inserito in Diritto&Diritti nel novembre 2003

La legge 150/2000 sulla comunicazione pubblica: presupposti sociali e giuridici di un concetto in evoluzione

 

di Stefano Patriarca *

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SOMMARIO:   1. Introducendo il concetto di comunicazione pubblica   -   2. Comunicazione pubblica ed evoluzione sociale   -   3. Presupposti normativi della L.150/2000   -   4. La Legge n. 150 del 7 giugno 2000   -   5. Riflessioni conclusive   -    Note   -   Riferimenti bibliografici

 

1. Introducendo il concetto di comunicazione pubblica

 

La comunicazione dell’Istituzione Pubblica è quello specifico esercizio che rende pubbliche le attività e le funzioni dell’amministrazione, sostenendone l’identità e favorendo il consenso dei cittadini su argomenti di interesse collettivo. Tale lineare affermazione, non esaustiva ma nella fattispecie di maggiore utilità rispetto ad una più complessa e completa definizione del macro-tema comunicazione pubblica, può rappresentare l’ideale porta d’accesso per le considerazioni che qui ci proponiamo di svolgere.

Creata dunque la giusta atmosfera con una breve ouverture, che di seguito illustrerà le principali ragioni legate al recente sviluppo del generale concetto di comunicazione pubblica, esamineremo poi più da vicino le fasi storiche che hanno contraddistinto, nel quadro della società civile, l’evoluzione di tale elemento. Secondo una logica del tutto simmetrica, analizzeremo successivamente i presupposti normativi che, nell’arco degli ultimi anni, hanno portato il Legislatore ad indirizzarsi verso una nuova e positiva interpretazione della comunicazione pubblica. Tale percorso convergerà in ultimo sulla Legge 150/2000, momento centrale e al tempo stesso conclusivo delle riflessioni proposte e norma della quale, oltre al testo integrale,  sarà presentata una essenziale lettura contenutistica.

Partiamo dunque evidenziando tre elementi che con ragionevole certezza possono essere collocati all’origine della nostra dissertazione: l’ampliamento dei compiti dello Stato, la maggiore consapevolezza dei propri diritti da parte dei cittadini, e la nuova struttura dell’arena pubblica (1). Proprio questa triade ha infatti fornito, soprattutto dal secondo dopoguerra, un impulso vitale e progressivamente crescente per lo sviluppo e l’affermazione della comunicazione pubblica in ambito sia interno che internazionale. La funzione primaria svolta da questi tre input si palesa poi sulla base di una loro più attenta analisi che mostri in modo più chiaro le importanti implicazioni connesse. Nell’estensione dei compiti dello Stato è infatti riconoscibile la comparsa e il consolidamento del welfare state, il modello del moderno stato sociale e dell’associazionismo da esso derivante; l’accresciuta coscienza dei propri diritti da parte dei cittadini riflette invece un coerente e correlato aumento della richiesta di informazione; e, a chiudere, la nuova struttura dell’arena di discussione pubblica si caratterizza per la presenza di un elevato numero di soggetti e sistemi di soggetti che, proiezioni di un articolato processo di differenziazione sociale, interagiscono e competono reciprocamente in un contesto spiccatamente dialettico (2). 

 

 

2. Comunicazione pubblica ed evoluzione sociale

 

Identificate in tal modo le principali assi all’origine della complessa evoluzione che ha interessato, e tuttora interessa, il concetto di comunicazione pubblica, riteniamo ora utile individuare i passaggi storici di maggiore rilievo che, nell’esperienza italiana, hanno contraddistinto tale evoluzione.

Una prima forma è quella della “comunicazione pubblica in funzione propagandistica” (3): apprezzabile già nel dopoguerra dell’Italia repubblicana, questa fase si distende fino agli inizi degli anni ’70 ed il suo tratto maggiormente distintivo si rileva nella perfetta identità fra attore politico e attore amministrativo. In altre parole, se formalmente è l’istituzione pubblica che comunica, in sostanza questa si attiva bensì come emittente, ma con il solo scopo di raggiungere specifici obiettivi di partito, e di veicolare messaggi funzionali ad una migliore percezione, da parte del cittadino, dei singoli soggetti che agiscono all’interno del partito stesso. Nell’area della comunicazione, lo status pubblico è così la naturale protesi della personale appartenenza partitica: i due elementi, la cui salda connessione è inoltre agevolata dalla scarsa competizione fra le differenti istituzioni dello Stato, trovano quindi coerenza in un’azione di breve periodo e volta al mero miglioramento dell’immagine degli stessi soggetti operanti all’interno del tessuto pubblico e istituzionale.

L’ingresso negli anni ’70, momento di intensità non comune nel confronto – non solo intellettuale – fra le varie anime della società civile, segna quindi il passaggio ad una nuova fase: si apre così il ciclo della comunicazione a senso unico, o meglio, del “modello informativo unidirezionale” (4). In questa fase comincia ad allentarsi l’identità dogmaticamente verificata nel periodo precedente fra istituzione e partito e, mentre i mezzi di comunicazione di massa sperimentano un’embrionale autonomia d’azione, trova graduale diffusione la consapevolezza dell’esistenza di un nodo di diritti e doveri che lega Pubblica Amministrazione e cittadini. Acquisite tali non secondarie tendenze, che evidenziano il proto-sviluppo di scelte e comportamenti tali da gettare le basi per quello che ad oggi è noto come marketing dell’istituzione pubblica, anche in questa seconda fase l’atto comunicativo di matrice pubblica si risolve però in un’attività evidentemente unidirezionale: il privato cittadino, sebbene cosciente del proprio status di detentore di diritti soggettivi nell’ambito della società, rimane ancora troppo spesso grigio e passivo ricevente in rapporto alla comunicazione dell’emittente pubblico (5).

Il delicato percorso fin qui delineato, che svolge su un doppio binario il legame fra evoluzione sociale e schemi della comunicazione pubblica, trova infine la propria ideale stazione d’arrivo con l’inizio degli anni ’90. Il decennio appena vissuto segna infatti l’ingresso nel terzo e più completo intervallo d’interesse: quest’ultima fase, tutt’altro che conclusa, mira infatti a realizzare concretamente l’auspicabile modello della “comunicazione bidirezionale” (6).  Sono tre i soggetti che, contestualmente ma per ragioni differenti, interpretano questo atto da protagonisti. Alle diverse istituzioni pubbliche, che entrano in reciproca competizione e tendono ormai a distinguere definitivamente la propria appartenenza politica dal comune status pubblico, si aggiungono infatti i mezzi di comunicazione di massa, canali più che influenti e capaci di filtrare e amplificare quelli che per Luhmann erano i temi di opinione, e infine i privati cittadini, non più sudditi ma soggetti attivi e attivabili al fine di rendere coerentemente bidirezionale il processo comunicativo. Relativamente alla realizzazione pratica di tali intenti, assistiamo così all’emergere di elementi quali il marketing dell’istituzione pubblica e dei servizi; la pianificazione strategica delle campagne di comunicazione; l’analisi del feedback ricevuto in rapporto al risultato atteso; il dovere di trasparenza connaturato alla pubblicità dell’amministrazione.

 

 

3. Presupposti normativi della L.150/2000

 

Le riflessioni appena affrontate hanno descritto i passaggi principali che riconducono la comunicazione pubblica al processo di mutamento sociale. Al fine di costruire una organica cornice conoscitiva, e prima di incontrare più da vicino i caratteri della Legge 150/2000, riteniamo ora utile presentare uno schematico excursus sull’evoluzione normativa che negli ultimi quindici anni, in tempi e modi differenti, ha inserito il tema della comunicazione pubblica all’interno del rapporto fra Governo, istituzioni pubbliche, mass media e cittadini. Le tappe legislative prese in considerazione saranno così indicazioni, importanti quanto non esaustive, attraverso le quali riconoscere il percorso intrapreso dal Legislatore verso una reale comunicazione di pubblica utilità.

In primo luogo è da citare la Legge 400/1988. Con questa articolata riforma della Presidenza del Consiglio si istituisce, tra l’altro, il Dipartimento per l’informazione e l’editoria (7): il Dipartimento, prospettando una strategica azione comunicativa che superi gli originari e limitati momenti della persuasione e della propaganda, promuove innovative campagne di pubblicità sociale, nonchè attività ed eventi che danno un valido ritorno sia interno che internazionale. La stessa norma sottolinea inoltre “la questione dell’effettiva capacità (politica e amministrativa) del vertice governativo di coordinare efficacemente la compagine di Governo, assumendo anche alcuni ruoli tecnici di supporto legislativo, di spesa, di comunicazione e di immagine, di incidenza sociale, di compatibilità internazionale” (8).

Pur non avendo trovato una soddisfacente attuazione pratica, meritano poi menzione  due testi legislativi che puntavano a regolare, soprattutto in relazione alla quantificazione delle risorse economiche da destinare specificamente alla comunicazione, il rapporto tra Pubblica Amministrazione e mezzi di comunicazione di massa. Si fa qui riferimento alla Legge 67/1987, Rinnovo della Legge 5 agosto 1981 n.416 recante disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l’editoria, nonchè alla Legge 223/1990, cosiddetta Legge Mammì. Legate principalmente alla stampa scritta la prima, e alle emittenti radiofoniche e televisive private la seconda, le norme hanno sottolineato, con la lentezza e la parzialità della propria applicazione, le difficoltà e i ritardi che spesso ancora indeboliscono il sistema-Italia.

Lo sviluppo della comunicazione pubblica nel nostro Paese trova poi una valida sponda nell’articolato processo di decentramento amministrativo e funzionale che interessa l’Italia negli ultimi venticinque anni. Originando come detto dalla accresciuta consapevolezza dei propri diritti da parte dei cittadini, l’istanza di una reale pubblicità delle istituzioni incontra così nella Legge 142/1990, Ordinamento delle autonomie locali, una tappa di sicuro rilievo. L’art. 7 del testo legislativo, infatti, afferma espressamente che “tutti gli atti dell’Amministrazione Comunale e Provinciale sono pubblici, ad eccezione di quelli riservati per espressa indicazione di legge”, e statuisce che in apposito Regolamento in seguito si detteranno “le norme necessarie per assicurare ai cittadini l’informazione sullo stato degli atti e delle procedure e sull’ordine di esame delle domande, progetti e provvedimenti che comunque li riguardino”.

L’innegabile tendenza, almeno formale, che spinge dunque la Pubblica Amministrazione ad agire sempre più secondo i concreti parametri della comunicazione bidirezionale, della pubblicità e della trasparenza, realizza infine il proprio apice con la Legge 241/1990, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. La norma, nota anche come legge sulla trasparenza, è di singolare importanza, e la rivoluzionaria idea ispiratrice è chiara già nell’art. 1 dove si legge che “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità secondo le modalità previste dalla seguente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano i singoli procedimenti”. In altre parole, le azioni poste in essere dalle istituzioni pubbliche dovranno esplicarsi all’interno del triangolo d’oro costituito da economicità, efficacia e pubblicità. Tale circolo virtuoso, per la prima volta espressamente previsto, dovrà costantemente orientare le scelte e le procedure attuate in ambito pubblico; solo specifiche e motivate circostanze potranno dunque interporsi fra il procedimento amministrativo ed il suo più lineare perfezionamento. Su tale base i cittadini – che su richiesta possono conoscere e valutare la natura, l’iter e l’esito di atti e documenti che li riguardano – divengono essi stessi garanti della positività dell’azione della Pubblica Amministrazione.             

 

 

4. La Legge n. 150 del 7 giugno 2000  

 

Con l’esame delle tappe legislative più rilevanti all’origine della Legge 150/2000, il percorso elaborato da chi scrive si avvicina ora alla sua logica conclusione rappresentata dalla riproposizione del testo integrale della stessa. Prima di tale utile sezione, e pur privilegiando in questa sede l’assenza di un minuzioso commento articolo per articolo,  riconosciamo però doveroso tratteggiare un’essenziale presentazione della norma in oggetto.

La Legge n.150 del 7 giugno 2000, Disciplina delle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni, istituzionalizza dunque l’area della comunicazione pubblica. Ciò significa che per la prima volta una legge dello Stato riconosce alla Comunicazione il carattere di risorsa prioritaria e strutturale, legittimandone e prevedendone la diffusione in ogni momento e settore della Pubblica Amministrazione, e distinguendone altresì la specifica natura da quella di ognuna delle altre attività amministrative (9). E’ inoltre del caso notare come dalla lettura della legge emerga una differente specificità che diversifica le attività e le finalità di informazione da quelle di comunicazione. La norma, infatti, individua nel termine informazione un agire principalmente volto al trasferimento verticale di specifici items di pubblico interesse, trasferimento che realizza una funzione sostanzialmente cognitiva e lo fa secondo criteri di totale trasparenza. Parallelamente, e recependo invece in tal modo il già analizzato concetto di comunicazione bidirezionale e feedback, la Legge 150/2000 promuove poi l’interazione fra la Pubblica Amministrazione e i cittadini: proprio nella comunicazione si identifica così l’elemento necessario per veicolare contenuti di tipo più valoriale che, declinati in rapporto alle differenti risposte provenienti dai cittadini, mirano a sostenere l’identità e l’immagine dell’istituzione favorendo il consenso del pubblico su argomenti di interesse collettivo.

Da un punto di vista più operativo, il testo legislativo istituisce e regolamenta tre strutture quali il Portavoce, l’Ufficio Stampa e l’Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP). Creato ex novo e legato da un totale rapporto fiduciario al soggetto/organo che egli rappresenta, il Portavoce collabora in prima persona ai fini dei rapporti di carattere politico-istituzionale con gli organi d’informazione; costituito da personale iscritto all’Albo nazionale dei giornalisti, l’Ufficio Stampa ha invece il compito di curare continuativamente i rapporti fra l’istituzione e l’universo dei media; concreto momento di incontro e partecipazione, l’attività dell’URP è infine indirizzata ai cittadini singoli e associati, garantendo loro l’esercizio dei diritti di informazione e accesso attraverso l’organizzazione di un circuito di front office – cittadino/URP – e back office – URP/Pubblica Amministrazione – (10).

Una nota privilegiata merita infine l’istituzione della figura professionale del comunicatore  pubblico. Peculiare rispetto a posizioni superficialmente comparabili già attive nella Pubblica Amministrazione, e distinto da profili similari rintracciabili nelle aree della comunicazione aziendale e pubblicitaria, la figura delineata dalla Legge 150/2000 è l’unica che trova formale legittimazione per operare nello scenario di riferimento: proprio in tal senso l’art. 5 del testo legislativo impone la necessità di uno specifico percorso formativo destinato ai soggetti che opereranno professionalmente nell’area descritta (11).

       

 

5. Riflessioni conclusive

 

Queste dunque le linee salienti di una norma sulla cui origine e natura auspichiamo aver fornito un apprezzato contributo. Nel quadro di uno scenario professionale complesso e competitivo dove anche l’istituzione pubblica necessita ormai di competenze e profili specifici, la Legge 150/2000 promuove e disciplina tali fattori, e ciò allo scopo di strutturare un circuito comunicativo aperto e pronto a modellarsi in relazione alle differenti caratteristiche dei diversi pubblici. Oggi l’amministrazione pubblica non può esimersi dalla positiva interazione con i cittadini e con la sfera dei media: a tal fine la comunicazione, che alimenta tale rapporto, deve superare la distorsione che per anni l’ha ridotta a mero accessorio, alibi, a utilitaristica leva di conservazione o visibilità personale. L’obiettivo, su tale base, è quello di colmare definitivamente i ritardi anche profondi che ancora oggi esistono attuando strategie razionali ed efficaci e adottando un linguaggio concretamente intellegibile. Tali sostanziali criteri, qualora positivamente perseguiti, potranno arricchire l’esperienza comunicativa sviluppandola come mezzo di cambiamento e strumento di legittimazione istituzionale.

 

Come anticipato, chiudiamo ora con il testo integrale della Legge 150/2000: la sua lettura, a parere di chi scrive, sarà più corretta ravvisando in esso non già i caratteri di un traguardo ormai raggiunto e di per sè appagante, bensì quelli – forse meno epici ma di certo più ambiziosi – di un buon inizio.    

 

 

 

Per pubblicare contributi e riflessioni nell’Osservatorio sulla Comunicazione: comunicolab@tiscali.it

 

 

 

NOTE

 

* Comunicatore pubblico e politico. Fondatore di ComunicoLab – Laboratorio di Comunicazione – insieme a Fabio Donalisio, Stefano Martello e Ivan Pugliese.

 

(1) Per un approfondimento in tale direzione si rimanda a Mancini P. (2002), Manuale di Comunicazione Pubblica, Laterza, Bari.

 

(2) Illuminante in tal senso la visione degli autori Hewitt e Mandelson che, in un saggio del 1989 dal titolo “The labour campaign”, sottolineano il non più trascurabile confronto tra il sistema dei media e quello della politica. Le due sfere si relazionano, si rapportano, si rincorrono in un particolarissimo gioco con l’obiettivo di affermare il proprio specifico potere di agenda sui temi della discussione pubblica (agenda setting game).

 

(3) Nell’identificare tale passaggio, chi scrive accoglie la tassonomia rintracciabile in Rolando S., (a cura di), (1995), La Comunicazione Pubblica in Italia, Editrice Bibliografica, Milano.

 

(4) Per ulteriori approfondimenti si rimanda a Mancini P. (2002), op. cit.

 

(5) Una proiezione pratica della distorsione descritta si ritrova, ad esempio, nelle cosiddette affissioni tricolori. Questi particolari manifesti, fitto font nero su fondo bianco nobilitato da banda o coccarda tricolore, assolvono valorosamente al solo e verticale compito di informare i cittadini rendendo loro noto un atto dell’amministrazione. La trasparenza amministrativa che tali strumenti assicurano, pur apprezzabile, resta però innegabilmente alida di una positiva accezione del termine comunicazione.

 

(6) Karl Deutsch, politologo statunitense, si impone come uno fra gli autori che per primi affermano l’importanza della bidirezionalità e della risposta – feedback – nell’economia dei processi comunicativi. Sviluppando ardite quanto affascinanti connessioni tra l’area della cibernetica e quella della comunicazione pubblica, Deutsch pubblica nel 1963 “The nerves of the Government”: proposto con successo dieci anni dopo anche in Italia, il testo individua proprio nel processo la quintessenza della comunicazione stessa, segnalando l’assoluta importanza dei nervi di collegamento e scambio fra istituzione pubblica e cittadini.

 

(7) Già Direzione Generale  delle informazioni, dell’editoria e della proprietà letteraria, artistica e scientifica.

 

(8) In Rolando S. (1992), Comunicazione Pubblica, Il Sole 24 ore Libri, Milano, pag. 21.

 

(9) Proprio su tale base una recente Direttiva del Dipartimento della Funzione Pubblica quantifica nel 2% delle risorse totali di un’amministrazione la quota minima da destinare nello specifico alle attività di comunicazione poste in essere dalla stessa.

 

(10) Con particolare riferimento all’URP, e al fine di tessere una puntuale trama conoscitiva, va comunque precisato che tale struttura non è in realtà una integrale innovazione che nasce con la Legge 150/2000. Questa struttura, infatti, era stata già precedentemente introdotta dal DL 29/1993, uno dei regolamenti attraverso i quali si dava attuazione alla già esaminata legge sulla trasparenza (L. 241/1990).

 

(11) Lo specifico percorso formativo contenuto in nuce nella Legge 150/2000 ha in effetti trovato successiva e dettagliata disciplina nel DPR 422/2001, Regolamento recante norme per l’individuazione dei titoli professionali del personale da utilizzare presso le pubbliche amministrazioni per le attività di informazione e di comunicazione e disciplina degli interventi formativi. Anche il testo integrale di questo Regolamento, attuativo come detto dell’art. 5 Legge 150/2000, è disponibile all’interno dell’Osservazione sulla Comunicazione a cura di ComunicoLab.

 

 

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