Matrimonio e violenza psicologica, modalità e conseguenze

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Quando due coniugi decidono di allontanarsi, non c’è esclusivamente la separazione o il divorzio. Esistono anche l’annullamento del matrimonio e la dichiarazione di nullità. Il primo per i vizi del consenso meno gravi, ad esempio un errore sulle qualità della persona. Il secondo per i vizi più gravi, ad esempio, il consenso estorto con la violenza fisica.

La legge prevede la possibilità di chiedere, in tribunale, l’annullamento del matrimonio per violenza per violenza morale, che configura in senso giuridico, la violenza psicologica. Si deve trattare di una coercizione “mentale” e non fisica, atta a condizionare il consenso del coniuge.

Non qualunque violenza morale può dare luogo all’annullamento. Si deve trattare di un pericolo grave ed effettivo, da fare temere un male ingiusto e notevole tenendo conto della sensibilità personale e dello stato soggettivo del coniuge. Può essere espressa con qualsiasi mezzo, parole, gesti, scritti,  ed essere esplicita o manifestata indirettamente attraverso comportamenti intimidatori. Oggetto della violenza è la persona oppure i beni dello sposo o dei suoi prossimi congiunti.

Secondo la giurisprudenza non costituisce violenza l’intimidazione dei genitori nei confronti di una figlia, se le dovessero dire che la caccerebbero da casa se avesse rapporti intimi con il fidanzato. Non si può ricorrere all’annullamento del matrimonio per violenza quando il matrimonio è imposto dal fidanzato o “spinto” dai genitori in modo ossessivo.

Quando un padre o una madre convincono la figlia a sposarsi perché altrimenti non avrà compagnia o figli non si può parlare di annullamento del matrimonio per violenza, mentre si può ricorrere al giudice quando il matrimonio viene posto come l’unica via per sottrarsi a un pericolo e come la scelta del male minore.

La paura deve essere di eccezionale gravità e consistere in un grave sentimento in grado di condizionare la manifestazione del consenso.

Sminuire le doti di una persona al fine di ottenere il suo consenso al matrimonio non si considera violenza, così come non lo è l’ipotesi di interrompere il fidanzamento. Il matrimonio si può annullare quando si decide di sposarsi per sottrarsi a una violenza o persecuzione politica, sociale o familiare. La paura priva di riscontri oggettivi si basa esclusivamente su un sentimento di angoscia o disperazione che nasce nell’animo del coniuge e quello reverenziale, vale a dire lo stato di soggezione psicologica basato su sentimenti di ossequio e reverenza,  non giustificano l’annullamento del matrimonio.

L’annullamento non può essere richiesto se gli sposi hanno coabitato per un anno dopo la cessazione della violenza o delle cause che hanno determinato la paura di eccezionale gravità oppure dalla scoperta dell’errore.

La richiesta di annullamento del matrimonio al tribunale civile è molto difficile e scatta in casi di eccezionale gravità, e ci si rivolge alla Sacra Rota.

Un caso tipico nel quale si può ricorrere al tribunale ecclesiastico è quando manca il consenso al matrimonio da parte di uno dei coniugi o di entrambi, compresa la riserva mentale e la simulazione che si ha quando i coniugi, prima di sposarsi, si sono messi d’accordo per non adempiere agli obblighi e non esercitare i diritti matrimoniali.

Si deve menzionare anche il caso dello straniero che si sposa per acquisire la cittadinanza del coniuge o dell’italiano stesso che lo fa per ottenere la reversibilità della pensione o per esaudire il desiderio dei genitori di regolarizzare una situazione attraverso il cosiddetto matrimonio riparatore. La sentenza deve essere convalidata dal tribunale italiano. La convalida viene negata se la coppia ha convissuto per almeno tre anni.

Dopo questo termine l’annullamento ha effetti per la chiesa e non per lo Stato e, ai fini della legge, la coppia resta sposata. Se non ricorrono le cause scritte sopra e la coppia ha convissuto per più di tre anni non resta che la separazione e il successivo divorzio.

Dichiarare di essersi sposati senza averlo voluto non è una colpa e non scatta il cosiddetto “addebito”.

Ad esempio, in una coppia dove la moglie è disoccupata e chiede la separazione perché si accorge di non avere mai amato il marito, a lei spetterà lo stesso l’assegno di mantenimento perché in relazione alla confessione non le può essere imputato nessun addebito.

La scelta di procedere con la carta della nullità o dell’annullamento del matrimonio mette al riparo l’ex coniuge dalle richieste di pagamento di assegni mensili.

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