inserito in Diritto&Diritti nel luglio 2003

Estradizione e contumacia

di Sandro Cerini  

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SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Cenni sul sistema italiano – 3. Brevi cenni sulle esperienze di altri ordinamenti: a) in generale – 4. Segue: b) gli ordinamenti di Common Law – 5. Segue: c) l’ordinamento francese – 6. Segue: d) l’ordinamento portoghese – 7. Segue: e) l’ordinamento tedesco – 8. Segue: f) l’ordinamento spagnolo – 9. L’estradizione esecutiva di sentenze contumaciali: a) problematiche generali – 10. Segue: b) l’art 6 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo. I casi “Colozza” e “Rubinat” – 11. Segue: c) il Secondo Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione. In particolare: i rapporti fra Italia e Spagna – 12. Segue: d) i rapporti con altri ordinamenti – 13.  La contumacia ed il mandato di arresto europeo – 14. Conclusioni

 

1.      Premessa

Il problema del processo celebrato in assenza  dell’imputato è fra quelli di massima rilevanza in ogni sistema di diritto processuale penale: difatti in tale istituto si riproduce, in scala, l’eterna dialettica tra diritti fondamentali dell’individuo-imputato (massimamente diritto di difesa e diritto al giusto processo) e regolare svolgimento della funzione giurisdizionale.

Per la figura in questione, il contraddittorio si risolve nell’endiadi diritto dell’accusato di difendersi personalmente – pretesa statale ad una celere attuazione dell’actio puniendi (che eviti la stasi del procedimento indotta dai comportamenti dilatori dell’imputato).

In particolare, l’istituto come previsto nell’ordinamento italiano ha creato, e crea tuttora, inconvenienti al nostro Governo nelle relazioni internazionali, in ragione del fatto che, malgrado la celebrazione in assenza, l’eventuale sentenza di condanna diviene egualmente irrevocabile (ed eseguibile) né soccorrono clausole di garanzia atte a consentire in ogni caso la celebrazione di un (nuovo) giudizio in contraddittorio[1].

 

2.      Cenni sul sistema italiano

La partecipazione dell’imputato al dibattimento è, nel sistema processualpenalistico italiano, l’espressione di una sua piena scelta difensiva. Diversamente da quanto avviene in altri ordinamenti, ove l’imputato ha l’obbligo (di norma coercibile e comunque sempre sanzionato) di comparire innanzi all’organo che deve giudicarlo, nel sistema italiano egli può liberamente decidere di non comparire, mantenendosi fisicamente assente dal dibattimento.

            Si distinguono le ipotesi della contumacia, dell’assenza e dell’allontanamento volontario dell’imputato, quest’ultimo proceduralmente irrilevante.

            Costituisce contumacia la volontaria mancata comparizione, all’inizio dell’udienza (rectius del dibattimento) dell’imputato, libero o detenuto, che sia frutto di una sua precisa opzione difensiva[2]. Anche l’assenza rappresenta una volontaria mancata comparizione al dibattimento, tuttavia essa è accompagnata dalla espressa richiesta (o dal consenso) alla celebrazione del processo in absentia (evidentemente, per l’imputato in vinculis varrà il rifiuto di presenziare)[3].

Ciò che importa evidenziare è che l’imputato contumace - la cui condizione peraltro non è immutabile nel procedimento - è sempre rappresentato dal difensore, di fiducia o di ufficio, e che alla sua fisica defezione dal dibattimento non si collega alcuna sanzione processuale, ma anzi talune garanzie ulteriori in materia di notifica di atti e, conseguentemente, di decorrenza dei termini per l’impugnazione[4]. Anche l’assente è rappresentato dal difensore, ma egli - tendenzialmente assimilato all’imputato presente - non gode di alcuna posizione privilegiata[5].

Si può pervenire ad una declaratoria di contumacia soltanto ove concorrano tre elementi:

a)      mancata comparizione dell’imputato;

b)      regolarità della citazione, sia sotto il profilo oggettivo (ritualità della notifica) che sotto quello soggettivo (sua effettiva conoscenza da parte dell’imputato);

c)      mancanza di legittimi impedimenti alla comparizione (liberamente apprezzata dall’organo giudicante con valutazione insindacabile nel merito).

Ad ulteriore tutela della posizione del condannato, oltre agli ordinari mezzi di impugnazione, soccorre l’istituto della “restituzione nel termine” di cui all’art. 175 c. p. p., il quale consente di riparare ad una sua omissione - nel caso di specie, la mancata proposizione del mezzo di gravame – restituendolo nel termine spirato, ove dimostri di non aver avuto “effettiva conoscenza” del provvedimento di condanna e sempre che  il fatto non sia ad esso imputabile e, infine, che l’appello o il ricorso non siano stati proposti dal difensore.

            Da ultimo, quale rimedio “generale” rimane sempre la possibilità di chiedere la revisione della sentenza di condanna, ex artt. 629 e seguenti c. p. p.

 

3.      Brevi cenni sulle esperienze di altri ordinamenti: a) in generale

Si è già accennato alla circostanza che non tutti i sistemi processuali ammettono in eguale misura il processo in assenza dell’imputato. Per dar conto delle rilevanti difficoltà che il nostro Governo incontra nelle richieste di estradizione per l’esecuzione di sentenze di condanna in contumacia è pertanto indispensabile premettere una brevissima sintesi comparativa, almeno relativamente a quei Paesi per i quali gli  inconvenienti suddetti si sono più frequentemente verificati[6] e, pertanto, senza alcuna pretesa di completezza. Si potrà così riscontrare che il nostro ordinamento è pressoché l’unico che preveda la generalizzata possibilità del giudizio contumaciale per ogni tipo di reato, non apprestando per il contumace la garanzia di una automatica celebrazione di un nuovo giudizio all’esito della sua cattura (o fisica reperibilità).

 

4. Segue: b) gli ordinamenti di Common Law

Il sistema penale vigente in Gran Bretagna non prevede, di regola, il procedimento in assenza dell’imputato, eccezion fatta per i reati minori condotti alla cognizione delle Magistrate Courts (corti di primo grado composte usualmente da tre magistrati onorari, con competenza per le summary offences, reati “minori” come le violazioni del codice stradale e tutte le ipotesi più blande di violenza personale) e per i processi di appello innanzi alla Court of Appeal. 

La necessità della presenza giustifica la possibilità di emissione di un mandato di arresto affinché la persona venga condotta innanzi alla Corte.

Ma anche innanzi alle Magistrate Courts il processo in assenza è possibile soltanto ove, a fronte della mancata comparizione, si verifichi che la citazione sia stata regolarmente notificata, entro un ragionevole lasso di tempo prima del processo. Inoltre in nessun caso di giudizio in assenza è possibile pronunciare una condanna recante pena detentiva. Sempre innanzi a tale organo giurisdizionale di primo grado, l’imputato può dichiararsi colpevole con comunicazione scritta indirizzata alla Corte ed essere  condannato in sua assenza.

Più in generale, vige comunque il principio secondo cui ogni persona accusata ha diritto ad un processo equo, perciò, anche innanzi alle Magistrate Courts, è possibile ottenere dei rinvii a fronte di una mancata comparizione che sia considerata giustificata in base ad una valutazione discrezionale, operata dal Giudice con specifico riferimento all’incombente giudiziario da espletare.

Nelle Crown Courts (corti di primo grado formate da soli magistrati “professionali” - affiancate da una giuria per le valutazioni sul fatto - con competenza per reati gravi quali quelli di frode, conspiracy, violenza privata aggravata, rapina, stupro, omicidio) assai più limitatamente, si può esaminare un accusa in assenza soltanto per l’adempimento di incombenti in relazione ai quali l’imputato ha già reso una dichiarazione e non vi sia necessità della sua presenza.

L’imputato presente che rifiuti di entrare in aula non può esservi condotto con la forza, ma può essere condannato per contempt of Court.

Negli U.S.A., il diritto ad essere presente (right to be present) nel processo gode di copertura costituzionale, essendo desumibile dal “diritto ad un giusto processo” e da quello “a confrontarsi con i testimoni dell’accusa”, entrambi sanciti nel Bill of Rights del 1791.

Il diritto ad essere presente è rinunziabile se la rinunzia (waiwer) oltreché formulata espressamente  è cosciente e volontaria. A tal fine, però, è necessario che vi sia un controllo della medesima da parte del Giudice, che può espletarsi soltanto in un confronto diretto tra le parti in lizza: pertanto si configura un esplicito dovere a comparire[7] (almeno per rinunziare alla successiva presenza!) ed il processo, conseguentemente, non può avere inizio sino a quando l’imputato non si costituisca.

Ciò è anche il logico corollario di una struttura processuale il cui (peculiare) elemento centrale è rappresentato dall’incontro-confronto tra Procuratore ed imputato, in cui viene operato lo “scambio” tra atto d’accusa (charging) e dichiarazioni dell’imputato circa la propria colpevolezza (pleading).

 

5. Segue: c) l’ordinamento francese

In tale sistema occorre preliminarmente distinguere due categorie di delitti: délits e crimes. Per i délits, di minore gravità, la sentenza può essere pronunziata in contumacia (par defàut), ma essa, caratterizzata da effetti processuali estremamente limitati[8], diviene esecutiva soltanto dopo la sua notifica all’imputato e sempre che questi non vi faccia opposizione nei termini prescritti.

            Tale opposizione, che non richiede formalità di sorta, produce un effetto estintivo assoluto, la sentenza si considera tamquam non esset, il giudizio regredisce alla fase anteriore e viene condotto alla cognizione dello stesso organo giudicante (peraltro, l’assolutezza di tale effetto rescindente è tale da consentire anche una eventuale reformatio in pejus).

In pratica, viene pienamente accolto il principio secondo cui nessuno può essere condannato senza essere stato ascoltato dal Giudice ed il contumace ha diritto a far valere le proprie ragioni prima che il processo venga definito. Tale principio si sposa logicamente con l’altro, secondo cui l’imputato, regolarmente citato o che comunque abbia avuto effettiva conoscenza del processo, ha l’obbligo (coercibile) di comparire.

Tuttavia, in taluni casi il contraddittorio si ritiene validamente garantito attraverso una fictio juris che assimila il processo a quello in presenza e rende inoperante il meccanismo dell’opposizione (restituendo piena efficacia all’ordinario sistema delle impugnazioni).

Così, per taluni reati minori (puniti con sola pena pecuniaria o con pena detentiva inferiore a due anni) l’imputato può chiedere, con comunicazione scritta, di essere giudicato in sua assenza. Se il Giudice vi acconsente, l’imputato sarà rappresentato dal difensore, ma, occorrendo, potrà sempre essere ordinata la sua comparizione.

Tale meccanismo può essere applicato, indipendentemente dal limite di pena, quando debbano essere affrontate questioni non relative al merito dell’azione punitiva (ad esempio, mere richieste di rinvio o questioni sottese alla pretesa risarcitoria della parte civile). In tal caso, il Giudice che abbia assentito perde il potere di ordinare la comparizione successiva dell’imputato per l’incombente.

Infine, l’imputato che versi in gravi condizioni di salute può sempre essere ascoltato, al proprio domicilio, da un Giudice appositamente delegato se lo impongano ragioni di speditezza nella trattazione del processo.

Per i reati più gravi, crimes, condotti alla cognizione delle Corti d’Assise, è previsto un procedimento per contumacia (par contumace) che presenta forti legami con le radici storiche più risalenti dell’istituto, ma è altresì assistito da una forte clausola di salvaguardia dell’imputato, affine a quella sopra esaminata.

E’ considerato contumace l’imputato che non soltanto si mantiene fisicamente assente dal dibattimento, ma si trova in condizioni di aperta “ribellione” alla legge, essendosi sottratto all’esecuzione di un ordine di comparizione, notificatogli per due volte, personalmente o con sistemi atti a garantirne la legale scienza (affissioni al domicilio ed alla casa comunale seguite da forme di pubblicità su organi di stampa).

L’ordinanza che dichiara la contumacia è fonte di forti penalità (sequestro dei beni, sospensione dei diritti civili, forme di incapacità relative all’esercizio di azioni giudiziarie a tutela di propri diritti); ma da un punto di vista strettamente processuale è ancor più interessante notare che il processo che ne consegue innanzi all’Assise presenta connotati di estrema sommarietà (manca la Giuria popolare) e cartolarità (è un giudizio allo stato degli atti, senza audizione di testimoni) ed addirittura il contumace non ha diritto ad essere assistito da un difensore (mentre è ammesso che i prossimi congiunti ne rappresentino le giustificazioni per la perdurante incapacità a comparire).

Tuttavia, la sentenza pronunciata è sottoposta ad una condizione risolutiva, rappresentata dalla presentazione (o cattura) del condannato nel termine di prescrizione della pena (ordinariamente ventennale). Il verificarsi di questa circostanza, nota come purgazione della contumacia, determina l’annullamento retroattivo della sentenza e la regressione del giudizio allo status quo ante, con pienezza di garanzie procedurali a difesa dell’imputato (la Corte riassume la composizione ordinaria).

            Si comprende perfettamente, che la condanna par contumace, ha una efficacia prettamente simbolica (che richiama alla memoria la “condanna in effigie” medioevale), correlata anche alla possibilità che le si dia pubblicità con mezzi di affissione e pubblicazione a stampa. La pena principale è di fatto ineseguibile, mentre mantengono vigore le eventuali pene accessorie, come pure le deminutiones discendenti dalla declaratoria di contumacia.

 

6. Segue: d) l’ordinamento portoghese

Tale ordinamento, tradizionalmente ispirato a quello francese, presentava fino al 1987 un modello – delineato dal codice di procedura penale del 1929 – sostanzialmente identico a quello del giudizio par défaut, proprio dell’ordinamento francese, di cui si è già detto.

            Con il nuovo corpus juris del 1987 si è voluto, per converso, valorizzare in massimo grado il principio della personalità della difesa, anche a discapito della celerità del procedimento.

Tranne limitate eccezioni, essenzialmente legate al consenso dell’imputato in caso di suo grave e perdurante impedimento a comparire, il giudizio non può avere luogo senza la sua presenza. La notificazione reiterata dell’ordine di comparizione conduce, analogamente a quanto avviene nel processo francese par contumace, alla dichiarazione di contumacia, alla quale sono correlate sanzioni extraprocessuali di varia natura (impossibilità di disporre validamente dei propri diritti, incapacità ad ottenere talune certificazioni etc.). Tuttavia tale situazione procedurale determina la sospensione del procedimento.

            Il sistema si è rivelato, all’atto pratico, profondamente insoddisfacente, inducendo una stasi processuale generalizzata ed il conseguente incremento esponenziale di casi di prescrizione.

 

7. Segue: e) l’ordinamento tedesco

Anche l’ordinamento tedesco tende, in linea di principio, a valorizzare la personalità della difesa. L’imputato è obbligato a presenziare e tale obbligo è coercibile mediante l’emissione di un ordine di cattura.

            La correlata sospensione del procedimento in caso di mancata comparizione è mitigata soltanto a fronte della necessità di assicurare l’assunzione di elementi di prova “volatili”, da far valere “a futura memoria”.

            E’ tuttavia sempre possibile procedere in assenza quando il Giudice ritenga che la mancata presenza sia il frutto di una precisa strategia processuale intesa a paralizzare il seguito del processo.

 

8. Segue: f) l’ordinamento spagnolo

Come nell’ordinamento francese, anche in quello spagnolo si distinguono procedure più o meno rigorose, in relazione alla maggiore o minore gravità dei reati.

            Così, sebbene la regola generale sia quella della necessaria sospensione del procedimento in assenza dell’imputato (la cui presenza è ovviamente coercibile), esistono delle ipotesi di giudizio abbreviato in assenza.

Esse riguardano reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena detentiva inferiore ad un anno; in tali casi l’imputato, che deve comunque aver ricevuto rituale notifica (quanto meno in un luogo o presso una persona all’uopo designati) è rappresentata dal proprio difensore.

            Al di fuori di tali eccezioni, la dichiarazione di contumacia (rebeldìa) determina la sospensione del processo una volta che ne sia stata completata la fase istruttoria.

            Tuttavia, al fine di limitare gli espedienti meramente dilatori, è previsto che se la dichiarazione di rebeldìa interviene dopo la pronuncia della sentenza di primo grado - ed in pendenza del ricorso in appello, proposto dalla pubblica accusa o dall’imputato – il giudizio prosegua con la rappresentanza del difensore (d’ufficio, ove non vi sia nomina fiduciaria) e la sentenza possa divenire irrevocabile.

            Come si vedrà più innanzi, la Spagna, in ragione della peculiarità della propria disciplina in materia di estradizioni passive, è uno degli Stati nei rapporti con i quali il nostro ordinamento ha incontrato le maggiori difficoltà (certamente in termini quantitativi, se non anche qualitativi).

 

9. L’estradizione esecutiva di sentenze contumaciali: a) problematiche generali

Nelle estradizioni dall’estero (o attive), disciplinate dagli artt. 720 e seguenti del c. p. p., viene in risalto la distinzione fra estradizioni processuali (richieste per l’esecuzione di provvedimenti restrittivi cautelari) ed esecutive (relative ad una – o più - condanne definitive  a pena detentiva)[9].

            Evidentemente, è in relazione alle seconde che, stante la disomogeneità delle singole discipline nazionali (e delle varie tradizioni giuridiche) di cui si è tentato sommariamente di dar conto, si pongono rilevanti problemi quando la sentenza cui si tenta di dare esecuzione sia stata pronunziata in contumacia. Circostanza, questa, estremamente frequente, tanto che può ben affermarsi che, per talune casistiche criminali, il binomio contumacia – latitanza all’estero sia (paradossalmente!) divenuto un modo tipico di esercizio del diritto di difesa[10].

            Tuttavia, sebbene le obiezioni (e i dinieghi) provenienti dall’estero trovino tutti radice comune nell’esigenza di garantire i minimi di difesa (e perciò una struttura processuale equa), è opportuno precisare che le cornici normative di riferimento sono diverse.

            Talvolta l’impasse discende dalla disciplina della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, sottoscritta a Roma il 4.11.1950, con riferimento all’art. 6, par. 1. In altre occasioni, si fa riferimento al Secondo Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione, sottoscritta a Parigi il 13.12.1957. Infine, taluni Stati oppongono resistenze e rifiuti in forza della propria disciplina interna in materia di estradizioni passive: è il caso, già citato, della Spagna, e della relativa Legge n. 4 del 21.3.1985[11], ma anche della Gran Bretagna, con riferimento all’Extradition Act del 1989.

 

10. Segue: b) L’art. 6 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo. I casi “Colozza” e “Rubinat”

L’art. 6 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo consente di enucleare un fascio di prerogative e diritti processuali che, ricondotti al loro comune presupposto, il “diritto ad un equo processo”, consentono alla Corte europea per i diritti dell’uomo di sindacare il rispetto delle regole processuali nei singoli modelli nazionali (e nei casi concreti oggetto di ricorso), pur senza mai entrare nel “merito” della contesa processuale.

            Tra tali diritti si inquadra quello dell’accusato a difendersi personalmente, presenziando al dibattimento, sebbene non  espressamente enunciato dall’art. 6, par. 1, della Convenzione europea.

            Esso, tuttavia, non sempre è inteso in modo omogeneo negli ordinamenti dei vari Stati. Così, facendo leva sulla Risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa n. (75) 11 del 21 maggio 1975, si è talvolta ritenuta sufficiente a garantirne il rispetto la notificazione di un provvedimento giudiziario contenente l’indicazione degli elementi fondamentali dell’atto di accusa; ovvero la nomina di un difensore di fiducia.

Ma in altri casi (o in decisioni dei medesimi organi, assunte a distanza di tempo) neppure queste garanzie minime sono state ritenute sufficienti.  

Determinata l’esistenza di un diritto siffatto, si è posto, correlativamente, il problema di stabilire se la struttura del giudizio contumaciale nell’ordinamento italiano fosse compatibile con esso.

            In tale contesto, le pronunce della Corte europea per i diritti dell’uomo intervenute il 12.2.1985 relativamente ai casi “Colozza” e “Rubinat”, hanno segnato senza dubbio il più alto punto di crisi dell’istituto (almeno vigente il Codice di Procedura Penale del 1930).

I fatti oggetto dei due ricorsi in questione, nella loro “semplicità” rappresentano appieno l’assoluta inadeguatezza della disciplina allora vigente a garantire il rispetto del principio del fair hearing.

Giacinto Colozza venne condannato per truffa alla pena di sei anni di reclusione e, dichiarato dapprima irreperibile poi latitante, non ebbe mai effettiva conoscenza (del processo e) della sentenza a suo carico, notificatagli, con il rito prescritto per gli irreperibili, presso il difensore d’ufficio.

L’estrema sommarietà delle ricerche esperite dalla polizia giudiziaria si sommò alla mancata conoscenza dell’originaria citazione a giudizio da parte dell’imputato. Tuttavia, l’Autorità giudiziaria addivenne alla declaratoria di latitanza ed al rigetto delle impugnazioni tardive proposte dal Colozza all’atto del suo arresto (peraltro operato in Italia, a Roma, luogo da dove il predetto non si era mai allontanato).

La Corte europea, riferendosi al cennato diritto a difendersi personalmente, censurò, in particolare, il processo ermeneutico (in realtà rivelatosi meccanicistica applicazione di norme di procedura) con il quale l’Autorità giudiziaria italiana, nel dichiarare l’irreperibilità e poi la latitanza, aveva ritenuto di presumere la volontà dell’imputato di sottrarsi al giudizio. La Corte esplicitò il principio secondo cui “la rinuncia all’esercizio di un diritto garantito dalla Convenzione deve risultare provata in maniera non equivoca”.

In tutto analogo il caso “Rubinat”, con la sola variante della instaurazione di un procedimento di estradizione attiva dalla Francia. Pedro Rubinat, marittimo spagnolo, in occasione di una breve permanenza del suo bastimento nel porto di Genova, accoltellò un proprio compagno, causandone la morte e successivamente si rifugiò all’estero. Condannato in contumacia, senza mai aver ricevuto alcuna notifica di persona, fu estradato dalla Francia in Italia e successivamente graziato dopo aver scontato un parte della pena[12].

            I due casi (e le relative condanne) sopra citati, sono quelli che hanno avuto maggiore risalto in dottrina, anche in considerazione della loro carattere di assoluta novità. Tuttavia, altre significative condanne per ragioni analoghe sono state pronunziate negli affair “Brozicek” (sentenza del 19.2.1989), “F.C.B.” (sentenza del 28.8.1991) e “T.” (sentenza del 12.10.1992)[13]. Di particolare interesse la decisione assunta nel caso “F.C.B.” nel quale, pur essendovi il patrocinio di un difensore di fiducia - e dunque la certezza della conoscenza del processo da parte dell’imputato - la Commissione affermò che tale “… conoscenza non potrebbe sostituire una notifica ad personam, la sola degna di fede” (e tale assunto motivatorio fu recepito nella sentenza della Corte).

Questo lo stato della materia vigente il codice di procedura penale del 1930, alla cui originaria formulazione era persino ignoto il rimedio della restituzione nel termine. Tale istituto venne infatti introdotto con la L. n. 517 del 18.6.1955, che aggiunse al preesistente impianto della disciplina dei termini processuali l’art. 183 bis.

Tuttavia la restituzione, alla luce di tale disposizione, restava confinata in un ambito piuttosto angusto, condizionata com’era dalla prova del “caso fortuito” o della “forza maggiore”; tanto che il rimedio non riuscì giovevole in casi concreti come quelli indicati.

Anche come conseguenza di alcune delle citate pronunce di condanna della Corte europea, l’art. 183 bis citato fu oggetto di novellazione ad opera della legge n. 22 del 23.1.1989 che, per la prima volta, fece riferimento alla possibilità di richiedere la restituzione del termine per impugnare in caso di mancata conoscenza effettiva del provvedimento di condanna reso in contumacia (sempre che il gravame non fosse già stato interposto dal difensore).

Questa disciplina, aperta anche alla considerazione del profilo soggettivo della mancata conoscenza incolpevole, è stata trasfusa pressoché integralmente nel codice di procedura penale del 1989, anche in considerazione delle direttive portate dalla legge n. 81 del 16.2.1987, recante delega per l’approvazione del nuovo codice (massimamente la n. 80).

A tale proposito, è estremamente significativo rilevare che il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa occupandosi ex professo della questione relativa alla conformità della “nuova” disciplina della contumacia, ha ritenuto con decisioni del 14.12.1993, assunte in margine alle vicende “Colozza” (risoluzione DH-93-64) e “T.” (risoluzione DH-93-65), la piena conformità di tale impianto normativo alla Convenzione europea, sia nelle forme introdotte dell’art. 183 bis del vecchio codice, come novellato, sia nella definitiva struttura dell’art. 175 c. p. p. secondo la nuova formulazione.

Ma non si può non rilevare che la raggiunta “quadratura” del sistema sotto il profilo teorico (e perciò la sua tenuta), può risultare fortemente compromessa, sotto il profilo pratico, ove si consideri che l’istituto della contumacia si coniugherà con le norme dettate per le notifiche in caso di irreperibilità e con le correlate forme di “legale scienza”[14].

Inoltre, sotto il profilo della consumazione del potere di impugnazione del contumace, un’ulteriore smagliatura è stata indotta dalla rinnovata disciplina del rito monocratico conseguente alla riforma del “Giudice Unico” che, improvvidamente, ha novellato l’art. 571 c. p. p. – eliminando una norma che salvaguardava la posizione del contumace in vista dell’impugnazione, prevedendo, quale condizione di efficacia per l’impugnazione del difensore, il rilascio di un mandato specifico. Con la paradossale conseguenza che, alla luce di tale nuova disciplina, l’impugnazione del patrono elide sempre quella dell’imputato, anche nell’ipotesi di nomina ex art. 97, 4° comma c. p. p., fatta per la sola udienza di discussione.

 

11. Segue: c) il Secondo Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione. In particolare, i rapporti fra Italia e Spagna

Il Secondo Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione, sottoscritta a Parigi il 13.12.1957, stabilisce all’art. 3, par. 1, che se la richiesta di estradizione è fatta per l’esecuzione di una sentenza contumaciale, essa potrà essere rifiutata se la parte richiesta ritenga che il procedimento non abbia garantito i minimi di difesa. La concessione potrà avvenire se siano offerte assicurazioni, ritenute sufficienti, che la persona richiesta sarà sottoposta ad un nuovo giudizio, rispettoso dei minimi di difesa che si assumono violati.

Si è già accennato alla esistenza di una legge spagnola di disciplina delle estradizioni passive (L. n. 4 del 21.3.1985) che ripropone pedissequamente tale previsione, in attuazione delle disposizioni della Costituzione spagnola relative al giusto processo.

            Almeno sino al 1996, forte di tali assunti, la Spagna ha sempre opposto rifiuto alle domande di estradizione italiane riguardanti sentenze contumaciali, ritenendo che la struttura del nostro processo in assenza violasse i minimi di difesa ed ulteriormente obiettando che la condizione della celebrazione del nuovo giudizio, imposta dal Secondo Protocollo addizionale suddetto, non poteva ritenersi soddisfatta dai rimedi apprestati dall’ordinamento italiano (restituzione nel temine per proporre impugnazione, revisione delle sentenze) in quanto l’applicazione di tali rimedi non è automatica, ma rimane ancorata alla valutazione, demandata all’Autorità giudiziaria[15], della ricorrenza di taluni presupposti. Inoltre, in talune pronunzie è stata censurata in toto l’adeguatezza a tal fine dell’istituto previsto dall’art. 175 c. p. p., ritenuto comunque insufficiente, in quanto preclusivo d’una rinnovata celebrazione del primo grado  di giudizio).

            Il  diniego era assoluto, riguardando anche casi in cui ben poteva essere argomentato che l’imputato si era volontariamente sottratto alla celebrazione del dibattimento, avendo conoscenza effettiva del processo a suo carico ed essendo assistito in molti casi da difensore di fiducia.

Tuttavia, a partire dal 1996, si verificò un mutamento nelle decisioni della Audiencia Nacional[16] (peraltro assunto nonostante e contro l’opinione del Procuratore presso la medesima, competente ad impartire direttive alle forze di polizia) ed il precedente orientamento negativo fu talvolta superato, anche per casi nei quali non era possibile dimostrare l’effettiva conoscenza da parte della persona richiesta della pendenza del processo a suo carico ed addirittura vi era stata la mera assistenza di un difensore di ufficio.

Tale orientamento di apertura è stato successivamente rovesciato da pronunzie di segno opposto del Tribunale  Costituzionale spagnolo, adito direttamente dagli estradandi con il recurso de amparo[17].

In particolare, il Tribunale Costituzionale ha censurato in alcune occasioni decisioni favorevoli dell’Audiencia Nacional assunte in casi pratici in cui gli imputati-estradandi non erano stati assistiti da difensore di fiducia (né poteva darsi prova della loro conoscenza effettiva della sentenza di condanna) mentre,  da ultimo, nel marzo 2000, si è spinto sino al punto di adottare analoga decisione negativa malgrado vi fosse stato il patrocinio di un difensore di fiducia (e quindi risultasse provata l’effettiva conoscenza del procedimento e del conseguente provvedimento di condanna)[18]. Tale decisione ha realizzato, de facto, una disapplicazione dell’art. 3 del Secondo Protocollo addizionale assumendo come metro di giudizio un criterio assai più restrittivo persino di quello tradizionalmente adottato dalla Corte europea, specificato nella citata risoluzione del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea del 21.5.1975.

Questa situazione di contrasto ha determinato, nel corso del tempo, una singolare situazione di sistematica latitanza di pericolosi ricercati nel territorio spagnolo, in quanto garantiti, ancor prima che dall’indicato indirizzo giurisprudenziale, persino dalla certezza del mancato arresto, posto che il Servizio S.I.Re.N.E. spagnolo ha iniziato a fare un uso indiscriminato dello strumento del flag, paralizzando il sistema degli arresti provvisori per fini estradizionali introdotto dall’Accordo di Schengen[19].

Al fine di superare la posizione di stallo, sin dal 1998 si sono succeduti incontri tra le delegazioni dei due Paesi, sia a livello di Ministeri della Giustizia, sia nell’ambito del Segretariato Schengen. I negoziati, sviluppatisi con andamento altalenante anche in relazione all’intervento delle succitate pronunce della Corte Costituzionale spagnola, sono culminati nella sottoscrizione ad opera dei rispettivi Ministri della Giustizia, a Madrid il 20 luglio 2000, del Protocollo di cooperazione in materia di estradizione fra la Repubblica Italiana e il Regno di Spagna e, a Roma il 28 novembre 2000, del Trattato tra la Repubblica Italiana e il Regno di Spagna per il perseguimento di gravi reati attraverso il superamento dell’estradizione in uno spazio di giustizia comune.

Il Trattato,  è tuttora in corso di ratifica da parte delle  Autorità italiane e non è, pertanto, in vigore.

In particolare, il Protocollo, la cui sottoscrizione è stata preceduta da una dichiarazione congiunta dei Ministri della Giustizia dei due Paesi, si sostanzia in una presa d’atto della piena conformità della disciplina italiana del giudizio contumaciale alla CEDU, alla luce, in particolare, della interpretazione cui si è già accennato.

Il Trattato prevede, per alcune casistiche criminali di rilevante gravità[20], un mutuo riconoscimento dei provvedimenti giurisdizionali di condanna, con l’ulteriore conseguente possibilità che sia direttamente l’Autorità giudiziaria competente a richiedere, all’Autorità centrale della parte richiesta, l’esecuzione del titolo restrittivo al fine della consegna del ricercato, nell’ambito di quello che può ben essere definito come uno “spazio comune di giustizia”.

Si tratta, come è stato notato[21], di una “innovazione storica” che realizza, a livello bilaterale, un effettivo superamento dell’estradizione esecutiva - conformemente ad alcune delle direttive contenute nelle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999[22] - ed ha anticipato, per tal via, la creazione dello “spazio giudiziario europeo”, risultando il diretto precursore  della decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, alla quale sia accennerà più oltre.

E’ opportuno dar conto, in chiusura, dell’ulteriore problema applicativo postosi nei rapporti tra i due Stati, allorquando le Autorità spagnole, , in numerosi procedimenti, in applicazione delle disposizioni dell’art. 3 del Secondo Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione, hanno fatto luogo alla concessione dell’estradizione sottoponendola a condizione.

In particolare, esplicitando le previsioni di tale norma, con una clausola presto divenuta di stile, si è inteso subordinare la concessione dell’estradizione alla circostanza che, da parte dello Stato italiano, mediante un nuovo processo, si diano alla persona richiesta le possibilità di impugnazione sufficienti per salvaguardare i propri diritti di difesa.

In tal modo le Autorità di quello Stato hanno ritenuto di garantire la tenuta del proprio ordinamento, contemperando l’esigenza di tutela difensiva  dell’estradando con la necessità di escludere la presenza di odiose “zone franche” di fronte alle richieste di estradizione italiane, in specie per gravi condotte criminose.

L’iniziativa, certo commendevole, ha tuttavia dato luogo ad ulteriori  difficoltà pratiche, discendenti dalla disomogeneità di disciplina interna ai due ordinamenti ed in particolar modo dalla incertezza circa la qualificazione giuridica di tale condizione.

Le stesse Autorità spagnole hanno tenuto un atteggiamento oscillante: infatti, mentre in un primo hanno mostrato di considerare tale condizione come sospensiva (e perciò con effetto impeditivo della consegna in assenza di accettazione) richiedendo alle Autorità italiane (ministeriale e giudiziaria), prima dell’effettiva esecuzione del decisum, di fornire espressa accettazione della condizione medesima (nelle forme delle informazioni complementari di cui all’art. 13 della Convenzione europea di estradizione), esse, in un momento successivo (secondo un iter temporale speculare al travagliato corso dei rapporti italo-spagnoli di cui sopra si è riferito) hanno dato corso ad una prassi applicativa affatto diversa, procedendo senz’altro, pure in presenza di condizione ed indipendentemente da una sua espressa accettazione da parte italiana, alla materiale consegna delle persone estradate.

Si è conseguentemente posta la questione relativa alla compatibilità di tale prassi con il diritto ad una tutela giudiziaria effettiva.

A taluni procedimenti di estradizione dalla Spagna è in effetti seguita in sede nazionale, dopo la consegna dei ricercati, una coda contenziosa innanzi alle Autorità italiane.

Si è sostenuto, da parte delle difese degli estradati, che la presenza della suddetta condizione (da esse senz’altro qualificata come sospensiva), avrebbe determinato come sua conseguenza l’illiceità della consegna operata in assenza di un espresso atto di accettazione da parte del Ministro della Giustizia. Ulteriore corollario dell’assunto sarebbe stata l’illegittimità della detenzione dell’estradato, con l’ulteriore pretesa che il Ministro medesimo avrebbe dovuto, prima che la consegna venisse materialmente eseguita, rifiutarla o, in estrema analisi, provvedere, dopo la presa in consegna del ricercato, alla sua remissione in libertà ai sensi dell’art. 718 c. p. p.

Pur se una disamina approfondita della questione esula dai limiti della trattazione, è opportuno precisare alcuni aspetti della vicenda.

Innanzi tutto si può ben sostenere che in materia di cooperazione giudiziaria tra gli Stati rileva realmente – e fa stato – soltanto ciò che è formalmente eseguito: in tal senso la volontà del Governo spagnolo di procedere alla consegna in estradizione, pur prescindendo dall’avvenuta formale accettazione della condizione imposta, costituirebbe volontà prevalente, resa esplicita mediante un comportamento concludente, rispetto alla condizione medesima.

Inoltre da un punto di vista della disciplina interna va osservato che l’eventuale rimessione in libertà dell’estradato esula dalle competenze del Ministro della Giustizia, il quale non è titolare di altro potere in materia se non di quello, normativamente previsto dall’art. 7203 c.p.p “… di non presentare la domanda di estradizione … dandone comunicazione all’autorità giudiziaria richiedente”. Tale disposizione non può essere intesa nel senso di conferire al Ministro un potere di scarcerazione quando l’estradizione (rectius: consegna del ricercato) abbia già avuto corso.

La questione è allora piuttosto quella di verificare se l’asserita illiceità della consegna possa dar luogo ad una questione sulla esecuzione del provvedimento, con necessaria devoluzione della cognizione sull’istanza de libertate al Giudice dell’esecuzione, ex artt. 665 e seguenti c.p.p.).

Ma anche a seguire tale via non si ravvedono, sotto il profilo logico ancor prima che giuridico, spazi per l’adozione dei provvedimenti di scarcerazione invocati, atteso che la natura dell’incidente di esecuzione, inteso quale mezzo finalizzato al riesame di questioni afferenti l’eseguibilità del titolo, non appare idonea a garantire l’introduzione nel procedimento nazionale di fatti (eventualmente) dirimenti, verificatisi nell’ambito di un ordinamento esterno e devoluti alla cognizione, in sede di impugnazione o reclamo, delle Autorità giudiziarie ed amministrative colà esistenti.

E’ al contrario vero che una sia pur breve disamina di talune decisioni assunte in tempi recenti dall’Autorità Giudiziaria spagnola consente di comprendere appieno quale radicale mutamento di atteggiamento sia intervenuto in quell’ordinamento, conducendo al riconoscimento della conformità della struttura del giudizio contumaciale italiano rispetto ai canoni fondamentali del giusto processo.

Già con la decisione n. 16/01, adottata dall’Audiencia Nacional di Madrid il 5.3.2001 era satato precisato che:

“… lo Stato richiedente ha la responsabilità di soddisfare la condizione imposta nella forma prevista dalla sua legislazione interna, senza che l’imposizione di tale garanzia possa necessariamente sottintendere la prestazione di un garanzia precedente ed esplicita quale condizione perché la consegna abbia luogo” e che “… lo stato attuale della legislazione processuale italiana consente alle autorità dello stato richiedente il soddisfacimento di tale condizione, se si tiene conto del fatto che in nessun caso la condizione imposta esige inevitabilmente la celebrazione di un nuovo processo, quanto piuttosto dà al ricorrente mezzi di impugnazione sufficienti della sentenza di condanna per ritenere salvaguardati i suoi diritti di difesa”.

A tale orientamento della Audiencia Nacional, consolidatosi nel corso del tempo, ha fatto seguito una ulteriore decisione di notevole rilevanza del Tribunale Costituzionale spagnolo, adottata il 6.5.2002, sul ricorso n. 2266-2000 SM:

“(…) Il plenum delle sezioni penali della Audiencia Nacional ha reiteratamente sostenuto che l’interpretazione congiunta (…) della Convenzione europea di estradizione  e le previsioni del Titolo III del Secondo Protocollo addizionale della stessa permettono di concedere l’estradizione anche nel caso in cui la richiesta abbia come titolo una condanna emessa in assenza se gli organi della giurisdizione spagnola ritengono che nel processo celebrato nello stato richiedente siano state osservate le garanzie minime richieste dal diritto di difesa. (…) La Costituzione non vieta la condanna penale contumaciale (…) però richiede che l’efficace della stessa sia sottoposta ad una possibilità di impugnazione successiva (…) che deve risultare sufficiente per sanare il deficit di garanzie che, nel caso concreto, la (…) mancata presenza all’udienza può aver causato. Pertanto (…) non è che l’Audiencia Nacional richieda alle Autorità italiane la prestazione di garanzia come condizione previa per dichiarare ammissibile l’estradizione delle persone richieste, ma, quando si dichiara l’ammissibilità, la stessa deve contemplare come garanzia la concessione nello Stato richiedente della possibilità all’estradando delle impugnazioni indicate. (…) Conformemente alla nostra dottrina, ciò che la Costituzione vieta è di dare efficacia ad una condanna per reato grave emessa in assenza senza offrire al condannato l’ulteriore possibilità di sanare le deficienze che la mancanza di presenza al giudizio orale possa avere causato, il che non significa che sia costituzionalmente esigibile la ripetizione del giudizio”.    

In definitiva, appare sufficientemente chiaro che l’attuale orientamento dell’Audiencia Nacional, recepito dal Tribunale Costituzionale spagnolo, è quello di apporre, nei casi in questione, una condizione che non ha efficacia sospensiva della consegna e si risolve non nell’iniziare il processo ex novo una volta che l’estradato sia giunto in Italia (cosa che del resto sarebbe chiaramente impossibile), ma nell’offrire all’estradato medesimo la possibilità di impugnare (tardivamente) la sentenza, ovvero di avviare una nuova fase dell’impugnazione, nella quale dovranno essere salvaguardati i diritti minimi di difesa.

 

12. Segue: d) i rapporti con altri ordinamenti

Pur con i temperamenti che si possono far discendere dalla citata risoluzione del Comitato dei Ministri n. (75) 11, le obiezioni alla struttura del nostro processo in contumacia possono ben dirsi generalizzate.

Così, problemi in tutto analoghi a quelli riscontrati nei rapporti con la Spagna rappresentano la regola nei rapporti con altri ordinamenti di tradizioni ispaniche, massimamente Argentina[23], Cile e Messico.

            In ambito europeo, la maggior parte degli Stati, aderendo all’interpretazione della suddetta Risoluzione (75) 11 sopra riferita, ritiene che i minimi di difesa siano salvaguardati dalla notifica personale dell’atto di accusa (o di altro provvedimento che ne contenga gli elementi) o dalla nomina di un difensore di fiducia[24]. In forza di tale aggiustamento, rapporti di collaborazione consolidati e proficui vengono intrattenuti con Germania, Austria, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Portogallo (questi sono, anche da un punto di vista statistico, gli ordinamenti coi quali vengono intrattenute le maggiori relazioni).

Ove non ricorrano i presupposti in questione, in presenza di condanne in contumacia, anche i rapporti con tali ordinamenti tornano ad essere estremamente problematici, posto che il rimedio della restituzione del termine non è generalmente bene accetto, non consentendo la ripetizione del giudizio con criteri di automaticità, ma sempre previa delibazione favorevole da parte dell’Autorità giudiziaria di talune circostanze di fatto, e precludendo così al Ministro della Giustizia la possibilità di offrire garanzie in ordine alla celebrazione di un nuovo processo (come previsto dal Secondo Protocollo addizionale).

Tradizionalmente ostici i rapporti con i Paesi di Common Law, in ragione delle peculiarità, anche culturali, dei loro ordinamenti. In tale contesto, anche in considerazione della sua collocazione nell’ambito dell’Unione Europea, un caso a sé stante è rappresentato dalla Gran Bretagna.

Tale ordinamento, pur aderendo alla Convenzione europea di estradizione del 1957, risulta fortemente condizionato dalla disciplina interna della materia estradizionale, recata dall’Extradition Act del 1989 e massimamente dal suo art. 6, il quale individua una facoltà di rifiuto discrezionale, opponibile ogni qual volta il Magistrato britannico che conosce la domanda di estradizione, ritenga che la consegna della persona richiesta non sia conforme “all’interesse della giustizia”.

Malauguratamente, si sono formati innanzi alle Corti britanniche una serie di precedenti negativi, tutti in forza del carattere non automatico della celebrazione di un nuovo processo dopo la consegna dell’estradando (anche se l’istituto italiano sul quale si è maggiormente appuntata l’attenzione britannica è quello della revisione del processo), i quali, nello stato attuale, rappresentano un forte ostacolo nei rapporti.

 

13. La contumacia ed il mandato di arresto europeo

La decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, adottata a Laeken il 13 giugno 2002 all’art. 5, par. 1 (“Garanzie che lo Stato emittente deve fornire in casi particolari”) prevede che:

“Se il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza comminate mediante decisione pronunciata <<in absentia>>, e se l’interessato non è stato citato personalmente né altrimenti informato della data e del luogo dell’udienza che ha portato alla decisione pronunciata in absentia, la consegna può essere subordinata alla condizione che l’autorità giudiziaria emittente fornisca assicurazioni considerate sufficienti a garantire alle persone oggetto del mandato d’arresto europeo la possibilità di richiedere un nuovo processo nello Stato membro emittente e di essere presenti al giudizio”.

Si tratta, come è agevolmente dato vedere, di una previsione normativa  che riecheggia quella del Secondo protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione; tuttavia  essa è stata temperata alla luce della Risoluzione 75 (11) del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa già citata, e mostra di tenere in debito conto la conoscenza da parte del condannato, “legale” o anche de facto, della avvenuta celebrazione del dibattimento, quale circostanza che soddisfa (in astratto) l’esigenza di garantire l’esercizio delle facoltà difensive minime.

Anche in questo caso la “esportabilità” del sistema appare assicurata in via meramente teorica: in questo caso è anzi ancor più difficile prevedere quali possibili permutazioni casistiche interverranno a turbare l’equilibrio astratto dei due istituti, atteso che a tale decisione quadro dovrà esser data concreta attuazione mediante una legge nazionale di adattamento dell’ordinamento giuridico interno.

 

14. Conclusioni

Si è potuto rilevare, per quanto sommariamente, che l’ordinamento italiano non appresta una clausola di salvaguardia che consenta la “purgazione della contumacia” e la celebrazione di un nuovo giudizio, nel corso del quale l’imputato possa essere audito, argomentando personalmente le proprie difese innanzi al Giudice o conferendo con il proprio difensore di fiducia.

            Ciò è fonte di conseguenze sfavorevoli nelle relazioni con altri Stati, nonostante che per, altre parti ed istituti, il nostro sistema sia estremamente garantista dei diritti dell’imputato, certamente più di quanto non lo sia, per esempio, il modello francese della condanna par contumace[25], peraltro generalmente bene accetto a livello di relazioni internazionali.

            Proprio per questo, la necessità di munirsi di rimedi normativi atti a garantire l’imputato dalle violazioni del diritto ad un giusto processo (anche dopo l’irrevocabilità della sentenza) non è più rinviabile. Molti Stati appartenenti al Consiglio d’Europa si sono trovati nella medesima necessità a seguito di pronunce della Corte europea e vi hanno provveduto, introducendo forme di revisione automatica del processo. In tale direzione si sono mosse Austria, Bulgaria, Croazia, Germania, Lituania, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Polonia, Slovenia, Regno Unito e Francia[26].

            Un tale passo appare non ulteriormente procrastinabile anche per il nostro legislatore. Difatti, è dimostrato che l’adeguatezza dell’attuale disciplina, con specifico riguardo alla domanda di estradizione per l’esecuzione di sentenze contumaciali,  resta circoscritta ai soli casi in cui si può dimostrare la conoscenza del processo da parte del condannato (cosa non sempre agevole o possibile) ed anzi, in taluni casi neppure tale elemento viene considerato sufficiente. Inoltre, occorre tenere conto che la nuova formulazione dell’art. 571 c. p. p. è suscettibile di indebolire ulteriormente una struttura già provata.

            E del resto è parimenti sperimentato che  gli istituti della restituzione del termine per impugnare e della revisione del processo, sebbene indispensabili per garantire una tenuta “teorica” del sistema, non rappresentano una garanzia reale, né vengono generalmente accettati nei rapporti con altri Stati, dacché essi, come si è già accennato, non conducono ad una automatica celebrazione di un nuovo giudizio, ma sono sempre condizionati da una previa positiva delibazione dell’Autorità giudiziaria e, pertanto, non consentono al Ministro della Giustizia di fornire quelle assicurazioni che i collaterali organi esteri generalmente si attendono.

            Di estremo rilievo pratico i risultati raggiunti a seguito della negoziazione intercorsa con il Regno di Spagna, che hanno rappresentato, peraltro, una significativa anticipazione degli scenari della coooperazione giudiziaria nell’ambito dell’Unione Europea (e del costituendo “spazio di giustizia comune”) culminati nell’adozione della decisione quadro sul mandato di arresto europeo; ma i rapporti giurisdizionali con le Autorità straniere non vivono soltanto in siffatte aree sovranazionali di “giustizia comune” e,  comunque, le procedure di consegna alternative all’estradizione appaiono, per molti versi, architetture giuridiche assai delicate, difficili da conciliare con l’esistente.

            La via da percorrere potrebbe essere quella di prevedere una facoltà di impugnazione non sottoposta ad alcun termine per il condannato contumace che non abbia ricevuto personalmente la notifica dell’estratto di condanna né abbia già personalmente esperito il gravame.

Si può ben affermare che la necessità di dare concreta attuazione alle disposizioni della decisione quadro sul mandato di arresto europeo rappresenta l’occasione ideale per affrontare sul piano della politica legislativa la complessa questione del giudizio in assenza.

Tuttavia, si dovrà calibrare ogni intervento alla luce delle complessive esigenze del sistema, al fine di scongiurare effetti indesiderati che potrebbero determinare una sua definitiva crisi.

 

 Indicazioni bibliografiche

·         AA. VV., L’Italia e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Documenti Giustizia, nn. 1-2., Roma, gennaio - aprile 2000 (numero monografico);

·         CORDERO, Franco, Codice di Procedura Penale commentato, Torino, UTET, 1989;

·         DE DONATO, Giovanni, L’estradizione. Profili giuridici ed operativi del sistema europeo e italiano, in Documenti Giustizia, n. 6, Roma, novembre-dicembre 2000 (numero monografico dedicato alla materia delle cooperazione giudiziaria in materia penale);

·         DE DONATO, Giovanni, Questioni in tema di estradizione e di contumacia, in Cassazione Penale, 2002, p. 3117);

·         DE DONATO, Giovanni e SELVAGGI, Eugenio, Commento all’art. 13 del Codice Penale, in LATTANZI, Giorgio e LUPO, Ernesto, Codice Penale. Rassegna di Giurisprudenza e dottrina, I, Milano, Giuffrè, 2000, p. 300;

·         DEL TUFO, Valeria, Estradizione (Diritto Internazionale), in Enciclopedia giuridica, XIII, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1989;

·         FERIOZZI KLEIJSSEN, Stefania, Le decisioni nei confronti dell’Italia ed i dati statistici, in Documenti Giustizia, nn. 1-2, Roma, gennaio – aprile 2000, p. 268;

·         GARINO, Vittorio, Contumacia nel diritto Processuale Penale, in Digesto delle Discipline Penalistiche, III, Torino, UTET, 1989, p. 145;

·         LATTANZI, Giorgio e LUPO, Ernesto, Codice di Procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina. Esecuzione e rapporti giurisdizionali con Autorità straniere. Libri X e XI, II, Milano, Giuffrè, 1997;

·         MARCHETTI, Maria Riccarda, Estradizione, in Digesto delle Discipline Penalistiche, IV, Torino, UTET, 1990, p. 390;

·         MERCONE, M., Diritto Processuale Penale, Manuale teorico-pratico, Napoli, Simone, 1994;

·         PISANI, Mario e MOSCONI, Franco, Codice delle Convenzioni di estradizione e di assistenza giudiziaria in materia penale, Milano, Giuffrè, 1996;

·         UBERTIS, Giulio, Contumacia (procedimento in), II) diritto processuale penale, in Enciclopedia giuridica, IX, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1988;

·         UBERTIS, Giulio, Latitanza e contumacia secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, in Cassazione Penale, 1985, p. 1250;

·         ZANGHI’, Claudio, Il procedimento in contumacia messo in crisi da una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Temi Romana, 1985, p. 216.

 

 

 

Giugno 2003


Note:

[1] V. V. GARINO, Contumacia nel diritto Processuale Penale, in Digesto delle Discipline Penalistiche, III, Torino, UTET, 1989, p. 145 e ss. e G. UBERTIS, Contumacia (procedimento in), II) diritto processuale penale, in Enciclopedia Giuridica Treccani, IX, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1988, anche per una sintetica ricostruzione dell’evoluzione storica dell’istituto.

[2] Sempre che, nel rispetto dell’art. 24 della Costituzione, gli sia stata offerta la possibilità di comparire. Diversamente, andrà disposta la rinnovazione della citazione, con il conseguente rinvio del dibattimento, se vi sia la certezza o il dubbio (rilevante come prognosi probabilistica) che la mancata comparizione sia frutto di mancata conoscenza effettiva della citazione, di caso fortuito o forza maggiore o di altro impedimento legittimo. Cfr. artt. 485 e 486 c. p. p. e quanto si dirà oltre.

[3] Cfr. art. 488 c. p. p. considerando altresì le ipotesi “minori” dell’allontanamento volontario o coattivo – con rinvio all’art. 475 c. p. p. – e dell’evasione.

[4] Cfr. artt. 487 e 585 c. p. p.

[5] V. F. CORDERO, Codice di Procedura Penale commentato, Torino, UTET, 1989, p. 551 e ss. e M. MERCONE, Diritto Processuale Penale, Manuale teorico-pratico, Napoli, Simone, 1994, p. 627 e ss.

[6] Si possono utilmente consultare, al proposito, gli atti del seminario di studio sul tema Il processo in assenza dell’imputato svoltosi, con l’organizzazione del Ministero di Grazia e Giustizia e nel contesto del Programma di cooperazione UE Grotius, a Roma, presso il “Centro L. Dehon”, dal 26 al 28 marzo 1998.

[7] Tale obbligo è coercibile attraverso l’emissione del bench warrant e “stimolato” mediante una serie di pesanti sanzioni, sia economiche (confisca della cauzione versata per ottenere il bail – libertà provvisoria) sia propriamente penali (aggravanti di tipo generale).

[8] Tanto che da taluno è considerata un mero atto interruttivo della prescrizione.

[9] Ovvero a misure di sicurezza privative della libertà personale. Si veda G. DE DONATO, L’estradizione. Profili giuridici ed operativi del sistema europeo e italiano, in Documenti Giustizia, n. 6, Roma, novembre – dicembre 2000, per questa ed altre partizioni sistematiche dell’istituto, nonché per una aggiornata disamina delle problematiche ad esso sottese ed un utile riepilogo dei pregressi apporti dottrinari.

[10] Si veda quanto si dirà oltre circa le problematiche relazioni Italia – Spagna.

[11] E’ appena il caso di osservare che le Autorità spagnole,  sebbene nelle proprie decisioni facciano usualmente riferimento alla disciplina interna, ben potrebbero richiamare quella recata dal Secondo Protocollo addizionale - del quale la Spagna è firmataria sin dal 10.6.1983 – per esse vigente dal 9.6.1985.

[12] V. C. ZANGHI’, Il procedimento in contumacia messo in crisi da una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Temi Romana, 1985, p. 216 e ss.; G. UBERTIS, Latitanza e contumacia secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, in Cassazione Penale, 1985, p. 1251 e ss.

[13] V. S. FERIOZZI KLEIJSSEN, Le decisioni nei confronti dell’Italia ed i dati statistici, in Documenti Giustizia, nn. 1-2, Roma, gennaio – aprile 2000.

[14] Ed ancor più ove si consideri il vulnus rappresentato da quelle norme che consentono (ed anzi a certe condizioni impongono) anche nella materia penale le notificazioni (ed anche la prima notificazione prevista dall’art 157 c. p. p.) per mezzo del servizio postale (L. n. 890/1982, in particolare art. 1, 2° comma).

[15] E’ appena il caso di rilevare che, all’atto del deposito degli strumenti di ratifica (23.1.1985) il nostro Paese formulò una riserva, riservandosi la facoltà di non accettare la disposizione citata. Riserva successivamente ritirata  con Nota della Rappresentanza permanente presso il Segretariato generale del 23.8.1990.

[16] Organo giudiziario centrale spagnolo con competenza generalizzata a decidere sulle richieste di estradizione, in sede giurisdizionale e con successiva decisione in sede politica.

[17] Si tratta del ricorso mediante il quale il cittadino può adire direttamente il Tribunale Costituzionale per impugnare atti del potere legislativo, esecutivo o giudiziario che ritenga lesivi dei propri diritti e libertà fondamentali, invocando la tutela (amparo, appunto) della Costituzione. La decisione assunta dal Tribunale Costituzionale non ha, correlativamente, efficacia erga omnes.

[18] Assai significativamente, tale decisione è stata assunta con la motivata opinione dissenziente del Presidente del Tribunale e di altri tre giudici componenti.

[19] In tale sistema, l’inserimento del nominativo del catturando nella banca dati detta Sistema Informativo di Schengen (S.I.S.), curato dai Servizi S.I.Re.N.E. dei vari Paesi aderenti, equivale ad una richiesta di arresto provvisorio e determina l’arresto automatico del segnalato all’atto della sua identificazione, sempre che sul nominativo non venga apposto un flag (segnalazione di divieto di arresto).

[20] Concernenti “… fatti relativi al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti, al traffico di armi, alla tratta di esseri umani e all’abuso sessuale  contro minori, puniti con una pena massima edittale non inferiore ad anni quattro di pena restrittiva della  libertà personale”; cfr. art. 1, comma 1°, del Trattato.

[21] V. G. DE DONATO, cit.

[22] E conformemente a quanto previsto dall’Accordo di Schengen (artt. 59 – 66) e dalle Convenzioni, che ne costituiscono attuazione, aperte alla firma a Bruxelles il 10.3.1995 ed a Dublino il 27.9.1996, relative, rispettivamente, alla procedura semplificata di estradizione ed alla estradizione tra gli Stati dell’Unione europea.

 

[23] E’ appena il caso di accennare che sono attualmente in corso negoziati con la Repubblica Argentina finalizzati alla stipula di un Protocollo addizionale  alla Convenzione di estradizione di Roma del 9.12.1987. Essi dovrebbero condurre ad una presa d’atto, da parte delle Autorità argentine, della adeguatezza del sistema italiano a garantire i principi del giusto processo.

[24] Ma anche la nomina, di per sé, non è atto idoneo a fugare ogni dubbio; si pensi al caso limite della nomina “trasmessa con raccomandata” di cui all’art. 96, comma 2, c. p. p. o alle possibili implicazioni della nomina fatta dal “prossimo congiunto” ai sensi del comma 3 dell’articolo citato.

[25] Si pensi, ad esempio, al risalto attribuito nel nostro ordinamento alla difesa “tecnica”, del tutto ignoto al diritto francese.

[26] Altri Stati hanno sperimentato rimedi ed aggiustamenti di tipo giurisprudenziale.