inserito in Diritto&Diritti nel gennaio 2002

PROCESSO PIAZZA FONTANA: -Sentenza della Corte d'Assise di Milano n. 15/2001, del 30 giugno 2001 e depositata il 19 gennaio 2002.

Capitolo 11

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>Indice

 

11 – Le responsabilità degli imputati e il concorso con Freda e Ventura. L’elemento soggettivo del delitto di strage. Conclusioni.

Questo capitolo contiene la ricostruzione riassuntiva della posizione dei quattro imputati del delitto di strage contestato al capo A), fondata esclusivamente sugli elementi di prova acquisiti nel processo e trattati nei capitoli precedenti.

Per quanto riguarda Maggi e Zorzi, l’articolata illustrazione degli elementi di prova valutati nei precedenti capitoli consente di limitare la trattazione delle loro posizioni senza svolgere ulteriori considerazioni rispetto a quanto già osservato, ritenendosi che il quadro probatorio acquisito a loro carico sia stato criticamente valutato e consenta perciò la sua ricostruzione con la sola enunciazione dei fatti accertati.

Va, comunque, rilevato che gli elementi probatori posti a fondamento della pronuncia di penale responsabilità di Maggi e Zorzi non consistono solo negli episodi descritti da Digilio e Siciliano e riscontrati nel processo, perché, come anticipato in conclusione del precedente capitolo, se spesso è stato possibile acquisire elementi di prova che direttamente hanno confermato ciascuno degli episodi descritti dai collaboratori, anche quando ciò non è accaduto, le indicazioni da costoro rese sono entrate a far parte del materiale probatorio di valutazione della responsabilità. L’art. 192, comma 3 c.p.p. non impone, infatti, al giudice di valutare in modo parcellizzato le indicazioni accusatorie provenienti dai collaboratori (come talvolta invocato dalle difese), ma consente di ritenere riscontro di un’accusa le indicazioni fornite da altro dichiarante su episodi distinti da quello oggetto della verifica, ma che, per essere con lo stesso convergente, ne confermano ab estrinseco l’attendibilità.

Così, quando Siciliano ha descritto le riunioni della primavera del 1969 alla libreria Ezzelino, quegli episodi, sui quali non è stata acquisita una prova autonoma[1] sono stati riscontrati in modo specifico dalle indicazioni di Digilio sugli accessi al casolare di Paese, da quelle di Vianello sul progetto che in quei mesi Zorzi stava realizzando attraverso il coordinamento dei gruppi ordinovisti veneti, da quelle di tutti i mestrini sull’ideologia eversiva propugnata dallo stesso Zorzi, dalle molteplici indicazioni testimoniali che hanno descritto i rapporti in atto tra i veneziani-mestrini e i padovani Freda, Ventura e Fachini.

Ancora, quando Digilio ha descritto l’incontro con Zorzi della fine di ottobre del 1969, quelle indicazioni sono state riscontrate in modo specifico dalle dichiarazioni di Siciliano sulla disponibilità di gelignite da parte di Zorzi anche dopo gli attentati di Trieste e Gorizia, dalle indicazioni di Fabris sulla collaborazione tecnica che in quel periodo prestò in favore di Freda e Ventura, dall’insieme di dichiarazioni che hanno delineato il rapporto politico tra i veneziani-mestrini e i padovani.

Quindi, in applicazione dei principi illustrati nel capitolo 3 e più volte richiamati nel corso della motivazione, gli elementi di responsabilità a carico  di Maggi e Zorzi, sono stati valutati ciascuno autonomamente ma anche nel loro concatenarsi e riscontrarsi a vicenda.

Nel paragrafo dedicato a Zorzi si affronterà anche la specifica questione prospettata dalla difesa nella parte conclusiva del dibattimento e genericamente definibile come l’alibi dell’imputato per settimana tra il 6 e il 12 dicembre 1969.

Per quanto riguarda Carlo Digilio, le considerazioni che si svolgeranno nel paragrafo a lui dedicato riguardano la valutazione della condotta accertata a suo carico, essenzialmente nei termini dallo stesso descritti, atteso che egli ha confessato la partecipazione alle attività eversive del 1969, compresi gli attentati del 12 dicembre. Quella confessione dovrà però essere verificata alla luce degli altri elementi probatori acquisiti a riscontro, soprattutto al fine di delineare la materialità della sua condotta delittuosa.

La posizione di Rognoni meriterà un approfondimento specifico, atteso che sarà indispensabile svolgere la valutazione congiunta degli elementi di prova acquisiti a suo carico ed illustrati nei paragrafi 8d, 8d1, 8d2 e 10m.

Prima di concludere il capitolo con la valutazione dei profili soggettivi della condotta delittuosa accertata, si svolgeranno brevi considerazioni sugli elementi di prova acquisiti a carico di Freda e Ventura in relazione allo stesso fatto, parte dei quali emersi solo in questo processo, e la cui rilevanza deriva dall’essere costoro accusati di aver concorso con Maggi, Zorzi, Digilio e Rognoni nella organizzazione, preparazione e realizzazione degli attentati del 12 dicembre 1969.

Infine, è opportuno svolgere sintetiche osservazioni sulla sussistenza oggettiva del delitto di strage contestato. Come già rilevato in altra parte della motivazione, dei cinque attentati del 12 dicembre, nel capo d’imputazione sono contestati i due episodi di Milano e quello della BNL di Roma, in relazione ai quali la sussistenza sotto il profilo oggettivo della fattispecie di strage è emersa in modo incontestabile. La collocazione degli ordigni descritti nelle perizie (analizzate nel precedente capitolo, pur solo con specifico riferimento agli attentati milanesi) e la previsione della loro esplosione (effettivamente avvenuta all’interno del salone centrale della BNA di piazza Fontana di Milano e nella BNL di Roma) determinò il concreto pericolo per l’incolumità pubblica. L’ esplosione degli ordigni fu il momento in cui quel pericolo si concretizzò, così rendendo incontestabile la sussistenza dell’elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice previsto all’art. 422 c.p.

Anche con riferimento alle circostanze aggravanti (la morte di più persone e la pluralità di concorrenti nel reato) è sufficiente richiamare gli accertamenti esposti nel capitolo 2, compiuta nel procedimento di Catanzaro, nonché le considerazioni svolte nel precedente capitolo sulla responsabilità di Maggi, Digilio, Zorzi, Rognoni, Freda e Ventura, per ritenere sussistenti entrambe.

 

11 a – La posizione di Maggi.

La valutazione della posizione di Maggi non può che prendere le mosse dalla definizione del ruolo che costui assunse nell’ambito della strategia eversiva attuata, a partire dal 1969, dai gruppi ordinovisti veneti in collaborazione con altri sodalizi aventi la medesima ispirazione politica.

Nel capitolo 8 si è definito Maggi l’ideologo del gruppo di ON di Venezia-Mestre, essendosi concretato quel ruolo nella partecipazione agli incontri di elaborazione della linea politica eversiva dei sodalizi veneti, dapprima presso la libreria Ezzelino di Padova poi nella sede di via Mestrina a Venezia. A partire dal 1969 le posizioni politiche di Maggi furono in modo continuativo caratterizzate dall’adesione alla strategia stragista, ma è stato accertato che anche in epoca successiva egli fu coinvolto nelle attività terroristiche di ON[2].

Con specifico riferimento agli episodi del 1969, nel capitolo 9 si è ricostruito il coinvolgimento di Maggi negli attentati ai treni e in quelli di Trieste e Gorizia, nonché la sua partecipazione agli incontri di elaborazione della strategia eversiva insieme ai padovani Freda e Ventura.

Nel capitolo 10 si sono valutati criticamente gli episodi specificamente riferibili agli attentati del 12 dicembre, dall’accertata conoscenza degli accessi di Digilio al casolare di Paese[3], all’incontro con Zorzi dopo gli attentati di Trieste e Gorizia[4], all’incontro del 6 dicembre[5], alla disponibilità da parte di Zorzi dell’autovettura Fiat 1100, utilizzata per trasportare l’esplosivo da Venezia a Milano[6], all’incontro di Natale con Digilio e Soffiati[7], fino all’incontro con Digilio del 1978-1979[8].

A fronte del descritto quadro probatorio, non sarebbe necessario svolgere ulteriori considerazioni sulla penale responsabilità dell’imputato per il delitto di strage. Maggi fu l’artefice della strategia eversiva culminata negli attentati del 12 dicembre, operando, nella sua veste di capo indiscusso del gruppo ordinovista di Venezia e Mestre, come teorico della funzione eversiva dell’attività terroristica ed espresse in diversi contesti l’idea di fondo della strategia della tensione, cioè la necessità di attuare un escalation di violenza indiscriminata nei confronti dei cittadini, finalizzata alla creazione di uno stato di tensione che legittimasse l’intervento autoritario di forze istituzionali politiche e militari.

Ma vi è di più.

Nell’ambito delle attività eversive del 1969, Maggi deliberò quelle azioni terroristiche, partecipando alle riunioni di quella primavera, proseguendo nell’attuazione dell’iniziativa eversiva con gli attentati ai treni e con quelli di Trieste e Gorizia.

Certamente, con riferimento agli attentati del 12 dicembre, la circostanza apparentemente più significativa a carico di Maggi è rappresentata dalla disponibilità da parte di Zorzi dell’autovettura Fiat 1100, ma quell’episodio rappresenta la naturale conclusione di un insieme  di condotte tutte coerenti con la specifica indicazione della responsabilità dell’imputato nella deliberazione, organizzazione ed esecuzione di quegli attentati.

Proprio nei giorni immediatamente precedenti alla strage, Maggi preannunciò a Digilio gli avvenimenti che presto si sarebbero verificati, sollecitandolo ad avvisare i militanti veneziani perché non tenessero armi in casa, onde evitare il loro rinvenimento nel corso di perquisizioni che sarebbero potute intervenire nei giorni seguenti, e si precostituissero un alibi, manifestando la piena consapevolezza di quanto sarebbe accaduto.

Ancora, negli incontri con Digilio successivi al 12 dicembre, Maggi ribadì il proprio coinvolgimento negli attentati, rivendicandone la paternità per conto del gruppo di cui era il leader e giustificando con la logica politica le vittime della strage di piazza Fontana[9].

Sotto il profilo materiale, la condotta ascritta a Maggi è stata incontestabilmente provata in forza degli elementi descritti nei capitoli 8, 9 e 10 (e in questo paragrafo riassuntivamente illustrati), avendo egli partecipato a livello ideativo alla strategia eversiva attuata dal nucleo di militanti ordinovisti veneti di cui era uno dei leader e di cui gli attentati del 12 dicembre 1969 furono il momento culminante. La definizione di “mandante” è un’espressione sintetica che non descrive appieno il ruolo assunto da Maggi nella vicenda delittuosa qui valutata, essendo egli stato uno dei artefici di quegli attentati, non coinvolto nelle fasi di preparazione ed esecuzione materiale, ma comunque pronto a fornire il suo contributo attraverso l’offerta disponibilità dell’autovettura, utilizzata sia negli attentati di Trieste e Gorizia che in quelli del 12 dicembre. Il suo contributo causale nella vicenda delineata nel capo d’imputazione è stato, in forza degli elementi illustrati, decisivo sia sotto il profilo della deliberazione che nella fase attuativa della strage.

 

11 b – La posizione di Zorzi.

In conclusione del dibattimento sono  risultati accertati alcuni fatti che definiscono il contesto nel quale va ricostruita e valutata la chiamata in correità nei confronti di Delfo Zorzi per gli attentati del 12 dicembre 1969:

- dalla metà degli anni ’60 Zorzi svolse attività politica nell’ambito del Centro studi ON di Venezia-Mestre, assumendo in quel sodalizio il ruolo indiscusso di leader;

- in particolare, Zorzi svolse attività politica violenta ed eversiva, atteso che, a partire dal 1965, impresse al gruppo ordinovista mestrino una caratterizzazione politica progressivamente violenta ed eversiva. Quel “crescendo” è stato ripercorso nel capitolo 8, e si concretò nella formazione di un gruppo di giovani militanti di destra che nel 1965 aderì prima alla Giovane Italia e quindi ad ON, nella “scrematura” dei militanti non adatti a svolgere attività politica violenta, nell’approvvigionamento di armi ed esplosivi[10], nell’attuazione di quella politica attraverso gli scontri di piazza e la preparazione agli attentati dimostrativi[11], nella loro realizzazione di quelle azioni violente[12].

- infine, Zorzi teorizzò e attuò l’iniziativa politica stragista, assumendo, insieme a Maggi, il ruolo di ideologo della strategia terroristica di quel sodalizio, dapprima, con la “svolta” della fine del 1968, quando, rientrato da Napoli, coordinò i gruppi  ordinovisti operanti nel Veneto che condividevano la medesima impostazione politica eversiva, quindi, partecipò alle riunioni di elaborazione dell’iniziativa politica dei gruppi veneziano, mestrino e padovano, fu coinvolto negli attentati del 1969 preparatori della strage di piazza Fontana[13]. Zorzi, anche in epoca successiva agli attentati dell’ottobre 1969, aveva disponibilità di materiale esplosivo[14], e, in funzione della prosecuzione dell’attività terroristica, attivò la collaborazione con Rognoni[15].

- dal 1970 in avanti l’impegno politico di Zorzi non cessò (come invece dedotto dall’imputato nel corso delle spontanee dichiarazioni di Parigi e ribadito dai suoi difensori in alcune parti delle arringhe). Numerosi testimoni hanno confermato la permanenza dei rapporti politici di Zorzi con i gruppi ordinovisti e il suo coinvolgimento in azioni violente ed eversive. Nel marzo 1970 progettò l’attentato al COIN di Mestre ed intensificò i rapporti con Freda e Fachini da un lato e con Rognoni dall’altro, consolidando quella comunanza politica attivata nel 1969. Nel 1971 Zorzi e Maggi proposero a Vinciguerra di realizzare l’attentato contro Rumor e in quell’anno i rapporti con i milanesi del gruppo La Fenice furono particolarmente intensi. Nel 1973 Zorzi era ancora il leader del gruppo mestrino aderente al Movimento politico ON (nella prospettiva, più volte ricordata, di continuità tra l’esperienza del Centro studi e quella dei gruppi che, rientrati o meno nell’MSI, proseguirono l’iniziativa politica ordinovista), e, ancora in quell’anno, chiese a Vinciguerra un aiuto per far espatriare Freda e nell’estate si rivolse a Digilio per organizzare l’evasione di Ventura. Dal 1973 fino al 1977 Zorzi proseguì l’attività politica eversiva attivando un rapporto privilegiato con Fachini, tanto che aderì al Movimento politico ON. Quindi, l’affermazione difensiva secondo la quale sarebbe stata accertata (prima ancora che in questo, nel processo conclusosi con la sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte d’assise d’appello di Venezia il 5.4.1989) l’interruzione di qualsiasi rapporto di Zorzi con l’ambiente politico di destra a partire dal 1970 e, definitivamente nel 1971, quando si recò per la prima volta in Giappone, è stata smentita dalle numerose indicazioni testimoniali acquisite nel processo, ulteriori rispetto a quelle dei collaboratori Siciliano, Digilio e Vinciguerra. Vianello, Falica, gli stessi Rognoni e Freda, hanno confermato la permanenza dei rapporti politici di Zorzi non tanto con le strutture dell’MSI, quanto con i militanti della destra che continuarono a propugnare l’ideologia ordinovista. E’ singolare che la difesa Zorzi abbia richiamato, a fondamento della propria tesi, le affermazioni della Corte d’assise d’appello veneziana, secondo la quale dalla fine del 1968 l’imputato, pur essendo sottoposto a costanti controlli di polizia, non risultò essere stato coinvolto in azioni delittuose o illecite. In questo processo è stato accertato che fu proprio dal novembre 1968 che l’iniziativa politica di Zorzi si caratterizzò per la natura violenta ed eversiva, con la disponibilità e l’uso di armi ed esplosivi, la violenza contro i militanti dell’opposto schieramento politico, il coinvolgimento in azioni terroristiche, quali gli attentati di Trieste e Gorizia.

Questo è il contesto accertato nel processo, che riguarda il periodo precedente e successivo al dicembre 1969. In quest’ambito deve essere valutata la chiamata in correità per la strage di piazza Fontana, con specifico riferimento alla quale, le prove a carico di Zorzi sono state illustrate e valutate criticamente nel capitolo 10. E’ stata delineata la condotta materiale ascritta all’imputato, di ideazione, organizzazione ed attuazione materiale degli attentati. L’incontro di Zorzi con Digilio della fine di ottobre del 1969 e quello del Canal Salso (non a caso valutati congiuntamente e riferiti per la prima volta da Digilio nello stesso interrogatorio del 16.5.1997) rappresentano uno snodo importante nella valutazione della sua posizione, atteso che quegli episodi costituirono la prova del suo coinvolgimento nella fase attuativa degli attentati, ma non si può ignorare che Zorzi era già stato indicato come uno degli ideatori ed organizzatori di quelle azioni terroristiche. Gli episodi riferiti da Digilio e Siciliano, descritti nel precedente capitolo hanno delineato il ruolo assunto da Zorzi nella vicenda[16].

In conclusione è stata accertata la condotta materiale ascritta a Zorzi, causalmente determinante l’evento del delitto di strage. Si badi, non si intende affermare che Zorzi fu colui che materialmente depose l’ordigno alla BNA di piazza Fontana o alla Banca Commerciale di piazza della Scala, perché nel processo non è stato acquisito alcuno specifico elemento di prova che consenta di individuare i responsabili di quella condotta, ma le indicazioni fornite da Digilio e Siciliano hanno delineato la partecipazione diretta di Zorzi alla fase esecutiva del progetto delittuoso che lo stesso imputato aveva ideato ed organizzato, partecipazione che non è stata specificamente definita (perché i dichiaranti non appresero una notizia precisa sul punto) ma che inequivocamente rappresentò un contributo decisivo anche in quella fase di attuazione.

All’udienza del 2.4.2001 la difesa Zorzi, tra le altre istanze istruttorie formulate ex art. 507 c.p.p., ha richiesto l’audizione come testimone del signor Carmelo Coglitore, il quale in data 21 marzo 2001 aveva inviato allo studio di uno dei due legali di Zorzi una lettera nella quale affermava di essere a conoscenza di circostanze importanti per il processo. Il 26 marzo Coglitore era stato sentito a sommarie informazioni dal difensore ex art. 391 bis c.p.p., riferendo circostanze “di assoluto rilievo e di importanza per la posizione del dottor Delfo Zorzi”, relative alla sua permanenza a Napoli nel periodo 6-11 dicembre 1969[17].

Quel difensore ha precisato che, a suo parere, quella istanza non avrebbe dovuto essere valutata secondo i parametri di cui all’art. 507 c.p.p., atteso che la circostanza oggetto di prova era stata conosciuta dalla difesa solo il 26 marzo 2001, per cui la sua ammissibilità si fonderebbe sulla previsione di cui all’art. 493, comma 2 c.p.p.

Il difensore ha quindi ricostruito sinteticamente la deposizione di Coglitore, il quale gli riferì che nel 1969 era uno studente universitario a Napoli e, essendo aderente del Centro studi ON di Messina, sua città di origine, aveva partecipato alle attività di quel gruppo anche durante il periodo universitario trascorso nella città partenopea. In quegli anni anche Zorzi aveva frequentato saltuariamente il Centro studi e per questo Coglitore aveva avuto con lui un rapporto sia sul piano politico che di amicizia. Tra la fine di novembre e i primi giorni di dicembre del 1969, Coglitore aveva conosciuto una ragazza che si chiamava Immacolata, con cui aveva intrattenuto una breve relazione sentimentale, terminata alla fine di quell’anno e l’8 dicembre 1969 aveva festeggiato l’onomastico insieme alla ragazza.

Assumendo quell’episodio come punto di riferimento per il suo ricordo, Coglitore riferì al difensore che il 6 dicembre di quell’anno, avrebbe dovuto tenere una conferenza presso il Centro studi ON di Pozzuoli, ma durante quell’incontro, al quale era  presente anche Zorzi, era stato colpito da un attacco di gastrite che gli aveva impedito di svolgere la relazione ed era stato riaccompagnato a Napoli proprio da Zorzi. Dopo quei giorni, Coglitore si era recato al suo paese d’origine a trovare la madre e aveva fatto rientro a Napoli solo al termine delle vacanze natalizie, quando, incontrato nuovamente Zorzi, commentò con lui la strage di Milano ricordando che, proprio nei giorni in cui gli attentatori stavano progettando l’attentato, loro si erano incontrati a Pozzuoli[18].

Passando quindi a valutare l’istanza istruttoria, deve premettersi che i criteri di ammissione della stessa non possono essere quelli ordinari previsti dall’art. 493, comma 2 c.p.p.. Infatti, la fase in cui è intervenuta la richiesta della difesa (cioè dopo l’esaurimento dell’istruttoria dibattimentale) impone al giudice di utilizzare i parametri indicati all’art. 507 c.p.p. Nel corso del dibattimento le parti hanno formulato istanze istruttorie ulteriori rispetto a quelle definite con l’ordinanza del 7.4.2000, alcune ai sensi dell’art. 493, comma 2 c.p.p., e la Corte ha provveduto in base agli ordinari criteri di ammissione delle prove. Ma il termine sancito dall’art. 507 c.p.p., pone due limiti di valutazione della prova, uno temporale, individuato nell’esaurimento dell’istruttoria dibattimentale, l’altro di merito, imponendosi al giudice di compiere una valutazione complessiva del materiale probatorio acquisito e di verificare se le nuove prove siano, in rapporto alla completezza dell’istruttoria, assolutamente necessarie.

Ciò premesso, la valutazione dell’istanza, quali che siano i criteri utilizzati, si conclude con un giudizio di irrilevanza della prova richiesta.

Dalla ricostruzione della deposizione testimoniale del Coglitore, che il difensore di Zorzi ha con precisione compiuto illustrando l’istanza, risultano alcune circostanze che quel dichiarante avrebbe potuto introdurre nel processo:

- il 6 dicembre 1969 Coglitore vide Zorzi a Napoli;

- da quell’incontro lo rivide dopo le vacanze di Natale;

- il ricordo di quell’incontro si è fissato nella sua memoria grazie  a due circostanze, l’attacco di gastrite che subì durante la conferenza che doveva tenere e la conoscenza in quei giorni di una ragazza con la quale intrattenne una breve relazione sentimentale, che si chiamava Immacolata e con la quale festeggiò l’onomastico.

Prima di verificare se tali circostanze siano decisive (o rilevanti) in rapporto alle prove acquisite nel processo, non si può tacere che è alquanto singolare l’atteggiamento di Coglitore, il quale, dopo un procedimento durato molti anni e un dibattimento di oltre un anno, fasi processuali che la stampa ha ampiamente pubblicizzato con resoconti puntuali del contenuto degli accertamenti via via emersi, al termine dell’istruttoria dibattimentale ha comunicato ai difensori di Zorzi di essere a conoscenza di circostanze importanti per la posizione processuale dello stesso. Si badi, Coglitore aveva da riferire un incontro avvenuto con Zorzi il 6 dicembre, cioè sei giorni prima degli attentati di Milano e Roma, per cui la rilevanza dell’episodio non poteva essere evidente per chi fosse estraneo al processo. Ma quel che la Corte ritiene ancor più singolare (quasi fuori dal comune) è la capacità del dichiarante di ricordare a distanza di oltre 30 anni due episodi della sua vita così insignificanti, quali un attacco di gastrite e una relazione sentimentale durata meno di un  mese.

Ma a prescindere da queste perplessità, la questione dirimente per ribadire l’assoluta irrilevanza della deposizione di Coglitore è la valutazione dell’istruttoria dibattimentale svolta nell’arco di un anno di udienze, che è stata ritenuta dalla Corte completa e le cui risultanze non avrebbero potuto essere inficiate dall’accertamento dell’unica circostanza delle dichiarazioni di Coglitore apparentemente interessante il processo, cioè la presenza di Zorzi a Napoli il 6 dicembre.

La difesa ha argomentato che, se Zorzi quel giorno era a Napoli, deve desumersi l’assoluta inverosimiglianza dell’affermazione di Digilio sulla sua presenza a Mestre la sera del 7 dicembre, tesi del tutto priva di fondamento logico, perché smentita proprio dalla ricostruzione che è emersa nel processo dello “stile di vita” dell’imputato in quel periodo di permanenza all’università di Napoli. E’ sufficiente richiamare una testimonianza non sospetta (sia perché resa quasi trent’anni fa, sia perché proveniente da una persona del tutto estranea all’ambiente dei protagonisti di questo processo), cioè quella  della Garofano, la quale nel 1973 riferì che Zorzi fu ospite della sua pensione tra la fine del 1968 e i primi mesi del 1969[19] e che questi era un giovane che spesso si allontanava da Napoli per recarsi a Roma e a Venezia, tanto che non pernottò per più di 15 giorni al mese nel suo alloggio[20]. Questa affermazione è stata confermata da numerosi testimoni mestrini (Siciliano, Vianello fra tutti) e dimostra che Zorzi in quel periodo era solito spostarsi tra Napoli, Roma e Venezia (ma anche Milano, come dichiarato ancora dai mestrini) per gestire le attività politiche del gruppo di cui era il leader. Ma di questo profilo della vita dell’imputato in quegli anni si è ampiamente trattato nel capitolo 8, per cui è qui sufficiente richiamare gli accertamenti compiuti.

Se Zorzi in quel periodo trascorreva la sua vita tra Napoli e Venezia (con le significative soste a Roma), la circostanza che il 6 dicembre avesse incontrato Coglitore (sempre che si voglia ritenere la sua memoria talmente vivida da ricordare la data precisa di quell’evento, che potrebbe essersi verificato qualche giorno prima il 6 dicembre) non determinerebbe il giudizio di inverosimiglianza della ricostruzione dell’episodio del Canal Salso da parte di Digilio e, pertanto, l’istanza va ritenuta del tutto irrilevante.

 

11 c – La posizione di Digilio.

La valutazione conclusiva della posizione di Carlo Digilio è, da un lato più definita di quelle esaminate nei paragrafi che precedono, dall’altro deve confrontarsi con l’atteggiamento assunto dal collaboratore nel ricostruire il proprio coinvolgimento nelle vicende eversive descritte e in particolare negli attentati del 12 dicembre. In questa parte riassuntiva è sufficiente richiamare le considerazioni svolte nei tre capitoli precedenti in ordine al ruolo assunto dal collaboratore nell’ambito del gruppo ordinovista veneziano. Digilio ha sostanzialmente ammesso di aver partecipato alla fase di realizzazione degli ordigni utilizzati negli attentati ai treni, sia come consulente di Ventura e Zorzi nel corso di tutti e tre gli accessi al casolare di Paese, sia nella fase di preparazione materiale delle scatole di legno destinate ad essere collocate nei convogli ferroviari. Con riferimento agli attentati di Trieste e Gorizia, sono stati Vianello e Siciliano ad indicare in Digilio l’esperto che predispose gli ordigni, e questi, pur non ammettendo esplicitamente la circostanza (per le ragioni esposte nel paragrafo 9l), ha reso dichiarazioni confermative del suo ruolo anche in quella vicenda.

Queste specifiche circostanze vanno valutate tenendo conto della definizione di Digilio quale “quadro occulto” del sodalizio ordinovista, con un ruolo che è stato unanimemente indicato di esperto nella manutenzione delle armi e degli esplosivi (anche se con riferimento a questi ultimi la fama della sua competenza era probabilmente usurpata). Se così è, deve essere affermata la partecipazione del collaboratore alla preparazione di tutti gli ordigni che, dalla tarda primavera del 1969 in avanti, furono utilizzati dal gruppo eversivo composto dai veneziani-mestrini e dai padovani nella realizzazione degli attentati descritti nel capitolo 9. Digilio era l’unico a cui quei militanti potevano rivolgersi (con garanzie di riservatezza) per verificare l’idoneità tecnica degli ordigni destinati alle azioni terroristiche, non essendo emersa altra figura di militante che avesse competenze paragonabili alle sue. Tale affermazione consente di valutare la condotta che Digilio tenne nella fase preparatoria degli attentati del 12 dicembre.

L’episodio più importante nella definizione di quella condotta è, evidentemente, l’incontro al Canal Salso, che rappresenta il momento in cui Digilio intervenne direttamente nella verifica del materiale esplosivo da utilizzare negli attentati del 12 dicembre. Ritiene la Corte che, anche se la condotta di Digilio si fosse limitata alla verifica di sicurezza dell’esplosivo mostratogli da Zorzi, la stessa costituirebbe un contributo causale rispetto all’attentato, perché quel consulto fu ritenuto indispensabile da chi era coinvolto nella fase attuativa, perché necessario prima di trasportare l’esplosivo da Venezia a Milano. D’altronde, la fama di esperto che Digilio aveva acquisito nell’ambito del sodalizio di appartenenza, rendeva del tutto logica la sua partecipazione a quella fase preliminare rispetto al momento attuativo dell’azione delittuosa.

Ma l’attività svolta da Digilio in relazione a quella fase non può essere, a parere della Corte, limitata alla “introduzione delle mani” nella sostanza esplosiva mostratagli da Zorzi e ai generici consigli riferiti dal collaboratore. Questi era l’unico esperto nella manipolazione di esplosivo del sodalizio di cui facevano parte Maggi e Zorzi, cioè i responsabili dell’ideazione, dell’organizzazione e della materiale esecuzione degli attentati milanesi, per cui è del tutto inverosimile che il contributo richiesto a Digilio si sia limitato alla semplice verifica di sicurezza del materiale destinato alla preparazione degli ordigni. La Corte ritiene che Digilio, anche con riferimento agli ordigni del 12 dicembre, abbia fornito un contributo tecnico più rilevante, che pure è stato espressamente ammesso nel corso delle sue deposizioni, quando ha descritto l’incontro al Canal Salso. Il significato compiuto di quell’azione si definisce da una lato valutando il ruolo di Digilio nell’ambito ordinovista, dall’altro la sua consapevolezza della destinazione di quel materiale esplosivo al confezionamento degli ordigni destinati alla realizzazione di gravi attentati. L’incontro con Maggi del 6 dicembre e quello successivo con Zorzi sono stati descritti dal collaboratore come la definizione di un programma delittuoso di gravità non paragonabile con gli episodi che fino ad allora era stati compiuti da quel sodalizio, tanto che Maggi si premurò di far avvisare i militanti veneziani di prepararsi alla possibile reazione repressiva. Se si tiene conto che l’attentato per cui fu richiesta la consulenza di Digilio doveva essere realizzato a Milano, la previsione di Maggi di perquisizioni nei confronti di militanti veneziani non poteva che far presumere un attentato di particolare gravità. Queste considerazioni, che saranno valutate specificamente nel paragrafo conclusivo del capitolo, sono però significative anche con riferimento alla condotta materiale di Digilio, che, nei termini ritenuti dalla Corte, era evidentemente finalizzata alla realizzazione di una condotta delittuosa di elevata gravità.

La Corte non è in grado di fornire in dettaglio indicazioni ulteriori rispetto a quelle riferite da Digilio sulla condotta materiale da questi realizzata in occasione dell’incontro del Canal Salso, ma tale lacuna probatoria non preclude di ritenere logicamente che il ruolo dell’imputato in quella fase fu assolutamente decisiva per la buona riuscita degli attentati.

 

11 d – La posizione di Rognoni.

La definizione della condotta materiale ascritta a Rognoni è stata sviluppata nella motivazione in termini decisamente meno articolati rispetto a quella degli altri imputati, atteso che le indicazioni probatorie a suo carico sono più limitate ma non per questo meno univoche. L’elemento di prova più rilevante nei confronti di Rognoni è la testimonianza di Bonazzi, il quale ha, in modo sintetico ma preciso, riferito di aver appreso da Azzi che Rognoni ebbe un ruolo di supporto logistico negli attentati milanesi del 12 dicembre, con particolare riferimento all’ordigno collocato nella sede centrale della Banca Commerciale di piazza della Scala. Bonazzi ha ripetuto in almeno tre occasioni questa indicazione, fornendo precisi riferimenti di attendibilità dell’affermazione di Azzi (valutati criticamente nel paragrafo 10m). Azzi precisò che Rognoni aveva fornito indicazioni sulla struttura dell’istituto bancario ove l’ordigno doveva essere collocato avendovi lavorato per qualche tempo e, in generale, aveva svolto il supporto logistico per gli attentatori. Si è già rilevato che quelle affermazioni non significano che Rognoni collocò materialmente l’ordigno alla Banca Commerciale, avendo la Corte ritenuto non riscontrata tale affermazione di Bonazzi.

La deposizione di Bonazzi, valutata pienamente attendibile sotto tutti i profili analizzati nel citato paragrafo, si è inserita in un quadro di rapporti politici e criminali di Rognoni con i militanti veneziani e mestrini di ON, che ebbero inizio nell’estate 1969 e che si svilupparono nel corso dell’autunno di quell’anno. La ricostruzione compiuta nel capitolo 8[21] rappresenta un riscontro assolutamente insuperabile rispetto alla specifica indicazione di Bonazzi, la valutazione logica della cui consistenza non può che condurre all’accertamento di attendibilità della condotta dallo stesso descritta. I veneti che realizzarono gli attentati milanesi del 12 dicembre avevano la necessità di un supporto logistico a Milano, indispensabile in relazione alle azioni da compiere, che non erano estemporanee come quelle del 25 aprile e del 24 luglio 1969, ma richiedevano una coordinazione temporale con gli attentati romani, una base logistica ove mettere a punto gli ordigni e la presenza di militanti milanesi che conoscessero i luoghi ove gli stessi ordigni dovevano essere collocati. Per valutare l’assoluta coerenza logica dell’indicazione di Bonazzi, è interessante comparare gli attentati milanesi del 12 dicembre con quelli di Trieste e Gorizia. In questi ultimi fu necessaria la disponibilità di un appartamento ove mettere a punto i congegni esplosivi e la partecipazione di alcuni militanti locali che fornirono indicazioni sul luogo ove uno degli ordigni doveva essere collocato. Se quel supporto fu ritenuto necessario per due attentati di limitata complessità come quelli triestino e goriziano, è del tutto logico che analoga presenza fosse stato attivata a Milano per le azioni del 12 dicembre. Azzi riferì a Bonazzi (che a sua volta lo ha riferito all’autorità giudiziaria) che quell’indispensabile supporto logistico fu fornito da Giancarlo Rognoni, e i rapporti di quest’ultimo con i veneziani-mestrini, risalenti alla seconda metà del 1969, riscontrano incontestabilmente quell’affermazione. A ciò si aggiungano gli ulteriori elementi di conferma logica illustrati nel capitolo 10, cioè il rapporto di dipendenza di Rognoni con la Banca Commerciale, la cui sede centrale di piazza della Scala ben conosceva avendovi lavorato per qualche mese, e l’interruzione improvvisa di quel rapporto di lavoro nei giorni immediatamente successivi al 12 dicembre (che fu praticamente l’ultimo in cui Rognoni si recò a lavoro).

Infine, il ruolo descritto da Bonazzi non appare incompatibile con la figura e la personalità di Rognoni, il quale, secondo le indicazioni di Azzi, non fu responsabile di condotte particolarmente impegnative sul piano fattuale, né sotto il profilo etico (naturalmente di un’etica definita dai valori dell’ambiente politico qui esaminato), né la sua condotta dovette apparire ai militanti di quell’area particolarmente spregevole, atteso che la funzione di supporto logistico era ben distinta dal coinvolgimento diretto nell’esecuzione materiale degli attentati[22]. Se si tiene conto che pochi anni dopo quel dicembre 1969, Rognoni fu l’ideatore e l’organizzatore dell’attentato al treno Torino-Roma, le cui conseguenze avrebbero potuto essere altrettanto nefaste di quelle della strage di piazza Fontana, nessuna incompatibilità “etica” può essere prospettata con riferimento alla condotta descritta da Bonazzi e accertata da questa Corte.

Il quadro delle prove è, in conclusione, solidissimo, non potendosi fornire un’interpretazione diversa da quella prospettata dall’accusa delle dichiarazioni di Bonazzi, dell’attendibilità di quanto a questi fu confidato da Azzi, della logica necessità di un supporto logistico milanese per la realizzazione degli attentati del 12 dicembre da parte degli ordinovisti veneti, dei rapporti di intensa collaborazione politica (nella prospettiva eversiva descritta) tra Rognoni, Maggi e Zorzi, dell’individuazione di Rognoni come colui che svolse quella funzione di supporto logistico. La rilevanza probatoria degli elementi descritti è ancor più significativa se si tiene conto che le dichiarazioni che ricostruirono i due ambiti di rilevanza processuale per la posizione di Rognoni (cioè quelle di Bonazzi e di Siciliano) furono rese praticamente nel medesimo periodo temporale, cioè tra la fine del 1994 e l’inizio del 1995. Sotto questo profilo, la convergenza del molteplice ha riguardato ambiti distinti e autonomi tra loro, e la descrizione di quelle attività, pur proveniente da dichiaranti che non si conoscevano nemmeno, è del tutto convergente nell’attribuire a Rognoni il ruolo ascrittogli.

Nel corso dell’arringa conclusiva, il difensore di Rognoni ha introdotto alcuni elementi di discussione ulteriori rispetto a quelli analizzati nella motivazione e che non meritano specifica trattazione perché irrilevanti nella valutazione della posizione dell’imputato.

La Corte, innanzitutto, ritiene del tutto superfluo soffermarsi sulla partecipazione di Rognoni al campo politico di Treconfini[23], in quanto tale circostanza, prospettata da alcuni testimoni, non è stata ritenuta accertata e perciò è irrilevante nella valutazione dei rapporti dell’imputato con i veneziani-mestrini.

La ripresa di un antico argomento processuale quale la deposizione del tassista Rolandi[24], è, a parere della Corte, assolutamente irrilevante rispetto alla posizione processuale di tutti gli imputati di strage, proprio perché a conclusione del processo non è stato individuato colui o coloro che materialmente deposero l’ordigno presso la BNA di piazza Fontana. Ciò premesso, quel difensore ha affrontato e risolto un tema così complesso ed ambiguo come quello contenuto nella citata deposizione, in maniera del tutto semplicistica, ma ragioni di economia della motivazione precludono qualsiasi ulteriore considerazione critica.

L’episodio del depistaggio che sarebbe stato progettato o realizzato da militanti della destra e consistito nella collocazione presso la villa Feltrinelli dei timer dello stesso tipo di quelli utilizzati nella strage di piazza Fontana, è stato definito dalla difesa Rognoni come “solo chiacchiere[25], eppure è stato oggetto di alcune considerazioni critiche di merito, che la Corte ritiene di non dover confutare proprio per l’irrilevanza dell’argomento nella valutazione della posizione di Rognoni.

Infine, quel difensore si è soffermato a confutare la deposizione di Tramonte a carico del proprio assistito[26], su cui non è necessario svolgere alcuna osservazione atteso che non è stata utilizzata nella valutazione dell’accusa contestata a Rognoni e agli altri imputati del delitto di strage.

 

11 e – Freda e Ventura quali concorrenti nel delitto di strage.

Con riferimento alla posizione di Freda e Ventura è sufficiente richiamare le indicazioni illustrate nel paragrafo 10a3, osservando che quegli elementi di prova sono rilevanti anche a carico dei concorrenti qui imputati.

E’ evidente che, accertata la sussistenza di continuativi rapporti politici nella definizione, organizzazione ed attuazione della comune strategia eversiva da parte di quel gruppo definito nel paragrafo 8e (cioè il nucleo di militanti che operò tra la fine del 1968 e il 1969) e accertati gli specifici episodi descritti da Digilio e Siciliano (e confermati da altri dichiaranti, come Vianello, Campaner, Boratto) nei quali quel rapporto si concretizzò, gli elementi di prova a carico di Freda e Ventura per i fatti del 12 dicembre costituiscono una conferma logica e fattuale del quadro probatorio complessivo di questo processo.

In più parti della motivazione si è evidenziato il concatenarsi di episodi riconducibili a Maggi, Zorzi e Digilio da una parte, a Freda, Ventura e Fachini dall’altra, che assumono una specifica rilevanza probatoria a carico degli imputati del delitto di strage.

Così le vicende della primavera-estate del 1969 e le attività realizzate nell’autunno, quando Freda intrattenne con Fabris il rapporto di consulenza per la predisposizione dei congegni di innesco degli ordigni, Ventura e Freda confidarono a Lorenzon, Pan e Comacchio l’intenzione di proseguire nell’attività terroristica, Zorzi partecipò agli incontri di definizione della strategia eversiva a Milano, organizzò e realizzò gli attentati di Trieste e Gorizia (con modalità tecnica che ancora non potevano ancora utilizzare i miglioramenti nella temporizzazione degli ordigni su cui Freda stava operando), incontrò Digilio alla fine di ottobre per ottenere consigli tecnici sul miglioramento dei congegni. Mentre Fabris ha prospettato che Freda dovesse riferire ad altri le indicazioni da lui fornitegli, Digilio ha riferito che Zorzi indicò la disponibilità di un tecnico.

 

11 f - L’elemento soggettivo del delitto di strage. Conclusioni.

Poche battute merita la valutazione dell’elemento soggettivo del delitto di strage, ricollegandosi logicamente la sua sussistenza all’accertata materialità della condotta degli imputati.

Gli attentatori del 12 dicembre collocarono 5 ordigni in alcuni luoghi pubblici delle due principali città italiane, tre dei quali in luoghi chiusi e frequentati anche in orario pomeridiano. Negli istituti bancari romano e milanesi, tra le 16,30 e le 17 del venerdì 12 dicembre 1969, erano presenti numerose persone che avrebbero potuto subire gravi conseguenze da così potenti deflagrazioni, per cui la collocazione e l’esplosione di ordigni con elevata potenzialità distruttiva era in modo non equivoco finalizzata all’uccisione di quelle persone. L’ipotesi, peraltro solo prospettata nel corso del dibattimento da alcuni dichiaranti, che gli attentatori del 12 dicembre non avessero l’intenzione di provocare la morte di alcuno e che quell’effetto fu determinato da non precisati ed imprevisti eventi (quali l’apertura al pubblico della BNA nel pomeriggio di venerdì non conosciuta dagli attentatori, la manomissione del timer da parte di persone estranee alla materiale collocazione dell’ordigno, le modalità improvvide con fu materialmente deposto l’ordigno), è del tutto fantasiosa e priva di qualsiasi supporto probatorio.

Ritiene la Corte che la materialità degli attentati compiuti, soprattutto quelli contestati nel capo d’imputazione, e in particolare il quantitativo di esplosivo contenuto negli ordigni, il luogo in cui furono collocati, l’orario in cui era prevista l’esplosione, dimostrino incontestabilmente che l’obiettivo degli attentatori era quello di provocare la morte delle persone presenti. A prescindere dalla consapevolezza dell’apertura al pubblico della BNA di piazza Fontana anche nel pomeriggio di venerdì (ma chi depose l’ordigno ne era pienamente consapevole), non poteva ignorarsi da parte degli attentatori che  a quell’ora gli impiegati dell’istituto bancario erano presenti al lavoro e, quindi, l’esplosione avrebbe provocato tra loro numerosi morti.

Nessuna delle difese ha prospettato l’insussistenza a carico degli imputati del dolo del delitto di strage, atteso che l’unica ipotesi di dubbio è stata formulata dalla difesa Zorzi non in relazione al proprio assistito ma a Carlo Digilio, ipotizzandosi che dalla valutazione della sua condotta materiale potesse desumersi l’insussistenza del dolo specifico richiesto dall’art. 422 c.p.. Per quanto riguarda Maggi, Zorzi e Rognoni la loro consapevolezza di partecipare, contribuendovi causalmente, ad un progetto eversivo come quello descritto nel corso della motivazione, concretatosi negli attentati del 12 dicembre, rende palese la sussistenza dell’elemento psicologico del delitto.

Maggi fu il mandante delle azioni terroristiche ed era perfettamente a conoscenza degli effetti che le esplosioni programmate avrebbero determinato. La descrizione dell’incontro del 6 dicembre 1969 rappresenta l’elemento più significativo della consapevolezza da parte di Maggi del tipo di attentati che erano previsti, ma anche le rivendicazioni fatte negli incontri successivi, primo fra tutti quello di Natale con Digilio e Soffiati, confermano che egli era a conoscenza e, quindi, condivideva l’obiettivo di quelle azioni terroristiche.

Zorzi non solo fu uno degli ideatori degli attentati, ma partecipò personalmente alla loro realizzazione predisponendo gli ordigni. Quindi, era perfettamente a conoscenza degli effetti delle esplosioni e ne condivideva l’obiettivo.

Rognoni assunse un ruolo di supporto logistico, ma la sua presenza a Milano e le informazioni che assunse in relazione alla collocazione dell’ordigno presso la Banca Commerciale di piazza della Scala, rendono evidente la piena adesione al progetto criminoso descritto, comprensiva anche degli effetti delle esplosioni. Rognoni sapeva che gli ordigni dovevano essere collocati in luoghi chiusi in un orario in cui almeno gli impiegati delle banche erano al lavoro, per cui la finalità di provocare morti si deduce dalla condotta a lui ascritta e dalla consapevolezza delle modalità di attuazione degli attentati.

Per quanto riguarda Digilio, è stato lui stesso ad ammettere la piena consapevolezza della gravità degli attentati che erano in programma e alla cui realizzazione fornì un contributo causale decisivo. Alla fine di ottobre 1969 Zorzi chiese a Digilio se fosse possibile tagliare a metà i candelotti di gelignite per contenerli in cassette metalliche, il 6 dicembre Maggi annunciò un’iniziativa terroristica di grande rilievo, tanto da richiedere il preallarme ai militanti della destra veneziani, il giorno successivo Digilio vide l’esplosivo che Zorzi doveva trasportare a Milano, che era di tale entità da far prevedere attentati con effetti ben più gravi di quelli dimostrativi fino ad allora commessi. Il collaboratore non ha solo ammesso la propria partecipazione materiale alla fase di preparazione degli attentati, ma ha descritto episodi che rendono certa la sua adesione al progetto criminale e la condivisione dell’obiettivo di provocare morti.

In conclusione, è stata dimostrata la penale responsabilità di Maggi, Digilio, Zorzi e Rognoni per il delitto di strage continuata e aggravata contestato nel capo d’imputazione.


[1] Che poteva consistere solo nella dichiarazione confermativa di chi vi avesse partecipato.

[2] Dai rapporti con gli ordinovisti udinesi responsabili della strage di Peteano e del dirottamento di Ronchi dei Legionari, all’attentato alla Questura, all’attentato di piazza della Loggia.

[3] Fu proprio Maggi ad assicurare a Digilio che Zorzi e Ventura erano persone affidabili e non sarebbero andati oltre gli attentati dimostrativi.

[4] Nel corso del quale lo stesso Zorzi sollecitò Digilio e Maggi ad un maggiore impegno nella prosecuzione della strategia eversiva.

[5] Quando Maggi preannunciò a Digilio che di lì a pochi giorni si sarebbero verificati fatti gravi che avrebbero coinvolto la destra, sollecitandolo a precostituirsi un alibi.

[6] Circostanza accertata da Digilio in occasione dell’incontro al Canal Salso.

[7] Quando Maggi “rivendicò” la legittimità politica dell’attentato di piazza Fontana.

[8] Quando ribadì la piena adesione a quegli attentati.

[9] Così nel corso dell’incontro con Soffiati, Maggi confermò il proprio coinvolgimento a livello ideativo ed organizzativo degli attentati. L’incontro del 1973 con Zorzi fu sollecitato da Maggi e confermò la permanenza dei rapporti politici tra gli ordinovisti (Maggi, Zorzi e il detenuto Ventura) coinvolti nei fatti del 12 dicembre. Infine, gli incontri di Maggi con Digilio dell’inizio e della fine degli anni ’70 (descritti nel paragrafo 10g4) rappresentano l’elemento conclusivo di conferma della responsabilità dell’imputato nel delitto qui giudicato.

[10] Come nel furto di esplosivo ad Arzignano al Chiampo e nella disponibilità della valigia contenente armi e materiale per la preparazione di ordigni esplosivi.

[11] Come nelle prove esplosivistiche compiute presso la cantina di Maggiori.

[12] Come negli attentati dimostrativi alle sedi di partiti politici di sinistra.

[13] Agli attentati ai treni, attraverso la presenza al casolare di Paese, ove, insieme a Ventura, Pozzan e Digilio, preparò gli ordigni da collocare sui convogli ferroviari e la organizzazione di quell’iniziativa terroristica di cui ha riferito Siciliano, fino agli attentati di Trieste e Gorizia.

[14] La gelignite di cui hanno riferito Digilio e Siciliano, oltre che il materiale del Canal Salso.

[15] Attraverso gli incontri dell’autunno 1969 di cui ha riferito Siciliano.

[16] Così in occasione dell’incontro di Natale del 1969, del litigio con Soffiati, degli incontri con Digilio in corso del Popolo del 1970 e del 1973, degli incontri tra Digilio e Maggi del 1972 e del 1978-1979, Zorzi fu sempre indicato (da Maggi, da Soffiati e per sua stessa ammissione) come coinvolto direttamente nella fase materiale di attuazione degli attentati milanesi del 12 dicembre. Siciliano ha descritto l’incontro dell’ultimo dell’anno del 1969, nel corso del quale Zorzi confidò ai due amici (nei termini descritti nel paragrafo 10i) la partecipazione alla strage.

[17] Difesa Zorzi, u. 2.4.2001, p. 23-25.

[18] Difesa Zorzi, u. 2.4.2001, pp. 26-29.

[19] Questo è l’accertamento compiuto nel capitolo 8, ma il discorso non cambierebbe se quella permanenza fosse collocata pochi mesi dopo.

[20] Garofano, dich. 22.3.1973.

[21] Ai paragrafi 8d, 8d1 e 8d2.

[22] La difesa Rognoni, u. 28.5.2001, p. 59, ha svolto alcuni argomenti sul presupposto che Rognoni fosse stato l’esecutore materiale di uno degli attentati milanesi, circostanza questa non accertata dalla Corte e, quindi, processualmente esclusa.

[23] Difesa Rognoni, u. 28.5.2001, pp. 148 e 116.

[24] Difesa Rognoni, u. 28.5.2001, pp. 60 e ss.

[25] Difesa Rognoni, u. 28.5.2001, p. 121.

[26] Difesa Rognoni, u. 28.5.2001, p. 125 e ss.