inserito in Diritto&Diritti nel dicembre 2000

TRIBUNALE DI BOLOGNA 9 maggio 2000 con nota di commento di Giuseppe Cassano dal titolo BREVI RIFLESSIONI SUL DESTINO DEGLI EMBRIONI «IN VITRO»

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TRIBUNALE DI BOLOGNA 9 maggio 2000 (Giudice- Dr. Siro Sardo)

 

Ritenuto che gli ovuli umani fecondati ma non impiantati e crioconservati sono, sul piano biologico e giuridico, entità ben diversa dagli embrioni già allocati nell'utero materno, e che gli stessi embrioni, per quanto vitali, non godono della stessa tutela legale e non hanno le stesse prerogative giuridiche della persona nata viva, e, considerato altresì che il diritto di procreare o di non procreare è costituzionalmente garantito, specie qualora non vi sia in atto una gravidanza, sarebbe in netto contrasto con il diritto di non procreare riconosciuto anche al genitore di sesso maschile, la concessione alla solo donna di decidere se procedere nell’impianto in utero degli embrioni.

 

Pertanto non sussiste il diritto della moglie di richiedere l’impianto, atteso che tale impianto contrasta con il diritto ad una paternità non imposta del genitore di sesso maschile e con il diritto del nascituro a fruire e godere della doppia figura genitoriale, per essere istruito, educato e mantenuto da entrambi i genitori, nell’ambito di un contesto di coppia, per la garanzia di un equilibrato ed armonico sviluppo psico-fisico.

 

 

IL GIUDICE

Letti gli atti e le memorie autorizzate, sciogliendo la riserva:

 

IN FATTO

Con ricorso depositato il 6.3.2000 (...) , premesso che a causa di gravi patologie alle ovaie ed ai conseguenti e necessari interventi chirurgici subiti, non era più in grado di procreare naturalmente e che con il marito (...), il quale era al corrente della condizione di sterilità, sin da prima del matrimonio, era addivenuta alla determinazione di procedere alla fecondazione omologa in vitro;

assumeva:

- che i coniugi si erano rivolti al Centro (...) ed all’équipe medica diretta dal Dott. (...) in Bologna con cui avevano stipulato un contratto secondo il quale, la (...) sarebbe stata sottoposta alle terapie per la stimolazione della produzione degli ovuli che sarebbero stati prelevati e fecondati con il seme del coniuge in vitro, per poi essere impiantati nell’utero della ricorrente e che gli embrioni sovrannumerari sarebbero stati crioconservati per reiterare il tentativo di inserimento nell’utero al fine di ingenerare la gravidanza; - che nel novembre 1994 erano stati prelevati 10 ovociti e fecondati con il seme del (...) e che subito dopo, 4 embrioni erano stati inseriti nell’utero per il primo tentativo di gravidanza che purtroppo aveva dato esito negativo;

- che la ricorrente, data la tensione e la delusione, con il consenso del coniuge, aveva deciso di fare passare qualche mese, prima di tentare per la seconda volta di ingenerare la gravidanza con i tre embrioni crioconservati, ma che, nelle more, il matrimonio era entrato in crisi ed i coniugi si erano separati consensualmente con provvedimento di omologa del Tribunale di Chieti.

Nel ricorso, dopo le premesse esposte, la (...) affermava che, anche dopo la separazione dal marito, non avendo mai smesso di desiderare dei figli, aveva più volte chiesto al (...) di acconsentire alla gravidanza, ma stante il perdurante e netto rifiuto, si era rivolta al Centro (...) presso cui erano ancora crioconservati gli embrioni sovrannumerari, chiedendo l’impianto in utero degli stessi ma che non aveva ricevuto risposta positiva avendo il Centro comunicato, stante il dissenso del (...), di aver attivato il Comitato di Bioetica, per avere un parere sulla questione.

Ciò dedotto ed assunto la (...), affermando sia il proprio diritto inviolabile alla maternità ed il proprio diritto alla sua integrità psico-fisica (artt. 2 e 32 della Costituzione), sia il diritto alla vita dell’embrione, atteso che con la fecondazione dell’ovocita era già avvenuto il concepimento con inizio di un nuovo essere umano, ed assumendo pertanto che il (...) non aveva più il diritto di revocare il proprio consenso già prestato alla procreazione e dall’altra parte il (...) si era impegnato alla crioconservazione degli embrioni sovrannumerari, al fine di effettuare altri tentativi di impianto nell’utero della ricorrente per ingenerare la gravidanza;

sostenendo che nella fattispecie sussistevano il fumus boni juris per le motivazioni rappresentate ed il periculum in mora poiché ogni giorno di ritardo poteva pregiudicare seriamente il successo dell’impianto in utero; adiva questo Tribunale e chiedeva che, ai sensi dell’art. 700 c.p.c., venisse ordinato al Centro (...) in persona del legale rappresentante pro-tempore, nonché al Dr. (...) , ciascuno nelle rispettive competenze ed obblighi assunti, di portare a termine immediatamente, la prestazione professionale procedendo all’inserimento in utero degli embrioni crioconservati, sulla persona della ricorrente (...) .

Il Giudice designato fissava l’udienza di comparizione delle parti con i termini per la notifica del ricorso che la ricorrente notificava oltreché al (...) ed al Dr. (...), anche al (...) ed al P.M. presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Bologna.

Il (...) si costituiva e, premesso che si era separato consensualmente dalla (...) nel dicembre 1996 e che i coniugi già presentato al Tribunale di Chieti ricorso congiunto per la cessazione degli effetti civili del loro matrimonio, eccepiva che non sussistevano più le condizioni per farsi luogo alla procedura di procreazione medicalmente assistita che presupponeva la presenza di una coppia convivente ed il consenso di entrambe le parti sino al momento dell’impianto dell’embrione in utero secondo quanto previsto nel disegno di legge n. 4048, già approvato dalla Camera dei Deputati il 26.5.1999 e giacente al Senato per le conclusioni del suo iter formativo.

Il (...) asseriva inoltre che la tutela dell’embrione, non potendosi parlare di concepimento e gravidanza, doveva essere valutato in uno agli altri diritti della madre alla maternità e del padre alla libera autodeterminazione alla procreazione, intesa come funzione cosciente e volontaria e comunque, la tutela dell’embrione doveva tenere conto della presenza di un nucleo familiare stabile che assicurasse la presenza di entrambi i genitori al nascituro.

Peraltro, la richiesta dei coniugi fatta a suo tempo al Centro (...), era stata formulata in via congiunta dagli stessi, dando luogo ad una unica manifestazione di volontà negoziale, con la conseguenza che essa era venuta meno per la revoca del consenso del (...).

Il (...) inoltre nella successiva memoria eccepiva la nullità del ricorso perché privo dell’indicazione dell’instaurando giudizio di merito e l’improcedibilità ed ammissibilità della istanza avente ad oggetto un facere infungibile quale la prestazione medica.

Sulla base di tali eccezioni e deduzioni il (...) chiedeva la reiezione della domanda proposta dalla ricorrente.

Il Centro (...) ed il Dr. (...) si costituivano e preliminarmente, evidenziavano la correttezza professionale del Centro e del medico che avevano espresso il loro rifiuto alla richiesta di impianto degli embrioni in quanto in contrasto con la volontà del marito, solo dopo aver consultato il comitato etico costituito presso il Centro (...), che aveva espresso parere negativo in data 23.2.2000 nel senso che, nella fattispecie in presenza di diversi interessi meritevoli di tutela e rilevanza costituzionale quali: il diritto alla procreazione; il diritto dell’embrione a non vedersi annullare le residue prospettive di vita; il diritto del nascituro alla doppia figura genitoriale, si determinava come conseguenza che “il bambino rischierebbe di essere allevato in un contesto di aspra conflittualità assai meno favorevole rispetto a quello offerto da genitori “sociali” e non “biologici”.

Il (...) ed il Dr. (...) assumevano ancora che proprio dal disegno di legge 541 evocato dalla ricorrente si evinceva che potevano accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita “coppie di adulti maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile” e che tra i diritti del concepito vi era quello di poter essere allevato da due genitori, se non coniugati, almeno stabilmente conviventi.

Il (...) ed il Dr. (...) eccepivano inoltre 1’ammissibilità della domanda proposta dalla (...) avente ad oggetto l’imposizione di un “facere infungibile” consistente in una prestazione professionale che, per sua natura e per i comuni principi deontologici medici, era del tutto incoercibile.

Ciò dedotto ed assunto, tuttavia, il Dr. (...) , nel conclusum, non escludeva per sua scelta, nel caso che in fase giudiziale fosse stato sancito il diritto della (...) ad ottenere il trasferimento di embrioni, di offrire la propria disponibilità alla prestazione professionale in questione, previa l’applicazione dei protocolli clinici previsti.

Nel merito il (...) ed il Dr. (...) concludevano chiedendo la reiezione della domanda della (...) siccome inammissibile così come proposta.

Il P.M. presso il Tribunale di Bologna si costituiva con memoria depositata il 10.4.2000 ed istava per la reiezione della domanda proposta dalla (...) assumendo che, nel nostro sistema, non esiste una paternità imposta, trattandosi di un diritto personalissimo non esercitabile da terzi, né surrogabile dall’autorità, e che il (...) aveva legittimamente revocato il consenso inizialmente prestato all’inserimento in utero degli embrioni crioconservati, in quanto la coppia si era legalmente separata ed era in attesa di divorzio, onde l’eventuale nascita del figlio sarebbe avvenuta in assenza di una famiglia e comunque al di fuori di una situazione di stabilità di coppia: posizione corrispondente a quella del codice di deontologia medica e dei disegni di legge pendenti in Parlamento che tutelano il diritto del nascituro di nascere e crescere nell’ambito di una stabile famiglia legittima o di fatto e non sotto la vigilanza della sola madre.

Il P.M., concludeva pertanto chiedendo la reiezione del ricorso ed in via subordinata chiedeva al Giudice, procedersi alla nomina di un C.T.U. per accertare le condizioni degli embrioni essendo trascorsi diversi anni dalla loro crioconservazione.

All’udienza del 4.4.2000 il Giudice si riservava di decidere assegnando il termine di giorni 15 a tutte le parti per il deposito delle loro memorie conclusive.

 

IN DIRITTO

Sulle questioni pregiudiziali e preliminari sollevate dalla (...), dal (...) e dal (...) e dal Dr. (...), nei rispettivi scritti depositati il Giudice osserva:

1)- L’eccezione di nullità del ricorso introduttivo perché privo dell’indicazione dell’istaurando giudizio di merito, sollevata dal (...) è infondata poiché l’onere di indicare la domanda di merito appare soddisfatto avendo la (...) specificato nel ricorso ex art. 700 c.p.c. le violazioni lamentate ed espresso la propria volontà di agire in via giudiziale per l’adempimento dell’obbligazione assunta dal (...) e dal Dr. (...) nel contratto sottoscritto dalle parti e prodotto in atti. Il contenuto della futura domanda di merito appare infatti evidente dagli estremi indicati nel ricorso ex art. 700 c.p.c. e ciò è sufficiente a determinare la procedibilità e ritualità del ricorso stesso (v. sul punto Trib. Milano 20.3.1997; Trib. Roma 23.10.1997).

2)- L’eccezione di inesistenza della procura conferita dal (...) al proprio difensore e quindi la richiesta di contumacia del predetto sollevata dalla (...) è infondata, poiché la procura all’avvocato (...), da parte del (...) risulta regolarmente conferita ed apposta in calce alla copia del ricorso introduttivo e del relativo decreto di fissazione di udienza notificati dalla ricorrente al (...) stesso.

3)- L’eccezione di improcedibilità ed inammissibilità del ricorso ex art. 700 c.p.c. perché avrebbe ad oggetto la condanna ad un facere infungibile, qual’è nella fattispecie l’esecuzione della prestazione professionale da parte del (...) e del Dr. (...), prestazione medica di natura incoercibile, eccezione sollevata e dal (...) e dal Dr. da una parte e dal (...) dall’altra è infondata : rileva infatti il decidente che dottrina e giurisprudenza appaiono, infatti, ormai quasi unanimi nell’ammettere la tutela d’urgenza, a prescindere dal contenuto infungibile o meno della relativa prestazione : v. per tutte Cass. N. 4112/79 con la quale la Suprema Corte, in materia di lavoro ha statuito che “non incide sull’ammissibilità del provvedimento d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c., il fatto che lo stesso non possa essere eseguito senza la cooperazione volontaria dei soggetti intimati, dato che esso ha pur sempre natura di atto giurisdizionale concretante la volontà di legge indicata dallo stesso art. 700 c.p.c. e perciò suscettibile di trovare attuazione anche attraverso una conseguente azione di risarcimento dei danni per l’inosservanza del provvedimento stesso e per la dipendente lesione da essa derivata al bene o alla situazione protetta dalla norma sostanziale alla cui salvaguardia era appunto diretto”.

In giurisprudenza vedi anche sentenza Pret. Monza 1.8.1992; Trib. Roma 3.8.1994; Trib. Roma 17.1.1996.

Osserva inoltre il decidente che il provvedimento cautelare avente ad oggetto un facere infungibile, pur essendo insuscettibile di esecuzione forzata, è comunque idoneo a produrre altri effetti, oltre che sul piano della determinazione del danno, anche al livello della coazione indiretta che il provvedimento possa esplicare nei confronti della parte obbligata tenuto conto della possibile applicazione degli artt. 650 e 388 c. penale.

Il ricorso d’urgenza proposto dalla (...), sia sulla base delle motivazioni e decisioni giurisprudenziali sopra riportate, sia per la disponibilità manifestata, anche se in via subordinata dal Dr. (...) ad eseguire la prestazione professionale, nel caso di pronuncia giurisdizionale favorevole alla ricorrente, va pertanto dichiarata ammissibile.

4)- Infine il decidente non può non evidenziare che la partecipazione al giudizio, sin dalla presente fase cautelare del P.M., è necessaria, poiché il provvedimento richiesto, è idoneo per la sua natura e funzione ad incidere comunque, sin dalla sua emissione in questa fase, sullo “status” del nascituro.

Esaminando adesso il merito del ricorso il decidente rileva che esso è infondato per la carenza di elementi idonei a configurare il presupposto del fumus bonis juris necessario per il suo accoglimento ed in proposito osserva :

1\\ Il diritto di procreare, anche se nessuna norma internazionale o costituzionale lo contempli esplicitamente, deve essere considerato un diritto fondamentale espressione della libertà ed autonomia della persona, costituzionalmente garantito come può desumersi dal combinato disposto degli artt. 2, 29, 30 e 31 della Costituzione della Repubblica Italiana che riconosce e garantisce i diritti inviolabili e fondamentali dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, il diritto alla costituzione di una famiglia ed il conseguente diritto dei genitori a mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio: tutela di diritti che presuppongono tutti l’evento riproduttivo e quindi conferiscono valenza costituzionale al diritto alla procreazione. La legge sulla interruzione volontaria della gravidanza N. 144/78, prevede, per la prima volta, l’impegno dello Stato a garantire l’esercizio del “diritto alla procreazione cosciente e responsabile”

2\\ A tale diritto di procreare, inteso originariamente come procreazione naturale, cioè mediante l’accoppiamento di sesso diverso, negli ultimi decenni, con il progresso medico-scientifico, alla possibilità biologica di avere dei discendenti si è aggiunta l’ulteriore possibilità della procreazione artificiale che può avvalersi di diverse tecnologie riproduttive, una delle quali è appunto la F.I.V.E.T. (fecondazione in vitro ed embrio transfer), ossia la fecondazione di un ovocita, prelevato strumentalmente, con uno spermatozoo, ed eseguita in vitro, con il successivo trasferimento dell’embrione ottenuto nell’utero della donna perché si sviluppi. Tale tipologia di fecondazione può essere omologa, se i gameti maschili e/o femminili impiegati provengono dalla stessa coppia che fa ricorso alla P.M.A. (procreazione medicalmente assistita) o eterologa se i gameti maschili e/o femminili provengono da terzi donatori. Nella fattispecie che ci occupa siamo in presenza di fecondazione omologa, essendo pacifico che il seme e gli ovociti provengono dalla coppia (...)-(...).

3\\ Tuttavia ritiene il decidente, che le tecniche riproduttive artificiali non possono essere considerate come una forma alternativa di procreazione cui le persone possano ricorrere liberamente, bensì come un intervento eccezionale e residuale cui si può incorrere soltanto in particolari situazioni e determinate condizioni. Deve cioè affermarsi che le tecnologie riproduttive vanno qualificate come strumenti volti alla tutela della salute e cioè come particolari forme di terapie che consentono all’individuo di soddisfare il legittimo interesse ad avere un figlio e quindi come diritto riservato alle persone che, per vie naturali ne sarebbero escluse. In tal senso si sono espressi ed indirizzati i diversi progetti o disegni di legge apprestati in Italia (v. art. 2 2° comma D.D.L. Perruzzotti, XIII, 25 ottobre 1996 n. 1570; art. 2 D.D.L. Tomassini, XIII 30 gennaio 1997, n. 2067; Testo Unificato N. 414/A delle p.p.d.1. nn. 414, 616, 816, 817, 958, 991, 1109, 1140, 1304, 1365, 1560, 1780, 2787, 3323, 3333, 3338, presentate nel corso della XIII legislatura, licenziato dalla Commissione Affari Sociali l’8 luglio 1998 relatrice On. M. Bolognesi).

L’opinione espressa, sulla qualità e natura delle tecniche riproduttive, trova conferma nella dichiarazione 2 aprile 1995 della Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri, con la quale l’Ordine Professionale ha ritenuto opportuno, in assenza di una legge in materna, dettare regole deontologiche sull’argomento della procreazione assistita. Nella dichiarazione suddetta, all’art. 41, è specificatamente affermato che “la fecondazione assistita ha lo scopo precipuo di ovviare alla sterilità, al fine legittimo della procreazione” e vieta, nell’interesse del bene del nascituro: a) tutte le forme di maternità surrogata; b) forme di fecondazione artificiale al di fuori di coppie eterosessuali stabili; c) pratiche di fecondazione assistita in menopausa non precoce; d) forme di fecondazione artificiale dopo la morte del partner; ed altre limitazioni ancora.

Da ultimo il disegno di legge n. 4048, già approvato dalla Camera dei Deputati nella seduta del 26.5.1999 ed in atto presso il Senato in attesa di approvazione, agli artt. 1, 2 e 4 statuisce che il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando si è accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione (naturale) ed è comunque circoscritta ai casi di sterilità o di infertilità certificate da atto medico.

Dunque diritto di ricorso alle tecniche riproduttive artificiali, solo in determinate situazioni e condizioni e non libero diritto ad una forma alternativa di procreazione.

La mancanza in Italia di una legislazione specifica che regolamenti in modo compiuto la fattispecie della procreazione artificiale impone adesso una valutazione e disamina sulle condizioni e presupposti essenziali per far ricorso alle tecnologie riproduttive e sulla individuazione dei soggetti e delle persone legittimate alla P.M.A. (procreazione medicalmente assistita).

Ed in relazione ai soggetti legittimati a fare ricorso alle tecniche riproduttive, il decidente ritiene ed afferma che:

ferma restando la necessaria finalità terapeutica dell’intervento, l’esercizio del diritto alla P.M.A. deve essere limitato e riconosciuto solo alla coppia e non a singoli individui. Sono le coppie di sesso diverso, legalmente coniugate o comunque legate comunque da un vincolo di fatto di stabile convivenza che hanno il diritto di accedere alla procreazione artificiale e ciò per una serie di motivazioni, la cui premessa deve muovere necessariamente da una concezione personalistica, cui si ispira la nostra Costituzione e, secondo la quale, l’uomo in quanto costituisce e rappresenta un valore in sé e per sé, non può in alcun modo essere ridotto a strumento per la soddisfazione di esigenze individuali o collettive.

E le motivazioni che giustificano il ricorso alle tecnologie riproduttive da parte della coppia eterosessuale coniugata o convivente, e pongono invece seri dubbi sul diritto di accesso alla P.M.A. da parte del soggetto singolo, scaturiscono dall’analisi sul contrasto tra i due interessi primari che emergono e risultano coinvolti nella questione: da una parte l’interesse ad avere un figlio e dall’altra l’interesse del nascituro ad avere due genitori.

Ed in merito al diritto del nascituro o del minore ad avere due genitori, il decidente rileva che tale diritto fruisce e di un fondamento giuridico-costituzionale sulla base degli artt. 30 e 31 della Costituzione, e della Legge 184/83 sull’adozione e dall’insieme delle norme sul diritto di famiglia e di un riconoscimento su basi antropologiche in esito alle concordi conclusioni degli studi in materia psicopedagogica, ove è stata evidenziata l’importanza che riveste la presenza della doppia figura genitoriale, per lo sviluppo integrale della personalità del bambino. Più in particolare, è stato ritenuto ed affermato ed il decidente condivide l’opinione che, l’esigenza antropologica fondamentale del minore di avere una figura paterna ed una materna di riferimento, per un integrale ed equilibrato sviluppo della sua personalità, conduce ad affermare che tale diritto possa essere incluso tra i diritti fondamentali tutelati dall’art.2 della Costituzione in quanto costituirebbe uno dei presupposti per il normale svolgimento della personalità del soggetto. Tale diritto del figlio peraltro risulta come detto protetto e tutelato dall’art.30 della Costituzione in cui è riconosciuto ed affermato il diritto del figlio ad essere istruito, educato e mantenuto da parte dei propri genitori, nonché dall’art.31 della Costituzione che proclama “il dovere dello Stato di proteggere l’infanzia favorendo gli istituti necessari a tale scopo” e pertanto non si può consentire il ricorso a forme di procreazione artificiale che, contro l’interesse del nascituro, lo priverebbero della figura paterna.

Alla stregua delle esposte motivazioni deve affermarsi che il diritto di procreare è un diritto fondamentale dell’individuo, ma necessita di un contemperamento con altri diritti fondamentali della persona, quali quelli del nascituro o del minore e, nell’ambito della procreazione artificiale, deve trovare una regolamentazione e remora da parte dell’ordinamento giuridico degli Stati, con la tutela specifica dei diritti dei figli.

In tale ottica prioritaria, soggetti legittimati ad accedere alla procreazione medicalmente assistita devono essere solo le coppie eterosessuali, legalmente coniugate o stabilmente conviventi. E tale conclusione risulta recepita nella quasi totalità delle p.p.d.1. presentate al Parlamento Italiano

(v. art. 6 1° comma p.d.l. Basile, XII 12 luglio 1994 n. 908 art. 2 p.d.1. Fuscagni, XII, 7 febbraio 1995 n. 1978; art. 1 d.d.l. Pedrizzi, XII 9 maggio 1995 n. 1673; art.2 d.d.l. Lavagnini, XIII, 19 giugno 1996 n. 743; art.2 lett. b) p.d.l. Giorgetti, XIII, 1 marzo 1997 n. 3338; art.5 T.U. Bolognesi, XH1, n. 414/A del 1998) e da ultimo nel disegno di legge n. 4048 approvato dalla Camera del Deputati nella seduta del 26.5.1999 ed allo stato giacente al Senato in attesa del perfezionamento del suo iter formativo, che, all’art.5 sotto il titolo “Requisiti soggettivi” statuisce che ‘‘possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistite coppie di adulti maggiorenni, di sesso diverso, coniugate o conviventi in età potenzialmente fertile”.

Il diritto del figlio ad avere e godere della doppia figura genitoriale, si evince anche chiaramente dalla risoluzione del Parlamento Europeo sulla fecondazione artificiale in vitro ed in 16.3.1989 in cui alla lettera D) stabilisce: “Individuando quale criterio primario per disciplinare la materia, il diritto di autodeterminazione della madre ed il rispetto dei diritti e degli interessi del figlio, riassumibili nel diritto alla vita ed alla integrità fisica, psicologica ed esistenziale, nel diritto alla famiglia, nel diritto alla cura dei genitori ed a crescere in un ambiente familiare idoneo...” in cui è chiaro e specifico il riferimento alla necessità, per il nascituro di una” famiglia e di entrambe le figure genitoriali”. E l’Italia, quale stato membro della Comunità Europea, raccogliendo la raccomandazione di cui al punto 15, della citata risoluzione del Parlamento Europeo, in cui si esortavano gli Stati membri della Comunità, al recepimento dei criteri adottati con la risoluzione in oggetto, ha formulato una serie di p.p.l.l. e da ultimo il disegno di legge n. 4048 già approvato dalla Camera in data 26.5.1999, in cui recepisce ed applica il principio che consente solo alle coppie di sesso diverso, coniugati o conviventi, l’accesso alla procreazione medicalmente assistita. Il principio è stato peraltro recepito anche nelle normative di importanti paesi europei quali la Svezia, la Norvegia, la Germania e la Francia.

Procedendo adesso alla disamina concreta della fattispecie istauratasi con il ricorso proposto dalla (...) ex art. 700 c.p.c. il decidente rileva ed osserva:

a)- dalla documentazione prodotta agli atti dalle diverse parti processuali e dalle esplicite dichiarazioni ed ammissioni fatte nei loro scritti difensivi dalle parti stesse, risulta provato che (...) e (...) , legalmente coniugati e senza prole, trovandosi la (...) nella impossibilità di procreare naturalmente per pregresse patologie ovariche e per i conseguenti interventi chirurgici subiti, si rivolsero allo studio medico del Dr. (...) , manifestando il loro consenso per procedere alla fecondazione artificiale in vitro, con susseguente trasferimento degli embrioni nell’utero della (...), sottoscrivendo con il Dr. apposita scrittura contenente un vero e proprio contratto di prestazione d’opera professionale, in data 6.11.1994 (v. doc. I fascicolo Avv. (...)).

Risulta altresì provato documentalmente (v. doc. I fascicolo Avv. (...)) che, in data 17.11.1994 il Centro Medico del Dr. (...) ha proceduto al prelievo di 10 ovociti prodotti su stimolazione dalla (...), e del liquido seminale del (...) nonché alla fecondazione dei gameti della coppia in vitro, ottenendo n. 8 embrioni, 4 dei quali sono stati trasferiti nell’utero della (...) in data 20.11.1994, mentre i rimanenti, previo consenso della coppia, sono stati posti in crioconservazione.

Si evince altresì dalla documentazione e dalle risultanze processuali che il trasferimento degli embrioni nell’utero della (...) in data 20.11.1994, ha avuto un esito negativo, non essendosi verificato e l’insorgenza della gravidanza e che i restanti embrioni sono rimasti presso il Centro (...) del Dr. , in stato di crioconservazione ed a disposizione della coppia che, ai sensi della clausola sub. A del contratto sottoscritto, ha prestato il consenso alla crioconservazione degli embrioni prodotti in sovrannumero e l’impegno a ripresentarsi al Centro “entro breve termine per ricevere gli embrioni crioconservati” (v. scrittura del 6.11.1994 prodotta in atti).

B\\ Risulta provato dagli atti e dalle esplicite dichiarazioni delle parti che i coniugi (...)-(...), non si ripresentarono più al Centro (...) del Dr. (...) per procedere ad un nuovo trasferimento degli embrioni crioconservati e che, solo in data 19.1.2000, la (...) ed il suo legale Avv. (...) hanno avanzato al (...) ed al Dr. (...) con lettera raccomandata, richiesta scritta per ottenere la prestazione professionale dell’impianto in utero dei rimanenti 4 embrioni crioconservati, indipendentemente dalla volontà del (...), dal quale la (...) dichiarava di essersi legalmente separata ed in procinto di divorziare.

C\\ Risulta altresì documentato che il (...) , con lettera scritta del 2.2.2000 inviata al (...) ed al Dr. (...), venuto a conoscenza della volontà della (...) di ottenere 1’impianto degli embrioni crioconservati, ha espresso il proprio fermo dissenso, diffidando il Dr. (...) dall’utilizzare gli embrioni e chiedendo al Centro quali fossero le procedure per la loro distruzione.

Sulla base dei principi e delle valutazioni di principio positivo ampiamente enunciate nella parte introduttiva del presente provvedimento il Giudice rileva ed afferma:

1)- La (...) che si è separata consensualmente dal marito con decreto di omologa della separazione emesso in data 17.12.1996 dal Tribunale di Chieti e che ha proposto con il (...) ricorso congiunto per la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio, in data 11.1.2000, presso lo stesso Tribunale (v. doc. 2 fascicolo Avv. (...)), deve essere considerata, agli effetti della regolamentazione della P.M.A., una donna sola, essendo venuta meno l’unione coniugale e la convivenza con il (...) e, ciò, in modo irreversibile, come dimostra il ricorso congiunto presentato da entrambi i coniugi per ottenere il divorzio, nel quale è dagli stessi coniugi evidenziato ed affermato che, avendo essi vissuto separatamente, sin dal 25.11.19996, non era più possibile ricostituire la comunione materiale e spirituale tra i coniugi stessi.

2)- Alla data della proposizione del presente ricorso ex art. 700 c.p.c., depositato il 6.3.2000, la (...) , separata legalmente dal marito ed in procinto di divorzio, non si trova più nella condizione fondamentale e necessaria per accedere alla procreazione medicalmente assistita essendo venuto meno il rapporto di coppia con il (...) (cessato sin dal novembre 1996), che, sussistendo al momento del contratto di prestazione d’opera professionale con il Dr. (...), aveva legittimato la coppia (...)-(...) all’esercizio del diritto alla P.M.A. (procreazione medicalmente assistita).

Per le ampie e circostanziate motivazioni svolte in premessa, il libero esercizio del diritto di procreare artificialmente, trova un necessario e giustificato limite, nella tutela degli altri diritti costituzionalmente garantiti, quali in primis, il diritto del nascituro ad avere due genitori e ad essere istruito, educato e mantenuto da entrambi i genitori stessi (v. art. 30 Costituzione). Tale diritto, nella fattispecie, verrebbe ad essere compresso e violato, dalla richiesta della (...) ad ottenere l’impianto in utero degli embrioni crioconservati contro la volontà del (...) e quindi in assenza di coppia stabilmente convivente in grado di assicurare al nascituro i diritti costituzionalmente garantiti e sopra specificati.

3)- Il diritto alla procreazione ed in particolare, per quanto concerne il (...) il diritto alla maternità è un diritto fondamentale, espressione della volontà e della autonomia della persona, come atto cosciente e responsabile, costituzionalmente garantito e come tale incoercibile. E proprio in funzione della esigenza primaria di tutelare “l’uomo” in quelle che rappresentano le sue funzioni più intime e personali, che acquista forza e rilevanza l’importanza del momento procreativo, espressione massima della personalità del soggetto e come tale, inteso non solo come diritto nei confronti dello Stato per l’apprestamento e la predisposizione dei mezzi e delle strutture che rendano possibile ed effettiva tale facoltà naturale, ma anche e soprattutto come diritto svincolato e libero da qualsivoglia intervento pubblico o privato diretto a coercire o condizionare il singolo nell’esercizio concreto di tale diritto.

4)- Nella fattispecie, le argomentazioni svolte conducono all’affermazione del riconoscimento del diritto alla libera scelta di procreare o meno sia da parte della (...), che dalla parte del (...), ma, trattandosi di procreazione medicalmente assistita, con i limiti derivanti dalla necessità di rispettare gli altri valori fondamentali costituzionalmente garantiti, tra i quali in primo piano, il diritto del nascituro a fruire e godere della doppia figura genitoriale, per essere istruito, educato e mantenuto da entrambi i genitori, nell’ambito di un contesto di coppia, per la garanzia di un equilibrato ed armonico sviluppo psico-fisico.

In assenza di tale comprovato presupposto, la libera autodeterminazione del (...) di non procreare deve trovare adeguata ed idonea tutela.

5)- Nel caso concreto poi, trattandosi di fecondazione artificiale in vitro (F.I.V.E.T.), con crioconservazione degli embrioni, il decidente ritiene ed afferma che i diritti fondamentali e personalissimi di entrambi i genitori biologici, all’esercizio della libera determinazione alla paternità o alla maternità, devono essere necessariamente collocati sullo stesso piano e ricevere pari dignità e tutela costituzionale. Infatti, nella procreazione tramite metodi naturali il concepimento è l’evento che fa iniziare nella donna la gravidanza, con la creazione dell’embrione nel corpo della donna ed il successivo annidamento ed attecchimento nell’utero della stessa, onde non è avvertito ed è irrilevante se, con l’accoppiamento, sia stato fecondato un ovocita che poi non ha attecchito nell’utero.

Nella fecondazione artificiale in vitro, le due fasi fondamentali e sostanzialmente diverse, sono visibili ed apprezzabili separatamente: si verifica un primo momento che è dato dalla fecondazione dell’ovocita in vitro, con la conseguente produzione dell’embrione; un secondo momento, quello del trasferimento dell’embrione nell’utero della donna che, se si verifica l’annidamento, dà luogo all’inizio della gravidanza vera e propria della donna.

Rileva ed osserva il decidente che, fino a quando non vi sia stato il trasferimento dell’embrione nell’utero della donna con determinazione dell’inizio della gravidanza, i diritti fondamentali dei genitori biologici sull’embrione, che è frutto dell’unione dei rispettivi gameti, ed i diritti fondamentali alla libera autodeterminazione alla procreazione, devono essere valutati, garantiti e tutelati sullo stesso piano paritetico. E solo dopo il trasferimento dell’embrione nel corpo della donna e con l’insorgenza della gravidanza che il diritto alla maternità o meno della donna prevale decisamente sul diritto alla paternità dell’uomo. E tale valutazione trova preciso e puntuale riscontro nella legge 22 maggio 1978 n.194 sull’interruzione volontaria della gravidanza nella quale, il diritto alla interruzione alla gravidanza, nelle varie fasi e ricorrendone i presupposti, è riconosciuto esclusivamente alla madre che ha libertà di autodeterminazione entro i limiti riconosciuti dalla legge.

Ma, nella fecondazione in vitro, e quindi in assenza di gravidanza, i diritti di entrambi i genitori alla paternità ed alla maternità ed i diritti sugli embrioni crioconservati, devono necessariamente essere considerati paritetici e ricevere pari tutela e dignità, per il principio già enunciato del diritto alla libera ed incoercibile autodeterminazione alla procreazione. Il principio peraltro è stato autorevolmente riconosciuto ed applicato in una recente sentenza resa il 13 settembre 1990 negli Stati Uniti d’America dalla Corte d’Appello del Tennesse e che ha affermato: “Ritenuto che gli ovuli umani fecondati ma non impiantati e crioconservati sono, sul piano biologico e giuridico, entità ben diversa dagli embrioni già allocati nell’utero materno, e che gli stessi embrioni, per quanto vitali, non godono della stessa tutela legale e non hanno le stesse prerogative giuridiche della persona nata viva, e, considerato altresì che il diritto a procreare o di non procreare è costituzionalmente garantito, specie qualora non vi sia in atto una gravidanza, sarebbe in netto contrasto con il diritto a non procreare riconosciuto anche al genitore di sesso maschile, la concessione del diritto di custodia e di disposizione degli embrioni, come sopra descritti, alla sola madre: entrambi i genitori hanno infatti sugli ovuli fecondati e crioconservati un identico potere di disposizione e custodia da esercitarsi congiuntamente”.

6)- Affermata la pariteticità di tutela alla libera autodeterminazione di procreare e quindi il diritto alla paternità ed alla maternità come atto volontario consapevole e responsabile e, d’altra parte incoercibile, per le motivazioni già svolte, il decidente osserva che il (...), nella fattispecie, ha legittimamente revocato il proprio consenso sul trasferimento degli embrioni crioconservati, nell’utero della (...), per il tentativo di dare inizio ad una nuova gravidanza.

Il decidente rileva infatti che il (...), nel novembre 1994 espresse la propria volontà ed autodeterminazione alla procreazione artificiale, con la finalità precipua ed essenziale di dare vita ad un figlio con la (...), alla quale era affettivamente legato, con la quale aveva contratto legittimo matrimonio e con la quale aveva programmato di formare un nucleo familiare stabile: il consenso alla procreazione artificiale è stato espresso nel presupposto e nella convinzione che il figlio sarebbe nato nell’ambito di una famiglia nella quale il nascituro avrebbe potuto godere e fruire dei suoi diritti costituzionalmente garantiti quale quello primario e fondamentale di avere una figura paterna e un riferimento per un integrale ed equilibrato sviluppo della sua personalità diritto garantito dall’art. 30 della nostra Costituzione. Imporre una paternità al (...), in queste condizioni, costituirebbe una palese ed inammissibile violazione del suo diritto fondamentale ed alla procreazione come atto consapevole libero e responsabile e nel contempo integrerebbe una grave lesione e violazione dei diritti costituzionalmente garantiti del nascituro.

Tali diritti, come sopra già enunciati e l’assenza dei presupposti necessari per l’accesso alla P.M.A., comportano la tutela prevalente dei diritti predetti sul diritto alla maternità vantato dalla (...).

Il consenso espresso dal (...) alla fecondazione artificiale in vitro con creazione di embrioni e successivo trasferimento degli stessi nell’utero della (...), oggetto del contratto di prestazione d’opera professionale con il Centro Medico del Dr. in data 6.11.1994, ha peraltro esaurito la sua efficacia e validità poiché, in osservanza degli impegni assunti il (...) ha consentito il prelevamento del suo seme, la sua successiva fecondazione dell’ovocita della moglie con la produzione degli embrioni ed ha mantenuto il proprio consenso al trasferimento di n.4 embrioni nell’utero della moglie avvenuto in data 20.11.1994. Per espressa previsione contrattuale i coniugi avevano prestato il loro consenso alla crioconservazione degli embrioni prodotti in sovrannumero, ma si erano contemporaneamente obbligati ed impegnati a ripresentarsi “entro breve termine” al Centro, per ricevere gli embrioni conservati (v. punto A del contratto 6.11.1994 sottoscritto dalle parti e prodotto nel fascicolo dell’Avv. (...)). Ma tale obbligo è stato disatteso e violato dai coniugi e principalmente dalla (...) che, senza giustificato e specifico motivo (nel procedimento ciò non è stato specificatamente documentato e provato), ha atteso oltre 5 anni dal primo tentativo di impianto degli embrioni, per rivendicare il proprio diritto alla maternità ed il diritto alla reiterazione della prestazione professionale da parte del Dr. (...). In proposito il decidente fa rilevare come tale condotta, in relazione allo stato di crioconservazione degli embrioni, contrasti pienamente, con le raccomandazioni e disposizioni contenute nella risoluzione del Parlamento Europeo sulla fecondazione artificiale in vitro del 16.3.1989 dove ai punti 4, 5, 6 e 8 è espressamente riportato “Chiede che, nella fecondazione in vitro venga fecondato lo stesso numero di ovuli che può essere impiantato” (punto 5);

“Giudica che al congelamento degli embrioni si possa incorrere solo per salvare la vita degli stessi, quando, per qualsiasi ragione sopravvenuta alla fecondazione, sia impossibile l’immediato trasferimento in utero” (punto 6).

“E del parere che la crioconservazione di embrioni umani sia ammissibile a condizioni che lo stato di salute della donna, non consenta temporaneamente l’impianto, ed essa si dichiari disposta ad accettarlo in seguito. In nessun caso la crioconservazione può superare la durata di tre anni. Qualora non sia più possibile per rifiuto, malattia, o morte della donna, gli embrioni vanno scongelati e lasciati morire ... “ (punto 8).

L’esame delle raccomandazioni e disposizioni del Parlamento Europeo, anche se ancora non recepite da una compiuta normativa di legge all’interno del nostro Paese, devono essere tenute presenti per evidenziare comunque una condotta gravemente inadempiente da parte della ricorrente (...), all’obbligo contrattuale assunto e specificato nel contratto di prestazione d’opera professionale, che riprende i principi affermati nella risoluzione del Parlamento Europeo sopra richiamati. Nella fattispecie tale principio è stato completamente disatteso dalla (...), che senza documentare e provare le proprie ostative condizioni di salute all’impianto degli embrioni, ha lasciato trascorrere oltre cinque anni, dalla crioconservazione degli embrioni, senza mai richiedere il trasferimento, entro “ed il breve termine” previsto e stabilito nel contratto. Tale condotta costituisce ed integra un grave inadempimento da parte della (...) nel confronti del Centro Medico del Dr. e non può non essere valutato, al fini del fumus, in relazione alla pretesa azionata dalla (...) nei confronti del (...) e del Dr. (...): infatti proprio 1”inerzia della (...) protratta per lungo tempo con violazione degli obblighi contrattuali assunti e gli avvenimenti intervenuti nel lungo lasso di tempo hanno determinato e la delegittimazione della (...) in relazione al suo diritto alla P.M.A., e le condizioni per non consentire al Centro ed al Dr. di dare corso al nuovo tentativo di trasferimento degli embrioni.

In conclusione ciò che va evidenziato e sottolineato è che durante questi ultimi cinque anni, dal primo tentativo di trasferimento, con la separazione consensuale dei coniugi omologata dal Tribunale di Chieti in data 17.12.1996 e con la successiva istanza congiunta di divorzio presentata dal coniugi (...)-(...) allo stesso Tribunale l’11.1.2000, è venuto meno il presupposto e la condizione primaria e necessaria che consente l’accesso alla procreazione medicalmente assistita: non esiste più la coppia (...)-(...), non esiste più una famiglia nella quale il nascituro avrebbe trovato ragione e tutela dei propri diritti costituzionalmente garantiti, tra cui quello principale e fondamentale di essere educato, istruito e mantenuto da entrambi i genitori, per la garanzia di un equilibrato ed armonico sviluppo psico-fisico.

Sotto l’aspetto della tutela della vita degli embrioni, la cui questione peraltro, nella presente sede si pone solo in relazione alla domanda di impianto in utero svolta dalla (...), in assenza di altre domande che possano incidere direttamente sulla condizione e sui diritti di disposizione degli embrioni stessi il decidente osserva : nel nostro ordinamento che ammette, sia pure con alcune limitazioni, l’aborto del concepito (e, la Corte Costituzionale ha ritenuto pienamente legittima la relativa normativa, pur riconoscendo sostanzialmente la dignità di persona al concepito, considera nettamente prevalente la salute della gestante. V. Corte Costituzionale 25.6.1981 N. 108 e già Corte Costituzionale 18.2.1975 n. 27 e da ultimo Corte Costituzionale 10.2.1997 n. 35) è difficile poter parlare di tutela piena ed incondizionata dell’embrione anche se è indubbio che una tutela debba comunque essergli riconosciuta. Nella fattispecie, in assenza di uno stato di gravidanza della donna e per le ampie motivazioni già svolte, nella valutazione dei diritti costituzionalmente garantiti presenti, ed in assenza dei presupposti per l’accesso della (...) alla P.M.A., devono trovare prioritaria tutela il fondamentale ed incoercibile diritto all’autodeterminazione ed alla procreazione del (...) ed il diritto del nascituro alla doppia figura genitoriale per un equilibrato sviluppo in ambito familiare. Ed in proposito il decidente osserva inoltre che la coercizione alla procreazione e l’imposizione della paternità costituiscono fatti gravi ed idonei a produrre nel (...) pericoli di lesione al bene salute dal punto di vista psicologico e, nello stesso tempo, potrebbero ingenerare grave danno allo sviluppo psico-fisico del nascituro e, per l’alta conflittualità esistente tra i genitori biologici e per la presa di coscienza di essere venuto al mondo contro la volontà del proprio padre il quale aveva persino richiesto al Centro la distruzione degli embrioni.

Sulla base di tutte le superiori argomentazioni e motivazioni, deve affermarsi che nella fattispecie non sussiste l’elemento del fumus boni juris necessario all’accoglimento del ricorso proposto dalla (...) che di conseguenza deve essere disatteso.

Le spese della presente fase di giudizio, ritenuta la notevole complessità delle questioni trattate, l’assenza di una normativa specifica e considerate le opinioni e soluzioni contrastanti espresse in dottrina sul problema, vanno interamente compensate tra tutte le parti.

P.Q.M.

Il Giudice, pronunciando sul ricorso proposto dalla (...) nei confronti del (...) s.r.l., del Dr. (...) e di (...) , con la chiamata in causa del P.M., così decide:

1\\ RESPINGE il ricorso proposto da (...) ;

2\\ DICHIARA interamente compensate tra tutte le parti processuali le spese della presente fase di giudizio.

 

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Nota di commento di Giuseppe Cassano(*)

 

BREVI RIFLESSIONI SUL DESTINO DEGLI EMBRIONI «IN VITRO» (**)

 

 

Il caso

Non potrà avere un figlio dagli embrioni congelati che aveva ottenuto durante il matrimonio, perché dopo la separazione il marito non ha più dato il consenso a procedere all’impianto. Il giudice felsineo ha respinto, accogliendo la posizione della Procura della Repubblica, il ricorso della madre mancata che aveva chiesto l’impianto degli embrioni, ottenuti in un Centro per la fecondazione assistita, poi prelevati e fecondati in vitro con il seme del coniuge[1].

La donna aveva invocato il diritto di provocare una gravidanza, dopo un altro tentativo a vuoto durante il matrimonio, sostenendo che l’ex marito aveva già fatto la scelta, a suo dire irrevocabile, di divenire padre.

 

Il quadro delle questioni

 

Tre i capisaldi della sentenza:

·       l’embrione congelato non ha la stessa tutela giuridica dell’embrione impiantato nell’utero;

·       i diritti sugli embrioni sono uguali tra padre e madre;

·       solo con l’impianto in utero, vero inizio della gravidanza, quelli della donna prevalgono.

In primis, vi è da dire che il giurista nell’analisi di questioni che così da vicino attengono alla persona in quanto tale deve rifulgere da tentazioni di trasporre le proprie concezioni sociologiche, etiche, filosofiche, etc. E ciò sarebbe già tanto[2].

Le difficoltà dell’interprete si incentrano sulla definizione di embrione umano[3] conservato nella provetta (in vitro) o in stato di congelamento: lo stesso non è più parte di un organismo, ma è semplicemente un ‘progetto uomo’ incapace di svilupparsi e di sopravvivere spontaneamente[4]. Ma se dal punto di vista biologico è possibile distinguere l’embrione dal feto (prodotto del concepimento trascorsi tre mesi dalla gestazione), dal punto di vista giuridico ci si trova di fronte a questioni di non facile soluzione. Il Tribunale precisa che, a differenza che nella procreazione tramite metodi naturali dove il concepimento è l’evento che fa iniziare nella donna la gravidanza, con la creazione dell’embrione nel corpo della donna ed il successivo annidamento ed attecchimento nell’utero della stessa (onde non è avvertito ed è irrilevante se, con l’accoppiamento, sia stato fecondato un ovocita che poi non ha attecchito nell’utero), nella fecondazione artificiale in vitro, le due fasi fondamentali e sostanzialmente diverse, sono visibili ed apprezzabili separatamente: si verifica un primo momento che è dato dalla fecondazione dell’ovocita in vitro, con la conseguente produzione dell’embrione; un secondo momento, quello del trasferimento dell’embrione nell’utero della donna che, se si verifica l’annidamento, dà luogo alla gravidanza.

 E’ interessante notare come diversi progetti di legge, sulla scia della legislazione e della giurisprudenza straniere[5] sono orientati verso il divieto di ogni forma di sperimentazione dell’embrione, essendo principio fondamentale dell’ordinamento il diritto alla tutela della salute del concepito già nel periodo prenatale[6]. Quindi, tenuto presente che agli embrioni spettano gli stessi diritti fondamentali della persona, essi possono essere sottoposti solo ai medesimi trattamenti ed esperimenti suscettibili di applicazione nei confronti dell’uomo[7].

E’ illecita la loro sperimentazione e commercializzazione per fini industriali e ogni attività diretta all’embrionicidio, indipendentemente dal fatto che non sussiste ancora una sanzione penale che lo punisca[8]. Ma non manca una parte della dottrina[9], sia pure minoritaria, la quale partendo dal presupposto che la capacità giuridica si acquista al momento della nascita, nega che il concepito possa essere considerato portatore di interessi da tutelare come quelli alla vita, all’integrità fisica e alla salute[10].

Per quanto concerne le tecniche di fecondazione in vitro vengono asportati e fecondati più ovociti, congelando gli zigoti formati in eccesso da utilizzare nel caso di eventuale fallimento del primo impianto. In questo caso una volta iniziata la gravidanza residuano un certo numero di embrioni. Secondo una opzione dottrinale[11] vi sarebbe un divieto di soppressione che viene desunto dal riconoscimento costituzionale dei diritti fondamentali alla salute e alla vita del nascituro, ribadito dall’art. 1 della legge del 22 maggio 1978 n. 194, sull’interruzione volontaria della gravidanza («lo Stato... tutela la vita umana fin dal suo inizio»). Questa legge riconoscendo il valore sociale della maternità e garantendo il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, ammette l’interruzione della gravidanza per giusta causa nei primi novanta giorni, ossia quando la gravidanza, il parto, la maternità potrebbero arrecare serio pericolo alla salute fisica o psichica della gestante, in relazione al suo stato di salute, alle condizioni economiche, sociali e familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento od, infine, nel caso di anomalie o malformazioni del concepito[12].

Anche in questo caso, in assenza di una legge che tuteli gli embrioni crioconservati l’intervento del legislatore è indispensabile per rafforzare la protezione del concepito.

 

Tecniche di selezione degli interessi

 

Tornando al caso in esame, la prospettiva deve considerare che quale sia la scelta più opportuna, questa inciderà sulla autodeterminazione di tre individui: i due coniugi e l’embrione, a patto che nasca.

Emerge il problema della dignità ontologica dell’embrione e, di conseguenza, della legittimità dell’esercizio di poteri dispositivi di un coniuge in ordine all’impianto. Secondo una impostazione riconducibile alla logica contrattuale, il Tribunale sostiene che il consenso alla procreazione è stato espresso nel presupposto e nella convinzione che il figlio sarebbe nato nell’ambito di una famiglia nella quale il nascituro avrebbe potuto godere e fruire dei suoi diritti costituzionalmente garantiti quale quello primario e fondamentale di avere una figura paterna e materna di riferimento per un integrale ed equilibrato sviluppo della sua personalità.

Proseguendo nel ragionamento, però, il giudice felsineo, nell’imbarazzo evidente della sovrapposizione della sfera esistenziale con quella negoziale, non porta alla logica conseguenza quanto affermato, sostenendo che imporre una paternità in queste condizioni, costituirebbe una palese ed inammissibile violazione del suo diritto fondamentale ed incoercibile alla procreazione intesa come atto consapevole, libero e responsabile e, nel contempo, integrerebbe una grave lesione e violazione dei diritti costituzionalmente garantiti del nascituro.

Inadeguato, peraltro, pare un ulteriore riferimento che, in relazione al caso, sembrerebbe fatto ad abundantiam, ma che in astratto potrebbe apparire irreale. L’organo giudicante afferma che il consenso espresso alla fecondazione artificiale in vitro con creazione di embrioni e successivo trasferimento degli stessi nell’utero, oggetto del contratto d’opera professionale, ha esaurito efficacia e validità poiché, per espressa previsione contrattuale, i coniugi avevano prestato il loro consenso alla crioconservazione degli embrioni prodotti in sovrannumero, ma si erano contemporaneamente impegnati a ripresentarsi “entro breve termine” al Centro, per ricevere gli embrioni conservati. Poiché tale obbligo è stato disatteso e violato dai coniugi, soprattutto dalla mancata madre, si doveva ritenere sciolto il relativo contratto.

Paradossale sarebbe risultato tale ragionamento se entrambi i coniugi avessero voluto accedere nuovamente alle tecniche di procreazione assistita per ottenere l’impianto dell’embrione ed il Centro avesse eccepito, pur a fronte della vitalità degli embrioni, che il contratto prevedesse la richiesta dell’impianto “entro breve termine”. In questo senso la riconduzione della fattispecie de quo ad una logica esclusivamente contrattuale avrebbe mostrato tutti i suoi limiti.

Ulteriori considerazioni si rivelano allora opportune, nella consapevolezza che l’assetto contrattuale voluto dalle parti incide sul destino degli embrioni e sul diritto all’autodeterminazione dei coniugi stessi.

Vi è da dire, in primis, che alla base della controversia vi è un non chiaro concetto di paternità, termine questo dalle molteplici interpretazioni. Infatti, mentre per la biologia si diviene padre o madre dal concepimento di un essere umano, per l’etica, la paternità e la maternità iniziano molto prima, cioè dal momento in cui i coniugi si mettono nella disposizione di procreare e di accogliere una eventuale vita, frutto della loro unione[13]. Tale tesi sembra effettivamente provare troppo, in quanto, pur essendo opportuno distinguere due diversi piani di sviluppo della fattispecie, sembra contraddire in pieno la normativa sull’aborto.

Più precisamente vi sarebbe un primo livello che riguarda il contratto tra i coniugi ed il Centro, avente ad oggetto la cura della sterilità e, dunque, tutte le pratiche necessarie a dare inizio alla gravidanza.

La conservazione e la tutela degli embrioni esula, invece, dall’oggetto della prestazione negoziale assunta dai medici e non può trovare regolamentazione nel contratto di cura. L’embrione e lo stesso sviluppo fetale del concepito non possono essere ridotti al rango di oggetto di contrattazione, sia pure a scopo terapeutico, altrimenti si verificherebbe una reificazione della vita umana e della persona, in aperto contrasto con i principi personalistici cui è ispirata la Costituzione.

La finalità terapeutica, infatti, non investe il destino degli embrioni, in quanto lo sviluppo di questi non costituisce oggetto dell’attività tecnica con cui i medici devono adempiere al contratto di cura della sterilità[14]. Lo scioglimento del contratto d’opera professionale non avrebbe mai potuto incidere sul destino dell’embrione, proprio in considerazione del diverso piano di tutela che investe il concepito ed alla luce dei principi costituzionali di protezione della vita e della maternità, evitando di interpretare il rapporto tra coniuge e embrione stesso in chiave di appartenenza, sulla falsariga della logica proprietaria, legittimando in tal modo pieni poteri dispositivi delle parti sul prodotto dei loro gameti. Si potrebbe, allora, affermare in maniera più sommessa che la derivazione genetica dell’embrione dalla fusione dei gameti dei coniugi attribuisce un certo potere di disposizione, ma solo compatibilmente con la natura di essere vivente della specie umana riconosciuta all’embrione.

Forse proprio il criterio procedimentale, abbandonata la logica proprietaria, sarà quello più idoneo a risolvere la questione in esame, privilegiando una impostazione de iure condito, ossia traendo spunto dalla normativa sull’interruzione volontaria della gravidanza, la quale viene a graduare gli interessi in gioco.

In relazione alla liceità della fecondazione post mortem avevamo sostenuto[15] «i problemi da affrontare nel caso in cui vi sia un preventivo consenso si pongono in questo ordine i) quale sia la posizione dell’embrione nel nostro ordinamento; ii) quali sono gli interessi meritevoli di tutela nella vicenda in esame e come questi vadano selezionati; più precisamente se occorre differenziare l’ipotesi a seconda del soggetto cui l’interesse pertiene (madre-nascituro) o a seconda della meritevolezza dell’interesse stesso (diritto a nascere-diritto a non nascere); iii) se esistono profili di responsabilità in capo alla madre per aver consentito una nascita priva della doppia figura genitoriale; iv) quale sia lo status del nato con i relativi profili di natura successoria.»

In merito al caso in esame ritornano di prepotenza i primi due quesiti, con questo di particolare: la seconda questione andrà rivisitata sotto luce diversa.

Con ordine.

 

L’embrione

 

Punto di partenza per la risposta ai quesiti suesposti è di individuare nel nostro ordinamento giuridico la posizione dell’embrione, se questi, più in particolare, sia titolare di obbligazioni giuridiche e se possa vantare diritti e poteri.

Alcune riflessioni in tema di danni sofferti dal nascituro nella vita prenatale offrono validi spunti anche in merito alla posizione dell’embrione nel nostro ordinamento[16]. L’iter ricostruttivo potrebbe trovare un valido referente proprio nell’art. 32 Cost.,[17] che riferendosi alla tutela della salute dell’individuo, si presenta sul piano soggettivo ampio a sufficienza per abbracciare anche l’embrione quale individuo che sta per diventare persona. Del resto tale formula è propria anche della legge del 1978 n. 833 sul S.S.N., la quale parrebbe spingersi ancora oltre, annoverando tra le perseguende finalità la riduzione del tasso di patologia e di mortalità prenatale. A ciò si aggiunge sia la legge sui consultori familiari, tutelante direttamente il prodotto del concepimento, sia quella sull’interruzione della gravidanza. Ma questa impostazione che trova una sua validità ricostruttiva in riferimento al concepito non è certo che possa essere ripresa di pari passo anche per l’embrione non ancora impiantato in utero, come nel caso di specie[18]. È noto che dalla combinazione del concetto di capacità giuridica quale attitudine ad essere titolari di diritti e doveri, con quello per cui vi sarebbe una intima connessione tra capacità e soggettività, discenderebbe necessariamente che titolare di diritti e dunque soggetto, è solo chi sia riconosciuto tale dall’ordinamento[19]. Sarebbe la declarata assenza di capacità dell’embrione, come peraltro del concepito, professata dall’art. 1 c.c. ad impedirne l’ingresso nell’ordinamento. Sicché si sarebbe in presenza di una fattispecie a formazione progressiva, ove elemento perfezionativo per l’acquisto della capacità giuridica, e dunque ad essa coessenziale, sarebbe proprio la nascita del soggetto[20].

In merito, quindi, al presunto diritto dell’embrione a nascere emerge, dunque, una certa impossibilità al suo realizzarsi.

Infatti, un correlativo obbligo, che si concreta nell’attivarsi al fine di consentire la nascita dell’embrione, non potrà attuarsi che nel momento in cui verrebbe ad esistenza il soggetto beneficiario, ma allora rileverebbe ormai l’assoluta impossibilità di attuarlo, essendo l’individuo già nato. Sicché se prima di tale momento non rileva un obbligo attuale, dopo, esso, avrebbe oggetto impossibile[21]. Ma l’interesse dell’embrione a diventare uomo, anche al di là delle preclusioni dettate dal regime delle obbligazioni, non pare tutelabile in via autonoma.

Neppure sembrano tutelabili in via autonoma il diritto alla salute o alla stessa vita dell’embrione o del feto nel corso della gravidanza. Il principio dell’inviolabilità fisica della persona, da cui discende la necessità del consenso informato e personale del paziente che si sottopone a trattamento medico, esclude infatti che qualsiasi intervento medico (terapeutico o chirurgico) sul feto possa avvenire senza o contro il consenso della madre. Qui non si tratta di decidere se l’embrione sia semplicemente nel ventre di sua madre, o non sia piuttosto cosa sua. Pur partendo infatti dalla premessa che il feto sia altro rispetto alla madre, la gravidanza fa sì che quella del feto sia una condizione particolarissima per cui ogni intervento sulla madre implica anche delle conseguenze rispetto al feto: così solo la donna potrà decidere se sottoporsi o non sottoporsi a terapie o interventi necessari per tutelare il suo diritto alla vita o alla salute, anche quando possa incidere sul feto.[22]

 

Madre e padre (mancati) ed embrione (progetto-uomo)

 

Detto ciò, la scelta se proseguire nei tentativi di inseminazione artificiale sarebbe solo[23] dei genitori ai quali spetterebbe la decisione in ordine ai due eventi prospettabili (nascita - non nascita).

Nel caso in esame, quindi, lo spettro delle questioni e delle persone coinvolte è più ampio, in relazione al caso della fecondazione post mortem, dove solo la madre è l’unica legittimata alla decisione[24].

Come nella fecondazione artificiale post mortem, però, anche in questo caso l’alternativa è, come dire, radicale, ossia fra non nascere e nascere: solo con la nascita si riceve la vita, bene supremo, che si pone al vertice dei valori costituzionalmente garantiti.

Nella fecondazione post mortem, se la (aspirante) madre presta il proprio consenso nessuno ostacolo si porrebbe all’impianto in utero, ponendosi un solo dubbio legato a quest’ordine di considerazioni: pur nel ricevere il dono della vita deve essere sempre salvaguardata la dignità dell’individuo. Ci si può chiedere, allora, se la mancanza programmata della figura paterna possa minarla. Nell’unico precedente italiano noto[25] si legge: la scelta del Centro di Medicina della Riproduzione di non procedere all’impianto «contrasta con diritti personalissimi della madre e del nascituro. Appare pertanto conforme a giustizia risolvere il dubbio circa la validità del contratto nel senso della sua conservazione pur a seguito del decesso di ( ... ), non essendovi sufficienti ragioni per prestare ossequio ad un precetto extragiuridico (qual è quello contenuto nel codice di autoregolamentazione) contrario ai principi costituzionali, al diritto positivo vigente, ed ai diritti fondamentali dell’uomo - e del nascituro così come delineati dalle raccomandazioni degli organismi sovranazionali ( ... ). Tanto, del resto, risponde anche all’esigenza di tutelare la volontà di procreazione cosciente e responsabile riconosciuta dal citato art. 1 della L. n. 194 del 1978, che risulterebbe del tutto frustrata ove mai dovesse negarsi valido ingresso al desiderio espresso dalla C. ( ... )».

Ritornano così le considerazioni, in tempi in cui diversa era la coscienza sociale, di un autorevole Studioso[26] «Sostenere l’incostituzionalità delle pratiche inseminative artificiali ancora più problematico appare nell’ipotesi in cui a farsi praticare l’inseminazione artificiale sia la donna nubile, alla quale va riconosciuto sul piano giuridico il diritto così di esercitare la propria libertà sessuale, come di trasmettere la vita anche al di fuori del vincolo matrimoniale, non potendosi ovviamente concedere, per le ragioni già esposte, ai moventi, agli stati d’animo e ai presunti complessi psicologici anormali che spingerebbero la nubile a divenire madre senza alcun rapporto carnale, una rilevanza tale da impedirle l’esercizio di diritti aventi un’irriducibile portata personale e comunitaria e perciò tutelati sul piano costituzionale. Rilevante infine non può nemmeno considerarsi la duplice obbiezione che la persona umana, cioè il figlio ottenuto con l’inseminazione artificiale, non può mai essere considerata come il mezzo per soddisfare l’interesse individuale della nubile desiderosa di prole o della coppia sterile; e che l’inseminazione artificiale della donna non sposata provoca la nascita di figli naturali ai quali la legge costituzionale riserva una condizione di inferiorità. È infatti da tenere presente al riguardo che il figlio nato da inseminazione artificiale soddisfa sì un interesse dei coniugi o della nubile, ma riceve dai genitori o dalla madre nientedimeno che la vita, bene supremo, senza pensare poi che trattandosi di un figlio veramente desiderato e non subito, sussistono le migliori garanzie per un integrale adempimento dei doveri parentali di educazione, allevamento ed istruzione».

Nel caso in esame, invece, alla volontà della donna di procreare e alla esattezza dell’argomentazione che con la nascita si riceve la vita, bene supremo, che si pone al vertice dei valori costituzionalmente garantiti, si pone un ostacolo insormontabile: il dissenso del marito.

La soluzione, anche in questo caso, deve rifulgere dall’ottica proprietaria, essendo più opportuno richiamare il principio dell’autodeterminazione sancito dall’art. 2 Cost., che si sostanzia nel caso di specie nella non imposizione di una paternità non voluta[27]; principio, peraltro richiamato, nella normativa sull’aborto in cui viene menzionato il carattere cosciente e responsabile della procreazione.

Più precisamente il padre biologico avrebbe una possibilità d’intervento prima della gravidanza, pari a quello della donna. L’ovulo fecondato e crioconservato, non essendo ancora impiantato in utero, sarebbe ancora nella disponibilità di entrambi i soggetti e non solo della donna, nel senso che entrambi i diritti dell’una e dell’altra a procreare ed a non procreare si controbilancerebbero, nessuno dei due ricevendo una maggiore tutela o un riconoscimento più ampio dalla legge[28]: in altre parole resisterebbe un diritto a non procreare in capo all’uomo, da contemperare a quello analogo della donna.

Quindi se il padre, nel caso in esame, non si fosse opposto all’impianto in utero ben si sarebbe potuto procedere, a differenza di quanto sostiene il Tribunale[29], visto che solo con la nascita si riceve la vita, bene supremo, e tale scelta non incide negativamente sulle scelte autodeterminative dei soggetti coinvolti nella vicenda, anzi contribuisce alla loro massima realizzazione.

 Allora, forse, cadute alcune delle argomentazioni del Tribunale, rimane una unica considerazione: anche al padre spetta di decidere quando e perché trasmettere la vita: solo con l’inizio della gravidanza si ha la prevalenza o meno del diritto di procreare o meno della madre, rispetto a quello del padre. Più precisamente, fino al momento dell’impianto il padre può esercitare il diritto a non procreare, mentre dopo l’impianto prevarrebbe il diritto di scelta della donna.

Diritto di scelta da graduarsi, ora, con la tutela del nascituro che col ‘procedere del tempo’ [30] diviene a sua volta prevalente.

 


(*) Avvocato, è ricercatore a contratto di Diritto civile nell’Università LUISS di Roma e dottorando di ricerca in Diritto privato nell’Università di Pisa.

(**) Il presente scritto compare sulla rivista Famiglia e diritto, 2000, 487.

[1] Stesso caso e medesima soluzione quello sottoposto a Corte d’Appello del Tennessee 13 settembre 1990, in Cassano, Le nuove frontiere del diritto di famiglia. Il diritto a nascere sani; la maternità surrogata; la fecondazione artificiale eterologa; la fecondazione artificiale post mortem, Milano, 2000, 187, che può così essere massimato: «ritenuto che gli ovuli umani fecondati ma non impiantati e crioconservati sono, sul piano biologico e giuridico, entità ben diversa dagli embrioni già allocati nell’utero materno, e che gli stessi embrioni, per quanto vitali, non godono della stessa tutela legale e non hanno le stesse prerogative giuridiche della persona nata viva, e, considerato altresì che il diritto di procreare o di non procreare è costituzionalmente garantito, specie qualora non vi sia in atto una gravidanza, sarebbe in netto contrasto con il diritto di non procreare riconosciuto anche al genitore di sesso maschile, la concessione del diritto di custodia e di disposizione degli embrioni, come sopra descritti, alla sola madre: entrambi i genitori hanno, infatti, sugli ovuli fecondati e crioconservati un identico potere di disposizione e di custodia da esercitarsi congiuntamente».

Ancora analogie con le soluzioni adottate da giudici stranieri possono rinvenirsi in merito alla questione della liceità della fecondazione post mortem. Trib. Palermo 8 gennaio 1999, in Fam. e diritto, 1999, 52, con nota di Dogliotti, Inseminazione artificiale post mortem e intervento del giudice di merito; ibidem, 1999, 384, con nota di Cassano, Diritto di procreare e diritto del figlio alla doppia figura genitoriale nella inseminazione artificiale post mortem; in Dir. fam. e pers., 1999, 226, con nota di Miranda, "Tragic choice" in Italy: brevi note in tema di esecuzione post mortem del contratto di procreazione medicalmente assistita, e di Giaimo, Brevi riflessioni su una gravidanza indotta per decisione del giudice, ibid., 1175, con nota di Natoli, L’impianto di embrioni«post mortem» tra scontri ideologici e prezzi da pagare (a proposito di un ordinanza palermitana); in Foro it., 1999, I, 1653, con nota di Nivarra, Fecondazione artificiale: un caso recente ed un opinione dissenziente (ma solo sul metodo); in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, 221, con nota di Palmerini, La sorte degli embrioni «in vitro»: in assenza di regole, il ricorso ai principi, e postilla di Busnelli, che può essere così massimato «Il contratto d’opera professionale intercorso fra i coniugi ed un centro per la riproduzione medicalmente assistita, avente ad oggetto la formazione in vitro di embrioni ed il successivo impianto, conserva validità anche dopo la morte del marito. Pertanto sussiste il diritto della moglie di richiedere l’impianto post mortem, atteso che il rifiuto di procedere a tale impianto contrasta con il diritto alla vita del nascituro e con il diritto all’integrità psicofisica della madre, i quali a loro volta segnano il limite entro cui può ricevere tutela il diritto costituzionale dei minori all’inserimento in una famiglia completa. Deve essere accolto il ricorso ex art. 700 c.p.c. presentato da una donna che intenda procedere alla procreazione medicalmente assistita dopo il decesso del marito ed il diniego del centro per la riproduzione; pertanto deve essere ordinato al centro medesimo di procedere all’impianto degli embrioni», trova, infatti, un precedente in un caso francese (Trib. Gr. Inst. Creteil, 1 agosto 1984, in Dir. fam. e pers., 1984, 1057).

Ancora altre corrispondenze con le soluzioni adottate dai giudici stranieri possono trovarsi in tema di maternità surrogata. Cfr. Cassano, Maternità «surrogata»: contratto, negozio giuridico, accordo di solidarietà?, in Fam. e diritto, 2000, 162, nota 16.

[2] Lo ricorda Sesta, La maternità surrogata tra deontologia, regole etiche e diritto giurisprudenziale, in Corr. Giur, 2000, 483.

[3] Recentemente si sono occupati del tema Ferrando, Libertà, responsabilità e procreazione, Padova, 1999; Mori, Come, quanto e perchè tutelare il pre - embrione formato "in vitro", in Dir. pen. e processo, 1997, 395; Mastropaolo, Lo statuto dell’embrione, in Iustitia, 1996, 126; Mori, La tutela del pre-embrione formato "in vitro", in Dir. pen. e processo, 1995, 1433; Casol, Statuto giuridico dell’embrione e status personale del nato, in Giust. civ., 1994, II, 13; Miranda, Sullo statuto giuridico del pre-embrione: brevi considerazioni in margine al caso Davis v. Davis (Nota a U. S. Court of Appeals Tennessee, 13 settembre 1990, Davis c. Davis) in Dir. fam. e pers., 1991, 109; Compagnoni, Quale statuto per l’embrione umano, in Riv. internaz. filosofia diritto, 1990, 302; Di Pietro, Quale statuto per l’embrione umano (in margine ad una sentenza della corte dello stato del Tennessee), in Dir. fam. e pers., 1990, 851; Eusebi, Diritto alla vita o diritti sulla vita La soggettività umana dell’embrione in una sentenza paradigmatica del Tennessee (Nota a State Jurisdictions, Tennessee), in Dir. fam. e pers., 1990, 863; Eser, Status dell’embrione umano da un punto di vista giuridico, in Pol. dir., 1989, 417; Motroni Onorato, Il caso Davis: alcune riflessioni sulla tutela etico-giuridica dell’embrione, in Dir. e società, 1990, 173; Zatti, Quale statuto per l’embrione in Riv. crit. dir. priv., 1990, 437; Cuyas, Dignità della persona e statuto dell’embrione umano, in Civ. cattolica, 1989, II, 438; Del Re, Inseminazione artificiale, fecondazione in vitro e trapianto di embrione: alla ricerca dei genitori perduti, in Temi rom., 1985, 352.

[4] Vercellone, La fecondazione artificiale, in Pol. dir., 1986, 409.

[5]Cfr. l’Appendice in Baldini, Tecnologie riproduttive e problemi giuridici, in Torino, 1999, in cui vi è la normativa dell’Unione Europea e dei paesi extracomunitari.

[6] Cfr. però Miranda, "Tragic choice" in Italy: brevi note in tema in tema di esecuzione post mortem del contratto di procreazione medicalmente assistita, op. cit., 238 che insiste sulla differenza tra ciò che è “vitale” e ciò che è “vivo”: «equiparare semplicisticamente una cellula fecondata e fermata allo stato di blastocisti (cioè doppiamente scissa) ad un pre-embrione o ad un embrione equivale ad equiparare ciò che è vitale a ciò che è vivo, ciò che è un essere umano ad un organo umano, ciò che essere umano ad una cellula».

[7] Lombardi Vallauri, Manipolazioni genetiche e diritto, in Iustitia, 1985, 1; Id., Bioetica, potere e diritto, in Iustitia, 1984, 1; Comporti, Ingegneria genetica e diritto: profili costituzionalistici e civilistici, in Manipolazioni genetiche e diritto, Milano, 1986, 324; Mantovani, Le manipolazioni genetiche, profili penali, in Manipolazioni genetiche e diritto, cit., 305; Id., La fecondazione assistita tra il “diritto alla prole” e il “diritto ai due genitori”, in Ind. penale, 1990, 421; Bellelli, op. cit., 73 ; Bianca, Diritto civile, I, Milano, 1989, 201; Ciccone, La FIVET, una tragica sperimentazione sull’uomo, in Dir. fam. e pers, 1987, 1000; Zatti P., Inseminazione omologa ed eterologa, fecondazione e trattamento di gameti ed embrioni, in Procreazione artificiale e interventi nella genetica umana, Padova, 1987, 69; Ferri, Tutela giuridica del nascituro, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1980, 43; Semizzi, Rilievi giuridici sulla fecondazione in vitro-embryo transfer, in Dir fam. e pers., 1985, 758; Di Pietro, op. cit., 860; Eusebi, op. cit. 863.

[8] Sul problema cfr. Nunziata, L’embrionicidio nello schema di legge - delega per un nuovo codice penale, in Crit. Pen., 1996, fasc.3-4, 3.

[9] Lanzillo, Fecondazione artificiale, "locazione d’utero”, diritti dell’embrione, in Corr. giur., 1984, 640, sostiene che il legislatore non possa perseguire come illecito civile o penale la soppressione degli embrioni, salvo l’ipotesi in cui abbiano dei "genitori" che ne seguono l’evoluzione e la crescita.

[10] Su questa specifica questione Dogliotti, Delle persone fisiche, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, II, 2° ed., Torino, 1999, 5; Id., Inseminazione artificiale e rapporto di filiazione, in Giur. it., 1992, I, 2, 73; Id., Atti di disposizione sul corpo e teoria contrattuale, in Rass. dir. civ., 1990, 253; Id., Inseminazione artificiale. Problemi e prospettive, op. cit., 425; Id., Ancora sulla responsabilità del genitore per il fatto di procreazione e sull’inseminazione artificiale, in Giur. merito, 1991, 54; Boccaccio - Dogliotti, Inseminazione artificiale: dubbi interpretativi e prospettive de iure condendo, in Dir. fam. e pers., 1987, 974; De Cupis, I diritti sulla personalità, in Tratt. dir. civ. e com., diretto da Cicu - Messineo e continuato da Mengoni, Milano, 1982, 20. Quest’ultimo Autore nega che esista un diritto alla nascita e al conseguimento della vita prima della nascita stessa, in quanto "l’inizio della vita fisica è anche inizio della vita giuridica, dato che la personalità, ovvero la capacità giuridica, acquistasi al momento della nascita" . Perciò, nel nostro ordinamento non è ammissibile il riconoscimento del diritto al conseguimento della vita in capo al concepito, che in quanto tale non è ancora persona in senso giuridico.

[11] Auletta, Fecondazione artificiale: problemi e prospettive, in Quadr., 1986, 30.

[12] Oppo, L’inizio della vita umana, in Riv. dir. civ., 1982, I, 499, osserva, tuttavia, che la legge non pone grossi ostacoli alla volontà della gestante di abortire. Non è sufficiente, infatti, l’indicazione delle formalità da seguire, né la designazione delle strutture competenti, né l’invito a soprassedere per sette giorni nel caso di non urgenza, decorsi i quali non vi è più alcuno ostacolo all’interruzione della gravidanza. Un condizionamento sembra esservi solo per la donna minore per la quale occorre il consenso di chi esercita la potestà o la tutela e, in difetto, l’autorizzazione del giudice tutelare. Negli altri casi, si può tranquillamente affermare che la procreazione è rimessa alla sola volontà della donna: il padre non ha alcun potere di tutelare la vita del nascituro, né di ostacolare la decisione di sopprimerla. A prescindere dalla difficoltà di accertare la data del concepimento, anche il termine di novanta giorni sembra assurdo. Senza che ci sia alcun mutamento di sostanza, il novantesimo giorno è consentito distruggere l’embrione, diversamente tutelato il giorno seguente. L’errore sta nell’avere superficialmente e meccanicamente adottato il criterio del termine (anziché, ove possibile, quello dell’accertamento concreto delle condizioni del feto), quasi non vi sia di mezzo una vita umana.

[13] Lo ricorda Di Pietro, Sette embrioni in cerca di una madre: nuova sentenza della Stato del Tennessee, in Dir. fam. e pers., 1991, 103, la quale riporta le argomentazioni della Confernza Episcopale Italiana (Evangelizzazione e cultura della vita umana, in Medicina e morale, 1990, 560).

[14] Palmerini, op. cit., 224.

[15] Cassano, Diritto di procreare e diritto del figlio alla doppia figura genitoriale nella inseminazione artificiale post mortem, op. cit., 384.

[16] Sulla tematica concernente il diritto del concepito ad essere tutelato nella propria aspettativa a nascere sano cfr. Trib. Verona 15 ottobre 1990, in Resp. civ. prev., 1990, 1039 con nota di Navarretta; Cass., 22 novembre 1993, n. 11503, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, 690 con nota di Zencovich; App. Trento 18 ottobre 1996, in Danno e resp., 1997, 483, con nota di Iamiceli, Il nascituro contro la “malasanità”; in Dir. fam. pers., 1999, 633, con nota di Cassano-Del Vecchio, Diritto a nascere sani e responsabilità civile: un inventario di questioni ed un risarcimento miliardario.

[17] Critica sul punto Navarretta, Il diritto a nascere sani e la responsabilità del medico, in Resp. civ. prev., 1990, 1053; sul punto v. inoltre Oppo, op. cit., 520; Bigliazzi Geri-Breccia Busnelli-Natoli, Diritto civile, I, Torino,1988, 92 ss.; Coviello, La tutela della salute dell’individuo concepito, in Dir. fam. e pers., 1978, 254.

[18] Critico Miranda, "Tragic choice" in Italy: brevi note in tema in tema di esecuzione post mortem del contratto di procreazione medicalmente assistita, op. cit., 238: «le norme che tutelano la “situazione giuridica del concepito”, o, se si preferisce, dell’embrione, fanno riferimento ad una ipotesi del tutto differente rispetto a quella della fattispecie in esame, ove, scientificamente e tecnicamente parlando, non si è in presenza di un essere umano e neppure di un embrione o di un concepito (e forse neppure di un concepturus)». L’Autore si riferisce a Trib. Palermo 8 gennaio 1999, cit.

[19] Sul punto Alpa, Status e capacità, Bari, 1993, 43; Stanzione, Capacità, in Enc. giur. Treccani, V, 1988; Falzea, Capacità (teoria generale), in Enc. dir., VI, 1960; Rescigno, Capacità giuridica, in Dig. disc. priv., II, 1988, 218 ss..

[20] Rescigno, Il danno da procreazione, in Riv. dir. civ., 1956, II, 614; sul punto v. anche Bessone-Ferrando, Persona fisica (dir. priv.), in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983.

[21] Al riguardo è disposta una stretta correlazione tra situazione debitoria e situazione creditoria, non esistendo un debito senza un credito attuale. Cfr. Bianca, Diritto civile, IV, Milano 1993, 28 ss.; Rescigno, Obbligazioni, in Enc. Dir., XXIX, 1979, 144; Di Majo, Obbligazioni, I, Teoria generale, in Enc. giur. Treccani, XXI, 1990, 2.

[22] Così Ferrando, Libertà, responsabilità e procreazione, op. cit., 237.

[23] Peraltro stesso sarebbe il risultato interpretativo se, equiparato l’embrione al concepito (ma vi è anche chi distingue la cellula fecondata dal pre-embrione e dall’embrione), ci si soffermasse sulla norma che attribuisce ai genitori la rappresentanza e l’amministrazione dei beni al concepito (art. 320, comma 1, c.c.). In verità, in merito, il nostro ordinamento mostra pochi e contraddittori segnali che certamente rendono difficile una ricostruzione sistematica di uno “statuto” del concepito. Infatti, la disposizione di cui all’art. 320 c.c., che stabilisce che i genitori congiuntamente, o quello di essi che esercita in via esclusiva la potestà, rappresentano i figli nati e nascituri in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni, segno questo che il soggetto rileverebbe già in un momento anteriore alla sua nascita, sarebbe presto contraddetta da quanto disposto in tema di donazione dall’art. 784 c.c., che invece conferisce al donante il potere di amministrazione dei beni attribuiti al nascituro, sottraendolo ai genitori e rinnegando così il principio precedentemente accolto in materia di successione (seppur temperandolo con la previsione della retroattività dell’acquisto dei frutti del bene donato in favore del donante). Cfr. di recente l’opinione di Baldini, Il nascituro e la soggettività giuridica, in Dir. fam. e pers., 2000, 335 che riporta il pensiero di Pontes de Miranda, il quale ha evidenziato come le forme che prevedono la cosiddetta anticipazione della personalità, di derivazione pandettistica, siano funzionali non alla tutela del concepito, ma alle esigenze di traffico giuridico; di ciò si ha conferma nella circostanza che esse tendono ad assimilare alla posizione del concepito quella del nascituro non concepito.

[24] In relazione allo spettro delle considerazioni possibili Bafundi, Atti dispositivi della propria sfera sessuale e procreativa, in Cassano (a cura di), Persona e diritto civile, Napoli, 2000, 233.

[25] Trib. Palermo 8 gennaio 1999, cit.

[26] Lojacono, Inseminazione artificiale (diritto civile), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 757.

[27] Su questa complessa questione e sul problema della volontà nell’atto procreativo cfr. Lamarque, Le norme e i limiti per la ricerca della paternità, Padova, 1998.

[28] Miranda, Sullo statuto giuridico del pre-embrione: brevi considerazioni in margine al caso Davis v. Davis, op. cit., 109.

[29]Anche il richiamo alla legge sulla adozione (ricca di cautele nei confronti del minore) non è conferente. La vicenda concreta che si presenta all’interprete è diversa: nell’adozione il minore ha alle spalle vicende gravi, mancanze di cure, maltrattamenti che spesso hanno segnato profondamente e magari irrimediabilmente la loro personalità e, necessitano pertanto, di un ambiente idoneo al loro sviluppo psico-fisico, hanno bisogno di una famiglia, il cui ruolo genitoriale materno e paterno si svolgano e si completino vicendevolmente proprio perché non hanno mai avuto una famiglia che assolvesse degnamente alle sue funzioni. In questo caso l’alternativa non è la ricerca di un’altra famiglia, ma la non nascita. Spunti sulla questione dell’adozione non da parte di una famiglia in Prete e Mammuccari, L’adozione da parte del singolo, in Cassano (a cura di), Persona e diritto civile, cit., 397.

[30] Si ricordi che, come sottolinea Ferrando, Libertà, responsabilità e procreazione, op. cit., 242, la tutela del diritto alla vita del feto è graduale in relazione ai diversi stadi del suo sviluppo, in quanto, se nel primo trimestre della gravidanza, l’aborto è ammesso in presenza di un “grave pericolo” per la salute fisica o psichica della gestante (art. 4 della legge n. 194 del 1978), successivamente è invece consentito solo in presenza di “un grave pericolo di vita della donna” o quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna (art. 6). Quando poi sussista la possibilità di vita autonoma del feto, “il medico deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto”(art. 7). Ma in merito cfr. le considerazione di Oppo riportate nella nota 12.