inserito in Diritto&Diritti nel gennaio 2004

Il Peg come strumento di separazione tra i poteri

di Maria Grazia Toppi

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INDICE

 

Premesse introduttive                                                                                    

Par. 1.  La programmazione                                                                           

Par. 2.  Il Piano esecutivo di gestione                                      

Par. 3.  Struttura del PEG                                                                  

Par. 4.  Funzione strategica e gestionale: il PEG nella duplice veste di documento di separazione e cerniera operativa

Par. 5. Il PEG, la logica “budgetaria” e la responsabilità dirigenziale

Par. 6.  Separazione dei poteri e piccoli Comuni

Par. 7.  Comuni di piccole dimensioni: i vantaggi del PEG                                           

Conclusioni                                                                                                               

 

Premesse introduttive

Il processo di ristrutturazione e modernizzazione della pubblica amministrazione ha subito negli ultimi anni una rapida accelerazione ad opera di numerose e cospicue leggi che si sono susseguite  dagli inizi del decennio passato e, con maggior frequenza, a far corso dalla metà degli anni novanta.

Questione particolarmente controversa, tra le molteplici disposizioni normative, è quella inerente alla titolarità dei poteri rappresentativi e di gestione amministrativa nell’ambito degli enti locali e, tra questi, in modo particolare nei Comuni.

In ordine a questi ultimi interviene un ulteriore elemento di diversificazione che riguarda la variabile della dimensione demografica ed organizzativa il livello della quale differisce, in maniera molto rilevante, tra i Comuni di piccole dimensioni e quelli di dimensioni più grandi, tanto da rendere gli uni e gli altri portatori, molto spesso, di esigenze tra loro molto diverse.

Il cammino faticoso del principio della distinzione delle competenze tra organi politici e gestionali, con l’adozione del D.Lgs. 267/2000, ha segnato il punto culmine della più che decennale spinta riformista ed ha raggiunto, finalmente, la sua definitiva definizione.

Con l’emanazione del Testo Unico, infatti, il legislatore ha perseguito l’intento di delineare un assetto stabile di competenze fondato sulla individuazione della fonte normativa primaria quale discrimine tra le competenze della Giunta, del Consiglio, della Dirigenza.

A proposito, occorre sottolineare che il Consiglio di Stato, in sede consultiva, aveva già avuto modo di sottolineare che il legislatore ha dettato la regola della demarcazione dei compiti tra quelli di indirizzo politico e quelli di gestione amministrativa tenendo conto, soprattutto, del nuovo rapporto funzionale che intercorre tra l’organo monocratico di direzione politica e la dirigenza.([1])

In questo senso si può affermare che il testo unico ha avuto il pregio di dare una risposta al problema della distinzione di competenze, di governo e gestionali, tra Giunta e Dirigenza, risolvendo alcune questioni, soprattutto, in relazione alla disposizione dell’art.107 comma 5, pur non eliminando del tutto taluni elementi di ambiguità che consistono, in particolare, nella sostanziale difficoltà di attualizzare tale disposizione nell’ambito dell’ordinamento locale.

Come, giustamente, è stato osservato,:”Si pone ogni volta il dilemma di stabilire se la fattispecie esaminata contenga una deroga al citato principio, ai sensi del comma 4 dell’articolo 107 del t.u., oppure se essa rientri nella fattispecie disciplinata dal comma 5 dello stesso articolo, in guisa che data la situazione descritta, nei casi dubbi finirà per prevalere la soluzione interpretativa di chi deve applicare la norma che, come è ovvio, causerà applicazioni alquanto differenti della medesima disposizione di legge da parte dei vari enti locali (visto che le interpretazioni raramente sono univoche)”.([2])

Con il nuovo assetto normativo, pertanto, alla passata distinzione tra organi rappresentativi, responsabili dell’intera attività dell’ente, e organi burocratici, con compiti di mero supporto ai primi, si sostituisce quella tra organi di governo, cui competono essenzialmente funzioni di indirizzo politico, di definizione degli obiettivi e di controllo sul complessivo svolgimento dell’attività dell’ente, ed organi amministrativi cui spettano, invece, in via tendenzialmente esclusiva, compiti di gestione del patrimonio e degli interessi economici dell’ente medesimo.

L’apparato burocratico locale diviene titolare, in questo nuovo contesto, di funzioni e responsabilità gestionali con rilevanza esterna. Nell’ambito degli organi politici, invece, il Consiglio conserva un ruolo di preminenza, in quanto competente in ordine all’indirizzo politico generale dell’ente, pur se la competenza viene limitata agli atti fondamentali espressamente previsti per legge, mentre la Giunta, alla quale appartiene una competenza “residuale”, svolge compiti essenzialmente di specificazione degli indirizzi generali deliberati dal primo, cui riferisce annualmente e nei cui confronti svolge anche attività propositiva e di impulso.([3])

Quanto premesso non toglie che gli organi di governo non possano compiere atti di gestione, malgrado quanto stabilito dal D.lgs. 165/2001, in ordine alla separazione dei poteri.

Gli atti di gestione degli organi di governo rimangono, comunque, circoscritti a quelle fattispecie che la normativa in vigore assegna ai predetti organi con riguardo a specifiche competenze([4]) ([5])”pertanto, come è stato sottolineato, la carta statutaria può assegnare a sindaco, giunta e consiglio la competenza per atti amministrativi, solo nella misura in cui essi siano esplicazione di detta funzione. Per questa strada, infatti, si può sostenere che gli organi di governo assumano gli impegni o le prenotazioni di spesa relativi ad atti di propria competenza, da cui discenda un flusso finanziario, come per l’assegnazione del capitale sociale ad una società, oppure per la determinazione del compenso dei revisori dei conti. Simile previsione può certamente albergare nello statuto, in quanto si tratta di specificazione delle competenze, in applicazione del principio di separazione e nel rispetto del criterio delle funzioni esercitate”.

Par. 1.  La programmazione

La programmazione,così come delineata dal D.Lgs77/95 e confermata dal TUEL, si configura come pianificazione strategica, strumento indispensabile nel contesto dinamico della realtà locale in cui appare necessaria la capacità di compiere scelte in condizioni di incertezza, e trova il suo miglior pregio nella possibilità sia di aggiornare quanto definito precedentemente sia di verificare anno dopo anno, per ogni singolo programma, lo stato di avanzamento([6]).

Tale tipo di procedimento permette di tenere sotto controllo l’efficacia dell’azione condotta e apportare eventuali correttivi, necessari al conseguimento dei risultati prefissati.

Precedentemente all’emanazione della L.142/90, in materia di riordino delle autonomie locali, il ruolo di questi ultimi era relegato a mera funzione di ausilio nell’attività di programmazione della Regione.

L’importanza della programmazione anche negli Enti Locali viene ad assumere rilievo solo all’inizio degli anni ottanta, è infatti con il D.Lgs 55/83 che si introduce l’obbligo per gli Enti Locali di redigere una “Relazione previsionale e programmatica” da allegare al Bilancio, la quale si presentava, nelle intenzioni del legislatore, come lo strumento di programmazione strategica dell’azione amministrativa, senza però prevedere  uno schema del documento.

La programmazione ha avuto poi un riconoscimento esplicito dalla legge di riordino delle autonomie locali (142/90) che, all’art. 55, dettava una dettagliata disciplina dell’attività di programmazione e di bilancio.

Le disposizioni in materia sono state riproposte integralmente nel Testo Unico degli Enti Locali, che riunisce e coordina le disposizioni legislative vigenti in materia di ordinamento dei Comuni, delle Province e delle loro forma associative.

Il principio di separazione tra politica e gestione, inoltre, anticipato dalla L.142/90 e coronato con le c.d. leggi Bassanini come poi modificate e l’introduzione di criteri quali l’economicità, l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa hanno portato, necessariamente, all’adozione di nuovi modelli organizzativi, nuovi processi operativi, nuovi strumenti contabili relativi all’attività di programmazione, che hanno inciso profondamente non solo sull’operare di politici e tecnici, ma anche e soprattutto sulla stessa attività amministrativa.

Il Piano esecutivo di gestione rappresenta, infatti, nell’ambito del procedimento di programmazione dell’ente locale, una delle novità più rilevanti introdotte nell’ordinamento finanziario e contabile: l’art. 169 del TUEL, riprendendo l’art. 11 del D.Lgs.77/95, stabilisce che sulla base del Bilancio di previsione annuale, deliberato dal consiglio, l’organo esecutivo definisce prima dell’esercizio finanziario il Piano esecutivo di gestione, determinando gli obiettivi di gestione ed affidando gli stessi, unitamente alle dotazioni necessarie, ai responsabili dei servizi.

Nell’ottica, quindi, della separazione tra politica e gestione, tra competenze degli organi politici e quelle degli organi dirigenziali il PEG, unitamente alla Relazione previsionale e programmatica, è lo strumento che collega gli indirizzi politici con la pianificazione operativa e rappresenta, perciò, l’anello di congiunzione tra politica ed apparato burocratico.

Il Piano Esecutivo di Gestione, infatti, rappresenta il naturale completamento del sistema dei documenti di programmazione degli enti locali in quanto permette di affiancare a strumenti di pianificazione strategica (relazione previsionale e programmatica e bilancio pluriennale) un valido strumento di budgeting in cui vengono esplicitati gli obiettivi, le risorse e le responsabilità di gestione, per ciascun centro di responsabilità.

Ciò consente di definire preventivamente le linee d'azione da seguire per realizzare gli obiettivi, di fissare il tempo occorrente per raggiungerli, di determinare le risorse necessarie, di valutare se gli obiettivi vengono realizzati e se l'azione programmata deve essere rivista.

Il Piano Esecutivo di Gestione (PEG) va, quindi, inquadrato nel sistema costituito innanzitutto dal bilancio preventivo, e quindi collegato bilancio pluriennale, e dalla relazione previsionale e programmatica:  in tale sistema esso rappresenta il piano operativo, cioè l'insieme dei budget che abbracciano tutta l'attività dell'Ente. ([7])

Par. 2. Il Piano esecutivo di gestione

Il Piano Eesecutivo di Gestione è uno strumento indispensabile per la direzione di tutte le attività dell’ente locale che derivano dall’esercizio delle funzioni di indirizzo proprie degli organi di governo.

L’equilibrio economico – finanziario dell’ente è legato allo studio ed allo sviluppo di nuovi processi, alla ricerca di nuove linee d’azione, di nuove tecnologie, di nuovi modi di utilizzo del capitale umano e finanziario.

Tale obiettivo prevede, necessariamente, una pianificazione ed una programmazione: con la prima, tramite lo studio dell’ambiente socio economico, si può arrivare a conoscere gli ambiti nei quali applicare i programmi dell’ente. Solo a seguito di tale studio sarà possibile fissare gli obiettivi generali dell’istituzione, offrire i servizi, raggiungere i risultati.

Con la programmazione, invece, si può fornire un quadro preciso in termini quantitativi dei piani e delle politiche istituzionali: sviluppare programmi, determinare obiettivi di risultato, sviluppare programmi di spesa tenendo conto dei programmi e delle politiche fiscali, fissare gli standard di prestazione per i soggetti investiti di responsabilità. Solo attraverso l’adozione di programmi precisi le attività intraprese dall’ente possono essere svolte in modo efficiente ed efficace.([8])

La disciplina del Piano Esecutivo di Gestione è definita dall'art. 169 del D.Lgs. 267/00, che ne individua le caratteristiche, la natura ed il contenuto. La norma riconosce al PEG un collegamento intrinseco con gli altri documenti di bilancio, deliberati dal Consiglio, costituendone il dettaglio operativo, e ne stabilisce l'approvazione "sulla base del bilancio di previsione annuale". Si tratta di uno strumento rientrante,quindi, nei poteri di indirizzo e controllo appartenenti agli organi elettivi, in quanto è l'organo esecutivo ad approvarlo prima dell'inizio dell'esercizio e ad assegnare le prescrizioni, in esso contenute, ai responsabili di servizi.

La norma definisce, altresì, il ruolo che il PEG riveste nell'ambito della separazione tra funzione di indirizzo e controllo, di competenza degli amministratori, e funzione gestionale spettante ai responsabili dei servizi, individuando gli obiettivi della gestione ed affidandoli ai responsabili dei differenti servizi con le relative dotazioni, sia di persone che di mezzi materiali, necessarie allo svolgimento delle rispettive attività.

Il Piano Esecutivo di Gestione si configura come uno strumento attraverso il quale si mira ad applicare, nell’ambito della pubblica amministrazione, una logica “budgetaria”. La logica del budget consiste nel collegare le risorse ai risultati da conseguire, per centri di responsabilità, con ampia autonomia organizzativa. Ne consegue che elemento fondamentale del processo di budget è la suddivisione della struttura organizzativa dell’ente in centri di responsabilità (e quindi centri di costo – centri di spesa e di ricavo).([9]) Attribuire, però, al documento in argomento una logica “budgetaria”, comporta un legame strettissimo con le concrete modalità operative attraverso le quali il PEG viene elaborato.([10])

Il budget è,quindi, uno strumento di programmazione in senso economico (e non finanziario) di breve periodo (1 anno), strutturalmente e logicamente collegato alla pianificazione strategica ed al PEG, attraverso il quale l’Ente locale definisce preventivamente le attività ed i programmi che ciascun settore/servizio (cd. centri di responsabilità) devono realizzare nell’anno: attraverso il budget si opera un vero e proprio controllo ex ante del controllo di gestione, volto a prevenire comportamenti sbagliati ed ad indicare la condotta da seguire.

Il processo di formazione del PEG si differenzia da quello del budget in quanto nel primo sono riportati valori finanziari che derivano da una contabilità finanziaria, nel secondo vengono evidenziati invece valori economici, finanziari e patrimoniali: in questo documento gli obiettivi di breve periodo vengono quantificati in termini economici.([11])

In particolare, con il D.lgs. 77/95 art. 11, totalmente invariato nella stesura del D.Lgs. 267/00 art. 169, si è passati da un’amministrazione “per atti” ad un’amministrazione “per programmi, progetti e risultati”,  che ha indotto il legislatore ad introdurre, con la medesima norma, il controllo di gestione negli enti locali, con l’obiettivo di monitorare lo svolgimento delle attività ed allo stesso tempo disporre di strumenti adeguati per la valutazione degli obiettivi raggiunti.([12])

Il PEG costituisce,quindi, un documento formale che contiene, in termini quantitativi, i programmi e le politiche direzionali per un periodo determinato ed opera come guida, come quadro rappresentativo di quello specifico periodo di tempo.

Il PEG viene definito, prima dell’esercizio finanziario, dall’organo esecutivo che, sulla base del bilancio di previsione annuale deliberato dal Consiglio, lo adotta determinando gli obiettivi di gestione ed affidando gli stessi, unitamente alle dotazioni umane, strumentali e finanziarie necessarie, ai responsabili dei servizi.

Il documento, prevede dunque, un collegamento con il bilancio annuale di previsione attraverso un meccanismo che vede coinvolti tre soggetti – Consiglio, Giunta e Dirigente – su due diversi livelli di autorizzazione: un primo livello, dal Consiglio alla Giunta, attraverso il Bilancio; un secondo livello di autorizzazione, dalla Giunta al Dirigente, attraverso l’attribuzione degli obiettivi e delle risorse.

In virtù, quindi, della separazione tra politica e gestione non esiste alcun rapporto diretto tra responsabile di servizio e Consiglio, privo di competenze nel definire gli indirizzi gestionali ma a cui è attribuito, invece, il compito di definire gli indirizzi strategici.

Il dettaglio del Piano esecutivo di gestione deve essere, inoltre, necessariamente più ricco rispetto al Bilancio che è, e resta, un documento di autorizzazione di tipo esclusivamente politico, a mezzo del quale sono individuati gli obiettivi strategici dell’Ente e viene attribuita a ciascun obiettivo una quantità congrua di risorse: fissato in Bilancio l’obiettivo strategico e stanziati i relativi finanziamenti, il Consiglio lascia all’organo esecutivo la determinazione, attraverso la redazione del Piano Esecutivo di Gestione, delle modalità di attuazione degli obiettivi fissati.

L’indicazione offerta dal legislatore sulle modalità di redazione del documento di programmazione operativa, però, lascia erroneamente desumere che la costruzione del PEG debba essere successiva alla redazione del Bilancio di previsione.([13])

Perché una corretta attività di programmazione, invece, si realizzi è necessario un processo a contrario: risalire al dato generale partendo dal dato particolare. La formazione del PEG, infatti, deve necessariamente prendere le mosse dai dati relativi all’esercizio in corso per poter predisporre una proiezione di quella che potrebbe essere la spesa dell’esercizio futuro.

I responsabili riescono, infatti, a formulare delle proposte sulla base di questi dati e sulle indicazioni fornite dalla Giunta, relative sia alle prime previsioni sull’esercizio futuro che alla programmazione pluriennale già approvata; successivamente la Giunta provvederà ad individuare il piano più pertinente agli indirizzi politici dell’amministrazione.

Solo una volta che sono terminate queste operazioni preliminari l’organo esecutivo procederà alle scelte definitive ed i responsabili procederanno alla predisposizione dei programmi e dei progetti da inserire in Bilancio: il PEG, quindi, è solo formalmente approvato dopo il bilancio di previsione.

Il Piano Esecutivo di Gestione è, pertanto, differente dal bilancio poiché il secondo è un documento con contenuti esclusivamente finanziari, mentre il primo oltre agli elementi finanziari contiene sia gli obiettivi di gestione, sia l’individuazione degli strumenti e delle dotazioni organiche utilizzate per la realizzazione degli stessi.

Da quanto premesso si evidenzia che la competenza nella definizione, quindi nell’approvazione, del PEG è differenziata rispetto al bilancio: il bilancio è approvato dall’organo consiliare, il PEG dall’organo esecutivo che non può, comunque prescindere, dai contenuti del bilancio.

La norma, inoltre, non indica alcun modello particolare di PEG, pertanto ogni ente, in base alla propria potestà regolamentare, può definire la sua configurazione e gli aspetti procedurali. Quindi, essendo il PEG un documento a “schema libero” dal punto di vista della classificazione, consente di adottare una organizzazione che corrisponde quanto più possibile al sistema di responsabilità dell’Ente.([14])

Il TUEL, confermando quanto già disposto dal D.Lgs 77/95, non prevede, inoltre, alcuna verifica consuntiva del Piano esecutivo di gestione, tuttavia la logica del nuovo ordinamento contabile – specie in ambienti dinamici, quali quelli in cui operano gli Enti Locali, che necessitano di rapidi aggiustamenti dei programmi – renderebbe quantomeno opportuno un riscontro consuntivo, perché l’analisi dei risultati di gestione, non solo conferisce un più coerente significato al processo di pianificazione preventivamente definito ma rappresenta, altresì, il primo passo della programmazione del periodo successivo.([15])

Par. 3.  Struttura del PEG

A differenza del bilancio di previsione il PEG ha una struttura analitica in cui riappaiono i capitoli,  espunti già dallo strumento programmatorio.

In questa prospettiva il PEG ha una funzione disaggregatrice del bilancio ripartendo in capitoli sia le risorse che gli interventi e frazionando i servizi della spesa in centri di costo. Tale ultima disaggregazione non è rigida e dipende dalla dimensione dell'ente, dalla rete dei servizi resi, dal volume degli affari intrapresi e dalla dotazione organica.

La forma del PEG, come già precedentemente accennato, è libera non esistendo sotto il profilo normativo alcun obbligo di osservare un modello standard. Risulta opportuno, quindi, predisporre il documento di gestione su misura per ciascun ente, tenendo conto della peculiarità ambientale, dei servizi da erogare, delle diverse organizzazioni e dei diversi rapporti tra politici e dirigenti.

Nulla vieta, tra l’altro, che il PEG possa essere ulteriormente dettagliato per  due ragioni: di natura organizzativa e di natura economica.

La ragione organizzativa porta a dettagliare un servizio in diversi centri di costo, in modo da far corrispondere la struttura contabile dei servizi quanto più possibile con quella organizzativa vera e propria, per cui invece di avere un unico servizio come è nel modello di bilancio di cui al DPR 194/96 (gestione economica e finanziaria, programmazione, provveditorato, economato e controllo di gestione), si potranno avere 5 centri di costo, o quattro o anche meno.

Conseguentemente appare evidente che, se si hanno più centri di costo in uno stesso servizio, anche l’intervento di quel servizio andrà scorporato in un numero di capitoli pari almeno a quello dei centri di costo, se non in numero maggiore.

La ragione economica dell’articolazione dell’intervento in capitoli ha la sua ragione d’essere nell’utilità di avere una maggiore analiticità nella tipologia delle spese che consente di tenere sotto controllo una particolare spesa per cui, ad esempio, dall’intervento generale “spese per acquisto di beni”, si passerà al dettaglio delle singole voci di spesa per acquisto di beni, es.”acquisto libri, riviste, stampati”.

Tuttavia và comunque evidenziato che, nella fase di redazione del PEG, una moltiplicazione eccessiva dei capitoli non si ritiene troppo conveniente, essendo il PEG un documento destinato ad incidere sostanzialmente sulla gestione, infatti, ogni mancata corresponsione tra le previsioni e la realtà comporterebbe la necessaria variazione di PEG.

Allo stesso modo, però se per evitare quanto sopra, si adottasse lo schema della “voce aggregata” è vero sì che non sarebbe necessario alcun provvedimento propedeutico di variazione in caso di discordanza tra previsione e realtà ma, allo stesso tempo, la scelta aggregata non permetterebbe di conoscere analiticamente i consumi e, conseguentemente, le necessarie informazioni di carattere economico che sostanziano, anche, l’obbligatorio controllo di gestione.

Al fine di addivenire ad una soluzione pratica  e ragionata della vicenda si ritiene preferibile la soluzione dell’articolazione del capitolo. In questo caso, infatti, qualora la previsione non corrispondesse alla realtà non sarebbe necessario intervenire con una variazione ma sarebbe sufficiente impegnare la maggiore spesa senza alcun ulteriore provvedimento preventivo, fatta eccezione per l’annotazione di tale rettifica degli articolati, da riportare all’interno del provvedimento di impegno stesso. ([16])

Di conseguenza, quindi, quando la finalità è di tipo organizzativo, per differenziare le responsabilità attribuendole a soggetti e strutture diverse, la distinzione per capitoli è di carattere formale, mentre quando la distinzione è di tipo economico e conoscitivo, nel senso che si ha la necessità di disaggregare per meglio conoscere l’ente e per meglio verificare i flussi di spesa, si ritiene vantaggiosa l’articolazione dei capitoli. Occorre evidenziare, comunque, che non e necessario dettagliare tutti i servizi e capitoli nel medesimo modo, poiché è possibile avere esigenze conoscitive diverse o differenti tipologie di attività.

Per quanto sopra, quindi, appare evidente che si può avere un Piano Esecutivo di Gestione dove in alcuni servizi si decide di andare in ulteriore dettaglio articolandoli in centri di costo ed i capitoli in articoli, mentre in altri servizi potrà accadere che il PEG coincida addirittura con il bilancio di previsione.

Par. 4 Funzione strategica e gestionale: il PEG nella duplice veste di documento di separazione    cerniera operativa

Negli enti locali la conclamata separazione tra politica e amministrazione resta a tuttoggi un punto di arrivo non ancora del tutto raggiunto e che, verosimilmente, a ragione della innegabile interdipendenza che sussiste tra momento politico e gestionale, incontrerà non pochi ostacoli sulla strada della sua piena attuazione.

Il principio generale di distinzione tra funzione strategica e gestionale e la corrispondente ripartizione di funzioni tra organi tecnici e di governo era stato previsto sin dal 1990 con la L.142 all’art. 51 ma, ciononostante, era rimasto sostanzialmente disatteso per buona parte del decennio a causa dell’inerzia dei politici a cedere funzioni e dei tecnici ad assumerle.

Sul presupposto che gli organi tecnici garantiscono maggiore competenza e più autonomia di quelli politici, i dirigenti si vedono attribuita,con l’approvazione da parte dell’organo esecutivo del PEG e con la successiva assegnazione degli obiettivi, la competenza gestionale riguardo le risorse finanziarie, umane, strumentali e di controllo.

L’attribuzione delle funzioni gestionali agli organi tecnici, coincide con l’acquisizione di poteri più ampi e meglio definiti, ma allo stesso tempo segna una dilatazione delle responsabilità dirigenziali.

Ai dirigenti è riconosciuta la facoltà di impegnare all’esterno l’amministrazione e di adottare atti e provvedimenti amministrativi, è attribuita la gestione finanziaria con il conseguente potere di spesa, quella tecnica ed amministrativa nonché l’insieme dei poteri necessari al buon funzionamento della macchina organizzativa di cui sono il vertice.

La ratio della nuova ripartizione delle competenze risiede nell’esigenza di assicurare una maggiore professionalità nello svolgimento dell’attività gestionale e, quindi, una migliore qualità dei servizi erogati dalle amministrazioni pubbliche.

Amministrare per obiettivi, infatti, significa adottare una nuova forma mentis e, quindi, dotarsi di un diverso metodo di lavoro che, dalla corretta gestione delle risorse, consenta al dirigente di centrare nel tempo previsto la mission che gli è stata affidata dall’apparato politico.([17])

Il trasferimento di sempre maggiori funzioni gestionali, dalla classe politica alla dirigenza tecnica ha, da un lato, conferito maggiore autonomia e competenza all’attività di pubblici poteri e, dall’altro, restituito agli organi di governo la loro naturale funzione.

Il Piano Esecutivo di Gestione, come abbiamo visto, è il documento di programmazione operativa attraverso il quale la Giunta comunale determina gli obiettivi gestionali e li affida, unitamente alle risorse necessarie, ai responsabili dei servizi. Il PEG costituisce, pertanto, lo strumento operativo fondamentale che dovrebbe governare la gestione dell’ente, nel periodo annuale di riferimento, sia sotto il profilo delle responsabilità politiche che tecniche.

Attraverso il PEG, infatti, la Giunta definisce in termini programmatici ed operativi, le linee strategiche adottate dal Consiglio comunale e contenute nel bilancio pluriennale, nella relazione previsionale e programmatica e nel bilancio annuale.

Da quanto detto si evince la duplice importanza del PEG: da un lato la sua adozione consente di verificare la rispondenza degli indirizzi politico – amministrativi impartiti dal Sindaco e dalla Giunta con quelli definiti dall’organo consiliare, dall’altro definisce gli obiettivi di gestione da affidare ai responsabili dei servizi.

Si può, quindi,  affermare che il PEG, oltre ad essere il documento fondamentale attraverso il quale si attua la separazione tra le competenze politiche e gestionali, costituisce una vera e propria “cerniera operativa” tra organi di governo e di gestione. Questi ultimi, infatti, ricevendo obiettivi e risorse assumono la responsabilità di gestione misurabile in termini di efficacia (rapporto tra obiettivi assegnati ed obiettivi conseguiti) e di efficienza (rapporto tra obiettivi raggiunti e risorse utilizzate).

Appare chiaro che il PEG rappresenta un formidabile strumento programmatico con il quale misurare sia la capacità strategica degli organi di governo (Sindaco e Giunta) sia la correttezza e la coerenza della gestione. Il sistema dei controlli, infatti, non può prescindere dal PEG: la verifica  circa l’efficienza e l’economicità dell’attività gestionale ed amministrativa (controllo di gestione)ha come suo presupposto la preventiva definizione del quadro degli obiettivi.([18])

Il piano esecutivo di gestione costituisce, quindi, un passaggio essenziale del circuito di programmazione e di controllo per quanto attiene alla programmazione esecutiva.

Par. 5 .Il PEG, la logica “budgetaria” e la responsabilità   dirigenziale

Il tentativo di far passare all’interno del PEG la cosiddetta “logica budgetaria”, come già precedentemente accennato, è legato alle concrete modalità operative con cui il documento viene elaborato. L’operazione di budgeting consiste nell’individuare chi deve produrre le prestazioni e con quali risorse a disposizione (umane, materiali e finanziarie), il tutto in funzione degli obiettivi definiti. ([19])

Il collegamento con il bilancio e l’attribuzione di capitoli ai centri di costo consente ai dirigenti di compiere autonomamente atti di impegno per l’acquisizione di beni e servizi affidando, contestualmente, agli stessi la responsabilità correlata agli atti medesimi.

Il PEG deve esplicitare le scelte contenute nel bilancio di previsione, ed è lo strumento tipico e necessario per coloro che operano nella fase gestionale. Il dirigente, infatti, con il PEG ha un programma concreto degli obiettivi da raggiungere, una guida che indica il percorso della sua azione, precisando limiti e finalità. ([20])

Il tipo di responsabilità che da ciò discende, non può essere fatta corrispondere a quella di tipo budgetario” poiché nel caso del PEG si tratta di una responsabilità relativa all’acquisizione delle risorse e, quindi, all’economicità del processo correlato.

I vari responsabili, attraverso l’autonoma possibilità di assumere impegni, acquistano risorse che possono essere utilizzate sia nel centro attinente al soggetto che ha provveduto all’impegno medesimo, che in altri centri.

La responsabilità di tipo budgetario si riferisce, invece, alle risorse utilizzate per il raggiungimento degli obiettivi. Nel caso del PEG la capacità di spesa potrebbe, da un lato, evidenziare risorse non utilizzate dal centro ma dallo stesso acquisite e dall’altro, risorse del centro ma acquisite da altri.

Sono, infatti, diverse le responsabilità connesse all’acquisto rispetto a quelle relative alla utilizzazione. Nel PEG, conseguentemente, devono essere evidenziate anche le risorse utilizzate nel centro pur se acquisite o prestate da altri, poiché la sua lettura in chiave budgetaria impone l’evidenziazione del rapporto tra risorse da utilizzare e risultati da conseguire.

Ciò che interessa, infatti, non è tanto quale unità organizzativa gestisce l’acquisizione delle risorse ma chi ne gestisce l’utilizzo. Conseguentemente affinché il PEG rappresenti un documento di riferimento per la gestione anziché un semplice adempimento burocratico – amministrativo, diventa cruciale una individuazione dei centri di responsabilità coerente con i principi del controllo di gestione. ([21]) Anche le modalità di determinazione degli obiettivi e delle dotazioni organiche possono contribuire a far assumere al PEG una configurazione budgetaria. Ciò può avvenire da un lato se gli obiettivi derivano da un processo partecipato, non sono ambigui e sono fissati in modo da non creare ambiti decisionali predefiniti ed eccessivamente analitici, ma rappresentano strumenti di guida per l’attività e, dall’altro, se le dotazioni finanziarie attribuite ai vari centri non vengono determinate in modo eccessivamente puntuale accrescendo la valenza “autorizzatoria” del PEG.([22])

Par. 6.  Separazione dei poteri e piccoli Comuni

Il PEG, come abbiamo visto, è il principale strumento attraverso il quale si formalizza la separazione tra attività di indirizzo degli organi politici e quella di gestione affidata agli organi burocratici. È dunque il documento in cui avviene la definizione delle responsabilità gestionali e la individuazione delle unità organizzative al cui responsabile sono assegnati obiettivi e affidate risorse umane, strumentali e finanziarie per il loro raggiungimento.

Lo svolgimento della gestione, infatti, è realizzato dall'ente tramite la propria struttura organizzativa, la quale differisce da ente ad ente, prescindendo dalle dimensioni del medesimo. Nell'ambito dell'autonomia organizzativa riconosciuta agli enti dalla normativa, questi possono organizzare l'erogazione dei servizi come ritengono più opportuno.

L'articolazione delle previsioni,comunque, nell'ambito delle risorse, dei servizi e degli interventi all'interno del PEG  deve soddisfare l'esigenza di dare chiarimenti con contenuto concreto ed operativo agli obiettivi illustrati. L'articolazione, inoltre, dovrà consentire il corretto passaggio delle responsabilità dall'organo politico a quello di gestione.

Gli obiettivi, infatti, espressi anche in termini quantitativi, devono essere formulati in modo da poter essere compresi da parte di tutti gli interessati. La corretta fissazione degli obiettivi e l'accettazione degli stessi da parte dei responsabili della gestione si riflette positivamente sull'attività di programmazione; essa costituisce un valido ausilio per orientare nella giusta direzione gli sforzi di tutti i componenti dell'organizzazione evitando di disperderli in azioni inutili e di cadere nella sovrapposizione dei ruoli e delle competenze.

L'organo esecutivo si serve dunque del PEG:

per specificare gli obiettivi di gestione, in modo da poter responsabilizzare i dirigenti e i funzionari sul loro raggiungimento. 

per attribuire le dotazioni,  finanziarie, umane e strumentali allo scopo di consentire la realizzazione degli obiettivi.

 Lo scopo è, quindi, quello di delegare le responsabilità di gestione ai responsabili di servizi, i quali devono rispondere del raggiungimento degli obiettivi prefissati a patto che:

le risorse necessarie siano effettivamente disponibili;

gli strumenti gestionali siano articolati in modo da assicurare una reale autonomia e un grado di libertà adeguato;

sia stato elaborato un sistema coerente di obiettivi.

L'estensione e i confini di questa autonomia non sono più definiti all'interno di una legge o di un regolamento come elenco di attribuzioni e competenze, ma si precisano in modo flessibile in una relazione tra attori che raggiungono un accordo sugli obiettivi da realizzare, sulle risorse da destinare a tali obiettivi e sulle attività da porre in essere per la loro realizzazione.

I risultati attesi dalle attività svolte devono essere espressi in termini di tempi, costi, volumi di attività, oppure con aspetti qualitativi ma sempre, comunque, quantificabili ed in grado di essere confrontati. Se non vi è analisi e fissazione degli obiettivi viene meno la possibilità di svolgere il processo di controllo e quindi di procedere ad una nuova programmazione.

Nel nuovo assetto normativo, quindi, sembrava che l’attività di adozione di provvedimenti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, risultasse ormai preclusa agli organi politici, in particolare agli assessori.

A ribadire la non assolutezza del principio della separazione tra indirizzo e gestione è intervenuta, però, la legge finanziaria del 2001 (L.388/2000 art. 53), che aveva ripristinato, per i Comuni con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti ed in presenza di determinate condizioni, la possibilità di attribuire poteri di gestione agli assessori.

Con la legge finanziaria 2002, questa possibilità si amplia, estendendola a tutti i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, senza l’obbligo di motivare l’avocazione dei poteri.

Giuridicamente tale formulazione testuale, ovvero la sparizione dell’obbligo di motivare la menzionata avocazione della gestione ai componenti dell’organo esecutivo, fa sorgere il dubbio sulla legittimità di tale norma quando rende possibile l’assunzione di poteri gestionali da parte di organi politici anche in presenza di personale idoneo, capace, qualificato, precedentemente tributario di competenze gestionali.

Occorre, inoltre, effettuare una notazione concernente i controlli sull’operato dei componenti dell’organo esecutivo eventualmente investiti delle funzioni gestionali, giacché appare complicato che la totale sparizione dei controlli esterni di legittimità possa essere surrogata dai controlli interni sia essi di gestione che contabili.

Si ritiene, in definitiva, che la disposizione in questione mal si concilia con un assetto di competenze già definito e che una serie di norme avevano già delineato: esse sembravano, quindi, aver definitivamente e finalmente sancito il superamento di un certo modello organizzativo operando una effettiva e concreta distinzione tra potere di indirizzo e potere di gestione.

Il ritorno ad una commistione delle funzioni politica e gestionale, seppure ancorato ad una casistica di estrema ratio, contraddice lo spirito della restante normativa in cui si inserisce, rischiando di provocare una situazione di confusione di responsabilità poco consona al quadro delle riforme.([23])

La norma in questione, infatti, anche in considerazione della formulazione generica, consente l’avocazione del potere di gestione limitatamente ad alcuni settori di attività, con esiti scarsamente razionali e difficilmente giustificabili in base alla sola necessità di economizzare. Una tale operazione, inoltre, rischierebbe anche di incentivare processi di demotivazione e dequalificazione del personale che, proprio nei piccoli Comuni, ha contribuito notevolmente a “traghettare” gli enti locali attraverso le riforme susseguitesi negli ultimi anni.

Tale situazione non appare, quindi, in grado di incidere sul versante della possibilità di mantenere ed incrementare la responsabilizzazione e la qualificazione del personale che, a dispetto di ogni altra contraria considerazione è, comunque, destinato a costituire l’elemento portante dell’ente locale.

Par. 7.  Comuni di piccole dimensioni:  vantaggi del PEG

L’adozione del piano esecutivo di gestione, per espresso disposto normativo, è obbligatoria solo per gli enti locali con popolazione superiore ai 15.000 abitanti ma si ritiene che, nella sostanza, esso sia indispensabile per tutti gli enti locali, a prescindere dalla norma e dalla grandezza demografica.

La separazione dei poteri tra indirizzo e gestione, si ritiene, sia regola ineliminabile in qualsiasi ente locale e l’attuazione concreta e compiuta di essa richiede, preventivamente, l’attribuzione di risorse certe ai servizi, nonché gli obiettivi da raggiungere, al fine di consentire l’operatività gestionale.

In questa prospettiva appare evidente che anche nei Comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti deve, necessariamente, essere approvato ed adottato il piano di attribuzione compiuta delle risorse da affidare ai responsabili dei servizi.

La necessità di adozione del PEG da parte di tutti gli enti locali è evidente anche al fine di consentire un puntuale controllo di gestione, obbligatorio a prescindere dalla grandezza dell’ente medesimo. Anche i Comuni di piccole dimensioni dovrebbero redigere il piano esecutivo di gestione poiché questo consente una gestione flessibile e reale delle risorse finanziarie anziché una gestione rigida del bilancio che si avrebbe in assenza dello stesso: la norma ha, di fatto, reso facoltativo l’unico strumento che non avrebbe dovuto esserlo.  

Con l’adozione del PEG, infatti, cambia totalmente il modello di gestione dall’ente poiché assume assoluto rilievo la cosiddetta “cultura dell’istituzione”, mettendo al centro il ruolo del Comune attraverso la qualità dei servizi erogati.

Il PEG “costringe” a fare delle considerazioni immediate sulle politiche di base e comporta un’adeguata ed opportuna organizzazione delle responsabilità per ciascuna funzione dell’ente.

L’adozione del PEG comporta, inoltre, necessariamente una “concertazione condivisa” nel senso che, non solo tutti i soggetti della direzione devono partecipare alla determinazione degli obiettivi, ma anche tutti i membri di un singolo settore devono essere chiamati a formulare gli obiettivi in armonia con i programmi degli altri settori tentando di promuovere l’intesa per la risoluzione di comuni problemi di lavoro.

L’approvazione del PEG consente, quindi, una formulazione dei programmi volta ad una utilizzazione per lo più economica del lavoro, dei materiali, delle attrezzature e dei capitali.

Fondamentalmente, comunque, una corretta adozione del PEG che consenta di infondere a tutti i livelli direzionali una forma mentale volta a ragionare in chiave di tempestività, opportunità, cautela, considerando tutti i fattori prima di prendere decisioni.

In sostanza gestire un ente attraverso il PEG “obbliga”: a porre opportuna attenzione alla situazione economica generale, ad effettuare continue analisi dell’ente, a verificare il progredire o meno del raggiungimento degli obiettivi ed ad aiutare nell’individuare le cause di eventuali ritardi, evidenziare l’efficacia e l’efficienza dell’azione amministrativa.([24])

Il PEG descrive quindi, in termini quantitativi e qualitativi, gli obiettivi che l'ente locale intende perseguire.

Affinché esso si sviluppi come sistema budgetario devono sussistere le seguenti condizioni:

individuazione dei risultati da raggiungere con le risorse disponibili;

autonomia dei responsabili dei servizi relativamente alle modalità di utilizzo delle risorse;

misurazione dei risultati conseguiti sia in termini di utilizzo delle risorse che di attività svolte.

La logica  che sottende tale documento è dunque finalizzata a collegare le risorse impiegate ai risultati da conseguire per centri di responsabilità, con ampia autonomia organizzativa.

Il Piano costituisce, quindi, anche uno strumento di controllo che permette di rilevare i risultati ottenuti, misurarli e apportare gli eventuali correttivi.

Tali funzioni possono essere svolte soltanto se il PEG viene considerato non un mero adempimento contabile, ma uno strumento organizzativo basato su un idoneo assetto delle competenze e su un sistema di procedure certe e definite.  E' quindi uno strumento gestionale che traccia un percorso scandito da priorità, tempi e metodi di attuazione dell'azione amministrativa supportata dal budget.

Per consentire al Piano Esecutivo di Gestione di svolgere tali funzioni, che altro non sono che vantaggi organizzativi, è necessario porre l'attenzione prioritariamente su tre aspetti:

1) Organizzativo, per l'identificazione dei centri di responsabilità a cui attribuire obiettivi, risorse e responsabilità conseguenti

2) Programmatico, per la definizione degli obiettivi e delle modalità di raggiungimento

3) Finanziario, per la specificazione delle risorse finanziarie messe a disposizione dei vari centri di responsabilità.([25])

Ovviamente il piano esecutivo di gestione è uno strumento efficace solo e soltanto se i dirigenti sono coinvolti nella sua attuazione e, soprattutto, se si tiene conto nella predisposizione del PEG delle singole specificità di ogni ente, il piano,  infatti, deve essere redatto in conformità con la realtà operativa cui si riferisce.

Conclusioni

Possiamo affermare, in conclusione, che la definizione delle linee essenziali della fondamentale programmazione operativa,  coincide con l’apertura di una complessa attività di mediazione che coinvolge tecnici e politici quindi il sindaco, gli assessori, il direttore generale ed i dirigenti apicali e verte, soprattutto, sulla definizione delle risorse finanziarie disponibili.

In questa fase, più che in altre, si può toccare con mano lo “scontro” che quotidianamente si svolge all’interno di un ente locale.

Scontro tra prospettive, esigenze, mentalità, sensibilità diverse: i dirigenti, iperesponsabilizzati da una legislazione che li vincola, da un lato al raggiungimento degli obiettivi fissati in sede politica e dall’altro ad una gestione efficace ed efficiente, appaiono spesso stretti tra l’incudine ed il martello.

I politici, dal canto loro, non godendo del privilegio di “inamovibilità”, sono chiamati ad interpretare e, possibilmente a soddisfare, la domanda sociale per definizione inesauribile, nonché a rispondere, politicamente, delle scelte adottate.

Da questo quadro, a volte, derivano contrapposizioni che non giovano al corretto funzionamento dell’ente, che potrebbero minare il grado di fiducia degli apparati amministrativi nei confronti del vertice politico e viceversa.

Si ritiene, pertanto, che nell’affidare agli organi di governo la piena titolarità dell’indirizzo politico e la gestione agli organi tecnici, il rinnovato assetto normativo si scontra spesso con una realtà assai meno lineare e molto più frastagliata che deve, giorno per giorno, essere superata attraverso una costante dialettica tra apparato politico e burocratico, in ragione di quell’obiettivo ultimo e comune che è l’interesse pubblico.

In questa prospettiva si evidenzia come il PEG sia lo strumento/documento che, se redatto in conformità alle reali esigenze dell’ente, è in grado di esprimere i progetti e le priorità che l’amministrazione vuole perseguire nell’anno di riferimento, contemperando al tempo stesso le esigenze politiche e tecniche.

Note:

([1]) Consiglio di Stato, parere 337/2000, 12 aprile 2000, in Consiglio di Stato, 1999, pag. 1938

([2]) Oliveri, Palazzolo, in AA.VV., Commento al testo unico in materia di ordinamento degli enti locali, Rimini 2000, pag. 281.

([3]) “L’attività negoziale degli enti locali tra competenze degli organi politici e competenze dell’apparato burocratico” – Commissione studi del Consiglio nazionale del Notariato – Studio 2324/99 in www.notarlex.it/studi

([4]) Min. Interno, risoluzione 22 marzo 2000, prot. 749

([5]) L. Olivieri, L’araba fenice della separazione delle competenze,(nota a T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sent. 27 ottobre 2001 e Consiglio di Stato, sez. V, sent. 15 novembre 2001) in www.giust.it

([6]) C. Mellone, La Relazione previsionale e programmatica ed il Piano esecutivo di gestione nell’attività di programmazione degli Enti Locali, in Diritto & Diritti, ottobre 2001

([7]) E. Di Giulio, Il Piano Esecutivo di Gestione, in “Guida operativa alla contabilità
e ai bilanci
”, seconda ediz.,Sole 24 ore, Milano, 2002

([8]) P. Orlandini, Il PEG,in Atti del Corso presso il Comune di La Spezia, 1999

([9]) E. Di Giulio, Op. Cit.

([10]) L. Anselmi, L. Del Bene, F. Donato, L. Giovanelli, L.Marinò, M. Zuccardi Merli, in Il controllo di gestione nelle Amministrazioni pubbliche, Maggioli Editore, 1997

([11]) E. Di Giulio, Op. Cit.

([12]) R.M. De Lipsis, R. Iovinella, in La dirigenza dell’ente locale, 2000

([13]) C. Melloni, Op. cit.

([14]) Il Piano esecutivo di gestione, in http://www.asmez.it/peg.htm

([15]) C. Mellone, Op. Cit.

([16]) Il Piano esecutivo di gestione, in http://www.asmez.it/peg.htm

([17]) G. Perillo, Rapporti tra classe politica e dirigenza tecnica negli enti locali,in Diritto & Diritti, rivista giuridica on –line, pag. www.diritto.it/articoli/enti_locali/perillo.html - novembre 2001

([18]) G. Perillo, Op.cit.

([19]) E. Di Giulio, Op. Cit.

([20]) E. Di Giulio, Op. Cit.

([21]) L. Anselmi, L. Del Bene, F. Donato, L. Giovanelli, L.Marinò, M. Zuccardi Merli, Op. cit.

([22]) L. Bisio, P. Mastrogiuseppe, Il piano esecutivo di gestione, Il Sole 24 Ore, Milano, 1996, pagg. 165 - 167

([23]) T. Tessaro, Op. Cit.

([24]) P. Orlandini, Op. Cit.

([25]) E. Di Giulio, Op. Cit.