Dott.ssa
Elena Pesenti
Procedura
penale
art.
576 c.p.p.: impugnazione della parte civile
Ai
sensi dell'art. 576 c.p.p. la parte civile può proporre impugnazione contro
la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio di primo grado ai
soli effetti della responsabilità civile. Tale impugnativa risulta
circoscritta al medesimo oggetto e presenta gli stessi limiti dell'azione
civile che la predetta parte privata è abilitata ad esercitare nel
processo penale e conseguentemente può investire le sole disposizioni
della sentenza che concernono i suoi interessi civili.
Fermo il principio che la valutazione dell'ammissibilità della
costituzione di parte civile - sia nel giudizio di primo grado sia negli stati
e gradi ulteriori - non può prescindere dal "criterio di
interesse", deve ritenersi che la parte civile ha interesse anche
all'affermazione della responsabilità penale dell'imputato, in quanto
la decisione relativa si pone come presupposto del riconoscimento o della
negazione dei propri diritti risarcitori.
Secondo il sistema processuale, infatti, sussiste l'interesse della
parte civile a impugnare le sentenze penali di assoluzione o di
proscioglimento in tutti i casi nei quali la sentenza penale irrevocabile ha
autorità di cosa giudicata anche nel giudizio civile o amministrativo
relativo alla sua pretesa risarcitoria: appunto perché anche la pretesa
risarcitoria sarebbe pregiudicata dalla decisione penale, deve riconoscersi
alla parte civile un concreto interesse a rimuovere la decisione penale e il
suo effetto preclusivo. Inversamente, nessun interesse processuale ha la parte
civile a impugnare la decisione penale quando questa manca di efficacia
preclusiva e quindi lascia libera la stessa parte civile di proseguire la sua
pretesa risarcitoria nelle sedi proprie.[1]
In particolare il danneggiato subisce direttamente gli effetti dell'assoluzione
dell'imputato, poiché - ai sensi dell'art. 652 c.p.p. - "la sentenza
penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a
dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento
che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto
è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una
facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per la restituzione
del danno promosso dal danneggiato che si sia costituito o sia stato posto
in condizione di costituirsi parte civile nel processo penale". (Lo
scopo di questa disciplina è quello di impedire al danneggiato di
affrancarsi dai possibili effetti del giudicato penale solo dopo aver
verificato che l'esito del giudizio penale potrebbe essere a lui
sfavorevole).
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La
parte civile è legittimata a proporre appello anche avverso la sentenza di
proscioglimento "perché il fatto non sussiste". Ed infatti il
termine "proscioglimento" di cui all'art. 576 c.p.p. deve
essere interpretato non già in senso restrittivamente tecnico, vale a
dire limitato ai casi di improcedibilità dell'azione penale o di estinzione
del reato, ma - per il principio del favor
impugnationis - in senso estensivo, così da comprendere tutte le ipotesi
di assoluzione che compromettano l'interesse della parte civile al
risarcimento del danno. [2]
La formula di assoluzione "perché il fatto non sussiste" è
ampiamente liberatoria perché presuppone che nessuno degli elementi
integrativi della fattispecie criminosa contestata risulti provato;[3]
infatti viene pronunciata allorquando manchi uno degli elementi oggettivi del
reato (azione, evento, nesso di causalità) ed è resa superflua ogni
valutazione della condotta dell'imputato.[4]
Proprio perché prevede l'esclusione del fatto-reato, quindi, la
sentenza di assoluzione "perché il fatto non sussiste" compromette
l'interesse della parte civile al risarcimento del danno, tenuto conto
dell'effetto preclusivo della sentenza dibattimentale irrevocabile di
assoluzione nel giudizio civile di danno.[5]
Nella
suddetta ipotesi di proscioglimento la parte civile può chiedere solo una
diversa valutazione in ordine alla sussistenza dei fatti ed alla
responsabilità dell'imputato soltanto al fine del proprio esercizio
dell'azione risarcitoria e con
l'assoluto rispetto dell'intangibilità del giudicato penale.[6]
Per ottenere la condanna generica al risarcimento dei danni deve
in ogni caso essere accertata l'esistenza di un fatto potenzialmente
produttivo di conseguenze dannose.
Quando invece sia pacifica la condotta penalmente illecita
dell'imputato, ma difetti l'elemento soggettivo del reato (imputabilità,
dolo, colpa, condizioni obiettive di punibilità, ecc.) la formula deve
essere quella del fatto non costituente reato.
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La
parte civile, se omette di proporre impugnazione avverso la decisione del
Giudice di primo grado di assoluzione dell'imputato, è da considerarsi acquiescente
alla decisione pregiudizievole al suo interesse circa il risarcimento del
danno, con conseguente formazione del giudicato tra le parti in ordine al
rapporto civilistico.
A nulla rileva che il P.M. abbia proposto tempestivo appello, perché
l'impugnazione della Procuratore della Repubblica - essendo funzionalmente
limitata alla pretesa punitiva - non può sortire effetti estensibili a
quella risarcitoria. Ciò significa che alla parte civile costituita non
può riconoscersi il risarcimento del danno se, assolto l'imputato nel
giudizio di primo grado, vi sia condanna dello stesso su appello del solo
P.M.
Ulteriormente è ritenuto inammissibile il ricorso per Cassazione
proposto dalla parte civile avverso la sentenza di appello, quando la stessa
non abbia impugnato la decisione di primo grado, per lei sfavorevole. [7]
Per contro, l'eventuale inammissibilità dell'impugnazione del P.M.
avverso una sentenza di proscioglimento non è di ostacolo all'esame da parte
del Giudice delle contestazioni mosse nell'impugnazione della parte civile,
sia pure solo ai fini di ravvisare se vi sia stata responsabilità civile
degli imputati.[8]
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