lo so chi è che lo
dice, se lo dice Digilio allora io chiedo: se Digilio conosceva tutti
questi americani che lui andava, è lui che dichiara che era dei servizi,
aveva bisogno di me?
P.M. - Signor Minetto, io le ho
chiesto se Lei si è dato una spiegazione del perché determinate persone
dicono questa cosa di Lei?
T. - Non lo so.
P.M. - Va bene, grazie.
T. - Non lo so perché (pp.ii.,
voci sovrapposte).
P.M. - Abbiamo capito.
T. -
...(pp.ii., voci sovrapposte) a San Vittore che mi ha rovinato la
vita, ed io ho 76 anni fra un paio di mesi, la mia vita non ha nessuna
importanza, perché l'unica importanza che ha la mia vita è per i miei
figli e i nipoti, dopo non ho più nessuno. Tutto il resto non mi
interessa, se io sapessi la verità gliela dico, ma io la verità non
posso dirla perché non la so.”[19].
Nel corso del controesame della parte
civile, Minetto ha negato alcune specifiche circostanze riferite da altri
testimoni, quale la sua frequentazione del Piccolo hotel di Verona[20],
la frequentazione dell’abitazione di Persic in occasione di un incontro
con Soffiati, Digilio e Novella[21],
l’incontro con Persic e Soffiati il giorno della strage di piazza della
Loggia[22].
Le conclusioni sull’attendibilità
della testimonianza di Minetto sono, alla luce di quanto sin qui
osservato, agevoli. Egli ha negato qualsiasi rapporto con le persone
gravitanti intorno al gruppo veronese di ON, definendo la conoscenza e la
sua frequentazione di Bruno e Marcello Soffiati, Persic, Bandoli, Benito
Rossi, Digilio e Maggi come “poco compromettenti” incontri tra persone
che abitavano o frequentavano lo stesso paese e gli stessi locali. Questa
affermazione è del tutto priva di coerenza logica, perché è
inspiegabile la ragione per cui Marcello Soffiati invitò Minetto al suo
matrimonio e gli chiese di fare da testimone alla moglie se non
ricollegando quel rapporto ad un’amicizia e ad una frequentazione antica
ed intensa. Si badi che Minetto non è una persona sprovveduta (come
alcuni difensori hanno inteso descriverlo), per cui l’inverosimiglianza
delle sue dichiarazioni sul rapporto con Soffiati non poteva essere
attenuata da parziali ammissioni. Difatti se il teste avesse delineato un
rapporto di amicizia con i Soffiati e di frequentazione della loro
abitazione, avrebbe certo evitato di fare affermazioni inverosimili, ma
avrebbe dovuto fornire spiegazioni logiche della consistenza di quel
rapporto, riscontrando la ricostruzione compiuta da Digilio, da Persic e
da Benito Rossi. Minetto ha scelto una strada di negazione totale dei suoi
rapporti con quel gruppo, in tal modo dimostrando l’assoluta
inattendibilità delle sue dichiarazioni perché costretto a fare
affermazioni del tutto prive di fondamento logico, oltre che smentite da
altri dichiaranti.
L’inattendibilità di Minetto non
significa che quanto dichiarato da Digilio sia necessariamente vero, certo
è che le smentite provenienti da questo testimone sono prive di qualsiasi
rilevanza e non possono rappresentare riscontri negativi rispetto alle
affermazioni del collaboratore.
A ciò si aggiunga che nel corso della
ricostruzione di alcuni episodi della propria vita, Minetto ha fornito
conferme significative delle indicazioni di Digilio: il teste aderì alla
RSI e, anche se non risulta che fu esponente della X° MAS, sicuramente
manifestò le sue simpatie politiche per l’esperienza della Repubblica
di Salò, tanto che nel dopoguerra si trasferì all’estero, a suo dire
per trovare lavoro, ma più plausibilmente per sottrarsi alle conseguenze
della sua fedeltà al fascismo. In quel contesto di attività militari,
Minetto fu coinvolto anche in una vicenda dai contorni non chiari di cui
la Corte ha preso atto senza ritenere di svolgere ulteriori
approfondimenti sia per il periodo a cui risale l’episodio, sia per la
sua limitata rilevanza probatoria. La vicenda descritta dal teste può
avere solo il significato del suo coinvolgimento in attività
nell’ambito della RSI non semplicemente burocratiche, ma che fanno
trasparire rapporti con strutture militari repubblichine e alleate.
Nei primi anni ’60 Minetto ebbe
rapporti con la caserma Passalacqua di Verona, sede di una base militare
statunitense, che frequentò perché, a suo dire, svolgeva la manutenzione
dei frigoriferi delle strutture interne[23].
Su questo aspetto è interessante richiamare le dichiarazioni di Giraudo
sugli accertamenti compiuti in merito alla presenza di Minetto
all’interno della base NATO di Verona, già valutate nel capitolo 4[24].
Pur negando qualsiasi simpatia per
l’ideologia di destra, Minetto non ha potuto nascondere la sua
frequentazione di alcuni raduni dei reduci della RSI, anche se ha
minimizzato il significato della sua presenza alla Piccola Caprera in
occasione di quegli incontri[25]
Infine, alquanto sospetto (e non
spiegato dal teste) è l’atteggiamento tenuto nel corso della
carcerazione presso il carcere di San Vittore, quando consegnò [26]
al P.M. un biglietto con la scritta “sono disponibile incontrare
relazione indagini in corso ufficiali dell'Arma dei Carabinieri presso
questo carcere” firmato Minetto Sergio. Quel biglietto, che Minetto
ha sostenuto essere solo la risposta scritta ad una richiesta rivoltagli
da G.I., non si concilia con le affermazioni che il teste ha compiuto
durante tutto il procedimento e che ha ribadito nel corso del
dibattimento. Se Minetto non era a conoscenza di alcuna informazione sulle
vicende oggetto delle indagini e del dibattimento, non vi è ragione per
cui avrebbe dovuto manifestare la disponibilità a fornire notizie, ma
solo ai Carabinieri, quindi, senza formalizzare con l’autorità
giudiziaria quella collaborazione. La spiegazione fornita da Minetto è
del tutto illogica, perché da un lato quel biglietto fu consegnato al
termine di un interrogatorio del P.M., mentre la richiesta gli sarebbe
pervenuta dal G.I., e comunque non risulta agli atti alcuna sollecitazione
da parte degli investigatori, se non la richiesta del capitano Giraudo di
cui lo stesso Minetto ha riferito nel suo esame[27].
Se anche Giraudo avesse richiesto a Minetto di rivelare quanto a sua
conoscenza sulle vicende oggetto di indagini, la sua estraneità rispetto
a quei fatti avrebbe dovuto indurlo a non aderire a quella richiesta,
mentre il suo atteggiamento fu di ambigua disponibilità, ammissivo di una
generica conoscenza, ma disponibile a parlare in modo informale solo con
militari dei Carabinieri. Tale atteggiamento è soltanto sospetto e non
consente di affermare alcunché rispetto alle conoscenze di Minetto, ma
certamente conferma la sua reticenza nell’ambito del procedimento.
In conclusione, le dichiarazioni rese
da Minetto al dibattimento sono prive di qualsiasi attendibilità, perché
prima di essere smentite da Digilio, Persic, Rossi, sono reticenti,
illogiche, incoerenti, non giustificate con riferimento ad alcune
affermazioni neanche dal teste e, quindi, non possono costituire elemento
di smentita rispetto a quanto affermato da altri dichiaranti.
[1]
Pozzan, p. 110.
[2]
Pozzan, pp. 110 e 129-130.
[3]
Pozzan, p. 135.
[4]
Non è necessario riportare integralmente la parte di esame relativa
alla riunione del 18 aprile, ma in questa parte di sentenza è
opportuno richiamare il punto riguardante le accuse agli
investigatori:
“P.M.
- Sì, la domanda era:
"L'ufficio chiede al teste pur facendogli presente... - eccetera
- perché egli affermò falsamente, ritrattando poi tale
dichiarazione, che Pino Rauti era presente a Padova ad una riunione
dell'aprile '69?" e il Signor Pozza risponde: "Posso dire
tranquillamente che non lo so. Non so perché lo feci. Anzi, devo dire
che il nome di Rauti mi fu suggerito dagli inquirenti ed io accettai
il suggerimento perché ritenni che potesse giovare ai miei amici. Mi
riferisco come inquirenti a Calogero e Stiz. In sostanza,
quell'indicazione falsa poteva essere di disturbo o di intralcio alle
indagini". Allora Signor Pozzan?
T.
- Se posso parlare liberamente vorrei richiamare la loro attenzione su
due circostanze. Se Lei si è fatto un'idea della mia levatura
intellettuale dovrebbe sorridere di quel verbale scritto così bene,
non può essere frutto della mia incapacità.
P.M.
- Peraltro devo darle
atto che Lei, invece, parla molto bene, cioè parla veramente molto
bene in relazione al suo...
T.
- Se Lei soppesa quel verbale che io ho rinnegato, deve dare atto che
non può essere frutto... mi è stata, diciamo, guidata la mano; mi è
stato anche detto che c'erano molti riscontri a quello che io dovevo
confermare. In pratica io ho preso per buono. La seconda circostanza
è che Lei... non ho sentito bene le due date, ma pare che ci sia un
largo intervallo tra il primo e il secondo?
P.M.
- No, c'è una brevissima
distanza perché uno è del primo marzo e l'altro è del 14, ma
peraltro Lei dice "già io volevo dirvelo il 2"?
T.
- Io volevo ritrattare immediatamente dopo averlo fatto.
P.M.
- Infatti questo è quello che è scritto.
T.
- E il Giudice Istruttore: "Be', adesso è tardi - era quasi
mattina -, andiamo a dormire e domani ci ripensiamo". In pratica
io rinnovai la richiesta all'ufficio matricola il giorno stesso, però
il Giudice si presentò due settimane dopo. Intanto era...
P.M.
- Infatti se ne è dato atto anche di questo, vede? Anche di questa
cosa si dà atto nel verbale signor Pozzan, il Giudice non l'ha tenuto
nascosto, ha dato atto che Lei aveva chiesto di parlare il 2 marzo,
cioè il giorno immediatamente successivo a quell'interrogatorio.
Allora, io le chiedo Signor Pozzan: il Giudice Stiz e il Pubblico
Ministero Calogero che hanno redatto quel verbale del primo marzo
falso palesemente da quello che Lei ci sta dicendo perché mai
avrebbero dovuto acconsentire a fare quello del 14 marzo che gli dava
fastidio evidentemente, no? Perché se a loro era utile quello del
primo marzo, quello del 14 no.
T.
- Infatti è stato utile perché in quelle due settimane è successo
tutto il resto, eh.
P.M.
- Ma sa, qualunque cosa
accade se poi dopo Lei dice "queste dichiarazioni non sono
vere", se non sono vere non esistono, non servono a nulla. Anche
se è accaduto qualche cosa non servono in ogni caso.
T.
- Ma erano già servite.
P.M.
- A che cosa erano
servite?
T.
- L'arresto di Rauti fu immediato.
P.M.
- Be', ma l'arresto di Rauti... poi ha dovuto essere scarcerato
ovviamente, no? Quindi a che serviva l'arresto di Rauti?
T.
- Il proscioglimento di Rauti non conferma la falsità delle mie
dichiarazioni?
P.M.
- No, non conferma nulla.
Semplicemente, di fronte a un verbale dove Lei prima dice una cosa e
poi ne dice un'altra, è evidente che...
T.
- Ma Rauti è stato scagionato non da me, è stato scagionato dalla
redazione.
P.M.
- Ma che rilevanza ha
tutto ciò? In relazione a questo verbale, mi chiedo, che rilevanza ha
il fatto che Rauti sia stato scagionato?
T.
- No il fatto che sia... è stato scagionato dalla testimonianza dei
suoi colleghi.
P.M.
- Signor Pozzan,
sostanzialmente, Lei oggi sta dicendo così come aveva detto davanti
al Giudice Istruttore di Milano che questo primo verbale è falso
perché il Dottor Stiz e il Dottor Calogero l'hanno indotta, le hanno
suggerito, hanno detto, o meglio hanno scritto perché oggi ci dice
addirittura che anche il linguaggio chiaramente non è il suo ma
evidentemente è il loro, hanno scritto questo verbale e poi le hanno
chiesto di firmarlo, evidentemente?
AVV.
FRANCHINI - Non ha detto questo.
T.
- Io ho detto che loro mi hanno riferito di circostanze che
confermavano, anticipavano quello che volevano ottenere da me. Cioè
mi avevano dato una parvenza di verosimiglianza, di fondatezza, di
attendibilità che io ho trovato accettabile.
P.M.
- E quindi Lei è stato
in grado di ricostruire questo incontro con tutti questi particolari,
perché non è che Lei si è militato a dire: sì, c'era la riunione,
li ho visti, mah... forse... No, fa un bella descrizione dettagliata?
T.
- Nel verbale sembra che sia stata una recita di getto. E' stato il
frutto di una nottata intera di negoziazioni così, cosà, un po' di
più, un po' di meno. Non è stata una poesiola che io ho recitato, è
stata costruita pazientissimamente. Poi io ho detto: "Questo non
mi va". "Va be', adesso siamo tutti stanchi. Ci pensi, ci
dorma sopra e domani ne riparliamo". Ne abbiamo riparlato due
settimane dopo. Io non sto muovendo degli appunti, sa, a dei
Magistrati, non li ho mica accusati di falso.
P.M.
- Francamente io ho capito così.
T.
- Mi hanno indotto con elementi che erano attendibili a costruire...
l'abbiamo costruita insieme diciamo.
P.M.
- Appunto, avete
costruito insieme, cioè Lei, il Dottor Stiz e il Dottor Calogero
avete costruito insieme un falso verbale, è questo che Lei sta
dicendo?
T.
- Non un falso verbale, loro potevano essere convintissimi perché
dicevano che avevano un
mucchio di riscontri.
P.M.
- No, lasci perdere che
loro fossero convinti che queste cose fossero in realtà vere. Nella
misura in cui si costruisce questo racconto così dettagliato e
particolareggiato che Lei dice non essere vero, questo è un racconto
falso. Perché qui si dice che Lei, Pozzan, ha fatto queste cose; non
che quel giorno è accaduta quella cosa, che potrebbe essere vera in
astratto, no? Quindi avete costruito a tavolino un verbale falso.
Questa è la sua risposta?
T.
- Purtroppo.”
(p. 141-144).
[5]
Rauti, p. 14-17, ha ammesso che anche quella fu la ragione del
rientro.
[6]
In questo senso si è espresso Stimamiglio, p. 121-123, per
aver appreso quella ragione da Massagrande, Fachini, Spiazzi e
Signorelli, ma anche altri testimoni hanno confermato meno
specificamente quell’affermazione (Bonazzi, p. 107-108;
Calore, p. 188-189). Francia, p. 80, ha definito quella dell’
“ombrello protettivo” una vox populi, peraltro confermata
da Vinciguerra, il quale, p. 22 , ha parlato proprio della necessità
di “aprire l’ombrello”; Sermonti, p. 33, oltre ad indicare
le ragioni di comunanza politica, ha confermato che Rauti accennò
alla possibilità di iniziative giudiziarie nei confronti di ON, pur
non come prospettiva immediata e concreta).
[7]
Rauti, p. 22-23.
[8]
Rauti, p. 28-32.
[9]
Rauti, p. 42-44.
[10]
Rauti, p. 73-85. E’ interessante riportare il contenuto di quella
parte di deposizione:
“P.C.
AVV. SINICATO - L'Avvocato Forziati ha raccontato un certo episodio
che sarebbe avvenuto a Trieste, e ha detto di avere riferito a Lei
delle notizie che erano a sua conoscenza sugli autori di un attentato,
fortunatamente non portato fino in fondo, ma comunque è attentato,
attentato alla scuola... una scuola slovena. Lei si ricorda questa
vicenda; no?
I.R.C.
- No.
P.C.
AVV. SINICATO - No?
I.R.C.
- Non mi ricordo.
P.C.
AVV. SINICATO - Lei si ricorda di essere stato messo a conoscenza
della esistenza dell'avvenuto (sic) effettuazione di questo attentato?
I.R.C.
- Probabilmente lo lessi sui giornali, o fui interrogato in una di
queste vicende giudiziarie. Non ricordo, Avvocato.
P.C.
AVV. SINICATO - Perché Lei oggi ha detto che... ha escluso, a domanda
del Pubblico Ministero, che Ordine Nuovo, nell'ambito di Ordine Nuovo
vi potessero essere dei gruppuscoli, o delle persone che potevano
essere dedite a attività violente; Lei oggi lo ha escluso.
I.R.C.
- Non ho detto... come faccio ad escludere? Ordine Nuovo...
P.C.
AVV. SINICATO - Allora le domando...
I.R.C.
- Avvocato, aspetti, Ordine Nuovo è durato dal '56 al '69,
quattordici anni. Ci sono passati migliaia e migliaia di giovani; come
faccio ad escludere che uno, due, tre, cinque giovani abbiamo fatto o
siano incappati in vicende di violenza? Posso dire che qualcuno è
stato coinvolto, ed ognuno ha avuto la sua storia. Di quei pochi
coinvolti, quindici persone su quindicimila, di più che posso dire?
E` un'organizzazione che dura quindici anni, anche fosse, non lo so,
una... come dire? la Confraternita di San Vincenzo, su quindicimila
persone poi qualche caso, qualcosa succede a qualcuno, insomma, ecco.
…
P.C.
AVV. SINICATO - Quindi, scusi, quando Lei viene a sapere dei giornali
che vi è stato un atto terroristico a Trieste, e si reca a Trieste,
non si informa, atto terroristico che è addebitato a persone
appartenenti a Ordine Nuovo, non si informa, non si preoccupa?
I.R.C.
- Certo, ogni talvolta che ho avuto sentore di questo, ho cercato di
informarmi, e non ho mai avuto notizie precise o esatte, perché sennò
avrei proceduto. Il più duro contro elementi miei o ex miei
eventualmente coinvolti in queste vicende, il più duro sarei stato
io, perché venivano meno proprio allo stile che io avevo insegnato e
su cui ho scritto capitoli interi. Noi siamo quelli che lottiamo a
viso aperto, quindi niente terrorismo, niente... di questo tipo di
cose, ecco.
P.C.
AVV. SINICATO - Infatti Lei disse, in un interrogatorio del 3 agosto
'73 al Giudice Istruttore Buogo, disse su questo punto: "Se
avessi appreso che episodi di violenza di tale gravità fossero stati
posti in essere da elementi di Ordine Nuovo avrei dovuto intervenire
mediante accertamenti e consequenziali provvedimenti".
I.R.C.
- Certo.
P.C.
AVV. SINICATO - Poi dice: "Ricordo di aver saputo che Neami
Francesco, da me conosciuto, Ferraro Claudio e Bressan Claudio, anche
quest'ultimo da me conosciuto, erano stati implicati come imputati in
un processo per un atto terroristico. Del processo poi non ho saputo
più nulla, e quindi non sapevo che fossero stati prosciolti".
Quindi Lei seppe che erano stati implicati in un atto terroristico
Neami, Ferraro e Bressan?
I.R.C.
- Che erano accusati.
P.C.
AVV. SINICATO - Eh, prese provvedimenti a riguardo?
RISPOSTA
- Tutti i dirigenti, tutti i dirigenti di Trieste mi dissero che non
c'entravano niente. Io dissi: "Aspettiamo il procedimento".
P.C.
AVV. SINICATO - Le dissero che non c'entravamo niente?
I.R.C.
- Mi dissero tutti che non c'entravano niente.
P.C.
AVV. SINICATO - E come motivarono questa...?
I.R.C.
- Adesso non mi ricordo, siamo nel '73.
P.C.
AVV. SINICATO - Nel senso che le dissero che erano stati altri
probabilmente?
I.R.C.
- Che erano innocenti, che erano innocenti. Erano accuse montate dalla
stampa avversaria.
P.C.
AVV. SINICATO - E a Lei questo bastò?
I.R.C.
- Eh, bastò, certo, non mi tolse tutti i dubbi e...
P.C.
AVV. SINICATO - Quindi si preoccupò di questa situazione?
I.R.C.
- Eh?
P.C.
AVV. SINICATO - Si preoccupò di questa situazione?
I.R.C.
- Sì, dissi di continuare a seguire come andavano le cose perché non
era una situazione tranquillizzante, anche perché queste cose
accadevano in due o tre zone, sono accadute, nel Veneto diciamo,
altrove la struttura di Ordine Nuovo non ha avuto... non ha dato luogo
a rilievi, né a situazione di questo tipo, insomma, ecco. Invece fra
Trieste, Venezia, Padova e Verona si sono verificati questi episodi
sui quali poi si è inquisito, eccetera.
P.C.
AVV. SINICATO - Perché, vede, in questo interrogatorio però Lei
dice: "In ordine agli attentati di Trieste e Gorizia - quelli di
cui parliamo - desidero far presente che non ho mai saputo
niente".
…
P.C.
AVV. SINICATO - Se l'ammette la mia domanda è, allora: Lei si
preoccupò o non si preoccupò degli attentati di Trieste e Gorizia?
I.R.C.
- Se lo seppi ovviamente me ne preoccupai.
P.C.
AVV. SINICATO - Beh, Lei ha detto adesso che lo seppe, perché seppe
che Neami, Bressan e Ferraro erano imputati, e seppe dagli altri...?
I.R.C.
- Ma da chi lo seppi?
P.C.
AVV. SINICATO - Non lo so, l'ha detto Lei adesso che lo seppe, e seppe
dai dirigenti di Trieste, c'ha detto adesso, che però era
un'imputazione che...?
I.R.C.
- Quando ci fu l'imputazione sui giornali io non è che andai a
Trieste per questo; io andai a Trieste nel quadro di giri periodici
che facevo, capitava... e chiesi informazioni, e questi mi dissero:
"Sono assolutamente innocenti, ti faremo un rapporto",
eccetera eccetera. "Mah - dico - se è vera è una cosa
preoccupante, cosa succede? Datemi chiarimenti", eccetera. Basta,
tutto qui.
P.C.
AVV. SINICATO - Quindi Lei andò a Trieste per altre ragioni, ma in
quell'occasione chiese informazioni ai dirigenti triestini?
I.R.C.
- Sulla base delle notizie chiesi informazioni.
P.C.
AVV. SINICATO - Certo.
I.R.C.
- Ma, scusi, Lei che fa? E` un dirigente dell'organizzazione, legge su
un giornale che in una zona dove c'è una sua struttura degli elementi
giovani sono coinvolti in determinate vicende, che fa? Si informa,
chiede assicurazioni, le ottiene, resta più o meno soddisfatto.
Chiede un rapporto scritto, un'inchiesta interna, ecco, cerca di
capire come sono andate le cose.
P.C.
AVV. SINICATO - E` proprio quello che ha fatto Forziati, sa? Forziati
andò da Lei, ci dice, per riferirle le notizie che lui sapeva circa
quegli attentati che riguardavano...?
I.R.C.
- Forziati mi disse una cosa, mi avrà detto una cosa, altri mi
dissero cose contrarie, eh, sa, qualcuno dice la sua versione. Io
chiesi di intervenire, di chiarire bene le cose per prendere i
provvedimenti adeguati, di avere un rapporto, una relazione, poi ne
avremmo discusso come direzione del partito. Altro non ricordo,
sinceramente. Non ricordo neanche se furono condannati, se furono
assolti quelli lì, quelli di Trieste.
P.C.
AVV. SINICATO - Certo, ma le persone che Forziati invece le indicò
come gli autori effettivi di quell'attentato, a quanto a sua
conoscenza, Lei li apprese da Forziati, secondo... Forzati le disse
questi nomi?
I.R.C.
- Non è che uno, non è che uno... se viene un dirigente, bisogna
vedere anche che tipo è, che elemento è, che peso ha, quali animosità
personali possono muovere, quali polemiche pregresse ci possono essere
state. Può anche darsi che mi abbia detto: "Quelli secondo me
hanno commesso queste cose". Io ho detto... gli avrò detto:
"Forziati, la cosa è molto grave, scrivimele, mandale, mi
informerò".
P.C.
AVV. SINICATO - Quindi Lei fece anche un minimo di indagine sul
Forziati per capire chi era che le faceva queste...?
I.R.C.
- Ma io, almeno, lo conoscevo Forziati, insomma, non era un tipo molto
- come dire? - era un tipo molto polemico con tutti, stava sempre in
polemica con tutti, quindi non è che fosse un dirigente centrale
molto - come dire? - qualificato, ecco.
P.C.
AVV. SINICATO - Perché Lei in questo interrogatorio sul punto dice:
"Non credo assolutamente che il Forziati Gabriele abbia in
quell'occasione riferito a me di avere appreso dal Portolan che autore
del fallito attentato alla scuola slovena, eccetera eccetera fossero
stati Siciliano e Delfo Zorzi, ciò dico in quanto, da una parte io
non ricordo affatto che si sia tenuto un tale colloquio, e dall'altra,
data la sua rilevanza, indubbiamente avrei dovuto adesso
ricordare".
[11]
Minetto, p. 18, ha
affermato che il suo rapporto con i Soffiati, di cui non ha ricordato
neanche i nomi di battesimo, fu determinato dal fatto che al rientro
in Italia andò a vivere a Colognola ai colli, precisando che entrò a
casa Soffiati solo un paio di volte per effettuare riparazioni al
frigorifero (p. 24) e una volta andò in trattoria ma sempre per
motivi di lavoro (p. 28). Quanto agli altri esponenti della destra, la
loro conoscenza fu determinata dal rapporto con Soffiati, presso la
cui trattoria incontrò Bandoli (p. 33) e tramite il quale conobbe
Persic (p. 31) e Maggi (p. 40-41).
[12]
Minetto, p. 18.
[13]
Minetto, p. 33, ha così descritto Bandoli:
“P.M.
- Senta, Lei ha conosciuto Bandoli?
T.
- Bandoli era uno che faceva servizio agli americani, veniva sempre a
Colognola.
P.M.
- Al servizio di quali americani?
T.
- Americani.
P.M.
- Di quali americani?
T.
- Di quelli che erano lì a Passalacqua.
P.M.
- A Verona?
T.
- Sì.
P.M.
- E cosa veniva a fare a Colognola?
T.
- Era amico di Soffiati.
P.M.
- Quindi, l'ha conosciuto attraverso Soffiati o lo conosceva già?
T.
- No, l'ho conosciuto attraverso Soffiati perché metteva la macchina
lì.
P.M.
- Cioè, uno di quegli americani che quando arrivavano non si poteva
frequentare la casa di Soffiati padre?
T.
- Sì, quando c'era lui c'erano anche gli altri.
P.M.
- E Lei come mai, invece, aveva avuto la possibilità di conoscerlo,
visto che il Soffiati padre non voleva che si andasse a casa sua
quando c'erano gli americani?
T.
- Perché Bandoli veniva anche da solo lì, allora quando
veniva da solo stava lì fuori sotto il piazzale.
P.M.
- Sulle panchine, su quelle panchine che diceva davanti alla casa di
Soffiati?
T.
- Sì, è lì che l'ho conosciuto.
P.M.
- Sulla panchina?
T.
- Sì, di fuori.
P.M.
- Ha avuto poi occasione di frequentarlo o no?
T.
- No, io sono andato una volta quando si è sposata, o ha fatto il
coso la figlia.
P.M.
- Non ho capito, è andato una volta quando?
T.
- La figlia si doveva spostare.
P.M.
- La figlia di Bandoli.
T.
- Di Bandoli, ed allora
aveva fatto la festa in un bar.
P.M.
- A Verona o a Colognola?
T.
- A Verona, allora, è
stato Persic che è venuto, è passato da me e ha detto "devi
venire anche tu stasera che c'è il rinfresco", io dico "ma
il rinfresco di chi", "è il rinfresco della figlia di
Bandoli". Però io sono andato che era verso le nove di sera,
perché non potevo andare prima.
P.M.
- Ma a parte questo rinfresco ha avuto occasione di
frequentarlo qualche altra volta?
T.
- No, no sono andato solo quella volta lì.
P.M.
- Ma lo conosceva già quando è andato al rinfresco?
T.
- Chi? Bandoli?
P.M.
- Lei Bandoli lo conosceva già quando è andato al rinfresco?
T.
- Sì, sì.
P.M.
- Quindi, l'ha visto una volta sulle panchine davanti alla casa di
Soffiati padre...
T.
- 2 o 3 volte, perché era sempre a Colognola, la domenica era sempre
lì.
P.M.
- Ma Lei non ci andava quando c'era lui però, se non ho capito male.
T.
- Quando c'erano le altre macchine.
P.M.
- Quando era da solo sì, invece?
T.
- Quando era da solo era sempre lì fuori.
P.M.
- E poi dopo l'ha visto a questo rinfresco?
T.
- Sì.
P.M.
- All'interno della caserma mai?
T.
- No, no mai.”
[14]
Minetto, p. 24.
[15]
Minetto, p. 28-30.
[16]
Minetto conobbe Persic a casa Soffiati (anche se aveva dichiarato in
precedenza di esservi entrato solo una o due volte e sempre per
riparare frigoriferi) e lo frequentò occasionalmente (ancora solo un
paio di volte) – p. 31-32. Non ricorda di aver conosciuto Benito
Rossi, pur non escludendo di averlo potuto conoscere a Colognola ai
colli (p. 35).
[17]
Minetto, p. 36-38.
[18]
Minetto, p. 35-36
[19]
Minetto, p. 38-40.
[20]
Minetto, p. 48.
[21]
Minetto, p. 49.
[22]
Minetto, p. 52.
[23]
Minetto, pp. 21-22, ha così ricostruito la sua frequentazione della
caserma:
“T.
- E poi ho lavorato lì 2 anni da questo Aldegheri, che era quello che
forniva gli americani di frigoriferi ed arredamenti per bar.
P.M.
- Cosa vuol dire che forniva gli americani?
T.
- Perché lui...
P.M.
- No, è questo "gli americani" in generico che volevo
capire?
T.
- Faceva frigoriferi, armadi per cucina e banchi bar, e ha fornito
anche gli americani di quel prodotto lì.
P.M.
- Cioè americani?
T.
- A Verona.
P.M.
- Immigrati in Italia? Cioè, famiglie americane che erano immigrate
in Italia?
T.
- Era la Passalacqua di Verona, erano americani eh.
P.M.
- Ma forniva la caserma, o riforniva le famiglie?
T.
- Forniva gli americani di banchi bar, perché c'erano i bar dentro.
P.M.
- Quindi la caserma in sostanza?
T.
- Sì la caserma.
P.M.
- Era per capire.
T.
- Era una caserma, era la Passalacqua che adesso è passata al Comune
di Verona.
P.M.
- E quindi, poi ha sempre lavorato per questo signore, quindi?
T.
- Ho lavorato fino al '62 per questo signore, '63, poi mi sono messo
per conto mio.
P.M.
- Per conto suo che cosa faceva?
T.
- Riparavo frigoriferi.
P.M.
- Ha continuato anche a riparare frigoriferi anche per gli americani,
come ha detto Lei?
T.
- No basta, perché quando si lavorava per la ditta Aldegheri ci
faceva il permesso per andare dentro a lavorare, perché non c'ero
mica solo io, c'erano i falegnami, c'erano gli idraulici, c'erano
elettricisti che davano dentro a lavorare, ed io ero addetto al frigorifero.
P.M.
- Quindi, scusi, per capire, Lei ha avuto occasione di entrare in
questa caserma fino al '62, '63 se non ho capito male?
T.
- Sì.
P.M.
- Successivamente mai più?
T.
- No basta.
P.M.
- Ha avuto occasione di entrare anche nella base di Affi?
T.
- No mai. Ossia, una volta sono entrato perché sono dovuto andare
nella cucina di quella base lì, perché c'era un frigorifero che non
funzionava, e siccome era stato (pp.ii. pronuncia non chiara) dalla
ditta Aldegheri, allora sono andato dentro a vedere cosa aveva questo
frigorifero.”
[24]
Così Giraudo, u. 15.12.2000, p.
142.
[25]
Minetto, p. 19-20, ove ha dichiarato che vi si recò solo per
incontrare qualche vecchio commilitone.
[26]
Minetto, p. 73-75.
[27]
Anche Minetto è stato uno di quei testimoni che hanno addebitato a
Giraudo comportamenti se non illegittimi, scorretti. Secondo il teste
Giraudo, negli intervalli dell’interrogatorio svolto dal P.M. e dal
G.I. di Milano, lo avrebbe invitato ad ammettere la sua appartenenza
ai servizi segreti e ad invocare il segreto di Stato. La Corte non può
che ribadire l’assoluta inverosimiglianza di tale affermazione, che
si fonda su un assunto (cioè la scorrettezza di Giraudo nello
svolgimento delle indagini) smentito costantemente in questo
dibattimento, dal quale è emersa una professionalità e correttezza
dell’ufficiale dei Carabinieri incompatibile con tutte le illazioni
o le accuse esplicite a lui rivolte da imputati e testimoni
inattendibili. Giraudo ha certamente prospettato a Minetto i vantaggi
che gli sarebbero potuti derivare da una collaborazione con
l’autorità giudiziaria, ma è del tutto inverosimile che
l’ufficiale abbia indotto il teste a non rivelare le circostanze a
sua conoscenza prospettando il suo diritto al segreto (del tutto privo
di fondamento).
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