inserito in Diritto&Diritti nel gennaio 2004

Sulla natura del riconoscimento nel diritto internazionale pubblico

(di Giovanbattista Greco mail: grecogiovanbattista@jumpy.it)

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Nell’ambito del diritto internazionale pubblico il riconoscimento è generalmente definito come la dichiarazione di volontà con cui un’entità statale esprime l’intenzione di considerare un’altra comunità sovrana come Stato ai sensi dell’ordinamento internazionale.

A questo atto una parte della dottrina ha attribuito una valenza costitutiva della personalità internazionale, subordinando quindi alla sua concessione la possibilità di uno Stato di essere titolare di diritti ed obblighi internazionali. Si tratta di una tesi strettamente legata all’idea che gli Stati preesistenti possano esercitare, mediante il riconoscimento, una sorta di potere di ammissione dello Stato di nuova formazione nella comunità internazionale. Quest’ultima apparirebbe come un consesso capace di ampliarsi per un meccanismo di cooptazione dei propri membri.

Qualche breve riflessione induce tuttavia a dubitare della natura costitutiva del riconoscimento ai fini della personalità internazionale.

Un primo ordine di considerazioni riguarda l’irrinunciabilità, ai fini dell’attribuzione della soggettività internazionale, del riferimento ai caratteri di effettività e indipendenza di una organizzazione di governo.

Tali elementi sono necessari ai fini della qualificazione di cui si discute e ciò è di facile intuizione: un’organizzazione di governo che non eserciti un controllo effettivo su di una comunità territoriale, ancorché riconosciuta, non ha interessi concreti da gestire in ambito internazionale né può garantire l’adempimento degli obblighi che la pertengono; la medesima organizzazione, se manca di indipendenza, non figurerà come la reale titolare delle situazioni giuridiche attive e passive che formalmente le sono attribuite.

Il fatto che la sussistenza di indipendenza ed effettività sia anche sufficiente a prefigurare la soggettività internazionale è testimoniato dall’inesistenza di ostacoli che impediscano o limitino la capacità concreta dello Stato che possegga tali requisiti di agire con pienezza nell’ambito della comunità delle nazioni senza bisogno d’altro.

Ciò spiega perché uno Stato che non abbia ottenuto il riconoscimento da parte di un suo omologo non per questo si trovi impedito a stringere relazioni diplomatiche e concludere trattati con soggetti dell’ordinamento internazionale diversi dal primo.

In questo senso il riconoscimento, ai fini della sua natura di soggetto di diritto internazionale, si pone nella migliore delle ipotesi almeno come superfluo.

 

Il dato inequivocabile che induce ad escludere la rilevanza costitutiva del riconoscimento viene però dalla prassi.

Lo studio delle relazioni internazionali è costellato di casi limite in cui il riconoscimento di una comunità sovrana da parte di un altro Stato, prima operato, ha finito per essere revocato senza che ai sensi del diritto internazionale fosse intervenuta un’ipotesi di estinzione dell’entità statale riconosciuta (v. il caso degli Stati Uniti che hanno interrotto i rapporti diplomatici prima intessuti con Taiwan nel 1979); non mancano casi in cui trattati internazionali vincolano Stati che tra loro non hanno operato un riconoscimento.

Queste ipotesi problematiche, inconciliabili con la natura costitutiva del riconoscimento, possono spiegarsi solo attribuendo a tale atto unilaterale una mera valenza politica. In questo senso vale la tesi del Conforti per cui il riconoscimento è atto che esprime semplicemente la volontà di uno Stato di intrattenere relazioni amichevoli con un altro, di avviare con esso forme più o meno intense di cooperazione.

 

La conclusione cui siamo giunti acquista vigore alla luce di un’ultima considerazione: ammettendo pure che il riconoscimento abbia efficacia costitutiva, non può affatto determinarsi con certezza quanti Stati debbano operarlo nei confronti di una comunità sovrana prima che questa possa dirsi soggetto a tutti gli effetti dell’ordinamento internazionale.

Prospettare che il riconoscimento da parte di un solo altro soggetto di diritto internazionale sia sufficiente equivarrebbe a introdurre un valido strumento di mistificazione, nel fenomeno dei governi-fantoccio, a vantaggio dello Stato che esercita un’ingerenza sul potere di controllo di una comunità territoriale diversa dalla propria.

Alla potenza che effettivamente esercita il governo basterebbe effettuare il riconoscimento del paese controllato onde sollevarsi dall’accusa di ingerenza negli affari interni altrui. Con l’acquisto della soggettività il governo-fantoccio potrebbe presumersi dotato della capacità di determinare liberamente i fini e  i mezzi della propria azione politica, ad onta dell’inesistenza del requisito di indipendenza.

Ritenere, all’opposto, che nella comunità delle nazioni uno Stato entri solo se da queste ultime unanimemente riconosciuto crea problemi di non minore portata, non potendosi evidentemente accettare che l’opposizione, anche strumentale, di una sola di esse, magari un microstato, privi una comunità della possibilità concreta di svolgere un ruolo da attrice dell’ordinamento internazionale, con le conseguenze, non solo politiche che ciò comporta.

 

Se gli argomenti in favore della tesi della rilevanza politica del riconoscimento sembrano così cristallini, c’è da domandarsi dove trovi linfa l’opinione opposta.

In realtà la tensione verso l’efficacia costitutiva dell’atto in parola che una parte di dottrina coltiva può forse ricondursi al ruolo svolto dalle dichiarazioni politiche di amicizia nei confronti di Stati di nuova formazione, in particolare a seguito di secessione o smembramento. Il riconoscimento di una nuova entità da parte di un congruo numero di Stati preesistenti ha contribuito spesso a risolvere in maniera positiva la questione circa la possibilità che uno o più nuovi soggetti di diritto internazionale si fossero effettivamente formati.

La conclusione per cui si attribuisce per questo al riconoscimento efficacia costitutiva è frutto di un fraintendimento dovuto dalla sovrapposizione del piano della politica con quello sostanziale. La volontà di un congruo numero di governi di intrattenere rapporti di collaborazione con quello appena formatosi può far solo presumere ma non certo garantire che ciò significhi che quest’ultimo sia dotato degli attributi di indipendenza ed effettività indispensabili, come abbiamo chiarito, ai fini della personalità internazionale.

Mutatis mutandis, può comprendersi, e si torna alla tesi più sopra sostenuta, come l’assenza di un riconoscimento non per questo escluda la capacità di uno Stato di esercitare le proprie prerogative sovrane. L’esempio ci è dato ancora da Taiwan, entità formatasi per secessione cui la stragrande maggioranza dei Paesi nega il riconoscimento ma che non per questo ha cessato di governarsi (e di intrattenere relazioni internazionali de facto) in maniera autonoma dalla Cina continentale cui prima era legata.