inserito in Diritto&Diritti nel luglio 2002

Divorzio civile e nullità canoniche*

Di Raffaele Coppola

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È difficile (se non impossibile) anche solo elencare, in questa sede amichevole e prestigiosa, le molteplici cause per le quali può essere dichiarato nullo il matrimonio canonico. Le sfumature delle singole previsioni normative, specialmente in certi casi (quali l’incapacitas, l’errore di qualità, la condizione, etc.) hanno indotto taluno dei non addetti ai lavori a ravvisare circa quattrocento ipotesi di nullità del vincolo, fra capi c.d. tradizionali e moderni. Certamente siamo molto lontani da una simile cifra, di sapore giornalistico e ad effetto, ma quanto detto giova ad inquadrare l’ampiezza del fenomeno dal punto di vista giuridico e sociologico.

Mentre con il divorzio, nella maggior parte degli Stati contemporanei, si accerta il disfacimento della comunione di vita nei vari casi previsti dalla legge, la dichiarazione di nullità mira ad acclarare che il vincolo non è mai sorto validamente. In altre parole, dal fallimento della vita a due si risale, attraverso un’indagine che solo uno specialista può compiere, al momento genetico della formazione del vincolo (c.d. matrimonium in fieri, che si contrappone al matrimonium in facto esse).

A somiglianza dello psicoanalista, l’operatore dei tribunali ecclesiastici deve essere in grado d’individuare le cause remote del fallimento del matrimonio, le quali sono riconosciute in maniera diversa, corrispondente al grado di civiltà ed ai fini dei singoli ordinamenti, che prevedono un regime di nullità.

Immaginiamo di rivolgerci ad un avvocato generico, che, insieme con cause matrimoniali, ne tratti altre in materia di condominio, infortunistica, cambiali, etc. Succede che si finisce col raccontare allo stesso la propria crisi di coppia, relativa per esempio, a casi di maltrattamenti da parte di uno dei coniugi, di poca cura o di violenze nei riguardi dei figli, di incompatibilità di carattere fra suocera e nuora e via dicendo. Il solerte legale, dopo aver saggiato inutilmente la possibilità di una riconciliazione, consiglierà subito la separazione e, quindi, il divorzio, soffermandosi solo sulla facciata degli episodi a lui raccontati, senza preoccuparsi generalmente di sapere altro perché, non essendo uno specialista del settore, non si preoccupa o non è in grado di penetrare nel profondo della questione, a differenza da quanto accade quando si vuole esplorare, da parte di un esperto, la possibile esistenza di una causa canonica di nullità matrimoniale.

Anche l’ordinamento italiano non ignora ipotesi specifiche di nullità con riguardo al matrimonio civile, ma il contenzioso che le concerne non è abbondante, giacché si preferisce ricorrere al divorzio o alla cessazione degli effetti civili, se il vincolo sia stato contratto religiosamente (un eufemismo del legislatore che sta ad indicare che lo Stato scioglie, per quanto lo riguarda, pure il vincolo canonico).

Il nostro ordinamento prevede gli istituti della separazione, della nullità e, come abbiamo accennato, del divorzio, introdotto nel 1970 dopo una lunga battaglia che ha visto contrapposti due fronti ideologicamente schierati, da parte cattolica e da parte laica. Sono intervenute alcune sentenze importanti della Corte costituzionale (n. 169 del 1971 e n. 176 del 1973) ed è stato respinto, nel 1974, un referendum abrogativo (il primo nella storia della Repubblica) proposto da parte cattolica.

La esposta differenziazione risiede nel fatto che il nostro Stato propone un modo graduato di approccio alla crisi della coppia (si può notare in ciò l’influenza del pensiero cattolico), mentre la maggior parte degli ordinamenti, in ambito mondiale, conosce due soli istituti, il matrimonio ed il divorzio, tralasciando perfino la separazione. Chi desideri la nullità canonica del vincolo può rivolgersi, sempre, ai Tribunali della Chiesa, indipendentemente dall’esistenza di un Concordato attraverso cui, come in Italia, siano riconosciuti gli effetti civili alle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale.

C’è da chiedersi quale sia il comportamento, eticamente e deontologicamente più corretto, di un avvocato investito del compito di risolvere, a termine di legge, una questione matrimoniale, quale via egli debba scegliere dopo la separazione, se il divorzio civile o la nullità canonica, specialmente quando operi in un contesto sociale dove è ancora forte il radicamento dei principi cattolici.

La prima cosa da fare è domandare al cliente se è credente, se l’aspetto religioso è per lui importante o meno. Se risponde che tale aspetto gli è indifferente, la strada da indicare è senz’altro il divorzio; altrimenti non gli resta che indirizzare il coniuge (o i coniugi) ad uno specialista, che saprà inquadrare e risolvere il caso nel modo più corretto, senza timore di perdere una possibilità di guadagno anche perché, almeno in Italia, il legale consultato può convenire con il collega che resterà alla sua competenza la delibazione, davanti alla Corte d’appello, della sentenza ecclesiastica di nullità.

Giunto a tal punto si potrebbe obiettare che non tutti i matrimoni falliti sono nulli. Ciò è senz’altro vero, ma proprio per questo è opportuno sapere se la via della nullità canonica sia praticabile, cosa che non può essere stabilita se non attraverso il giudizio di un esperto, il quale in molti casi, specialmente allorché si tratti di matrimoni la cui durata è stata molto breve e si tratti di giovani coppie, ravviserà l’esistenza di un motivo di nullità. Le possibilità, come ho detto a principio della conferenza, sono tante, al punto che, rovesciando un luogo comune, mi sentirei di affermare che tutti (o quasi tutti) i matrimoni falliti sono matrimoni nulli, sebbene non sempre si riesca a provare l’esistenza della nullità, stante il rigore dei Tribunali ecclesiastici.

Si potrebbe altresì obiettare che le nullità “costano” molto e che pertanto alcune persone, non certo quanti oggi mi ascoltano, hanno difficoltà ad intraprendere un cammino di tal fatta, al di là della forza del proprio sentimento religioso. Siamo di fronte ad un nuovo luogo comune ed occorre ristabilire la verità.

Proprio tale luogo comune e leggenda metropolitana dette luogo alla fine degli anni ’40 ad una famosa vicenda giudiziaria. L’allora quotidiano comunista “L’Unità” aveva, in alcuni suoi articoli, scritto che con qualche milione (di vecchie lire) in Italia si poteva ottenere lo scioglimento del vincolo, «decretato in latino curiale», e che «i ben forniti possessori di beni terreni» potevano «nel novanta per cento dei casi, comprarsi un bel divorzio» dall’allora Sacra Rota, salvandosi così l’anima, e chiosando ironicamente che «naturalmente la salvezza dell’anima non la si paga mai abbastanza» [1]. Per tale ragione, il Tribunale della Rota e la stessa Santa Sede (quest’ultima per tramite dell’allora Sostituto alla Segreteria di Stato, Mons. Montini, futuro Paolo VI), intrapresero un’azione giudiziaria, con querela, avverso la testata giornalistica, riuscendo a ripristinare la verità dei fatti e cioè che la Chiesa avrebbe tradito la sua missione se avesse riservato un facile accesso alla sua giustizia ai soli ricchi, e non già anche ai poveri. Il quotidiano fu condannato a rettificare la notizia ed a risarcire i danni subiti [2].

Giusto in ossequio alla sua missione, pertanto, la Chiesa ha istituito presso i propri tribunali il patrono stabile, con il compito di difendere quanti, a prescindere dal reddito, non intendono rivolgersi ad un patrono di fiducia, il quale, a sua volta, si differenzia dal patrono d’ufficio, che può essere qualsiasi avvocato a tal uopo designato dal tribunale per garantire la difesa delle persone indigenti.

Certamente non escludo che ci si possa sentire maggiormente garantiti dall’avvocato di fiducia, magari di prestigio e con grande esperienza, che ponga con coscienza le proprie capacità professionali a disposizione del cliente; ma si tratta di un’opzione, che il soggetto compie liberamente, giacché tanto il patrono d’ufficio quanto specialmente il patrono stabile (stipendiato congruamente dal tribunale) compiono egregiamente il proprio dovere al servizio della Chiesa, che da sempre ed ancor più oggi si mostra sensibile al problema della tutela efficace dei diritti dei non abbienti.

A lezione, quanto espongo l’importanza di rispondere adeguatamente alle esigenze dei singoli casi, faccio l’esempio delle cure inutili e dannose, come può accadere se qualcuno immagini, per esempio, di farsi curare il cuore da un medico generico o perfino da un internista. Nella nostra epoca il concetto di specializzazione è patrimonio diffuso presso la gente comune e contribuisce al miglioramento della situazione sanitaria dei Paesi più evoluti, come l’Italia; lo stesso non può dirsi in campo legale, di cui è specchio il delicato settore del diritto matrimoniale, che spesso viene trattato con disinvoltura, segnatamente per gli aspetti concernenti le nullità matrimoniali canoniche, generalmente ignorate dall’avvocato di famiglia, chiamato a risolvere in termini giuridici le frequenti crisi della coppia.

Circa queste nullità vorrei ricordare la completezza e le misurate apertura della nuova legislazione codiciale del 1983, non infrequentemente valorizzate dalla giurisprudenza del Tribunale della Rota Romana e dei Tribunali periferici. Penso alla salvaguardia del dogma della volontà individuale nel contestuale rispetto dell’indole pubblicistica dell’istituto matrimoniale; al passaggio, nella figura dell’errore (così dissimile dalle fattispecie di matrimonio errato, cioè di divorzio), dalla ragione della persona alla ragione delle qualità, se intesa direttamente e principalmente (can. 1097 § 2), privilegiando quindi la disposizione soggettiva della volontà; alla rilevanza dirimente dell’errore doloso circa una qualità idonea a perturbare gravemente la comunità di vita coniugale ex can 1098 C.I.C. (sterilità, una malattia molto contagiosa, stato di gravidanza indotto dall’altra parte, repulsione verso qualsiasi forma d’igiene intima o di pulizia personale, ecc.).

Ricorderei, altresì, l’esclusione di un elemento essenziale del matrimonio (can. 1101 § 2), quale può essere, oltre al bene della prole, la sacramentalità e il bene dei coniugi, quando sia effettivamente configurabile come autonomo capo di nullità (sovvertimento del principio di parità o matrimonio contratto con l’intenzione di negare all’altro coniuge l’intimismo esclusivo); infine l’incapacità a contrarre matrimonio (can. 1095), le cui specifiche previsioni appaiono in linea con i progressi della scienza medica, della psicoanalisi, dell’antropologia e della sociologia (accanto ai casi di psicosi, le forme più gravi di psicopatologia della vita quotidiana, di nevrosi, nonché le psicopatie, inerenti o meno alla sfera sessuale).

Non è da credere che tale breve descrizione esaurisca, anche solo minimamente, il panorama delle nullità matrimoniali canoniche, costituenti per quanto sopra detto un campo tutto proprio, diverso dalle varie ipotesi di scioglimento del matrimonio, come può essere per l’ordinamento canonico la dispensa pontificia dal matrimonio rato e non consumato, il privilegio paolino, il privilegio petrino, lo scioglimento delle unioni poligamiche e poliandriche (can. 1148).

Vorrei concludere rammentando che, mentre lo Stato italiano riconosce l’efficacia civile delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale, sia pure mediante uno speciale processo di delibazione, la Chiesa non riconosce le nullità o le sentenze di divorzio pronunciate dai giudici dello Stato in relazione a matrimoni concordatari. L’unico intervento dello Stato che la Chiesa Cattolica riconosce è quello in tema di separazione dei coniugi; pertanto, sebbene la Chiesa abbia una sua disciplina in materia, se un cattolico si rivolge ai tribunali civili per ottenere la separazione, la sentenza pronunciata ha valore altresì per l’ordinamento canonico, oltre che per l’ordinamento statuale.

 

Prof. Avv. Raffaele Coppola

Ordinario dir. eccl. Univ. di Bari


Note:

[1] Così M. Ferrara, La Rota ed i divorzi, in L’Unità, 11 maggio 1949, n. 112, 3.

[2] Cfr. App. pen. Roma 15 aprile 1953, Coen ed altri, in Dir. eccl., 1957, II, 42 ss., con commento di Petroncelli, Osservazioni riassuntive in tema di reato di diffamazione in danno del Tribunale della S. R. Rota.