Non evita la condanna il cleptomane se la malattia non si pone come antecedente causale della condotta

Redazione 17/04/13
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Lucia Nacciarone

Anche in presenza di una psicopatologia occorre verificare in concreto se abbia inciso sulla capacità di intendere e di volere al momento del fatto.

A deciderlo è la Cassazione con la sentenza n. 17086 del 15 aprile 2013, che si conforma ai propri precedenti giurisprudenziali in materia di disturbi della personalità.

La malattia mentale, avvisano i giudici, è idonea ad escludere la penale responsabilità per i fatti posti in essere solo se presenta un grado di consistenza, intensità e gravità tale da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere, escludendola o scemandola grandemente, e, ancora, se si pone in nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, in modo tale che il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale.

Ai fini dell’imputabilità non deve essere dato nessun rilievo ad altre anomalie caratteriali o alterazioni o disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati. Così come anche un semplice disturbo della personalità, pur non rientrante nel concetto di malattia mentale, può essere idoneo ad escludere l’imputabilità se viene accertato che ha fortemente inciso sulla capacità di intendere e di volere al momento del fatto.

Nel caso di specie l’imputato, che in precedenza aveva sofferto di cleptomania, si era introdotto in un seminario vescovile, era salito fino al secondo piano, era entrato nella stanza del cappellaio militare, aveva aspettato che fosse vuota, poi aveva sottratto una somma di denaro e, una volta scoperto, aveva malmenato la persona che lo aveva disturbato in questa sua azione.

Ad avviso dei giudici di legittimità la condotta per come si è manifestata non può essere ricondotta ad una persona incapace di intendere e di volere, perciò il disturbo è stato considerato nella specie irrilevante e la condanna per rapina confermata.

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