inserito in Diritto&Diritti nel novembre 2003

Le indagini sotto copertura in materia di  droga, armi e reciclaggio

di Ivan Caradonna

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PREMESSA

L’argomento che mi accingo ad esaminare  rappresenta sicuramente un autentico banco di prova per i cultori del diritto penale sostanziale e processuale: poche tematiche sono state  così oggetto di dibattiti ed aspre polemiche come le attività sotto copertura condotte dagli Ufficiali di polizia giudiziaria dotati di particolari requisiti soggettivi ed operanti in esecuzione di iniziative investigative specificatamente disposte.

Una pregiudiziale “querelle” si appunta già in prima battuta sulla qualificazione terminologica dell’ Ufficiale di polizia giudiziaria che, nel pieno ossequio alle condizioni poste dalla Legge, pone in essere attività di investigazione sotto copertura.

Egli è da qualificarsi quale agente infiltrato (c.d. “undercover”) ovvero è da definire “tout court” come “agente provocatore”?

La soluzione ad un siffatto quesito, infatti, è ben lungi dall’ essere frutto di un esercizio ozioso  di elaborazione dottrinale: essa tradisce inequivocabilmente la “weltanschauung” di fondo del Legislatore, connotando l’intera sistema di diritti e garanzie predisposto dal nostro Ordinamento in materia.

Ciò, anche alla luce di quanto fra l’ altro deciso dalla Corte europea dei diritti dell’ Uomo che, con una serie di pronunce (per tutte la  sentenza del 09.06.1998 nel procedimento Texeira del Castro contro il Portogallo), ha accertato la violazione della Convenzione europea  per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nell’ utilizzo di metodiche investigative che si erano risolte in una vera e propria pressione od incitazione al crimine del soggetto sottoposto ad indagini sotto copertura.

Ma accingiamoci ad effettuare la fondamentale distinzione fra la nozione di agente c.d. “undercover” e quella del c.d. “agente provocatore” .

Il primo è qualificabile alla stregua di colui che , essendo inserito organicamente nelle Forze di Polizia o collaborando formalmente con esse, pone - nell’ ambito di un’ attività investigativa ufficiale- una condotta di mera osservazione e/o mantenimento. Tale condotta è  diretta ad intervenire in presenza di sospetti che configurino a carico di uno o più persone un giudizio di estrema probabilità in ordine alla concretizzazione di un’ attività di preparazione e/o commissione di uno o più reati.

 L’ agente c.d. “infiltrato” si inserisce quindi – sul piano sia psichico che materiale- in una o più attività penalmente illecite col solo obbiettivo di scoprire,ovvero denunziare o far cogliere in flagranza i responsabili di uno o più delitti, ma non assumendo giammai un ruolo attivo nella commissione degli stessi.

L’ “agente provocatore”, invece, è colui che - anche pur trovandosi nelle stesse condizioni oggettive e soggettive che legittimano e rendono penalmente lecite l’ attività dell’ agente “infiltrato”, e pur essendo animato dalla sua stessa medesima genuina volontà investigativa - a differenza di quest’ ultimo pone in essere una condotta  da qualificare quale “attiva”, ossia di induzione, ideazione e ed esecuzione di uno o più fatti penalmente illeciti che senza l’ intervento (determinante) del “provocatore” non si sarebbero estrinsecati nella realtà positiva.

Se la figura del c.d. “infiltrato”, non pone particolarii questioni di legittimità sostanziale, il profilo del c.d. “agente provocatore” costringe il teorico ed il pratico del diritto ad imbarazzanti- e talvolta esiziali- operazioni di ermeneutica che tuttavia si infrangono sugli scogli della logica giuridica e della corretta interpretazione della  normativa vigente.

Ed è sulla scorta delle coordinate sopra tracciate che il presente lavoro- lungi dal volere aspirare ad un’ improponibile  esaustività – intende fornire un modesto contributo all’ esame dei profili più rilevanti delle attività di indagine preliminare sotto copertura condotte in materia di armi, riciclaggio e stupefacenti.

Sarà intenzione dell’ autore procedere ad una disamina comparata delle predette discipline normative, procedendo,quindi ,all’individuazione degli elementi di evidente peculiarità che contraddistinguono le une dalle altre.

 Tutto ciò alla luce di una posizione dommatica assolutamente non ideologica, ed essendo consapevole che -nel porre in essere un  tentativo d’ elaborazione di un percorso di incontro fra una corretta attività interpretativa del diritto ed una leale e scrupolosa applicazione dello stesso- si deve evitare di ingenerare aporie che non farebbero salve quelle garanzie di certezza del diritto che devono presiedere i rapporti fra le Forze di Polizia ed i Cittadini nell’ ambito di un ordinamento giuridico democratico e liberale.

CAPITOLO I

 

PROFILI SOGGETTIVI, OGGETTIVI E TELEOLOGICI DELLE  ATTIVITA’  SOTTO COPERTURA.

 

1.1           La figura dell’ agente undercover : il richiamo all’ art. 51 c.p..

 

Un primo esame diacronico della normativa in materia di attività di indagine sotto copertura posta in essere dalla polizia giudiziaria ci rivela un’ aspetto assolutamente insospettabile.

Difatti, la figura dell’ agente undercover risultava essere il distillato di una travagliata elaborazione giurisprudenziale che -in assenza di un dato normativo positivo specifico- ha dapprima configurato la legittimità della condotta dell’ undercover alla luce di un’ interpretazione estensiva dell’ art. 51 c.p.[1] Per quanto concerne l’ agente sotto copertura appartenente alla polizia giudiziaria, l’ esclusione della responsabilità penale veniva ricollegata all’ adempimento di un dovere.

Si operava così un espresso richiamo al disposto dell’ art. 55 c.p.p., che pone in capo alla polizia giudiziaria l’ obbligo di assicurare le fonti di prova dei reati e di ricercarne gli autori.

In particolar modo la Suprema Corte si era senza meno pronunciata sull’ ammissibilità della condotta dell’ agente infiltrato , dichiarandosi –tuttavia- fortemente restrittiva in ordine al concreto spazio operativo che a questo poteva essere concesso[2]. L’ orientamento assolutamente consolidato era (ed è tuttora) nel senso che l’ agente undercover non è punibile in quanto espleti un’attività avente efficacia di mero “controllo, osservazione e di contenimento dell’ altrui attività illecita”[3].

Di converso risultava penalmente perseguibile , alla stregua di un concorrente ex art. 110 c.p.,il soggetto che svolge una concreta attività di istigazione o, comunque, un’ attività avente efficacia determinante o concausale nella progettazione e commissione dei delitti[4].

D'altronde l’ art.51 c.p. esclude la punibilità in caso di esercizio di un diritto scriminante[5], a condizione che la norma che ne autorizzi l’esercizio mediante una condotta che ordinariamente è penalmente illecita, enuclei -anche implicitamente- il duplice requisito legittimante della necessità di agire e della proporzione della condotta rispetto all’ evento delittuoso da contenere e/o evitare[6].

1.2  segue: dall’ elaborazione giurisprudenziale alla Legislazione di contrasto al terrorismo internazionale.

Ben presto, però, ci si avvide che la buona volontà dimostrata dalla maggioritaria Giurisprudenza di legittimità e di merito in ordine alla comprensione delle esigenze investigative determinate dall’ emergere di fenomeni criminali particolarmente complessi,invasivi e perniciosi, quali quelli legati al narcotraffico  ed alla ricettazione di armi ed alle attività riciclaggio dei relativi proventi, non appariva sufficiente ad assicurare all’ operatore undercover sufficienti spazi di certezza del diritto in ordine alla liceità delle condotte investigative adottate.

Si postulava, quindi, da più parti un intervento legislativo che assicurasse un idoneo (almeno nelle intenzioni) strumento normativo di supporto agli operatori di polizia giudiziaria.

In tal senso il Legislatore licenziò una serie di testi normativi che affrontavano anche la disciplina dell’ attività undercover.

Questi sono sussumibili- per quanto concerne la presente trattazione- nell’ art. 97 e 98 del D.P.R.  9 ottobre 1990 n. 309 in materia di stupefacenti; nell’ art. 12 quater del D.L. 8 giugno 1992 n.306 convertito con modificazione nella L.  7 aprile 1992 n.356 in materia di contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso e nell’ art. 10 del D.L. 31.dicembre 1991 n° 419 conv. con modif. in  L. 18 febbraio 1992, n. 172 in materia di estorsione , riciclaggio ed usura.

Per dovere di completezza si citano di contenuto analogo ai richiami normativi sopra riportati: l’ art.7 del D.L. 15.1.1991 n.8  conv. con modif. in L. 15 marzo 1991, n.82 in materia di sequestro di persona a scopo di estorsione;l’ art. 14 della L. 3. agosto 1998 n.269 per le attività di contrasto della prostituzione e pedofilia infantile; e da ultimo l’ art. 4 D.L. 18.ottobre .2001., n.374, convertito in L. 15 dicembre 2001 n . 438 per il  contrasto al terrorismo internazionale.

La cadenza cronologica dei provvedimenti e l’ adozione per la quasi totalità di essi dello strumento della decretazione d’ urgenza inducono inequivocabilmente a due ordini di considerazioni.

La prima ha ad oggetto la constatazione che l’ introduzione della normativa disciplinante l’ attività degli agenti undercover ha riscosso il pieno assenso non soltanto degli organi inquirenti nazionali,ma anche- se non soprattutto- delle strutture di polizia o di ricognizione criminologica di carattere sopranazionale.

In tal maniera l’ ordinamento giuridico italiano si è  allineato a quello della maggior parte delle nazioni occidentali, i cui sistemi di repressione e prevenzione penale  avevano da tempo recepito le direttive della Convenzione O.N.U. di Vienna del 20.12.1988[7], adottate allo scopo di omogeneizzare le iniziative tecnico-giuridiche nell’ ambito di una strategia di interdizione dei fenomeni criminali internazionali  coordinata a livello mondiale[8].

La seconda  considerazione segnala che il ricorso all’ ampliamento delle ipotesi di liceità del ricorso alle attività di polizia giudiziaria sotto copertura è stato indotto più che da un disegno organico, dall’ incalzare di una politica giudiziaria improntata a carattere di urgenza ed indifferiblità in ordine a scelte sollecitate da fatti di cronaca criminale di particolare efferatezza e capacità metastatica in ordine alla stabilità degli ordinamenti giuridici democratici

1.3: Il requisito soggettivo dell’ appartenenza qualificata degli Operatori di Polizia giudiziaria sotto copertura.

L’ art. 97 co. I del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 legittima all’ effettuazione di attività undercover gli Ufficiali di polizia giudiziaria addetti alle unità specializzate antidroga[9] che agiscano in esecuzione di operazioni antidroga disposte dalla Direzione centrale per i servizi antidroga o - d’intesa con questa- dal Questore, dal Comandante del gruppo dei Carabinieri o della Guardia di Finanza o dal Comandante del nucleo di polizia tributaria, o dal direttore della Direzione Investigativa Antimafia.

Di analogo tenore è il disposto evincibile dall’ art. 12 quater del D.L. 8 giugno 1992 n.306 convertito con modificazione nella L.  7 aprile 1992 , n.356, laddove qualifica la liceità  delle attività sotto copertura condotte da Ufficiali di Polizia Giudiziaria  della Direzione Investigativa Antimafia e dei Servizi Centrali ed Interprovinciali[10].

A tal proposito la dottrina fa riferimento alla c.d. provenienza qualificata dell’ ordine.[11]

Tanto nell’uno che nell’ altro caso è requisito imprescindibile per la legittimità dell’ attività condotta dall’ undercover è che questi agisca non già di propria ed autonoma iniziativa, bensì nell’ ambito ed in esecuzione di operazioni di polizia specificamente disposte.

Con tale disposizione si intende -da un lato evitare iniziative personali, potenzialmente pericolose per l’ incolumità degli operatori e comunque capaci di ingenerare irresistibili dubbi circa la legittimità delle attività poste in essere.

Sulla base delle considerazioni adesso formulate un interrogativo nasce spontaneo:nell’ ambito delle operazioni  svolte sotto copertura, come si configura il concorso nella medesime operazioni di Ufficiali di Polizia giudiziaria non riconducibili alle strutture specializzate cui sopra si faceva riferimento, ovvero di semplici Agenti della polizia giudiziaria, od anche di semplici privati ?

In prima battuta possiamo rispondere che la soluzione al quesito risiede od in una mera interpretazione letterale delle norme richiamate, ovvero in un procedimento ermeneutico ancorato a criteri diversi ed ulteriori rispetto a quelli letterali strictu sensu.

Sulla base del primo orientamento dobbiamo propendere per la radicale esclusione dei soggetti sopra individuati e diversi da quelli menzionati dalle norme in esame.

 Il che comporterebbe, specie in occasione di vaste operazioni undercover di spiccata specificità per la tipologia di perizia tecnica richiesta, il depotenziamento dello strumento investigativo de quo posto nelle mani degli organi inquirenti.

Tuttavia, secondo un diverso indirizzo di pensiero[12], tale risultato esiziale potrebbe essere evitato se si facesse riferimento ad una diversa interpretazione della norma che tenesse conto non solo di un’ ermeneutica dettata dalla prassi di polizia ma desse ragione anche di postulati di natura sistematica o teleologica.

Nella fattispecie, si dovrebbe appuntare la  considerazione sul richiamo -in  esordio della formulazione delle  due norme in esame- all’ art. 51 c.p..

Tale riferimento lascerebbe intravedere la possibilità di inserire -quali concorrenti nell’ attività dei soggetti espressamente legittimati alle attività di polizia giudiziaria sotto copertura- anche gli altri appartenenti alle Forze di Polizia. Tutto ciò- è chiaro- laddove si ravvisino condizioni di urgenza, necessità ed indifferibilità anche soltanto di una fase dell’ attività undercover, e qualora l’ attività di concorso si limiti sempre ad un’ attività di controllo, osservazione e contenimento dell’ altrui condotta criminale.

D’ altronde tale posizione dottrinaria appare suffragata dalla volontà esplicita del legislatore di ampliare la gamma dei soggetti legittimati alle attività sotto copertura.

In questo quadro dovrebbero essere letti gli interventi in materia di repressione dei delitti sessuali e di tutela dei minori posti in essere con la L.  3 agosto 1998 n.269.

L’ art. 14 co. II dell’ appena richiamata disciplina legislativa, difatti, riconosce anche al “personale addetto” (ufficiali ed agenti di p.g.) alle strutture addette alla repressione dei delitti di cui sopra la possibilità di operare sotto copertura.

Maggior coraggio ha dimostrato il Legislatore della normativa di contrasto del terrorismo internazionale, laddove all’ art. 4  co. II D.L. 18.10.2001., n.374, convertito in L. 15 dicembre 2001 n . 438 laddove consente senza distinzioni ad Ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria. non meglio qualificati di compiere attività sotto copertura.

E’ da notare inoltre che il comma VII del medesimo art. 4 effettua esplicito riferimento alla possibilità di avvalersi di ausiliari- anche soggetti privati, dunque- ai quali estendere la causa di non punibilità. In ciò innovando particolarmente rispetto alla disciplina previdente che consentiva l’ utilizzo del soggetto privato durante un’ operazione undercover solo attraverso la predisposizione di un sistema di tutela assai debole e contraddittorio quale quello predisposto per gli ausiliari di p.g. dall’ art. 348 ult. comma c.p.p.[13]

Non bisogna tuttavia omettere che -è bene ricordarlo- in ogni caso è requisito legittimante l’ attività sotto copertura eseguita del privato la presenza di un ordine espresso della pubblica autorità[14].

1.4: Le condotta ammesse nelle attività sotto copertura.

Da una lettura del dato normativo riguardante l’ attività dell’ undercover in materia di stupefacenti, si evince immediatamente che questa si sostanzia in una condotta legittima tesa all’ acquisto di sostanze stupefacenti o psicotrope ( art. 97 co I del D.P.R. 9.10.1990, n 309) . Di tenore analogo -anche se manifestante un’ articolazione normativa più complessa- è l’ art 12 quater del D.L. 8.6.1992 n.306 convertito con modificazione nella L.  7 aprile 1992 , n.356. Esso individua le seguenti condotte ammesse durante le attività sotto copertura in materia di ricettazione di armi,riciclaggio e reimpiego simulati,:

 sostituzione simulata di denaro, beni od altra utilità provenienti da delitti non colposi;adozione di comportamenti atti a consentire l’ impiego di denaro e delle altre utilità provenienti dai citati delitti ovvero volti a rendere difficoltosa l’ individuazione della loro illecita provenienza; acquisto,ricezione, occultamento od intromissione nel fare acquistare, ricevere od occultare in modo simulato armi munizioni ed esplosivi.

Ciò significa che i fatti scriminati - pur essendo in via astratta  perfettamente conformi alle fattispecie penalmente perseguite- proprio a causa della presenza di una tipica causa di giustificazione, sono privi del requisito essenziale dell’ antigiuridicità. Le condotte,quindi,proprio in quanto lecite  escludono la sussistenza di una notizia di reato che imponga al pubblico ministero di procedere all’ iscrizione nel registro di cui all’ art. 355c.p.p. l’ operatore di polizia giudiziaria che le abbia adottate.

1.5 :  segue:  Le attività c.d. strumentali.   

Notevole interesse ha suscitato il dibattito in ordine alle attività c.d. strumentali connesse alle condotte ammesse in ordine in materia di attività sotto copertura ex art.97 del D.P.R.  9 ottobre 1990 n. 309 .In proposito la Suprema Corte[15] ha avuto modo si precisare che deve ritenersi corretto estendere l’ impunità non solo all’ attività materiale dell’ acquisto simulato della sostanza stupefacente, ma anche a quelle che  costituiscono  l’ antecedente logico o l’ovvio sviluppo dell’ azione infiltrata[16].Si ponga mente ad esempio all’ attività di induzione dell’ infiltrato, finalizzata ad ottenere la cessione a qualunque titolo dello stupefacente , e, dopo l’ acquisto, alle condotte di detenzione e trasporto della droga trattata[17].

 Si ponga mente inoltre che  non sono infrequenti nella pratica le ipotesi in cui l’ operazione sotto copertura , dopo la posizione della condotta tipica legittimata dalle scriminanti speciali, debba proseguire per soddisfare le più svariate esigenze investigative quali –ad esempio- la necessità di individuare ulteriori componenti del sodalizio criminale, la  necessità dell’ allontanamento dell’ infiltrato dal luogo dell’ operazione per ragioni di personale incolumità , ecc.

D’ altronde come ravvisato dalla stessa Suprema Corte[18] “[…] ove con l’ acquisto simulato, che pur rappresenta il momento culminante dell’ infiltrazione nell’ illecito traffico, l’attività investigativa dovesse arrestarsi , verrebbe perduta l’ occasione di più cospicui risultati”.

Di tale realtà tiene conto la Legge, allorquando il comma II del citato art. 97 prevede che , avvenuto l’ acquisto, l’ autorità giudiziaria può differire il sequestro fino alla conclusione delle indagini; o allorché il comma I dell’ art 98 prevede che l’ autorità giudiziaria può ritardare l’ emissione o disporre che sia ritardata l’ esecuzione dei provvedimenti di cattura ed arresto dei responsabili […]”[19].

1.6: La caratterizzazione teleologica delle attività undercover.

Sulla scorta dell’ art. 97 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 ed in base all’ 12 quater del D.L. 8 giugno 1992 n.306 convertito con modificazione nella L.  7 aprile 1992  n.356, il personale qualificato appartenente agli organismi specializzati di investigazione può infiltrarsi nel circuito criminale al  solo fine di eseguire acquisti simulati di sostanze stupefacenti,ovvero di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti  previsti dalla Legge in materia di stupefacenti, ovvero di quelli disciplinati dagli artt. 648 bis e 648 ter c.p. (delitti di riciclaggio ovvero concernenti armi, munizioni ed esplosivi).

Bisogna in prima battuta chiarire che la corretta interpretazione della locuzione “elementi di prova” va intesa in un’ accezione estensiva. E ciò sia su di un piano oggettivo che soggettivo. Conseguentemente le operazioni sotto copertura sono legittime non solo quando sono indirizzate alla ricerca di prove direte ed indirette, ma anche quando tendono a rinvenire semplici indizi di responsabilità. Inoltre, sono parimenti coperti dalle scriminanti specifiche le attività undercover che sono finalizzate a consentire l’ arresto del responsabile di uno dei delitti presi in considerazione dalle Leggi esaminate.

     E’ opportuno precisare che le discipline normative sottoposte a disamina lasciano agevolmente intendere che  sono da ritenersi legittime le operazioni simulate quando oltre,rispettivamente, ai delitti concernenti gli stupefacenti e quelli aventi ad oggetto attività di riciclaggio e di reimpiego di capitali illeciti, ne emergano altri di diversa natura,strettamente connessi con i primi.

Tipico ed assai ricorrente caso è quello del coinvolgimento dell’ agente infiltrato nell’ organizzazione criminale.

Si deve tuttavia avere premura di precisare che in questo caso l’ attività di “cooperazione” dell’ agente sotto copertura nella struttura malavitosa non deve giammai giungere al punto di indurlo nella commissione di ulteriori reati, diversi da quelli esplicitamente scriminati o da quelli strutturalmente connessi all’ infiltrazione[20].  Ed è in questa corretta ottica che bisogna leggere, d’ altro canto,  gli interventi correttivi posti dalla Legge sul contrasto alla prostituzione e pornografia infantile, laddove si statuisce che “ il personale addetto può utilizzare indicazioni di copertura[…]”(art. 14 della L. 3.8.1998, n269).

Ed ancora più esplicito appare,infine, l’ art. 4 della L. 438 D.L. 18.10.2001., n.374, convertito in L. 15 dicembre 2001 n .438  che concede agli ufficiali ed agenti di p.g. la facoltà di utilizzare documenti, identità od indicazioni di copertura.

   D'altronde non si può omettere di rilevare che fra i delitti in materia di stupefacenti,armi e riciclaggio sono fisiologicamente connessi ad un contesto associativo di realizzazione di quelle condotte illecite. La conseguenza di quanto sopra affermato risiede nell’ indiscutibile considerazione che la legittimità c.d. iniziale della condotta sotto copertura, mirante ai fini richiamati  dalle disposizioni in esame, renderà ugualmente legittima l’ acquisizione di tutti gli elementi che afferiscono al distinto reato associativo. 

   Taluni ritengono, tuttavia che siffatte costruzioni normative ed ermeneutiche finiscano per ridurre notevolmente l’ operatività ed efficacia concreta del ruolo dell’ agente infiltrato, potendo spesso comportare l’ impossibilità di risalire in maniera incisiva e profonda ai vertici delle associazioni criminali[21].

  Tuttavia, arrivare- come fanno alcuni Autori[22]- a legittimare condotte di assistenza passiva alla commissione di altri reati (ad esempio il “pestaggio” di un acquirente che non abbia pagato forniture di stupefacenti ricevute dall’ organizzazione criminale) sembra un illogica ed arbitraria forzatura del sistema regolante l’ intera attività delle Forze di Polizia. Per quest’ ultime - come ha avuto modo di ripetere la Suprema Corte[23]- rappresenta l’adempimento di un dovere ex art. 55 c.p.p.  reprimere i reati commessi, ricercarne le prove ed assicurarne i colpevoli alla giustizia, e non già suscitare od assistere da spettatori alla commissione di azioni criminose al fine di arrestarne gli autori. 

CAPITOLO II

L’ ATTIVITA’ SOTTO COPERTURA ED I RAPPORTI CON L’ AUTORITA’ GIUDIZIARIA.

2.1: La comunicazione dell’ attività simulata.

L’attività di infiltrazione può essere posta in essere dagli organi di  investigazione nell’ ambito dei propri poteri di polizia di sicurezza e prevenzione , prima ed anche prescindendo dall’ acquisizione di una specifica notizia di reato.[24]

Solo nel caso in cui detta notizia venga acquisita , si configurerà l’ obbligo di informativa di cui all’ art. 347 c.p.p., con la conseguenza che la direzione delle indagini sarà assunta dal p.m., con cui pertanto dovrà essere concordata la prosecuzione dell’ operazione.

Ciò statuisce il comma III dell’ art. 12 quater del D.L. 8 giugno 1992 n.306 convertito con modificazione nella L.  7 aprile 1992  n.356 L. n. 356  che  ha  ribadito l’ originaria regola generale che alla comunicazione debba provvedersi “senza ritardo” (art. 347 co I c.p.p.).

A questa regola si sono peraltro introdotte due eccezioni: la notizia di reato va trasmessa “ al più tardi nelle quarantotto ore dal compimento dell’ atto, allorché siano compiuti atti per i quali è prevista l’ assistenza del difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini” (per esempio, sommarie informazioni dell’ indagato ex art. 350 c.p.p.) ( art. 347 co II bis c.p.p.).

La notitia criminis inoltre è data “immediatamente”,anche in forma orale, facendo seguire senza ritardo quella scritta, se essa riguarda uno dei gravi delitti indicati dall’ art. 275 co. III c.p.p.[25], ed in ogni caso quando sussistono ragioni di urgenza ( art.347 co III c.p.p.).

La disciplina dell’ acquisto simulato di droga è sostanzialmente analoga:la norma di riferimento fondamentale, oltre  a quella generale di cui all’ art. 347 c.p.p. è contenuta nel co. II dell’ art.97 del D.P.R. n.309/90, laddove si prevede che dell’ acquisto di sostanze stupefacenti e psicotrope va data “immediata e dettagliata notizia” alla Direzione centrale per i servizi antidroga ed alla Autorità giudiziaria.

Fra l’ altro la comunicazione è un dovere dalla cui violazione però non discende alcuna conseguenza di ordine giuridico , perché non ha carattere confirmatorio ma informativo ed ha lo scopo di consentire alle Autorità preposte l’ esercizio delle funzioni di supervisione e coordinamento[26].

   Inoltre l’ eventuale inadempimento all’ obbligo dell’ immediata comunicazione , ancorché ininfluente ai fini dell’ operatività della scriminante per quanto riguarda l’ acquisto simulato ( sempre che di detta scriminante sussistano i requisiti obiettivi ), può dar luogo però, se intenzionale, all’ illegittimità della successiva detenzione della sostanza stupefacente da parte dell’ ufficiale di polizia giudiziaria e quindi la configurabilità a suo carico del reato di cui alll’ art. 73 del T.U. sugli stupefacenti.[27] 

Nessun dubbio, infine, sussiste circa la praticabilità delle azioni simulate anche nell’ ambito di indagini in relazioni alle quali la polizia giudiziaria abbia già riferito al p.m. ex art.347 c.p.p.: tra gli strumenti di indagine che possono essere disposti dal p.m. ben possono rientrare le attività undercover, privilegiando un’ aperta e piena collaborazione investigativa fra Pubblico Ministero e Polizia Giudiziaria.

2.2: Ritardo od omissione degli atti di competenza della Polizia giudiziaria.

L’ art. 10 del D.L. 31 dicembre 1991, n. 419 convertito con modificazioni nella L. 18 febbraio 1992 , n 172 ha introdotto la possibilità di ritardare od omettere[28] l’ esecuzione dei provvedimenti di cattura , arresto, fermo e sequestro al fine di rendere più incisive ed efficaci le indagini concernenti i delitti di cui agli art. 629 (estorsione), 648 bis c.p. (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita ) “qualora ciò sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori”, ovvero, “per l’ individuazione dei responsabili dei delitti” sopra individuati.

La ratio giustificativa delle disposizioni di Legge  in materia di estorsione sopra richiamate risiede nella considerazione che la rigida applicazione delle norme procedurali è in grado di pregiudicare il buon esito di complesse operazioni investigativa, bloccando l’ accertamento delle responsabilità penali al livello della manovalanza delle associazioni criminali.[29]

La norma richiama , in tutta evidenza, quanto già previsto dall’ art. 98 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n 309 che ha introdotto nel nostro ordinamento l’ istituto della c.d. consegna controllata di sostanze stupefacenti e psicotrope, evitando nel contempo, per gli operatori di polizia il rischio di possibili incriminazioni per reati omissivi[30].

Il comma II dell’ art.10 fa riferimento ai provvedimenti latu sensu cautelari che la polizia giudiziaria ha il potere e, in taluni casi, il dovere di adottare d’iniziativa: il sequestro del corpo del reato (art. 354 c.p.p.), l’ arresto obbligatorio ( art. 380 c.p.p.) o facoltativo (art. 381 c.p.p.) in flagranza ed il fermo di indiziato di delitto (art.384 c.p.p.).

In questi casi è previsto che l’ operatore di polizia giudiziaria ne dia immediato avviso anche oralmente al p.m. competente per le indagini, provvedendo poi a trasmettere allo stesso motivato rapporto entro le quarantotto ore.

E’ chiaro, comunque, che l’ avviso di cui sopra non esime la polizia giudiziaria dal trasmettere a norma dell’ art. 347 c.p.p., la comunicazione della notizia di reato.

Rispetto all’ analoga disciplina contenuta nell’ art. 98 co II del T.U. sugli stupefacenti possono apprezzarsi alcune differenze sostanziali.

Difatti, con riguardo all’ avviso al p.m., non è più configurato il potere di questi di disporre diversamente, invitando la polizia giudiziaria ad eseguire gli atti di competenza (art. 98 co. II prima parte, cit.). In tal modo si è voluto accentuare al massimo l’ autonomia investigativa della polizia giudiziaria,anche in considerazione del fatto che gli atti rispetto ai quali può esercitarsi il potere di ritardo od omissione sono atti ad iniziativa della polizia giudiziaria , eseguibili nella fase delle indagini preliminari, rispetto ai quali un intervento del pubblico ministero può spesso risultare intempestivo[31].

E’ da evidenziare che nella disciplina sulle attività undercover in materia di armi e riciclaggio non è previsto l’ obbligo per il p.m. -che concordi con la decisione dell’ ufficiale di polizia giudiziaria- di emissione di per un decreto motivato di autorizzazione, con il quale impartisce anche le disposizioni di massima per il controllo degli sviluppi dell’ attività criminosa. E ciò a differenza di quanto il legislatore aveva statuito all’ art.98 co. III del T.U. n. 309/90.

Inoltre viene meno nella disciplina ex art. 10 co. II della L 172/92  l’ obbligo per l’ operatore undercover di avvisare dell’ attività  e dei provvedimenti adottati il p.m. del luogo in cui l’ operazione deve concludersi ovvero del luogo attraverso il quale si prevede sia effettuato il transito in uscita dal territorio nazionale. Obbligo  che il legislatore del T.U. sugli stupefacenti aveva previsto all’ art. 98 al fine di evitare che autonome iniziative di indagine, poste in essere dallo stesso ufficio del p.m., possano pregiudicare il buon esito dell’ operazione.

Tale differenza di disciplina si giustifica a nella rilevata accentuazione dell’ autonomia investigativa della polizia giudiziaria[32].

Non è casuale, d'altronde  che tale linea di tendenza legislativa sia stata mantenuta nella recente disciplina di contrasto dei fenomeni terroristici internazionali[33].

2.3: segue. La disciplina peculiare del differimento del sequestro.

Due peculiari e fra loro analoghe previsioni di differimento di atti di polizia giudiziaria concernenti operazioni undercover in materia di riciclaggio, reimpiego di capitali illeciti , ricettazione di armi, munizioni ed esplosivi da un lato, e di acquisto simulato di  sostanze stupefacenti dall’ altro , sono rispettivamente quelle  contenute nell’ art. 12 quater , comma III del D.L. 8 giugno 1992 n.306 convertito con modificazione nella L.  7 aprile 1992  n.356, e nell’ art. 98 co.II del  D.P.R.  9 ottobre 1990 n. 309.

La prima disposizione richiamata sancisce che, nell’ ambito operazioni sotto copertura in materia di riciclaggio, reimpiego di capitali illeciti , ricettazione di armi, munizioni ed esplosivi poste in essere dagli Ufficiali di polizia giudiziaria della D.I.A. o dei servizi centrali ed interprovinciali di polizia[34], gli operatori undercover devono dare immediata notizia all’ Autorità giudiziaria, che - se richiesta dagli ufficiali di polizia giudiziaria procedenti- può, con decreto motivato, differire il sequestro del denaro , dei beni , delle altre utilità, nonché delle armi, delle munizioni ,degli esplosivi o delle sostanze stupefacenti o psicotrope fino alla conclusione delle indagini[35], disponendo –se necessario- specifiche disposizioni per la conservazione.

A differenza di quanto esaminato a proposito del ritardo od omissione degli atti dovuti dalla polizia giudiziaria, si rileva che l’ unico atto differibile è il sequestro ,e titolare del potere di ritardarne l’ esecuzione è il p.m[36].

E’ intuibile che l’ estrema delicatezza che fisiologicamente circonda l’ attività di sequestro di corpi di reato rappresentati da quantitativi spesso ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope, ovvero di armi, munizioni ed esplosivi, non tollera autonomi poteri di iniziativa della polizia giudiziaria, atteso che a differenza degli atti di competenza esclusiva di quest’ ultima, tale eccezione non sarebbe ravvisabile in qualsivoglia esigenza di tempestività dell’ attività investigativa sotto copertura. 

2.4  Ritardo od omissioni disposti dall’ Autorità giudiziaria.

Il ritardo o l’ omesso compimento, nel corso di una operazione sotto copertura, può verificarsi solo nel corso di un’ attività di indagine in cui il p.m. abbia assunto in concreto la direzione, dopo avere ricevuta la comunicazione di rito da parte della polizia giudiziaria ex art. 347 c.p.p..

In prima battuta va rilevato che il novero dei provvedimenti che possono essere ritardati od omessi comprendono tutti i provvedimenti che applichino una misura cautelare.

Come risaputo le misure cautelari possono essere disposte dal giudice su richiesta del pubblico ministero (art.291 c.p.p.), mentre l’ unico potere che è imputato al p.m. per incidere sulla libertà personale è quello relativo al fermo di indiziato di delitto (art.384 c.p.p.).

 Difatti l’ impianto delle misure cautelari è caratterizzato, in linea generale, dalla “discrezionalità” del potere dell’ Autorità giudiziaria:l’ art. 272 c.p.p., infatti è in tal senso formulato in maniera inequivoca , attraverso l’utilizzazione dell’ espressione “possono”[37].

Da ciò si evince che l’ unica eccezione alla regola di cui sopra è costituita dal disposto dell’ art. 275 , co. III c.p.p., in forza del quale , per garantire le esigenze di custodia della collettività, si “impone” al p.m. l’ adozione della misura della custodia cautelare in carcere quando sussistono gravi indizi di colpevolezza di alcuni reati particolarmente allarmanti, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.

Dal carattere “discrezionale” del potere del p.m. di richiedere  al giudice l’adozione delle misure cautelari personali, rende per lo più inutile l’adozione di un formale provvedimento con cui il p.m. giustifichi il ritardo nella richiesta della misura, potendo questi semplicemente astenersi dal presentare tale richiesta[38].

Dal combinato disposto dell’ art 10 della L. 18 febbraio 1992 n. 172 , e dell’ art. 275 co. III c.p.p.,  si deduce che il p.m. deve emettere un formale provvedimento in tal senso solo in due ipotesi.

   La prima ha ad oggetto l’evenienza in cui ci si trovi in presenza di uno dei gravi reati di cui all’art. 275 co. III c.p.p., nel qual caso il pubblico ministero deve fare richiesta della misura, salvo che non ritenga sussistenti le esigenze cautelari. Infatti, la disciplina dell’ art.10 della legge L. 18 febbraio 1992 n. 172 , a differenza di quella contenuta nell’ art. 98 del T.U. sugli stupefacenti, non consente al p.m. di ritardare la richiesta di emissione, ma, ove in seguito ritenga di ritardare l’ esecuzione della misura ottenuta, potrà e dovrà provvedere con apposito decreto motivato.

  La seconda ipotesi è quella in cui, richiesta ed ottenuta la misura cautelare, questa sia stata già consegnata dal pubblico ministero al personale della polizia giudiziaria incaricato di porla in esecuzione; in questo caso , qualora sopravvengono le esigenze investigative di cui all’ art. 10 co. I della L. 18 febbraio 1992  n. 172  il p.m.- magari stimolato dalla stessa polizia giudiziaria operante sotto copertura- potrà e dovrà sospendere l’ esecuzione con espresso decreto motivato.

Infine, nessuna particolare difficoltà ermeneutica pone il ritardo nell’ adozione dei provvedimenti di fermo e sequestro[39].

CONCLUSIONI

È accaduto spesso che i ritocchi alla struttura del sistema penale sostanziale e processuale abbiano indotto il mondo accademico e gli operatori del diritto a domandarsi retoricamente quali potessero essere la meta e l'esito della trama intessuta da un legislatore ­troppo vicino al ricordo letterario di Penelope e della sua tela!

La legislazione speciale avente ad oggetto i profili teorici e le conseguenze operative delle attività sotto copertura tese al contrasto di fenomeni criminali spesso transnazionali –come quelli legati al traffico di sostanze stupefacenti ed armi e le consequenziali attività di riciclaggio dei relativi proventi illeciti- analizzata parzialmente ed a livello istituzionale nel presente lavoro, offre un 'ennesima occasione di diagnosi dei pregi e dei difetti di un sistema in perenne conflitto tra evoluzione ed involuzione.

Non è pura speculazione teorica ma necessità a livello interpretativo!

La tematica affrontata ci consente di fare il punto sullo sviluppo legislativo, a proposito di grandi temi quali gli ambiti di legittimità dell’ utilizzo di strumenti investigativi non ordinari quali quelli c.d. “undercover”.

È dunque possibile la ricerca di un orientamento sistematico, che risulti della comparazione tra le discipline normative che si sono nel tempo succedute. Comparazione da cui possono essere dedotte le regole di un congruo comportamento operativo.

Un dato è da assumere quale inequivocabile: inizialmente il Legislatore si è mosso sulla scorta di in  "disegno a macchie di leopardo" in cui il sfondo uniforme era rappresentato dal sospetto di illiceità delle operazioni condottedall'agente “undercover”. Su tale sfondo erano risaltate, alquanto sporadiche, alcune "macchie" di liceità delle condotte, fondate su schemi di soluzione (la scriminante speciale dell'acquisto simulato di droga, le scriminanti speciali tratteggiate dall'art. 12 quater delle misure antimafia del d.l. n. 304/1992, convertito nella L. n. 306/1992, l'adempimento del dovere, il difetto di dolo) che di volta in volta hanno escluso  la responsabilità penale dell'agente “infiltrato” sul terreno dell'antigiuridicità, della colpevolezza o della tipicità.

Le successive  concessioni legislative alla “realpolitik” in materia ,dovute probabilmente alla difficoltà di reprimere  certi reati ( quali quelli legati alla prostituzione ed alla pedo-pornografia o al terrorismo internazionale) con i metodi ordinari di investigazione, non devono peraltro assolutamente indurre a riconoscere acriticamente spazi sempre maggiori di liceità all'attiva di partecipazione (anche se “passiva” ,di “mero controllo” o di “contenimento”) degli organi dello Stato all' altrui attività delittuosa.

Un ultimo dato è da porre all’ attenzione del lettore : la necessità, comunque, di coordinare gli interventi legislativi attraverso la stesura ed approvazione di un testo unico che regolamenti in maniera omogenea una disciplina che, viceversa, lascerebbe spazi esiziali di incertezza all’ operatore di polizia giudiziaria .

Tuttavia un siffatto intervento del Legislatore dovrebbe -da un lato cogliere- gli aspetti più salienti e verificati di analoghe esperienze condotte in sistemi di “civil law” ( come quello tedesco) e di “common law” ( quale quello statunitense); - dall’altro- farsi promotore di un indifferibile e tendenzialmente esaustivo quadro normativo di diritto internazionale pattizio che tenga conto di modalità del tutto nuove di progettazione ed esecuzione di illeciti penali di grave allarme transnazionale.

Difatti, come autorevolmente ricordava Giovanni Falcone: “non appena i progressi tecnologici possono essere applicati a fini criminali si  dovrebbero scatenare cambiamenti o persino rivoluzioni nelle relative modalità di contrasto” .

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NOTE A SENTENZA

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G. AMATO, La definizione processuale dell’ “agente provocatore”: riflessi sulla capacità a rendere testimonianza, in Cass. pen.,1996, p.2388, n. 1399.

G. AMATO, L’ ambito di operatività, sostanziale e processuale ,dell’ acquisto simulato di sostanze stupefacenti, in  Cass. pen.,1999, p. 1611, n. 800 

LANDOLFI, L’ acquisto simulato di stupefacente, in Cass. Pen, 1994.

G. RITUCCI, La disciplina dell’ acquisto simulato ex art. 97 T.U. n.309 del 1190, in Cass. Pen.,1993, p.933

Note:

[1] Cfr. Cass., Sez. I , 28 febbraio 1969, Murgia ed altri, in Arch. Pen. 1970, II, p.408; Cass. , Sez. I , 1 marzo 1969, Faccin ed altri , in Cass. Pen., 1970, p.1637; Cass. Sez. II, 23 maggio 1972, Monne, in Mass.Cass.pen., 1972, p.1405; Cass., Sez. VI, 29 settembre 1987, Alan, in Cass. Pen.,1989, p. 580, n.502.

[2] Per tutte: Cass. Pen., IV sez., 6 luglio 1990, Carpentieri, in Mass.Cass. pen.,1991, fasc. 1, p.66

[3] Per le pronunce più recenti: Cass. Pen, sez. VI., 31.12.1998 n.669, in Cass. Pen , 1999, 800: “ […] Quando, invece, la condotta dell’ agente si inserisca  nell’ iter  criminoso con rilevanza causale , nel senso che l’ evento delittuoso sia conseguenza diretta della sua condotta , non opera la causa di giustificazione e l’ agente è punibile a titolo di concorso di reato”.

[4] Cfr.: R.LA TAGLIATA, Concrso di persone nel reato, in Enc. Dir., vol VIII, 1961, p.568 e ss.

[5] A. PAGLIARO, Principi di diritto penale, Giuffrè, 1993p.420

[6] A. LANDOLFI, L’ acquisto simulato di stupefacente, in Cass. Pen, 1994, 1248: l’ A., in questa prospettiva fa riferimento alla configurazione di un potere giuridico di agire , ossia un vero e proprio diritto scriminante cui farebbe da contraltare il carattere obbligatorio di determinate attività quali quelli ravvisabili ex art. 380 c.p.p. per la p.g. in  materia di arresto obbligatorio in flagranza  o l’ art. 652 c.p. che sanziona il rifiuto da parte di un  privato di prestare la propria opera in occasione di un tumulto.

[7] In Italia ratificata ed eseguita con la L. 5.11.1990, n.328

[8] Per esigenze di completezza non bisogna omettere che, sul piano del diritto internazionale pattizio, normativa analoga a quella elaborata dal Legislatore nazionale è quella desumibile dall’ art. 40 delll’ Accordo di Schengen del 14.06.1985 ratificato in italia con la Legge 30.09.1993 n.388, laddove -limitatamente alle indagini relativa ad alcune tipologie di reato specificamente individuate- si consente agli operatori di p.g. di proseguire l’ osservazione di una persona indiziata anche nel territorio di un paese confinante.

[9] Per la POLIZIA DI STATO: Servizio Centrale Operativo, Centri Criminalpol, Sezioni Stupefacenti della Squadre Mobili ; per l’ ARMA DEI CARABINIERI: Reparto Operativo Speciale , Reparto Operativo Anti Droga e Nucleo Operativo di Reparto Operativo; per la GUARDIA DI FINANZA : Gruppo Operativo Antidroga e G.I.C.O..

[10] Costituisce Servizio Centrale nella POLIZIA DI STATO: I Divisione del Servizio Centrale Operativo, posto nell’ ambito della Direzione Centrale della Polizia Criminale; nell’ ARMA DEI CARABINIERI il I, II, e III Reparto del Comando Raggruppamento Operativo Speciale; nella GUARDIA DI FINANZA: lo S.C.I.C.O. , posto alle dipendenze del Centro Investigazione Operazioni Finanziarie. A livello periferico i Servizi Interprovinciali Periferici si identificano per la POLIZIA DI STATO nelle Sezioni di Criminalità Organizzata, inserite nelle Squadre Mobili delle Questure aventi sede nei capoluoghi di distretto di Corte d’Appello;per l’ ARMA dei CARABINIERI  le Sezioni Anticrimine, collocate nell’ambito  dei Comandi Provinciali aventi sede nei capoluoghi di distretto di Corte d’ Appello; per la GUARDIA DI FINANZA nei GG.I.C.O., inseriti in seno ai Nuclei Regionali e Provinciali in sede di distretto di Corte d’ Appello.

[11] Cfr. per tutti P BRESCIANI, in AA.VV., Commento al d.l. 31dicembre 1991 n. 419, in Leg. Pen.,1992; D’ ONOFRIO, Strumenti giuridici nelle indagini di polizia, in Riv. Pol. ,1993

 

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[12] Cfr.: E. CELOTTI, Disposizioni  processuali e preprocessuali specifiche in materia di stupefacenti, in AA.VV., La nuova normativa sugli stupefacenti. Commento alle norme penali del Testo Unico, a cura di Flora, Milano, 1991, p.37 e ss.; E. FORTUNA, voce Stupefacenti (diritto interno), in Enc.dir., vol XLIII, Milano, 1990, p.1221.

[13]Tuttavia in chiave estensiva si dimostra la ricostruzione operata da A. LANDOLFI, op. cit., che in relazione all’ acquisto simulato di stupefacente pone come norma di riferimento per l’ “estraneo” alle categorie di soggetti legittimati all’ operazioni undercover l’ art. 383 c.p.p.. Da esso discenderebbe la facoltà di arresto anche  da parte del confidente-collaboratore cui viene effettuata un’ offerta di stupefacente.

[14] In questo senso, Cass.,Sez. VI, 16 ottobre 1999, Battaglia, in Riv. Pen., 1990  p. 1082

[14] Cfr. D’AMBROSIO-VIGNA, La pratica di polizia giudiziaria, Cedam 1998, p. 276

[15] Cass. Sez. VI 3.12.1998 riportata in Cass. Pen. , 1999, 800.: “La causa di giustificazione di cui all’art. 97 D.P.R. 9 .10.1990, n.309, scriminando l’ acquisto simulato di droga ,necessariamente legittima anche le attività strumentali all’ acquisto medesimo, […] rappresentandone il naturale e fisiologico antecedente o susseguente.”

[16] Più prudentemente  A. LANDOLFI ,op .cit  : “ In considerazione della lacuna legislativa in ordine a tale problematica , si ritiene molto opportuno che ogni attività funzionale alla realizzazione dell’ operazione sia posta in essere solo in caso di necessità assoluta e previo provvedimento del p.m.”.

[17] Cfr. G.AMATO,Teoria e pratica degli stupefacenti, Laurus Robuffo, 1999.

[18] Cfr. Cass. Sez. VI 3.12.1998 riportata in Cass. Pen. , 1999, 800.

[19] Sul punto vedi ifra  cap. 2 par. 2.2.

 

[20] In questo senso, G. AMATO, Droga ed attività di polizia, Roma 1992, pag.215 per il quale mentre è in re ipsa la  punibilità per l’ acquisto degli stupefacenti dall’ organizzazione criminale , saranno scriminati l’ utilizzo di documenti falsificati di copertura od il porto di armi clandestine ; lo stesso non può dirsi invece per gli eventuali reati contro il patrimonio – furti, rapine,ecc.- o per le eventuali cessioni di stupefacenti a terzi che l’ operatore fosse indotto a commettere per rendersi credibile agli occhi dell’ associazione infiltrata. Secondo l’ autore in tale ipotesi , ove ne sussistano le condizioni , potrà farsi applicazione dell’ esimente di cui all’ art. 51 c.p..

[21] In tal senso PEPINO, Droga e legge. Tossicopendenza, prevenzione e repressione, Milano 1991, p.158 : “ […]La limitazione del raggio d’ azione dell’ agente infiltrato alla mera attività di  acquisto comporta inevitabilmente che i suoi contatti si arrestino agli anelli finali del traffico illecito con scarse o nulle possibilità di  risalire in maniera significativa la catena di comando dell’ organizzazione malavitosa.

22 Cfr. TUREL- BUONOCORE, Droga.Manette e riabilitazione, Feletto 1990, 136

23 per tutte: Cass. Sez IV 17.04.1994  riportata in Cass. Pen.,1995, 506

 

 

[24] Cfr. : G. AMATO, Droga ed attività di polizia, Roma 1992,p. 216.

[25] Cfr.: “delitti di cui all’ art 416 bis c.p.,ovvero delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416 bis ovvero al fine di agevolare l’ attività delle associazioni previste dallo stesso articolo”

[26]  BRACCI, Aspetti penali della disciplina delle sostanze stupefacenti e psicotrope, in Polizia Moderna,suppl. n.5, p. 73. “ […]Peraltro l’ omessa o ritardata comunicazione potrebbe costituire violazione dei doveri di subordinazione di cui all’ art. 59 c.p.p”.

[27] Cfr.P. DUBOLINO, Il codice delle leggi sugli stupefacenti, Piacenza, 1991, p.77.

[28] Circa il significato da attribuire al significato “omissione” utilizzato dalla norma a fianco del termine “ritardo”, PEPINO, Droga, cit., p.159, ritiene che esso non possa essere inteso nel senso di rendere possibili  omissioni di atti idonee ad introdurre in maniera surrettizia una sorta di discrezionalità nell’ esercizio dell’ azione penale.In realtà, l’ omissione consentita alla polizia giudiziaria riguarda solo gli atti  irripetibili e non si estende al dovere di dare corso alle necessarie denunce e segnalazioni all’ Autorità giudiziaria. 

[29] Cfr.: BRACCI, op. cit.. pag. 73:  “[…] la norma vuole evitare che il risultato di delicate e complesse indagini, magari a livello internazionale, sia frustrato da inopportuni ed intempestivi adempimenti formali e sostanziali.”

[30] Sulla finalità della disposizione, v., in questo senso, G. AMATO, Droga ed attività di polizia ,Roma,1992, p. 218 e ss.; N. BARTONE –A. IAZZETTI - F. IZZO, Stupefacenti e sostanze psicotrope,Napoli, 1991, p.335.

In particolare per RONCO, Il controllo penale degli stupefacenti , Napoli 1990,  p.374 la ragione della norma risiede nell’ esigenza di introdurre elementi di certezza nell’ adempimento dei compiti di polizia e di giustizia in campi delicatissimi, lasciati in passato nell’ orizzonte  ambiguo di una discrezionalità che veniva esercitata post factum, secondo valutazioni più di opportunità che di legittimità.

[31] V . G. CASELLI- M. GARAVELLI, Gli acquisti simulati di droga , in AA.VV., Il testo unico in materia di stupefacenti, a cura di Ferranti, Pascolini, Pivetti e Rossi, Milano, 1991, p. 64, i quali nell’ apprezzare la norma come strumento efficace per consentire di risalire ai più alti livelli di responsabilità, ne evidenziano peraltro la delicatezza interpretativa , presentando il rischio di vedere fuggire persone prima reperibili e sicuramente raggiunte ad indizi di reato e di lasciare in circolazione quantitativi anche rilevanti di sostanze stupefacenti che si sarebbero potuti immediatamente sequestrare.

[32] Cfr.: G. AMATO, Il riciclaggio del denaro “sporco”. La repressione penale dei profitti delle attività illecite, Roma, 1993, p. 81.

[32] Si evidenzia che l’ art. 10 della L. 172/92 è espressamente richiamato dall’ art. 4 co. II del D.L. 18.10.2001 n.374, conv. con modif. nella L. 438/2001 concernente “Disposizioni urgenti per contrastare il 

terrorismo internazionale”, che consente il ritardo di  determinati atti anche nell’attività di contrasto al terrorismo internazionale.

[34] V. nota  n. 9.

[35] Cfr.: . G. CASELLI- M. GARAVELLI, Gli acquisti simulati di droga , in AA.VV., Il testo unico in materia di stupefacenti, a cura di Ferranti, Pascolini, Pivetti e Rossi, Milano, 1991, p. 66 :“Qualora i presupposti per l’ applicazione della norma si verifichino fuori dal periodo delle indagini preliminari quando il processo è già in corso- per esempio quando si manifesta l’ opportunità di arrestare un latitante per il quale la misura coercitiva non è stata eseguita- si dovrà fare riferimento al giudice che in quel momento ha la disponibilità del processo.”

[36] Peraltro AMBROSINI G. AMBROSINI – La riforma della legge sugli stupefacenti, Torino, 1991, p. 134, dubita della legittimità costituzionale , in relazione al principio di uguaglianza di cui all’ art. 3 Cost, ed in relazione all’ inviolabilità del diritto alla difesa in ogni grado e stato del procedimento di cui all’ art. 24, co. II Cost, del differimento del sequestro atteso che ciò consente, in deroga agli artt. 355 e 365 c.p. di non informare la persona sottoposta alle indagini di un atto al quale il difensore avrebbe il diritto di assistre, pur senza preavviso,o del quale dovrebbe avere notizia ( art. 366 c.p.p.) nell’ arco dei tre giorni successivi.

 

[37] Ciò costituisce la puntuale applicazione della direttiva 59 della legge-delega n. 81/87, laddove si parla del “potere-dovere” del p.m. di richiedere –e del giudice di disporre- la misura cautelare , i presenza dei presupposti di legge.

[38] Cfr. : G. AMATO, Droga ed attività di polizia, Roma 1992,p. 219.

[39] Assai critico in ordine alla presente ricostruzione del combinato normativo è G. AMBROSINI – La riforma della legge sugli stupefacenti, Torino, 1991, p.130 , che la ritiene non esente da dubbi di costituzionalità, quanto meno quando sia necessario acquisire rilevanti elementi probatori, perché l’ apparente favor libertatis è in realtà finalizzato all’ indebolimento degli strumenti difensivo della persona sottoposta alle indagini.