Obbligo di verifica del merito creditizio: le responsabilità del finanziatore

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È possibile chiamare a rispondere il finanziatore che abbia concesso credito al consumatore che versi in condizioni economiche precarie? È ammessa nel nostro ordinamento la contrattazione con un soggetto insolvente. Inoltre, il codice civile prevede espressamente degli strumenti a tutela del credito, sicché l’insolvenza sopravvenuta del debitore rappresenta situazione dal quale tutelare il creditore stesso. Il rapporto negoziale finanziatore-consumatore, però, impone un cambio di prospettiva e riflessioni ulteriori.

Indice

1. L’obbligo di verifica del merito creditizio


L’obbligo di verifica del merito creditizio – primariamente previsto dalle direttive comunitarie 2008/48 e 2014/17200 rispettivamente sul credito al consumo e sui contratti di credito immobiliare poi recepito nel nostro ordinamento nelle disposizioni di cui all’art 124 bis e 120-undicies del T.U.B. – impone al finanziatore di procedere preventivamente alla verifica della sostenibilità del finanziamento attraverso le informazioni ricevute dal consumatore o, in mancanza, avvalendosi di banche dati pertinenti.
Nel solco del principio del prestito responsabile, la previsione di tale obbligo dovrebbe porre rimedio a quei comportamenti poco avveduti dei finanziatori consistenti nell’immettere nel mercato prodotti rischiosi, ossia senza un’adeguata valutazione del merito creditizio del soggetto debitore, ritenendo, tale procedura, un valido modo per trarne profitto trasferendo altrove il rischio di insolvenza.
La verifica del merito creditizio del consumatore, nello specifico, deve prescindere da qualsiasi sindacato circa l’opportunità di impiego del denaro prestato, dovendo tenere conto solo della oggettiva ed attuale capacità di rimborso del cliente.
Il legislatore nazionale, in sede di recepimento delle direttive, non ha previsto però le conseguenze relative alla violazione di tale obbligo, differentemente da quanto è accaduto in altri Paesi europei[1].
L’art. 120-undecies del T.U.B., che recepisce l’articolo 18 della direttiva del 2014, effettivamente si limita a circoscrivere la condotta del finanziatore, in relazione all’impossibilità di modificare o risolvere il contratto a svantaggio del cliente, laddove la valutazione sia stata eseguita in maniera scorretta. Tuttavia, la sanzione così esposta non colpisce direttamente il rapporto obbligatorio precedentemente instaurato, né mira a correggere o punire il comportamento del finanziatore, ma ridimensiona il suo potere.
Tuttavia, la Corte di Giustizia Europea con la sentenza del 2014, causa c-565/12, investita della questione circa l’adeguatezza[2] dei sistemi sanzionatori in caso di violazione degli obblighi di responsible lending imposti nei contratti di credito al consumo, ha riconosciuto che tale direttiva mira a tutelare il consumatore, non solo dagli abusi del finanziatore, ma anche dal sovraindebitamento e dall’insolvenza. In questo modo, risulta comprensibile quale sia la funzione della verifica del merito creditizio nell’idea del legislatore comunitario, ossia garantire un elevato livello di protezione dei consumatori. Così inteso, la tutela del consumatore deve essere assicurata, oltre che dalla qualità e quantità di informazioni a lui fornite, anche dalla predisposizione di appositi rimedi civilistici da attivare nel caso in cui, per effetto di un abusivo finanziamento (in quanto erogato in assenza di una corretta valutazione del merito creditizio), versi in condizioni di sovraindebitamento, o comunque non sia più capace di far fronte ai propri debiti.

2. L’obbligo di verifica del merito creditizio come regola di comportamento


L’obbligo più volte citato è qualificato regola di comportamento ossia quella che pone norme di condotta a carico dei soggetti, finalizzata ad assicurare la correttezza e moralità della contrattazione, sicché la sua violazione (secondo l’orientamento maggioritario) può dar luogo a responsabilità, contrattuale o precontrattuale, con il contestuale obbligo di risarcimento, e laddove, ne ricorrano i presupposti, la risoluzione per inadempimento.
Tale assimilazione si spiega in ragione dalla stretta connessione esistente fra gli artt. 124 bis e 124 comma 5 T.U.B. Infatti, quest’ultimo stabilisce che: gli intermediari e i finanziatori <<forniscono al consumatore chiarimenti adeguati, in modo che questi possa valutare se il contratto di credito proposto sia adatto alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria, eventualmente illustrando le informazioni precontrattuali che devono essere fornite>>. In questo momento l’informazione si personalizza, ma perché ciò accada è necessario conoscere il consumatore proprio per poter fornire informazioni adeguate, di guisa che risulta imprescindibile la valutazione del merito creditizio. Invero, l’adempimento diligente da parte del finanziatore degli obblighi precontrattuali presuppone un’idea completa della situazione finanziaria.
In questo modo, la valutazione del merito creditizio si colora di contenuto giacché costituisce passaggio obbligato tendente a fornire al consumatore un livello di consapevolezza adeguata.
Il finanziatore quindi, non deve solo fornire un’informazione standard, ma deve segnalare le conseguenze oggettive che discendono da tali informazioni, in modo da mettere il cliente in guardia da eventuali pericoli.
Quindi, la valutazione del merito creditizio costituisce senz’altro un momento significativo nell’adempimento degli obblighi di informazione personalizzata, funzionali a che il consumatore sia in grado di valutare correttamente le diverse offerte sul mercato prendendo una decisione consapevole, di modo che il credito sia responsabilmente erogato e responsabilmente assunto.
In questo modo, il comportamento del finanziatore nella fase che precede la stipulazione del contratto deve essere valutato alla stregua del canone di correttezza e buona fede rapportato, però, al suo livello delle competenze ed esperienze.
Laddove il finanziatore non ottemperi agli obblighi informativi allo stesso riferiti, si configurerebbe in capo al consumatore una pretesa risarcitoria discendente da una culpa in contrahendo, per violazione di un obbligo informativo.

3. I rimedi risarcitori: la giurisprudenza in materia di responsabilità precontrattuale in caso di violazione dell’obbligo di verifica del merito creditizio


La tesi sopra esposta trova conferma in alcune pronunce dell’ABF, nonché del giudice ordinario.
Il primo a più riprese afferma come la finalità della direttiva comunitaria che prevede tale obbligo sia tesa alla tutela del mercato e solo incidentalmente alla tutela del consumatore, comunque ammettendo, a determinate condizioni, una responsabilità del finanziatore.
Invero, durante la verifica del merito creditizio, il finanziatore deve conformarsi al principio di buona fede e correttezza, nel senso <<dell’obbligo di salvaguardare l’altra parte nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio>>[3], per cui non si può obbligare il medesimo a valutare, nell’interesse del richiedente, la convenienza dell’affare o di imporre di ammonire il cliente della non sostenibilità del credito anche quando voglia assumerlo. In questo caso, a giudizio dell’arbitro, verrebbe impropriamente configurato un obbligo di protezione non previsto dal nostro ordinamento.
Tuttavia, il finanziatore può essere ritenuto responsabile per l’erogazione di un credito irresponsabile, ma <<soltanto in ipotesi di lapalissiana violazione del dovere di buona fede nella fase di formazione del contratto di finanziamento.>> (Collegio di Napoli, decisione n. 1067/18 del 16/01/2018). Inoltre, il cliente che ritenga violata la disposizione di cui all’art. 124 bis T.U.B., deve fornire <<elementi che dimostrino tale lapalissiana violazione del dovere di buona fede ed il nesso causale tra l’erogazione di un finanziamento asseritamente irresponsabile ed i danni patiti>> (Collegio di Napoli, decisione n. 1067/18).
Pertanto, in assenza di un’espressa previsione legislativa che affermi la responsabilità del finanziatore per concessione del credito al soggetto immeritevole, per violazione dell’obbligo di cui all’art 124 bis T.U.B., è possibile prevedere << il risarcimento del danno per violazione dei generali principi di correttezza e buona fede, non già l’annullamento del finanziamento concesso, sanzione non applicabile al di fuori dei casi tassativi ex lege.>>[4]
Nella stessa linea si colloca il Tribunale di Macerata che con sentenza del 24 Maggio del 2018 ha condannato la banca, erogatrice di un prestito irresponsabile, al risarcimento del danno in favore della consumatrice danneggiata, commisurato agli interessi convenzionali e di mora previsti dal contratto.
Il giudice di merito, infatti, ritenendo che le disposizioni in oggetto mirino, prevalentemente, alla tutela diretta del consumatore quale parte contrattuale debole piuttosto che alla tutela del mercato, ha riconosciuto in capo al consumatore un diritto soggettivo alla valutazione del merito creditizio, sicché ha ammesso il rimedio risarcitorio in relazione ad un comportamento scorretto della controparte.
La consumatrice, nel caso di specie, aveva interrotto il pagamento del credito che aveva nei confronti della banca, opponendo alla stessa che il credito era stato concesso in violazione dell’obbligo di verifica del merito creditizio ex art. 124 bis T.U.B giacché le sue condizioni economiche (dipendente
pubblico con stipendio mensile di 1300 euro), rendevano molto prevedibile l’inadempimento dell’obbligo contrattuale riguardante il pagamento delle rate mensili di 4600 euro.
L ’inadempimento del debito da parte del finanziato poteva quindi ritenersi lapalissiano, giustificando in questo modo la condanna al risarcimento.

4. La verifica del merito creditizio nella lotta al sovraindebitamento: il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza


Il legislatore, con il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ha invece attribuito rilevanza al comportamento assunto dal finanziatore nell’erogazione del credito, ai fini dell’ammissibilità o meno del consumatore alle procedure di composizione della crisi.
La precedente legge 3 del 2013 stabiliva che il giudice poteva omologare il piano solo se avesse escluso che il consumatore avesse <<assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che abbia colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali >> (art.12 bis).
Tali requisiti di ammissibilità sono stati percepiti dai giudici come evidenti ostacoli alla concreta applicazione degli strumenti previsti per la lotta al sovraindebitamento.
Così in giurisprudenza si è cercato di colmare l’indeterminatezza della legge, valorizzando il comportamento del finanziatore. Nello specifico, si ricordi una recente pronuncia del Tribunale di Rimini[5], nella quale l’autorità giudiziaria chiamata a pronunciarsi sull’omologazione di un piano del consumatore, dovendo verificare quindi la meritevolezza di quest’ultimo, ha rilevato che  il debitore è stato indotto a contrarre un credito sproporzionato rispetto alle sue capacità restitutorie dalle società finanziare che non avevano effettuato una corretta valutazione del merito creditizio, e che, pertanto, doveva essere ammesso alla procedura di ristrutturazione del debito.
Con le disposizioni del CCII, il legislatore recepisce tali orientamenti e valorizza gli strumenti di ristrutturazione del debito del consumatore, interpretandoli nel senso di garantire la possibilità agli insolventi civili di cancellare i propri debiti e “ripartire da zero”.
In primo luogo, l’art. 69 del CCII stabilisce che il consumatore non può accedere alle procedure qualora abbia determinato il proprio sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode. In secondo luogo, il giudice, in sede di omologazione, dovrà limitarsi a valutare l’ammissibilità giuridica e la fattibilità economica del piano, e non anche escludere che il consumatore abbia assunto debiti senza la ragionevole possibilità di adempierli.  Al debitore sarà preclusa la possibilità di accedere alle procedure nel caso in cui il giudice ravvisi macroscopiche imprudenze e grossolane trascuratezze.
Il legislatore ha ritenuto inoltre attribuire rilevanza alla corresponsabilizzazione del finanziatore nella determinazione dello stato di indebitamento.
Al riguardo, l’art. 68 comma 3 del CCII stabilisce che <<l’OCC, nella sua relazione, deve indicare anche se il soggetto finanziatore, ai fini della concessione del finanziamento, abbia tenuto conto del merito creditizio del debitore, valutato in relazione al suo reddito disponibile, dedotto l’importo necessario a mantenere un dignitoso tenore di vita>>.
Tale indicazione, in primo luogo, è predisposta in funzione delle conseguenti sanzioni attivabili in capo al creditore nel caso in cui abbia violato l’obbligo di cui all’art. 124 bis T.U.B. Nello specifico, l’art. 69 CCII stabilisce che <<il creditore che ha colpevolmente determinato la situazione di indebitamento o il suo aggravamento o che ha violato i principi di cui all’art. 124 bis del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, non può presentare opposizione o reclamo in sede di omologa, anche se dissenziente, né far valere cause di inammissibilità che non derivino da comportamenti dolosi del debitore.>>.
In secondo luogo, la responsabilizzazione del soggetto che eroga credito, così intesa, seppur implicitamente, va ad influenzare ed incidere sul giudizio di meritevolezza del debitore che sarà tanto meno colpevole, quanto più colpevole sarà valutata la condotta del finanziatore.

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  1. [1]

    Ad esempio, in Francia, dove, ai sensi dell’art. L-341-2 del codice del consumo (Ordonnancen. 2016-301 del 14 marzo 2016), l’ipotesi della mancata o lacunosa valutazione del merito creditizio del cliente comporta il venir meno, in tutto o in parte, del diritto del finanziatore a esigere gli interessi.

  2. [2]

    G. Azadi, Valutazione del merito creditizio, adeguatezza delle sanzioni e tutela microeconomica dei Consumatori, in Giuri. Italiana, 2015, p.285.

  3. [3]

    Cass. Civ. n. 3386/1989.

  4. [4]

    Arbitro bancario finanziario, decisione n. 9178 del 18 maggio del 2020.

  5. [5]

    Trib. Rimini, sentenza dell’1° marzo 2019

Giorgia Genuardi

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