L’interruzione
della prescrizione: analisi di un istituto
di
A.
Lordi (*)
Sommario:
1. Nozione. - 2.Il fondamento della prescrizione - 3. Lo iato sistematico tra
l’art. 2934 c.c. e l’art. 2943 c.c. - 4. Le tesi della dottrina volte ad
armonizzare gli artt. 2934 e 2943: i diritti reali e i diritti di credito. -
5. I diritti reali limitati. – segue - il problema dei diritti potestativi.
- 6. La domanda giudiziale. – 7. Il contenuto della domanda giudiziale –
segue - i rapporti tra diritto principale e diritto accessorio. – 8.
la domanda proposta al giudice incompetente.
– 9. L’atto di cd .
costituzione in mora. - 10. Il contenuto dell’atto. - 11. L’efficacia
soggettiva dell’atto interruttivo. - 12. Il riconoscimento del diritto.
***
1.
L’espressione interruzione della p. designa l’effetto giuridico derivante
da un atto, compiuto o dal soggetto attivo o dal soggetto passivo del
rapporto, idoneo a togliere efficacia prescrittiva al tempo trascorso fino al
compimento dell’atto stesso e nel far sì che un nuovo termine di
prescrizione inizi a decorrere da quel momento.
Si
tratta quindi di una frattura che impedisce di tenere in alcun conto il tempo
già trascorso.
2.
Nella Relazione al Codice Civile al n. 1203 il comma 4 dell’art. 2943 viene
giustificato sulla base del fatto che altrimenti si sarebbe “addossato,
specie in tema di prescrizioni brevi, un grave onere al creditore, costretto
ad agire giudizialmente per mantenere in vita il suo diritto”.
3.
Dalla definizione dell’art. 2934 (“ogni diritto si estingue per p.
quando il suo titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla
legge”) risulterebbe che l’esercizio del diritto interrompe in ogni caso
la prescrizione .
Tuttavia
l’art. 2943 c.c. prevede quali atti interruttivi solo 1) l’atto di inizio
di un giudizio, 2) la domanda proposta nel corso di un giudizio, 3) ogni atto
che valga a costituire in mora il debitore (4° comma art. cit.), con ciò
limitando la previsione, quanto agli atti stragiudiziali, ai soli diritti di
credito e ad un solo atto di esercizio (la costituzione in mora)
Il
difetto di coordinamento ha spinto la dottrina a svalutare la portata
dell’art. 2943 affermando che
ogni atto d’esercizio del diritto, ossia ogni atto di godimento o di
disposizione di esso, interrompe la p. e la giurisprudenza ad interpretare con
larghezza il 4° comma dell’art. 2943 attribuendo efficacia interruttiva ad
atti non certo identificabili con la costituzione in mora, pur senza estendere
la disposizione ai diritti reali.
4.
La dottrina processualistica (R.
Oriani Processo di cognizione e interruzione della prescrizione Napoli
1977) ha dato il maggiore contributo ricostruttivo il cui risultato consiste:
1) nell’individuare il fondamento giustificativo dell’istituto della
prescrizione nella mancata realizzazione del diritto entro un certo tempo,
anziché nella inerzia del titolare del diritto (constatato che di regola il
titolare di un diritto di credito non ha l’onere di alcuna attività), 2)
nel ritenere che la realizzazione del diritto (istantanea nei diritti
di credito, continuata nei diritti reali) impedisce l’operatività della
prescrizione ed escluda il ricorso all’interruzione, 3) nel ritenere che
gli atti elencati dall’art. 2943 non siano atti di esercizio del diritto, ma
atti denotanti la vitalità del diritto stesso: l’enumerazione
sarebbe tassativa, ossia limitata agli atti idonei a dimostrare la volontà
del titolare di ritenere ancora operante, ancorché non realizzato, il
rapporto giuridico, ma estensibile anche ai diritti reali.
Secondo
altra tesi (F. Rosselli Trattato
Rescigno vol. XX p. 425 Torino 1985) l’art.
2943 avrebbe una funzione integrativa dell’art. 2934 apportandovi
un’estensione e al contempo una limitazione. L’estensione concerne i
diritti reali, la restrizione i diritti di credito.
L’estensione
consiste nel fatto che la prescrizione dei diritti reali può essere
interrotta non solo dagli atti di esercizio del diritto (cd. atti d’uso), ma
anche dagli atti, rivestiti di forma scritta e recettizi, con cui il
titolare manifesta l’intenzione al soggetto passivo di realizzare il proprio
diritto malgrado un ostacolo che vi si opponga (v. art. 1073 c.c. che per
le servitù negative attribuisce il carattere di atto d’esercizio ad ogni
atto di proibizione del titolare).
La
restrizione consiste nel fatto che il
legislatore tra i vari atti compiuti dal creditore al fine di realizzare il
diritto (atti di esercizio) attribuisce efficacia interruttiva soltanto a
quelli rivestiti di forma scritta e recettizi con cui il creditore intima al
debitore di adempiere.
In
altri termini, l’art. 2934 ha considerato gli atti di esercizio del diritto,
ma solo in quanto capaci di realizzarlo.
Sicché
l’art. 2943 ha attribuito efficacia interruttiva a qualsiasi atto di
intimazione estendendo da un lato l’efficacia interruttiva agli
atti comunemente considerati come atti di esercizio dei diritti reali,
dall’altro non considerando interruttivi gli atti strumentali o preparatori
del creditore.
Si
afferma infatti che difficilmente potranno aversi atti di esercizio dei
diritti reali diversi dall’uso o dall’intimazione al soggetto passivo, né
che possano assumere concreto rilievo atti preparatori del creditore che non
si risolvano in una più o meno esplicita dichiarazione scritta e indirizzata
al debitore della volontà di essere soddisfatto.
Interpretandosi
il 4° comma dell’art. 2943 nel senso che ad interrompere la p. basta una
qualsiasi manifestazione della volontà di essere soddisfatto, viene
lasciato all’interprete il ruolo di stabilire se abbiano efficacia
interruttiva atti non espressi secondo il consueto modello della costituzione
in mora.
Dalla
categoria degli atti di esercizio andrebbero comunque esclusi gli atti di
disposizione del diritto e ciò in quanto essi
sono estranei alla struttura dello stesso e operano dall’esterno sul
meccanismo di protezione dell’interesse del titolare, anche se essi possono
denotare vitalità del diritto.
Molto
interessante è la tesi del Panza (Panza
Contributo allo studio della prescrizione Napoli 1984) il quale
dall’analisi dei singoli mezzi interruttivi risale alla determinazione della
fattispecie costitutiva della prescrizione. Innanzitutto l’Autore
ricostruisce il concetto di inerzia sulla scorta dell’art. 2935,
identificando l’inerzia con il mancato esercizio dell’interesse ad
agire il diritto e non con il mancato esercizio del diritto. In altri
termini ciò che conta è la volontà manifestata di far valere
l’interesse al diritto. Quindi la domanda giudiziale produce
l’effetto interruttivo non in quanto esercizio giurisdizionale del diritto,
bensì come atto che, per il suo contenuto specifico, porti a conoscenza
del destinatario la volontà di volersi avvalere del proprio diritto. Dall’analisi
effettuata l’Autore giunge alla conclusione che da un lato la domanda
giudiziale da
esercizio giurisdizionale del diritto è divenuta
atto partecipativo della volontà di farlo valere e
dall’altro, che la costituzione in mora non costituisce atto di esercizio
del diritto bensì semplice affermazione della sua vitalità.
Si viene così a porre su
due piani distinti l’interesse al diritto ed il diritto, potendosi, con gli
atti interruttivi della prescrizione, farsi valere l’interesse al diritto
senza necessariamente doverlo esercitare.
5. Esaminiamo ora la
disciplina dell’interruzione dei diritti reali limitati e dei diritti
potestativi.
Circa il diritto di
superficie la prescrizione può essere interrotta dall’edificazione così
come dalla richiesta rivolta al proprietario del possesso del fondo o della
cessazione di atti di turbativa.
Per l’usufrutto
vale ad interrompere la p. quale dichiarazione recettizia della volontà
di realizzare il diritto, la richiesta del possesso della cosa ai sensi
dell’art. 982.
Nell’ambito
delle servitù si discute se ad interrompere la prescrizione di una servitù
negativa valga solo la domanda giudiziale (Branca) oppure se possa valere
anche un atto stragiudiziale di intimazione ricevuto dal proprietario del
fondo servente (Roselli).
Circa
i diritti potestativi si nota come, da un lato l’attività di realizzazione
da parte del titolare produce l’estinzione satisfattiva del diritto stesso,
e dall’altro l’irrilevanza, sia sul piano giuridico che su quello
materiale, dell’attività del soggetto passivo rende inconcepibile qualsiasi
atto d’intimazione a lui rivolto.
Tuttavia
è stata individuata una sottocategoria di diritti potestativi in cui
l’iniziativa del titolare seppur necessaria non è
sufficiente alla realizzazione occorrendo a ciò una pronuncia del
giudice. Ad es. la p. dell’azione di annullamento di un contratto verrebbe
interrotta dall’intimazione a restituire quanto ricevuto per esecuzione del
contratto viziato.
Tale
tesi viene però criticata in quanto così dicendo si confonderebbe la vicenda
relativa alla pretesa creditoria con la vicenda attinente all’interruzione
della prescrizione del diritto potestativo.
Altra questione è se
l’atto interruttivo della p. del credito possa essere considerato utile ad
interrompere la p. del diritto potestativo. Tale questione si inserisce in
quella più generale se l’interruzione di un diritto accessorio basta ad
interrompere la p. del diritto principale.
In
proposito va segnalata la sentenza di App. Palermo 27.10.1992 in Foro it.
1993, I, 566 che nega la riconducibilità dell’azione revocatoria
fallimentare alla categoria dei diritti
potestativi, ammettendo che l’interruzione della prescrizione dell’azione
revocatoria possa avvenire tramite atto di costituzione in mora.
Così
si afferma che la domanda di adempimento del contratto ha effetto interruttivo
anche della prescrizione del diritto di chiedere la risoluzione del contratto
(Cass. 30.10.1992 n. 11825).
6.
La p. è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia
un giudizio sia esso di cognizione, conservativo o di esecuzione e gli
effetti interruttivi sono permanenti, ossia durano fino al passaggio in
giudicato della sentenza che definisce il giudizio (comb. disp.
2943 1° co. e 2945 2° co.).
Dalla
norma si evince che se la pretesa non viene azionata innanzi ad un organo
giurisdizionale (ad es. ricorso amministrativo) essa avrà efficacia
interruttiva solo se siano ravvisabili gli estremi dell’intimazione ex art.
2943 4° comma.
Inoltre
è necessaria la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio sicché
quando il processo viene introdotto da ricorso anziché da citazione,
l’interruzione si ha con la notifica del ricorso stesso e non con il suo
deposito.
Le difficoltà
interpretative sorgono quando nei procedimenti diversi da quello di cognizione
bisogna identificare: 1) l’atto col quale si inizia il giudizio, 2) la
sentenza che definisce il giudizio.
Circa
il processo esecutivo si discute se il precetto debba considerarsi
l’atto introduttivo dell’esecuzione. In proposito si registrano due
orientamenti.
L’orientamento
prevalente (Andrioli) ritiene che la notifica del precetto ha efficacia
istantanea alla stregua della costituzione in mora e ciò in quanto la sua
notificazione precede l’esecuzione forzata ex 479 cpc., escludendo così
l’assimilazione del precetto alla citazione è necessario individuare i
diversi atti introduttivi a seconda delle varie forme di esecuzione: l’atto
di pignoramento nell’espropriazione forzata, la materiale apprensione dei
beni da parte dell’ufficiale giudiziario nell’esecuzione per consegna o
rilascio ovvero l’avviso di rilascio degli immobili, l’invito a comparire
nell’esecuzione degli obblighi di fare.
L’altro orientamento (Belfiore
in Giur.Mer. 1973, I, 332) ritiene che la notifica dell’ingiunzione
fiscale di pagamento (equivalente al precetto) conserva efficacia per tutto il
tempo di pendenza del giudizio di opposizione all’esecuzione, e ciò in
quanto sebbene esso sia fuori dall’esecuzione forzata in senso stretto fa
comunque parte del processo esecutivo da intendere in senso più ampio.
Quanto
ai procedimenti speciali si ritiene che l’istanza di sequestro
conservativo valga ad interrompere la prescrizione. Il procedimento di
accertamento tecnico (secondo alcuni l’emissione del decreto che fissa il
giorno dell’inizio delle operazioni, secondo altri occorre la notificazione
dello stesso) interrompe la prescrizione sino a quando viene depositata la
relazione del consulente tecnico.
I
procedimenti di giurisdizione volontaria non interrompono la
prescrizione, salva l’interruzione istantanea di un atto in essi inserito ai
sensi del 4° comma del 2943.
La
notifica del provvedimento di nomina dell’arbitro del presidente del
tribunale ha effetto interruttivo ex 1° comma art. 2943 trattandosi di
attività di inizio del processo arbitrale.
La
costituzione di parte civile nel processo penale ha effetto
interruttivo della prescrizione del credito al risarcimento del danno fino al
momento del passaggio in giudicato della sentenza.
La
denuncia o la querela penale non valgono quali atti di costituzione in
mora per il credito al risarcimento del danno.
Quando la domanda sia
proposta nel corso del giudizio l’effetto interruttivo si produrrà al
momento della notificazione solo se questa sia richiesta dalla norma o dalla
natura della domanda (es. chiamata in garanzia).
7.
Affinché si possa produrre l’effetto interruttivo è necessario che la
domanda giudiziale abbia i seguenti requisiti:
1)
sia proposta da titolare del diritto della cui p. si tratta;
2)
che abbia ad oggetto la tutela di quel diritto;
3)
che sia proposta nei confronti del soggetto passivo del diritto stesso.
Si
precisa (Oriani) che con
l’espressione “domanda” si intende ogni pretesa avanzata in qualsiasi
forma dal titolare del diritto davanti al giudice così ad es. anche la
richiesta di rigetto della domanda di accertamento negativo proposta dal
soggetto passivo del diritto.
La prima questione
è se la domanda intesa a far valere il diritto principale interrompa la
prescrizione del diritto accessorio.
La duplice efficacia
interruttiva della citazione è fuori discussione quando il giudice, per via
interpretativa, ravvisa la proposizione implicita della domanda avente ad
oggetto il diritto accessorio nella domanda avente per oggetto il diritto
principale.
Qualora
invece la domanda concernente l’accessorio non sia stata nemmeno
implicitamente proposta si sono proposte tre tesi:
I.
- tesi affermativa - la domanda avente per oggetto il principale
interrompe la p. dell’accessorio, così la domanda relativa al capitale
interrompe la p. degli interessi per tutto il corso del giudizio;
II
- tesi intermedia - la pendenza del procedimento relativo al diritto
principale si pone quale impedimento legale all’esercizio del diritto
accessorio, la cui p. viene sospesa;
III.
- tesi negativa (prevalente) - la domanda relativa al diritto
principale non interrompe la p. del diritto accessorio. Così l’interruzione
della p. del diritto al capitale non interrompe la p. relativa agli interessi;
l’azione diretta a far valere la qualità di erede non vale ad interrompere
la p. del diritto ad essere riconosciuto legittimario pretermesso e ad
ottenere la riduzione di una disposizione testamentaria; l’azione volta
all’accertamento della illegittimità dell’occupazione di un immobile non
interrompe il credito al risarcimento del danno derivante dall’occupazione.
La seconda questione
è se la domanda concernente il diritto accessorio interrompa la prescrizione
del diritto principale.
A
tale questione viene data risposta positiva purché tra le domande vi sia un
nesso funzionale di logica giuridica e non soltanto di natura economica.
Così
la domanda degli interessi interrompe la p. del credito al capitale;
l’azione surrogatoria vale ad interrompere la p. del surrogante nei
confronti del surrogato; l’intervento nel giudizio di divisione da parte del
creditore ipotecario di uno dei condividenti, inteso ad ottenere che
l’immobile ipotecato venga compreso nella quota del debitore, in quanto
presupponente l’esistenza del credito vale ad interromperne la p.
8.
Il 3° comma dell’art. 2943 stabilisce che l’interruzione si verifica
anche se il giudice adito è incompetente. Tale disposizione viene considerata
un inutile residuo della disciplina delle pronunce di incompetenza contenuta
nel vecchio codice di rito, che chiudevano definitivamente il processo senza
possibilità di continuazione presso il giudice competente, rendendo così
necessaria la riproposizione della domanda. L’attuale possibilità di
continuare presso il giudice competente il processo fa sì che:
1)
o il processo viene riassunto davanti al giudice competente, trovando in tal
caso applicazione il 2° comma dell’art. 2945: la p. non corre fino al
momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio
(effetto permanente);
2)
o il processo non viene riassunto e si estingue, trovando applicazione il 3°
comma dell’art. 2945: rimane fermo l’effetto interruttivo e il nuovo
periodo di p. comincia dalla data dell’atto interruttivo (effetto
istantaneo).
La
giurisprudenza applica il 3° comma dell’art. 2943 anche nel caso in cui la
domanda sia stata proposta al giudice penale (attraverso la costituzione di
parte civile) rivelatosi incompetente per avere la pretesa esulato i limiti
delle restituzioni e del risarcimento del danno da reato, o al caso di difetto
di giurisdizione.
9.
Il 4° comma dell’art. 2943 oltre ai diritti di credito si applica anche ai
diritti reali limitati e va interpretato nel senso che è da attribuire
efficacia interruttiva ad ogni atto con il quale venga espressa al soggetto
passivo la volontà della controparte di realizzare il proprio diritto.
Tuttavia in giurisprudenza si è negato che un atto di diffida comunicato al
possessore di un immobile ed inteso ad ottenerne il rilascio abbia efficacia
interruttiva del corso dell’usucapione (Cass. 9.5.1974 n. 1315 in Giust.
civ. 1974, I, 1220). Ma tale posizione giurisprudenziale non viene
ritenuta rilevante ai fini della prescrizione, in quanto si limita a porre in
luce che un atto di diffida non è idoneo ad interrompere il possesso e quindi
l’usucapione.
Circa
la forma dell’atto di messa in mora si concorda, secondo quanto disposto
dall’art. 1219 c.c., che debba essere scritta, anche se si controverte sulla
funzione dello scritto.
Sotto
tale profilo la giurisprudenza ritiene che lo scritto abbia funzione
probatoria mentre la dottrina ritiene che la documentazione è necessaria ad
substantiam. Viene così ammessa la prova testimoniale ex art. 2725,
inoltre la giurisprudenza ammette l’efficacia interruttiva di una pretesa
formulata oralmente dal creditore ma verbalizzata dal pubblico ufficiale;
si esclude che la procura a costituire in mora debba essere rilasciata
per iscritto ex art. 1392; infine si ritiene sufficiente alla
costituzione in mora un telegramma anche non sottoscritto nell’originale.
Per
quanto riguarda la natura giuridica si opera un rinvio alla tesi che
ravvisa nell’atto di costituzione in mora un atto non negoziale in quanto
non costitutivo né modificativo né estintivo di un diritto soggettivo.
Si
controverte in giurisprudenza se possa aversi costituzione in mora per un
credito non liquido, tende però a prevalere la soluzione positiva.
Si
ritiene che l’espressione del legislatore “costituzione in mora” è
imprecisa poiché l’intimazione del creditore è necessaria ai fini
interrutivi ancorché la mora si sia già verificata ex re ai sensi
dell’art. 1219 2°comma Cass. 12.9.11986 n. 5555 in Resp. Civ. e prev.
1987, 68 con nota)
10.
La giurisprudenza oscilla tra posizioni di maggiore e minore rigore.
Secondo
la posizione più rigorosa si esclude l’efficacia interruttiva agli atti che
non indicano esplicitamente la volontà del creditore di essere integralmente
soddisfatto (A. Roma 10.1.1975 in Arch. civ. 1976, 932 con nota di Albamonte,
Cass. 18.6.1980 n. 3886 in Mass.Giur.it., 1980, 982, Cass. 10.11.1979
n. 5807 in Rep. Giur. it., 1979 voce “prescrizione e decadenza
civile” n. 83).
La
posizione meno rigorosa ravvisa la costituzione in mora in qualsiasi atto che
comunque manifesti essa volontà (Cass. 28.6.1979 n. 3618 in Rep.
Giur. it. 1979), sicché essa viene ravvisata nella richiesta, formulata
dal creditore, di ammissione al gratuito patrocinio portata a conoscenza del
debitore (Cass. 11.6.1971 n. 1831 in Foro it.
1971, I, 1854 contra App. Firenze 4.6.1966 in Foro Pad. 1967,
I, 820); o nella formulazione, contenuta in citazione, della riserva di far
valere i propri diritti, al di là del petitum, non appena ne sia
possibile la determinazione quantitativa, purché siano richiamate le
disposizioni di legge su cui la riserva si fonda (Cass. 26.6.1968 n. 2144 in Riv.
fisc. 1969, 211).
Il
problema della necessità di un atto di costituzione in mora laddove vi sia un
ipotesi di mora ex re viene risolto affermativamente dalla
giurisprudenza.
11.
L’atto deve provenire dal titolare del diritto e deve essere notificato, se
giudiziale, o comunque ricevuto dal soggetto passivo del diritto se
extragiudiziale.
Salvo
deroghe legislative l’interruzione non si estende a soggetti diversi da
quelli a cui l’atto interruttivo è stato
indirizzato.
Ai sensi dell’art. 1310
c.c. gli atti con i quali il creditore interrompe la p. contro uno dei
debitori in solido, oppure uno dei creditori in solido interrompe la p. contro
il comune debitore, hanno effetto riguardo agli altri debitori o agli altri
creditori.
12.
L’art. 2944 c.c. stabilisce che la p. può essere interrotta dal
riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto può
essere fatto valere.
L’atto
di riconoscimento non è soggetto ad alcun requisito di forma. Esso è un actus
legitimus sicché non avrebbe efficacia se condizionato. Circa la
legittimazione si ritiene che essa spetti esclusivamente al soggetto passivo o
ad un suo rappresentante. La dichiarazione di riconoscimento è recettizia ma
per la giurisprudenza (Cass. 26.2.1972 n. 577 in Foro it. 1972, I,
2920), sfavorevole all’istituto della prescrizione, essa può essere
indirizzata anche ad un soggetto diverso dal titolare del diritto.
Circa
la natura si esclude il carattere negoziale affermandosi che non è necessaria
la specifica intenzione ricognitiva bastando la volontarietà dell’atto.
Deve perciò riconoscersi effetto interruttivo a qualsiasi atto che implichi
l’ammissione dell’esistenza del debito e configuri un comportamento
incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del soggetto attivo.
Si è così negata efficacia interruttiva ad una proposta transattiva non
implicante ammissione del debito così come ogni trattativa intesa ad un
bonario componimento della controversia.
L’esclusione
della natura negoziale porta ad affermare (Cass. 29.7.1975 n. 2944 in Rep.
Giur. It. 1975 voce Vendita n. 79, 83) che l’ammissione
dell’esistenza di vizi della cosa venduta vale ad interrompere la p. annuale
della relativa azione di risoluzione o di riduzione del prezzo, ancorché esso
atto non esprima la volontà di riconoscere il diritto alla garanzia. Altra
conseguenza della natura non negoziale è la non necessità della capacità
d’agire bastando la capacità naturale.
Quanto
alla prova del riconoscimento si ritiene che non valgano i limiti di
ammissibilità della prova testimoniale stabiliti per i contratti.
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